Posts Tagged ‘Servillo’

La volpe di Wall Street, del mio fe(ga)to a strisce, (st)retto, vai, i denti (a)stringi, altrimenti aspirine e aspra vita(rella), mio rospo che neanche (ca)pisci


08 May

 

di Stefano Falotico

Vita snella? No, la vedo color acquerello, molto acqua alla gola. Boia!

 

Cosa resterà di noi e del Cinema…?

Periodo, come sovente, di meste, pacate e implacabili riflessioni, indolenzite non tanto dalla malinconia quanto da un perturbante, insistente dolore alle gengive, causato dalla raucedine della gola arrochita per colpa di troppe sigarette rancide e mal aspirate, trattenute, una dolenza dura(tura), severissima che attanaglia il mio flusso mandibolare e furiosamente, in modo quasi ebefrenico, mi fa masticare amaro. Eppur, da tale amarezza cincischiante, di denti corrosi da nottate poco ingorde, in bianco e dunque di ingiallirmi anche nell’animo, apprezzo la purezza franante di me oramai (in)giustamente c(r)ol(l)ato a picco(nate) d’una rabbia che reputo sana perché partorisce arte, anzi Arte, di A maestatica, maiuscola, suprema, scrivente libri che non leggerà nessuno perché son ignoranti e pigri ma così (in)felici, mai ponderata ma eccessiva, di me infoiato che, adirando ancor di più le stesse mie ire, rubicondo, quindi prosciugato nel sangue, vomito nel cesso la merda diarreica d’una società sconcia, chiacchierona di insanabili, continue logorree false, truffaldina, ingoiante, cannibalistica, ché sacrifica le coscienze maggiormente lucide e migliori per far sì che, omologati senza libero… arbitr(i)o, (im)parzialmente (s)cremati si “ottemperi” al “temprarsi” ove devi attenerti alla “normale” crescita del tempo tuo “adulto”, ove, come tutti, si capisce, non puoi fuori dal vaso pisciare ma rispettare, da “cagato”, zitto, ammutolito, amputato, spezzato, infranto, trattato da infante, l’indigestione di massa, ben pettinandoti e portando “(ris)petti” (eh sì, bisogna essere-non essere uno, nessuno e centomila per fottere meglio di apparenza che inganna eppur è scannante, che se ne sbatte) in fuori da chi, “decoroso” e perciò camminando a testa “alta”, oserei dire pagana, atea, molto altera rispetto a ogni valore tradito, non dovrà appunto espettorar “a vedere” il suo malessere interiore, ma (s)viscerarlo solo nell’intimità dei suoi furiosi sfoghi. In una società di stronzi, non ti resta che cavartela per rimaner a galla e non affogare nell’escrementizia raccolta dei rifiuti ove precipiterai se non annuserai il profumo di “vittoria”. Con acume e fiuto? No, rubando a destra e a manca ma non dando nell’occhio perché hai parato il culo. Perché non si può evacuar né tantomeno evadere dalle regole prefabbricate. Ora, capisco perché la mia vicina di casa, un’avvocatessa, tira lo sciacquone cautelandosi che nessun s’accorga come getti nell’acquedotto i suoi clienti mal assistiti, a cui non garantì legittima difesa ma trattò da vermi-ratti solitari a panzetta di suo marito dotto(re) col quale si spaparanza nell’aver sol a codesti poco desti tanti soldi spillato, su suoi tacchi a spilli, ed è già troppo se (non) li ha salvati dai domiciliari arresti, relegandoli ai centri di salute mentale, ove saranno semplicemente “curati” di più inculate sedative e ipocrite, da bavagli formato neurolettici in controtendenza a lei che se la tira dilettosa e fra l’altro con molti amanti di letti altrui da circolo vizioso degli armadi con la borghesia “sana” da fantasmatici scheletri, ché tanto tutti vedono i morti così ammazzati ma stan muti perché lei è (pro)tetta da un amico di parlamentare “immunità”.

Abbiam finito le munizioni, c’han murati vivi. Che Guevara, se ci sei, risorgi.

Sempre più giovani vedo sconsolatamente distrutti, in quanto assillati dalla volgarità cafona oggi riconosciuta invece apparenza (im)bell(ettat)a in cui vige l’obbligo perentorio, insindacabile, quasi (da osso) sacro, che devi sempre, assolutamente, (di)mostrarti figo, altrimenti patirai il luogo comune… dell’esser additato a (giro)vita marchiante la patente… di sfigato, cioè sarai costretto, a causa della violenta emarginazione, che non vuol sentir ragioni né “urla” tua da ribelle, forse sei bello, sì, va ammesso-omesso se non vai a messa ma povero “in canna”, nonostante la mente acuta e le potenzialità di molte frecce al tuo arco, poco di trionfi e molto purtroppo da tonfo, sarai accerchiato a morir di fame, se ti va bene, di sete se resisti allo sciopero (in)volontario per mancanza anche dell’unico tuo frutto dell’amor, la banana del tuo cuor’… sì, se ti sei mangiato pure il cuore, la vedo nera.
Fra poco ti vedrò nerissimo da pompe funebri.

