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La vera storia di Robert De Niro, parte seconda


22 Feb

Il Falotico fa ammalare gli idioti a calci nel popò, votatelo!

Discorso alla Nazione, iridato di neo deniriano, affronterò il Grudge Match, senza rancore ma a onor della mia ca(u)sa, soprattutto dello sfratto. Ratti via, il vincitore per il Parlamento è Falotico:
“Vota Antonio La Trippa!”

Prefazione che potete saltare se non vi va a Genius, passando alla seconda, grazie ai “buoni” ottenuti leccando qualche “bona”. A me pare una racchia.

Se sei De Niro Robert, di certo cuccasti, se sei me, naturalmente sei “en nature”, “tosto” come il cucco, il cucco poco sfiora le ciocche delle donne, eppur non sta a cuccia

Fratelli della congrega, monaci ortodossi, suvvia, non veniamo alle mani, “veniamo” ove le donne ce “lo” consentiranno. Alcune, non sentono proprio nulla, sebben tu t’indurisca, lei, frigidamente, te lo frigge, impanandolo d’un orgasmo senza sentienti scambi affettivi. Tutta una finzione che, “alla lunga”, ammoscia il rapporto e anche ciò che lei “importa” ma poco “sfonda la sua porta (non) aperta”


Benevenuti al nuovo appuntamento, appuntati dell’arma carabinieristica e puttane della “Frecciarossa” da binari oramai logori del vostro darla da Trieste in giù, ecco a voi colui che neanche De Niro più in forma mai vi sarà “deforme” di mutamenti “bestiali” del suo camaleontismo più temprato ai tempi d’oro che furono. Quando s’immergeva nelle notti newyorkesi da tassista, e poi ogni LaMotta che ne seguì, sfiancandolo, “malandandolo”, malandrino in tante Toukie Smith buona a renderlo caloroso fra tante, “tante” di colore.

Armstrong sbarcò sulla Luna, io devo ancora mettere i piedi per terra, come si suol dire. Spesso, m’allupo e pianto poche “bandiere conquistatrici”, guardo il Mondo da un oblò, sebbene non sia un eschimese anche se, oggi, a Bologna c’è del nevischio.

Me ne infischierò. Le donne m’han fatto soffrire, vogliono il tuo “pesce” anche quando fanno scoppiare il soffritto. Insomma, voglion scopar anche se potresti “bollirti” d’olio d’arachidi…

Non siamo mica delle scimmie! Esigiamo maggior rispetto di contorno di “patate” senza queste bistecche al sugo di “trippa” e “zuppa”, di moglie ubriaca e “bottana” piena.

Il mio primo piatto preferito sono gli spaghetti aglio senza peperoncino, al dente di vampiro, “oliati” nel mai carburare, senza “burro”, molto sale in zucca, poca “fame” di “Voglia, saltami addosso”, e salsine senza la tua saliva. Bavosi, pretendo il tovagliolo. Avrò diritto a un latte caldo senza mamme(lle) per sesso in scatola liofilizzato?

Come secondo, non lo sono a nessuno. Infatti, opto subito per il terzo posto.
Sì, non mi siedo a capotavola, mi ficco nel mezzo. Di fronte a me, una a cui lo piazzerei ben “apparecchiato”, mi fa piedino ma, credetemi, qui pochi spiedini.

Come dolce, niente. Eh sì, prima la frutta del dessert. Ma, se la mia banana non sbuccia, come farà a essere “meringa?”.

Mi trovo in una situazione imbarazzante. Quelle della mia età voglion “succhiare”. Quindi, spomparti al “Gatorade”. Mi piacciono le quarantenni, ma son da mantenere.

E, quindi, se non ho i soldi per mantenerle, per forza non si “sostiene”.

