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Il genio e l’artista devono essere folli, lontano dalla folla


07 Feb

Fuori orario

Col passare del tempo, capisci che la vita è una tribolazione. Non che prima non lo fosse stata. Insomma, si comincia da quando ti tolgono il ciuccio e ti dicono subito di non far la femminuccia.

Da lì inizia l’opera di svezzamento, che è tremendamente violenta, agisce a livello psicologico e sei preda, schiavo, vittima dei condizionamenti esterni. Si parte con l’asilo, ed è già un assillo, quindi con la scuola che ti fa studiare l’ABC dell’imbecillità e delle induzioni più manichee, inducendoti dapprincipio a falsi buonismi figli di maestre fallite, uscite dalle magistrali perché il loro piccolo cervello era irreggimentato nelle volenterose pedagogie da ragazzine tristi e adolescenti problematiche che, raggiungendo quel diploma “giusto”, si erano illuse di aver risolto i loro conflitti e anche, spesso, le loro disarmoniche forme sgraziate da bruttine schiacciate da un’età acerba spropositatamente faceta e scioccherella.

Quindi, ci sono i laureati, categoria da starci lontano. Altre persone estremamente disturbate che si sono illuse attraverso il pezzo di carta “autorevole” di aver appianato ogni cosa, seppellendola sotto la coltre di credenziali boriose e cattedratiche. Accademici solo del bel parlare sciolto e del saper dottamente argomentare, ma raffreddatisi nelle emozioni vere e veraci, oramai impigritisi in lavori impiegatizi, mercantilmente agganciati a una cultura di massa di apparenze stolte e “sagge” frivolezze. Scherzosamente antipatici, così li definirei.

Ecco, l’artista, e io naturalmente, senz’ombra di dubbio lo sono, è un tipo di persona assolutamente fuori da ogni schema, imprevedibile, umorale, caratterialmente “ingombrante” e ostico, difficile per via della sua complessa, sfaccettata emozionalità sempre suscettibile di dubbi. L’artista s’interroga sulla realtà e, prima di giudicare il prossimo, passa al vaglio tutte le opzioni possibili, senza lanciare sentenze affrettate. Mentre oggi siamo invasi da invasati, da tuttologi delle anime altrui, da classificatori delle genetiche, da idolatri del viver “corretto” che dunque, dall’alto presuntuoso delle loro saccenterie superficiali, eseguono “diagnosi”, anche psichiatriche, sul primo che incontrano per strada, perché non hanno tempo per approfondire, per entrarvi davvero in vivo, sentito, empatico contatto. E, in questa fiera delle tracotanti immodestie, ecco che trionfa la boria più vanesia e ciarliera, vince il pettegolezzo più atroce e abominevole da club delle prime mogli, e allora via col guardare culi e donnette discinte all’Isola dei Famosi, le cosce vellutate delle più sceme formose e burrose, odiose, già deformate in bellezze plastificate e televisive, e adesso puntualmente ci ammorbano con questa tradizione “popolare”, nel senso peggiore più credulone e tonto, del festival di Sanremo, sagra paesana trasmessa in diretta nazionale, con un Baglioni tanto “figo” da essere la controfigura di un manichino squagliato nella chirurgia più depravatamente, sì lo è, “cremosa”. Sì un cremino che sgocciola di pezzi di pelle tenuti su con l’Attack.

L’artista è un “cretino”, un idiota dostoevskjiano, uno che non ha capito un cazzo della vita e rischia, sbanda, caracolla, sente, patisce, poi euforicamente gioisce, quindi in maniera repentina, con mentali serpentine degne di uno Slalom Gigante, s’immalinconisce, si deprime, si abbatte, si penalizza da solo, quindi si rialza, ha delle strane idee che gli frullan in testa e allora ecco che spunta il colpo di genio che non ti aspetti, lo “svignarsela” nella creatività, la fuga vulcanica in una realtà da uomo del sottosuolo, che inghiotte il mondo nei suoi orrori e nella sua fantasia lo ricrea, in esso trasmuta, mutevole trasla le ovvietà in voli pindarici di estasiante meraviglia. Allietando le menti ottuse, assopitesi nella carnascialesca vacuità, nello squallore mortale, moralmente inappetibile per la sua mente da pasto nudo devastante.

Sì, è necessario un atto di forza!

Sì, il genio è sfigato, sfuocato, inculato e dunque alato.

Lasciamo pure che i “normali” s’imputridiscano e nella putrescenza riverberino le loro finte, rifatte facce da “beautiful”.

 

 

di Stefano Falotico

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