E tutto ciò è causato dalla mentalità “moderna” di tal “meraviglioso” grigiore. Ma questi (im)piegati han da pen(s)ar alla causale.

Un nuovo (im)broglio e guai per chi è a sciolta briglia. Anche sciolta di water.

Amen.

A meno che qualcuno s’incazzi e non riescano a tagliargli il cazzo. Ma sì, andiamo al cinema, “rilassiamoci”, c’è l’acclamata storia amorale, sì, l’amoralità va “di brutto”, “a bestia”, di Jordan Belfort, celebrata anche da Scorsese, che un tempo girava Taxi Driver e ora gliel’ha data su, raccontandoci la fav(ol)a oggi tanto “amata” di un povero stronzo senz’arte né parte che, fregando tutti, ha vissuto da “vincente”, facendo soldi a palate e a “patate”.

Sì, ecco, rimproveriamo a questo film di forse eccedere di “troppa carne al fuoco”. Per il resto, sì, certamente, è un capolavoro.

E dire che mi piange il cuore ad ammetterlo, pensavo Scorsese fosse uno dei pochi sani di mente rimastici.

E invece mastico.

Che grande bellezza…

La grande bellezza del cazzo


21 Jan

La grande bellezza… del glande  e Tua mamma è lotta(trice) a letto col fringuello del brutto a burrone, film “fini” finanziati dal Mi(ni)stero degli Inter(n)i, insomma Interiors di Allen, “identico”.

Se mi vuoi dar una mano, ti meno. In quanto a(r)mante.
Sì, ogni vacca sicula alle terme se la sciacqua “frizzante”, dopo il logorio d’una vita domestica masticata… Io diffamo tal affamata e, di scolo, non glielo (s)crollerò. Evviva gli scogli e le linguine alla panna. Se a codesta farò pena, sempre meglio che darle il pene. Da me, non riceverà neanche il pane. Va solo sfiancata. Perché di botte piene è la mammona ubriaca.
E io non sono una mummia avvinazzata, detesto i mammoni, meglio i papà sudati sul dargliene a tutta birra nel popò. Altro che le sue tristi sborrate. Sbrodolassero per questa i questori del far comune(lla). Vanno solo a zitoni e zitelle.
Attento alla bretella, io sono un bretone. Non una besciamella d’amplessi per le volgari abbuffate, come questa zoccola di tua madre, bensì un romantico che la prende, bel culo, a duri zoccoli. Immarcescibile, marcerò contro tal marcia. Eh sì, il mio non la marchia, il mio è di marca.
Antonio? No, non ti do. Din don dan, pugno! Allo stomaco? Sì, basta che non sia un suo festino di fisting un po’ più s(c)otto…
A Canicattini Bagni, lei da piccola se la bagnava, di pinzimonio, tutta già tumefatta e “in umido”, al bagnomaria andò a nozze. Con tanto di parruccona da domenicali parroci per l’ost(r)i(c)a benedetta delle domeniche “festive”. Presto detta, svestito il marito (an)dato. Ma lei è una svelt(in)a e molto di più.
Sì, mentre lei assaggiava, volente, entrante, nolente e semi-paraplegico, il “lento” del marito, con squisitissimi baci e “tenerezze”, da leccarsela… ella stessa… i baffetti, ah tal di malaffare donna da far… ribrezzo di cotanta… schifezza, il figlio invece scimunito ammirava L’armata delle tenebre. Che feci. E chi ne fa la foca? La voce? Urla sempre. Sempre lì lo piglia.
Lei, “amatissima”, il figlio preso dal grande Raimi, ma non si salvò dalla scimmia.
Finirà peggio dei cretini che giocano a ramino. A questo punto, meglio se avesse venduto sé stesso, di cocomero spompato, senza zucca in testa, a Rimini. Da me, tal zuccone, solo in testa beccherà i miei testicoli. Altro che bel riccioluto. Neppure affogato a Riccione. Ah, e si spacc(i)an per ricchi. So per certo che ama gli uomini ginnasti di “spaccate”.
Poi, lo scaraventerò a mare col testacoda.
Ani di anno, infatti, sempre in sguaiato suo fallo, fallito in stagioni sterili, lo scemo del villaggio non avrebbe, di lì a pochezza del suo cervello, viaggiato mica tanto. Ingombrato dalla madre castratrice, soprattutto dei suoi somari scolari, a cui li scrollava, bocciandoli anche di palle e la pala d’un ventilatore della sua a(i)u(o)la (con)ficcato a figa ammuffita nel ventilare che la promozione sarebbe stata (man)tenuta se nel bagnetto, appunto, avrebbero incessantemente “incensato” lei, il cesso con lode e tanto di water.
Va lo sciacquone, il marito è un “trombone”, il figlio, fra “botte” e inculate mai viste, non sente un cazzo oramai.
Mamma santa!

“Tiratela!”.

Doppio sen(s)o, cioè se la tira… che pellaccia.

Genius-Pop

Just another WordPress site (il mio sito cinematograficamente geniale)