“Serio” discorso alla gente del nostro Paese che, dopo sputtanate vicendevoli, voterà la disputa dell’incontro dei politici per la Presidenza del “Coniglio”.
Sì, non ci sarà nessun consigliere, morto un Cossiga, si fa un sindaco a mio insindacabile accopparvi. Ecco il “gioco delle mie coppie”, una coppa parmense alla milanese sposata a un torinese magro come un grissino, e non vi saran contendenti, nessuna ragione che tiene a chi vorrà, avrà l’ardire di duellare col campione imbattibile e “pluripremiato”, Stefano Falotico da “Nostradamus”, non il Profeta delle “barzellette” alla chimera anticatastrofica di “Prevenire è meglio che curare”, non un curato ma un inguaribile da biliardo.

Dunque, contendenti, suppellettili, supplenti e ripetenti, tettine e troiette, panzoni e Trombetta, fuori i coglioni! Marmittoni basta con i porky’s, sia dato inizio e “infilzo” alla gara dei pret(endent)i, ti spacco il dente, sei una spaccona, anche di gonna che vede-“lo” vuole non “dandolo” a veder’, il cattivo tenente non sta zitto, ammutolisce “Fammi vedere come succhi…”, è rinsecchiato ma meglio dei secchioni, ti butto un secchio d’acqua rovente, Roventa, la stiratrice del mio “tiro” di “ferro”.
Sergenti, caporali, parrucchiere e sigarette per la voce roca, ecco io mi presento a voi in totale semplicità del vivere “a culo”, senza cazzi per la testa.

1) Innanzitutto, libereremo le carceri dai manigoldi e dai manganelli, è ora che chi è innocente goda il suo uccello. Ché prenda il volo, altrimenti il direttore le prenderà!

2) Iperambizioso non sai a cosa vai incontro. Oggi vuoi una “gnocca” perché sfoderi il “bernoccolo” da intellettualone, domani ti spezzerò le nocche se non la finirai di sputare nel piatto in cui mangio, cioè la tua ragazza.

3) Se Stallone è ancor ben tenuto, la moglie di De Niro è solo che una mantenuta.
Lei capì tutto dalla vita. Spompinò il Bob quando “faceva” l’hostess sulla linea, dal titolo “lunghissimo”, e cioè  “Come te lo allineo, di lingua, io, neppure Campbell Naomi, detta la nera tanto focosa ch’è diventata peggio di Michael Jackson versione sbiancato, causa ch’è stata infornata anche dal pizzaiolo Giuseppin’, detto il Presepio delle poesie con la pummarola da asinello, con la birra al posto dell’incenso e la Madonna al posto del P… Dio!

Su questi tre punti, posso promettervi questo: una beata minchia!

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Ronin (1998)
  2. Mad Max: Fury Road (2013)
  3. The Untouchables – Gli intoccabili (1987)

La vera storia di Robert De Niro, letta, recensita e video-montata da Stefano Falotico


20 Feb

Uomo vero mai montato ma vero come le luci di Los Angeles, anche quando bazzica Las Vegas

Da qui, fratelli della congrega, noi, ortodossi e spaccaossa, leggeremo nel mio plurale maiestatis a sua Maestà, il Maestro estatico, Robert De Niro, profeta delle innovazioni alla recitazione, allievo e discepolo di Marlon Brando, Monty Clif e James Dean, Greta Garbo del sacro virente all’anima eleganza della sobrietà fascinosa, sì, narreremo di come il mito ebbe origine e da cui, mai ebbri, a differenza degli ebeti con le “erbette”, ce n’abbeveriamo ancora finché (sua) morte, dunque nostra, non ci s-e-pari.

Robert De Niro, nato il 17 Agosto del 1943, data storica, epocale. Questa è epica!

Ecco Monsieur Falotico che scandisce le parole della biografia redatta da Elfreda Powell, secondo traduzione di Vanni De Simone, per la “Gremese Editore”.

Uditene lo scroscio.

Applauso!

