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THE MULE: tra Fabrizio Corona e Jerry Lewis, scelgo Michael J. Fox di Ritorno al futuro 3


05 Feb

ml09

BACK TO THE FUTURE III, Michael J. Fox, 1990.

BACK TO THE FUTURE III, Michael J. Fox, 1990.

 

Sono il Joker Marino, uomo che non ha bisogno di truccarsi per essere sé stesso, nonostante sia pirandelliano, uno, nessuno e centomila, forse un mezzo uomo o un superuomo. Magari… Il giudizio sul mio valore umano spetterà al mio specchio dirmelo quando finalmente ne comprerò uno deformante, al fine che possa davvero osservare davanti a me un man distorto. Credo di essere abbastanza retto, un tipo straight, sin troppo dritto tant’è che la gente, spesso addormentata e lobotomizzata, pensa che sia io a farmi un tranquillo pisolino.

Al massimo vivo in dormiveglia. E comunque vaglio, pagando le bollette e i postali vaglia. Non sempre…

Oggi, vaglierò con oculatezza, di attenta disamina quello che considero uno dei film più grandiosi di tutti i tempi, ovvero Gli spietati (Unforgiven).

Chiariamoci, sono abbastanza di parte. Ho scritto un libricino intitolato Ghiaccio arcano di romantici occhi, che ha venduto otto copie perché le persone sono fintamente buone ma più spesso, soprattutto, brutte e cattive. Ah ah.

Ma in particolar modo, qualche anno fa, ho inaugurato una saga letteraria che va dal Cavaliere di Alcatraz a quello di Madrid. E in quest’ultimo la copertina è eastwoodiana al mille per mille, con tanto di Clint che cammina per un vicolo buio. Via da me i gatti neri. Sì, sono un Joker che caccia il malocchio col potere iridescente delle mie iridi cupe. In quanto uomo notturno che però non è mai stato a Castel Volturno. E che forse, nonostante sia stato molte volte tordo, tornò, è tornato come il revenant Eastwood, William Munny de Gli spietati.

Sì, basta con un’esistenza appartata e taciturna. Parliamo, mostriamoci, mostriamovi la mia analisi di Unforgiven.

Partiamo ovviamente con la messa in scena. Da non confondere mai con la messa in cena. Quella è stata l’ultima predica di Cristo prima di scatenare il cristianesimo e di conseguenza tutte le successive messe.

Di mio, spero di non essere mai messo… sulla croce. E nemmeno in una certa posizione a pecora.

Ecco invece la mia ideologica posizione sulla messinscena. Una posizione non a novanta ma credo a 360 gradi.

Eastwood, nei titoli di coda, ringrazia i suoi maestri Sergio Leone e Don Siegel. Ma Eastwood ha sempre saputo di essere un regista la cui poetica cinematografica è unica, indissolubile, inconfondibile.

Ne Gli Spietati non abbiamo retoriche leoniane né iperboli stilistiche da Siegel.

Eastwood non è Scorsese, non adotta cioè molti dolly, carrellate interminabili e zoomate, né in colonna sonora è postmodernista. Questo è western purissimo. Classico al top. E non al pop.

Eastwood non è Kubrick, è altrettanto geometrico e freddo nelle inquadrature ma al contempo sa infondervi spasmodica armonia romantica nella sua glacialità visiva e secchissima.

Si passa dai grandangoli del pestaggio di Bill Daggett ai danni di Bob l’inglese a primi piani fermissimi sui volti dei protagonisti. Eastwood ama gli spazi (s)confinati, il crepuscolarismo e assistiamo a scene ambientate a mezzogiorni di fuoco ad altre immerse nella notte più livida, profonda e tempestosa.

La messa in scena di Eastwood è magistrale, è come se avesse girato un noir, un semi-poliziesco in mezzo ai saloon, alle bettole da prostitute, alle stelle di latta di sceriffi stronzi.

Non ha bisogno di grossi effetti, è appunto millimetricamente spietato nell’uso sapiente della macchina da presa. Che c’è ma è come se non la vedessimo. Al che inquadra lui e Anna Levine vicini a un casolare come fosse un 70mm e invece è normalissimo Panavision 35. Che occhio di lince, che aquila!

Ciò andrebbe detto a Tarantino. Il cui The Hateful Eight mal tollero.

Una messa in scena prospettica che espande la focalità del campo ristretto d’azione e si dilata nei dettagli di una natura libera e selvaggia.

Prima abbiamo appunto la natura brulla ma selvatica del West e quindi negli ultimi dieci minuti ecco che veniamo soffocati claustrofobicamente nel covo di Big Whiskey. Come fosse un horror kammerspiel, addirittura!

