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“Il lato positivo”, recensione


07 Mar


Argentea” le nuvole dei sogni dolcemente “amareggiati”, non caduchi

Un diario bislacco, incapsulato negli strazi neuronali di “manicomiale” ma estatica passione sconfinata, lacera negli “arzigogoli” d’umori traballanti, anzi ballerini come un’emotività troppo densa, che suda represse stesse fughe e romanticismo perduto.
“Imperdurabile”, ossessivo, martellante, termodinamiche a oscillar vaghe, allacciate a una serenità contemplativa che poi (s)fugge quando la realtà ne afferra il lembo ancor corrugato, addolorato in ferite “marginali” dalla lama affilatissima nell’eroderne l’illusione del pacato assopirsi.
Sì, implacabile, ritornello di filastrocche a danzare nel Cuore affranto, che (si) combatte, corre nella chimera a svanirsi, ché il Cielo si smalti pindaricamente “pazzo” di quiete.

Bipolari astrazioni, trascendenza, rimozione del “microscopico” trauma dall’infettissimo taglio incisivo, “sbranato” nel “gelo” d’occhi limpidi e assetati, mai nella siesta delle emozioni.
Troppo feconde, troppa inquietudine per rabbonirla coi consolatori manuali della “speranza”.

Notti che “sguainano” le urla sguaiate, i vicini disturbati dall’assordantissimo avvinghiar i demoni ancor ferali e sputarli in viso al proprio specchio, ché i ricordi non dormono, desti anneriscono la crema “sedativa” della tua scheggia ventricolare. “Balbetti” nel farneticar da patetico “guitto”, dai (avan)spettacolo del fustigarti a mercé di chi è irriverente, ostinato a non “graziarti” di seconda possibilità, a sfinire l’anima, (e)rotta fra gaudi e rimpianti, senza un secondo “istantaneo” di tregua, “azzannandoti” nell’arma martoriante dello sbatterti, a muso duro, una patente che tu stesso non scolli, accollato ai virali incubi del mai “savio” risveglio. Appena lo squarcio dell’“Apri gli occhi”, li acceca, (non) decollerà, inondando la calma apparente di pulsione autodistruttiva. Nichilismo d’imporporato sentir(si) “diversi”.
E tutto, il muro delle barriere di ghiaccio, i vuoti fortilizi e l’utopia del rifugio, non si perdona l’errore, lo massacra nella disistima a scisma atomico, vulcanico dell’anima tua ancor scissa.
Spaccata a metà fra ieri e un domani d’aspirare “light”, con leggerezza o morso al vampiro, nel sangue irrefrenabile d’empirico “teorema” sempre sgretolato, pioggia sulle macerie e sulle ceneri polverose d’un “cattivo temporale”.

Dolore mesto ammortizzato, che “immortali” dietro una patina dolciastra dal sorriso “confortevole” a una maschera invero contorta e “dipinta” su schizzi atroci nei nottambuli labirinti di zone penetranti dal cicatriziale e mai gua-r-ito “striderle” di rabbia stridula, ingenua e sognatrice.

Bicchiere “mezzo” che collassa, che “sbanda”, che vuole innamorarsi di più foga, di veemenza “violenta” alle rugiade del baciarsi, amare l’infinita dissolvenza dello scricchiolio crepitantissimo, tremante, all’erta se eriger l’orgoglio vitale o smarrirlo “assonnati” nei bui dell’asma istintivo al claustrofobico spegnere ogni Luce, gli spiragli travolti dalla viziosa spirale del circo(lo).

Downward, ti danni per addolcire il danno, per bloccarlo, per paralizzarne l’angoscia.

Scatti litigiosi, forsennato e frenesia, eruzioni, apri-chiudi alla vita, stemperi i globuli rossi “moribondi” e l’imbrigli, li “soggioghi” a un ideale che “aggiusti” l’intemperanza.
O le intemperie d’una “temperatura” che spezzò il mercurio di “febbre”.