Dono denirante premonitore, amatorio e dorato di “caligini” nei cristalli del Tempo(rale) acquatico, bianco come il germoglio d’un sorriso, laconico di palpebre vulcaniche d’amore

Arrendersi dirimpetto a impettiti ordini è la volontà che si nega a se stessa e, “Sol” innevata, non solleva il baluginare intenso del Cuore. Anche a dissacrante denudarlo, prostrarlo e offrirlo in sacrifizio a una Donna, finalmente, liberi da forche caudine, da quei perentori, impertinentissimi “riti sacerdotali” del growing up generato da una generazione che si professa “adulta” e, invero, io la vedo funestata nell’abominevole realtà del suo vivacchiare, di bacini ruffiani corrugarsi e d’amarezze nel consolatorio “pascersi” d’un benessero dai retrogusti, sempre loro ad assediarvi, è il candelabro di cere mascherate e d’una cena orgiastica già stanca, oh, tanto arranca, “cari” arrampicatori, genuflessi a moine che han lo squallore della vostra “visiera” da squali e di quaglie rosolare a non rispettare l’innocenza che arrossisce, a bruciar, già sepolti vivi, se mai lo foste nella foresta all’adulazione ululante dell’animal vostro più veritiero e avventuresco or sol di “pittoresco” aggrottar la fronte e non lustrarla a fonti assetanti, già putrefatte nella fandonia di tutte queste luride vostre noie. Annotate il prossimo e lo squadrate, il goniometro che lo accerchi nel sorvegliarne le mosse e lederle appena intaccheranno le certezze di questo “cenacolo”, appunto, accigliato e di protervia non più cervo dei nervi per cui nasceste. Farneticate di qua e di là, e v’illlanguidite, scevri di verità pura, per tramonti “pasticciati” da colori(ti) grigissime di grinze e pinzimonio ai demoni uccisi, mai vi dico da annerire nella beatitudine minestra e non più desta di mesto ergerla nelle pindariche albe, che han perso lo smalto di quando il Dio, oggi da voi ripudiato dopo averlo ingegnosamente, da “distruttori” edili, inventato, sventolò armonioso e or, “platinati” d’oratoria e orali consumazioni “animose” affastellati nel “corteggio” di mimose e smorfiose, saccheggiaste, rubandone il cremisi rubino della sua Luce.

Tante, tante ragazzine, che ho sempre orripilantemente “depilato” nelle mie scelte già protese a mature donne più esperte di come il mio Uomo necessitò, precoce, di dissetarsene e inoltrarmene mai placato, in queste placche avare anche del tartaro a illustrazione della fame sempre vostra da ludri marci, del loro stuzzicar da pettegole indaffarate a far e disfarseli in letti subito “fa(r)ine” del sacco insaccato. Quanto sono ed erano lamentose, piccole (de)menti a “onorare” l’arbusto del bestione più appetibile, a singhiozzare ubriachelle e pollastrelle nel rastrellare color a cui sghignazzavano da “vigne” di cigni già nelle sopracciglia bu(i)e del cogliere l’acerbo e non il Peccato di cui adesso mi sazio e palpo, tasto e insisto. Queste donne…, io le adoro, questa femmina che, sfilando le calze, prima t’assottiglia fra mari di sbronze bottiglie strabiche d’ottica a centrarla dopo l’abbuffata lucculiana, poi apron le gambe e incalzi “culinario”, pranzando nel planare in mezzo idilliaco, ché il Paradiso tutto non è se non colei che ti mostra il ghiotto suo “lingotto”, golosa me n’è gola, e urliamo negli scandali, in uno scantinato in cui “la” scandaglio, in un attico in cui la “svastico” celtico e barbaro, liberandola dai nazismi del sesso comandato a bacchett(on)a, in un pianerottolo in cui, pian piano, sale il mio ascensore a goderne fra pause dei “piani superiori” con accenti-accensioni d’intermittenze a spingere per accomodarla nell’appartamento e, sul pavimento, esserle pipistrello di schizzi fra le piastrelle, di piastrine sanguigne allo sperma salato esaltante, esultante alla mia sultana, alla sua sottana nelle tane ove, tenace, grida isterica e la mia batteria non è mai scarica.
All’attacco, “al muro”, ovunque, mentre i delinquenti odian la mia “linguaccia”, invece Lei n’è forbita di mio biforcuto lì e nel culo. Che fionda, che figa!
Sincero, volgare, Uomo e bicchiere argentato mentre ancora sonnecchia di trecce, e forse Morfeo l’accarezza docilmente nel dominante mio amianto senza scheletri nell’armadio di voi che adescate per “pesche” loschissime.