Quindi, la ballata scritta dallo stesso Eastwood che, come nell’incipit, sigilla cimiteriale la fine di un’epoca e la fine di questa storia arrabbiata e cinica.

Eastwood è come se avesse scattato qui un dipinto in movimento a tramonto tombale del suo antieroe.

Messa in scena, dunque, 10 e lode.

 

Personaggi: è un film invero con due personaggi base, il William Munny di Eastwood e il memorabile Bill Daggett di Hackman, premiato giustamente con l’Oscar.

Ma altrettanto importanti e affatto secondarie sono le figure di Ned (Morgan Freeman), di English Bob (Richard Harris), perfino della prostituta interpretata dalla “sfregiata” Anna Levine.

Partiamo innanzitutto da William Munny.

Munny è un pistolero figlio di puttana che, dopo essersi sposato, ha voluto dimenticare il suo passato mostruoso. Perché era uno scellerato uomo senz’alcun scrupolo morale che ha ucciso donne e bambini.

E si è ritirato nella sua casetta in campagna coi due figli piccoli, ove fa ora l’allevatore di maiali.

Munny è un diavolo, un fantasma con la sua precisa etica da samurai.

Appena Kid gli propone di dar la caccia ai due uomini, Munny, allettato dall’idea di poter fare soldi per garantire un miglior futuro ai suoi pargoletti, che vuole preservare dal male del mondo, che lui conosce benissimo e del quale è stato schiavo, ritorna pian piano a ridiventare l’animale che aveva sepolto nella sua coscienza. Non si scappa mai dal proprio infimo passato e Munny, purtroppo, n’è perfettamente cosciente.

Al che, una donna gli dice che il suo amico Ned è stato macellato da Bill. Lui accoglie la notizia senza far una piega, al massimo corruccia la fronte e il suo sguardo s’indurisce all’improvviso. Ma dentro di lui ribolle il ribelle Munny dei suoi ripudiati anni giovanili e si vendicherà biblicamente.

Voto: 10.

Bill Daggett. Un attimo, per favore. Gene Hackman, pur essendo coetaneo di Eastwood, pur avendo già interpretato molti film, più o meno celebri, prima del suo Oscar per Il braccio violento della legge, ha ottenuto davvero popolare successo soltanto negli anni settanta. Ma a differenza di attori, un po’ più giovani di lui, esplosi in quel periodo, vedi Pacino e De Niro (fra l’altro, gli unici due della loro generazione a non aver mai interpretato un western), Hackman non è mai stato figlio del Metodo. Al contrario di Al e Bob, che son divenuti i personaggi che hanno interpretato, Hackman è sempre stato Hackman. Come disse un critico americano, del quale mi perdonerete se adesso non ricordo il nome, non è mai Hackman a trasfondersi nel personaggio da lui incarnato. È semmai l’inverso. È il personaggio che si adatta ad Hackman e Hackman, anche quando interpreta parti assai diverse fra loro, rimane sempre Hackman.

Bill Daggett non fa eccezione. Daggett diventa Gene Hackman. Con la sua celeberrima risatina sadica e strafottente, i suoi modi burberi e maneschi, la sua posa tronfia e cafona. Uno che è difficile fregare con le chiacchiere.

Hackman è sempre stato grande. Bill Daggett è un grande personaggio e in questo film Hackman sembra più grande di quello che è invero anche in film brutti come Boxe.

Voto dunque al personaggio ma di conseguenza ad Hackman che ne fa un suo personaggio: 9.

Ned: Morgan Freeman è uno che ha girato tre film con Eastwood. Questo Gli spietati, Million Dollar Baby e Invictus nei panni di Nelson Mandela. Per Million Dollar Baby si è beccato l’Oscar, per Invictus ci è andato vicinissimo.

Ecco, basterebbero questi soli tre personaggi per considerare Freeman un grandissimo. Ho detto tutto.

Ned è un poveraccio, uno che si crede chissà chi e invece si lascia massacrare come una femminuccia.

Uno che dà consigli di vita a Kid, che lui prende sempre per il culo, è uno che sbeffeggia bonariamente Munny ma che non ha fatto i conti mai davvero con la pura cattiveria di questo nostro mondo merdoso.

Sì, in mezzo a questa pura cattiveria, Ned è un puro. Nonostante l’apparenza da duro. Altro personaggio indimenticabile.

Voto: 8.

