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“King Kong” (1976) – Recensione


23 Oct

L’isola dell’antro e dell’ansito “primitivo”

La follia del tycoon De Laurentiis s’inerpica lungo la via “pericolosa” del remake, l’impareggiabile confronto con il ’33 più splendente e rivoluzionario, di quel B/N “ingenuo” ma già “proiettato” oltre, nei confini sconfinati dell’immaginario collettivo. La creazione “eterea” d’una creatura sovrannaturale, imponente a imprimersi nelle iridi mnemoniche, memorabilia del fantasy a venire. Dunque, avveniristico Oceano d’una “nebbia” che si diraderà dalle “comiche”, ancora Cinema muto ma mutuato nell’urlo della “foresta”.

Film “su commissione” come sarà Dune di Lynch… Stavolta, la scelta ricade su John Guillermin, artefice (e “artificiere”) de L’inferno di cristallo, il primo blockbuster sui “fuochi assassini“.

Infatti, in mezzo all’Indiano e fra gli indiani selvaggi, “qualcosa” non (in)quadra nel Cielo. Una nube sospetta, di origine “atmosferica” anomala. Ad avvistarla è un antropologo “clandestino”, già un Jeff Bridges “rebel” di ricerche indagative nel “grande sonno” da Lebowski per evincere e sviscerare la purezza dell’umanità fra le putredini dell'”ignoto”, del caso troppo presto “risol(u)to”. Il dubbio anzi risorto dell’enigma che non fa dormire, l’insomnia “somma” delle “certezze” che non persuadono, la ragione scientifica (ir)razionale.

Perché c’è del “fumo” nella “coltre?”. Una variante del “Meteo” o il respiro di un animale “selvatico?”.
Il superomismo della “scimmia?”.

Così, il nostro Jack-Jeff s’imbarcherà (anche “figurativamente” negli effetti speciali di Rambaldi, “animatronico” E.T. “di un altro Pianeta”) nel viaggio picaresco alle origini, forse della vita o della sua (ri)scoperta.
“Navigherà” assieme all’alive, bellissima ed esordiente già sgambata e in gambissima Jessica Lange, s(c)orretto dal dirigente affarista Wilson, un Charles Grodin serissimo.

Rinverrà un’Isola di Pasqua, ove si annida il mistero ancestrale più “biologo”. In mezzo a quella giungla benedetta da Dio, “giace” e rinasce, in ogni Notte di “plenilunio”, un “mostro” antropomorfo da “petrolieri”. Appunto, da “giacimento minerario”, da farci tanti soldi: Kong, King Kong.
Un gorilla gigantesco che possiede l'”elephant man” più umano e sensibile, un “tenerone”.

Kong vuole Jessica, sarà la sua “sposa”, la bella e la bestia…
Un “matrimonio che (nons’ha da fare“, impossibile.
Ma Jessica s’innamora, anzi s’infatua del romanticismo “innocente” di Kong, sfidando nel finale (tragico e melodrammatico) il “grattacielo” delle infrangibili ottusità, l”Empire state Building” delle follie “bombarole”.

Inferiore all’originale, un “prodotto” sbancabotteghino, ma superiore all’idiozia di Peter Jackson.
Con la Naomi Watts che non può competere con l’ambiguità della Lange e col suo erotismo vero.

(Stefano Falotico)

Perché il King Kong di Jackson fa schifo?

Guardate questa clip e poi ditemi:

 

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