Nervi, nervosismo, crateri dilaniati del tuo “laccio emostatico”, estasi da rinnovare nei lucenti “sbadigli” a fremer per abbagliarla, vita rosata, rosseggiante tramonti, ire furibonde e colleriche nevrosi, ingovernabili, “isteria” adirata in volto emaciato, scavi, (rin)saldarli, inerpicarli nella nasale aspirazione, afflati, affinità d’empatia, invaghirsi e perdere il sorriso, rischi, azzardi, un’altra occasione da prendere al volo, azzannala, adorala, adorna la felicità rapita che s’incupì laconica e poi derisa, irridere l’iridescenza (non) ca(r)pita, chiavi del sentimento a cigolar “usignole” ai tremolii ancor di vanità, specchio-riflesso, indolenza, duole, fa male, stanco d’affliggerti, arpioni l’ultimo ballo prima del nero, abbai, “ululi” per una Lei che lastri il Cielo di meraviglia, piangi di “sottigliezza” carnivora al reprimervi per non aprirvi, black(in)out, “bloccato”, interruzione “intermittente”, lampadina che s’accende, propulsiva energia cinetica che danza, liscia sul velluto, allietato per un attimo spasmodico, “sparato” di gioie effimere, “pifferaie” al solletico d’ormoni scodinzolanti, “scoiattola” tua da non dormirci sopra, splendida apatia, la Bellezza dell’ebbrezze a rizzarsi insuperbiti per un po’, dopo svanirà e sarà uguale a prima, non sperperare e dilapidare l’or(l)o, cupidigia golosa, dai osala, rintona, riscoccherà la fiammella affievolita che si diluì al melanconico Tempo immobilissimo, “sabbia mobile” di dorati, estemporanei istanti, tram tram, routine, giocaci, linciala, perseguita (doppio senso di accenti) e che persecuzione, l’oscuro tuo ottenebrarti è “perquisizione” all’odore vero che sei, che hai in dono nello Sguardo, poesia, repulsione intimorita a terrore di viverla appieno in te, in Lei, in noi.