Bob l’inglese. Altra presenza impossibile da dimenticare. Richard Harris era già molto vecchio, qui. Incanutito a dismisura, grinzoso, coi capelli sfibratissimi. Eppure titanico nonostante compaia una ventina di minuti e basta. Lui è il baro della morte, anzi, il barone della morte. Uno che millanta di essere stato e di essere ancora, nonostante l’età, il bounty killer più veloce del West, e forse ciò era ed è pure vero, ma Daggett lo sputtana di brutto e lo tratta da pagliaccio cretino. Lo smonta in pochi secondi.

E, con la coda fra le gambe, Bob, spogliato di tutto, rimedia una figura da fesso colossale. Povero Bob.

Che classe, Richard Harris.

Voto: 8.

Anna Levine la prostituta: bella, bellissima, una che svolge il mestiere più antico del mondo e il più “sporco”. Eppure, dal suo viso, sfregiato, più che dalle cicatrici, dal dolore della sua anima infranta, traspare l’angelica rinomanza di una donna volitiva, in cerca di giustizia. Che dolcezza. Io me la sposerei.

Anche in questo caso, gli (riferito al personaggio), le (riferito a lei) diamo voto molto alto, 7 e mezzo.

E sarebbe bello, semmai facendo rivivere il defunto Harris con la computer graphics, un sequel de Gli spietati, con Eastwood, Harris e la Levine diventata donna matura, con Eastwood oramai novantenne che accende il fuoco, Harris che si pettina i pochi capelli allo specchio e la Levine che prepara i tortellini, sì, loro sono gli unici sopravvissuti nella pellicola. Sarebbe altrettanto stupendo un prequel in cui si racconta la vita dello sceriffo-carpentiere Daggett prima della sua ascesa, appunto, a sceriffo. Che cazzo faceva quando aveva quindici anni? Sì, Bill Daggett scopriamo che in realtà è Biff Tannen della trilogia Ritorno al futuro e legge l’almanacco delle scommesse sulle corse dei cavalli, fa soldi con quest’imbroglio, al che si candida, visto il potere pecuniario acquisito, come sceriffo di Big Whiskey. La gente è terrorizzata. Messa in soggezione da quest’uomo potentissimo e pieno di money, lo elegge appunto capo della cittadina. Arriva in città anche Michael J. Fox di Ritorno al futuro 3 e si presenta come Clint, Clint Eastwood. Al che Bill, non Biff, pensa: ma quanti cazzo di Eastwood vogliono farmi il culo?

Meglio. Questo Eastwood mi ha fatto vincere l’Oscar, battendo Al Pacino di Americani, in Potere assoluto invece ho interpretato la parte sognata da ogni americano: quella del Presidente degli Stati Uniti che non fa un cazzo da mattina a sera, eccetto raccontare stronzate e frottole alla gente, e si tromba pure una gnocca della madonna.

 

Coinvolgimento… un film che dura quasi due ore ed è come se durasse invece 10 min. Ipnotico, senza un attimo di tregua. Che semmai ti scappa, mentre lo stai vedendo, di andare a pisciare ma ti fai scoppiare la vescica perché non puoi interromperne la magia che t’ha avvolto.

Uno dei film più appassionanti di sempre.

Voto: 11.

 

Morale: Eastwood non è mai retorico. E la morale de Gli spietati è quella secondo la quale, invero, il mondo non ha morale. Il mondo è amorale. Così fu, così è, così sarà. E così sia scritto. Amen.

Munny, così come tutti gli altri, è una merda d’uomo, non certo uno stinco di santo. Sebbene sia romanticissimo e non vuole tradire sua moglie con qualche “anticipo”.

Daggett è un porco, Bob l’inglese un bugiardo azzimato, Ned un coglione mezzo maniaco sessuale. Ah ah, sì, lo è. Fa battutine sconce, senza sconti e gl’interessa sapere se il suo amico Munny, dopo la morte della moglie, si fa le seghe o va a puttane.

La morale è che gli eroi non esistono, non sono mai esistiti, non esiste bianco o nero, siamo tutti, chi più chi meno, dei falliti, dei luridi vermi. Siamo tutti fregati!

Voto: 9 e mezzo.

 

Epicità: stesso discorso di prima. Gli spietati è uno dei film più epici della storia proprio per il fatto che di epico in questa pellicola non c’è nulla. Anche il finale vendicativo non appartiene all’epica, alla leggendarietà, bensì alla funeraria dissoluzione di ogni finto sogno americano.

Un film epicissimo. Superlativo, in ogni senso, assoluto.

Voto: 10 -. Il meno sta ironicamente a significare che è il massimo dell’epicità nonostante in quanto a epica non siamo proprio al massimo. Anzi, siamo allo zero assoluto.

Epicità super più di lineetta “negativa”. Ah ah.

 

E questo è quanto.

Adesso, scusate, anche il Joker deve mangiare fagioli…

 

di Stefano Falotico

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