Ella m’augura la buonanotte, ed è apprensiva in assenza di me, gelosa che sia occupato dai miei “affari” ignoti. Questa è malia, è goliardia, è malizia, è Lei dai capelli ambra, ad ammirare le mie ombre, io che non lascerò nessun orma ma ci dormimmo sopra.

La perplessità è di colui che fa della vita un pattuirne senza carpirla o rifletter-si. Sì, è così.

Mi spoglio, Lei mi guarda e, speculare, mi lecca anche quando non c’è nessuno nell’immagine che vorrebbe al fantasma mio forse altrove.

E ne soffre, lo so, questo suo desiderio è struggente.

Mi aspetterai e, in quell’attimo, udirai il tuo corpo al risveglio della prima volta che m’incontrasti.

Ed è per questo che amo Neil. Neil in te, Eva, un edera ed Eady.

Che cos’è un genio, cos’è l’immensità, chi sono i miserabili?
La grande coscienza mia in questo Mondo di pregiudizi e di ribaltati valori, ove amici tradiscon la fedeltà delle alleanze, dei segreti, e origlian nel complotto a “rammemorarti” quant’eri innamorato e ora, per loro, per loro, inaridito.

E come io divenni Joyce, perché anticamera della scoperta…, a essere più veloce nell’odiata contemplazione distorta dalle lentezze.
Questione di lenti e di dimensione prospettica, innalzarsi al di là delle regole criminose quando si bardan di leguleia giustezza. Sì, i legumi di fagioli e petomanie manesche.

Di come l’insano dà pazzia al savio e deforma a sua immagine e somiglianza.
E di come insulta con boria da strapazzo e pagliaccio, nella sua prosopopea “altolocata”.

La vita dei geni s’eleva da chi, non nobile, non è umile e umilia, deride e calpesta i diritti e le libertà, con “insindacabile” arbitrio decreta fine e “ricapitolar” del non aver capito e non ottuso voler capire.
E va in giro, ballando e “gioendo” a schernire mentre scherza su preti, barboni, neri, omosessuali, diversi e chi storpia per stropicciarsi di risa. Altrimenti, ti subissa di risse ché isserà sempre la bandiera del metter a bando e credere d’abbindolare per un “Bingo” da bimbo.

Il genio, diabolico e calmo, altamente se ne… fregia.

Ché la sua anima non è mai fredda. Questo si chiama vivere, si chiama sofferenza oggi e domani armistio, ieri combattimento, l’istante venturo una vertigine, un collasso e altro chiasso, altre chiavi e poi abbattersi, lottare e nuotare, affogare e riemergere.

Questa è la vita.

Il resto è la letale tradizione d’un pasto mai nudo che ha paura di guardare oltre le apparenze.
Che, spaparanzato, usa la zanzariera per non essere irritato “a pelle”, ché teme il suo stesso vampiro offuscato per timor che rabbrividisca senza più la viscida maschera.

E andrà nel trallalà da chi non oserà mai nella rosa ma, cinico, è già cieco.

Questa si chiama lezione di vita.

Fa male, è un dolore atroce.

Ciò che i miserabili si meritavano.

Quel che io merito a dispetto dei loro dispetti.

Buon proseguimento di serata e di vostre “serenate”.

Applauso!

Secondo molti, gli ultimi capolavori interpretati da De Niro sono Heat e Casinò.

Questa è una diceria che ha assunto luoghi da Comunioni.

Sotto, elencherò 7 film che dovreste rivalutare, come il sottoscritto.

Mai dire mai, se puoi dire che De Niro è me.

Sì, lo imito alla perfezione. Anche perché siamo la stessa persona.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Cop Land (1997)
  2. Jackie Brown (1997)
  3. Ronin (1998)
  4. The Score (2001)
  5. Colpevole d’omicidio (2002)
  6. Stanno tutti bene (2009)
  7. Limitless (2011)

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