Come prima, spo(s)sato, ardimentosamente a(r)mato, rinforzato, “dormiglione” di nuovo alzato, fantomatico clown che tergi l’asciutta sparizion al fantasma che vedevi, vinto non a vincerlo, friabile lo divorasti, “stupido” non lo “rimarginasti”, masticarsi, tartagli, chi ti capisce? Un nido cuculo”, un nodo e groppo in gola, ghigliottina all’essenza dell’insostenibile essere “visto” pesante. “Rachitismo” su corpo rubato, boati, “abbindolato” d’autoinganno, ti (s)freghi, ti lagni, ti “bagni” di pioggia “docile” ma prepotente. Che casino, ché non inverti i (di)rotti…, ed è stringerti al cuscino, tener fermo i denti, digrigni, che grinta ancora, che sportività solare, che uggioso pomeriggio sorprendente, che mattino solitario, che solitudine stronza, strozza, ah, ah, non strangolarti, resisti, non mollare. Colpa della tua ex moglie sotto la doccia, nuda per un altro?
Fottitene! No, non si può, non puoi dimenticare, “mendichi” solidali abbracci amici(“nemici”), ah, ecco che il sangue è anemia slabbrata al piacerti, per piacere smettila!, no, dai, non volevo offenderti, non trovare scuse, sono alibi, sei cambiato, tutti allibiti in “riti scaramantici”, la superstizione della suggestione a credere di soffrire, soffrendo davvero e non soffiando speranza. Deperito ieri, “defunto” in quello psichiatrico “laboratorio” di dottori, di strizzacervelli, qua non se ne viene fuori, esci, sgambetta, lo psichiatra è un tifoso più “accanito” di te, insisti, no, no, no, stai inciampando, incespichi, la strada “scivola” d’antica, “comoda” dimora, l’home sweet home “calda” e “tranquilla”, non tanto, famiglia disfunzionale, messaggi contradditori, tua madre “roditrice” che ti vuole bene, troppo, e ti protegge, ti coccola ma hai bisogno di una Donna che non sia ombelicale cordone, infantile ti struggi, ah, sei distrutto, che disastro! Loser! Via, sparisci, via, vattene! Scappa. E dove “scopi?”. Ti masturbi mentalmente, non fa bene alla salute, guarda al “positivo”. E che guardi? Stai solo in guardia! Cagnaccio, perché “sguinzagli?”. Stai ragliando. Stai sbagliando tutto. Ma sbavi, che botta, ti sei preso la cotta, “sbandato!”. Sbandiamo? E che cazzo! No, non mi vuole. Mi ama-non m’ama, mi chiama e caschi nel “coma”. Letargico, con latte stai a cuccia. Ma presto ti scoccia. Vuoi, non puoi.
E perché non puoi? Si può fare. Lei vuole farti, siete due “fatti”, due falliti, due finiti, due in pena, “pendolari” di qua e di là fra un dinner e una cenetta. Fra donarvi allegria e spensieratezze… e sberle.
No, corteggiala, è carina. Sei un po’ titubante, la stai disturbando. Non aggreditevi così. Non graffiatevi. No, con più moderatezza, chi va piano non va lontano, tu desideri il “dunque”, ah, delinquentello, “linguetta”. Baciala, “sguscia”… la lingua, infila. Ah, Lei spaventata si defila.
Che figa, però.
Jennifer, no, rimani qua. Non lasciarmi. Tanto sei sola anche tu. Non “facciamola” lunga.
Dove pensi di andare? Ritornerai. Ti piacerebbe? No, vi piacete.
Piacere, ti chiami Pat, Lei è una “gatta”. Le fusa ma tu non “affondi”. Sempre sul “Chi va là?.
E la schivi. Non ti fai schifo? Sei un moscio. Morsica, spingi, di più, ecco che il Cuore si rompe.
Ora, basta! Datti uma mossa, smuovi il calore.
E tu, bastardo, godi come un “matto?”. Stai zolo zitto. Stavolta, ti slogo la mascella, macellaio.
Rissa, forza! Divelli il lupo, atletico inquadra la situazione, tutti con le cravatte “a quadr(ett)i”, pragmatici di quadernetti. Non siamo più a scuola. Ti sculaccio, io.
Che bestia! Sedatelo! Che cos’è questo chiasso, “allucinogeni”, notti, pum pum, boom, esplode l’orologeria, la bomba! Che t’aspetti l’inchino? Io ti spettino, rispetta le regole del gioco.
C’est la vie. Dirigiti a ovest, non a Oriente. Ne ho piene dell’Occidente. Solo frontali “occipitali”, capitalismo, perdenti contro “trionfatori”, bandiere americane, “Il Grande Sogno”, meglio il sonnifero, Morfeo lo sa. Giants vs Eagles, nani contro uomini!

Baraonda, devi ricominciare. Da tre? No, da zero, hanno azzerato tutto. Anche l’elaborazione del lutto! Che succede?! Disgustali. Gustatela.

Ricorda: nel dubbio…, il profumo di Donna come Pacino.
Il rimpianto, la melma, il fango, il pantano, sei lento, sgranchisci, no, avete il granchio. Ingranerai la quinta, no, non le granate, sgrana. Sgranocchiatela. Nutella! Piastrella, pastello, castello dei sensi di colpa, di coppia, accoppali tutti.

David O. Russell, appassionato di storie “ai margini”, linearmente perfette d’una sceneggiatura che non fa una grinza, esagera, sa dosare invece benissimo la miscela, anche quando Jennifer Lawrence “sparacchia” a zero un’improponibile lista di partite imparate a memoria, ché è stata certosina di ricerche e “ricette” d’amore, in fondo, quindi torna, instant classic come il romanticismo di Frank Capra. “Banale”, eccessivo, ridondante, non ci crede nessuno.

Qualcuno sì. Qualcuno lassù.

Cooper nella migliore interpretazione vestita d’imbruttirsi con capelli corti e scarpette da ginnastica “imbracate” in sacchi d’immondizia, Jacki Weaver eloquente a commuoverci di tenerissimo affetto, un De Niro ironico, “maniaco maniaco”, strepitoso d’occhi fra il duro e lo svenevole, irsuto e un po’ “vecchio”, compulsivo e “telecomando” d’una recitazione, da anni a questa parte, non a pilota automatico.

E una grande Jennifer Lawrence, “troia” regina di cuori a dominare ogni scena.
D’Oscar sacrosanto.

Applauso!

Magnifique!

(Stefano Falotico)

 

 

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