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Nani vs giganti, io sono il superuomo di 2001 di Kubrick? No, sono uno che desidera semplicemente la pace


08 Jul

Heaven Bryan Adams

Ecco, vi copio-incollo un lungo scritto da mal di pancia che ieri è comparso su Facebook, dal quale è ravvisabile un odio spaventoso nei confronti del mondo da parte dell’autore che ci ha dispensato queste “pillole di saggezza”, partorite dal suo lactobacillus intestinale, figlio a sua volta di un fegato amarissimo, oramai tumefatto, a causa delle troppe stronzate cancerogene del suo essere dichiaratamente un hater.

«Io sono cresciuto negli anni 80 e la nostra vita era andare a scuola la mattina, fare i compiti il pomeriggio e vedersi giù in strada con gli amici di zona se c’era il tempo. La sera a casa a guardare la TV e poi a dormire. Nel mezzo di queste cose cercavamo di giocare e divertirci il più possibile e ci riuscivamo.

A scuola ci andavamo a piedi, da soli, o in pullman, pioggia, sole, neve o freddo, comodità zero, genitori che ti leccavano il culo non ce n’erano, non ti difendevano mai. Facevi una cazzata a scuola? Ti menavano, la colpa era sempre tua e mai del professore. Così le cazzate non le facevi.

Io alle elementari andavo a scuola da solo, a 7 o 8 anni già ero autonomo, non come l’estate scorsa che i presidi obbligavano a prendere i figli minori a scuola. Eh? A 17 anni ancora mi devo far portare a scuola da papà? Sai quanto mi avrebbero preso per il culo a scuola?

Se avevi un casino te lo dovevi risolvere da solo, solo in ultima istanza dovevi andare dai genitori, quando proprio non potevi farne a meno. Ma era una questione di onore, chi andava da mamma e papà era un mammone o un babbone, era la fine, ti prendevano per il culo tutta la vita. E allora giù botte, quasi tutti i giorni a scuola e fuori dalla scuola fra studenti. Era così che si risolvevano le cose. E poi c’erano tutte le dinamiche di gruppo, le solidarietà, le protezioni incrociate, come in un mondo adulto.

Gli insegnanti erano severissimi, ti spaccavano il culo in una maniera assurda e tu non avevi neanche il concetto di protestare, altro che quelli di oggi che insultano e menano gli insegnanti. Ho visto in quinta elementare la maestra prendere Dino per le orecchie, sollevarlo e portarlo fuori dall’aula con lui che menava i piedi a mezzo metro da terra e le orecchie allungate. Il giorno dopo Dino non era un figo, era un vero coglione.

Ho visto professori buttare fuori gente dalla classe a calci in culo, a schiaffi, ed erano gli anni 90 non l’800 ed era giusto così. Io sono l’insegnate e tu sei lo studente. Se non ti piace fuori dai coglioni, tanto poi ci pensa la vita a romperti la schiena. Non sei obbligato a venire a scuola.

In terza media uno ha tirato una forbice alla docente di italiano, questa non si è scomposta ed è uscita dall’aula. L’aula è rimasta 15 minuti senza insegnante, poi è entrato il preside, la docente e tre agenti di polizia che hanno arrestato il tipo e se lo sono portato via. Non è mai più rientrato a scuola.

Per strada non avevamo nulla, la bicicletta e il pallone e basta, altro che motoretta. O giocavamo a pallone, con mille variazioni, oppure eravamo in giro a esplorare il mondo in bici. E i genitori non ci rompevano le palle, manco sapevano che cosa facevamo perché noi, comunque, anche se minorenni, sapevamo stare al mondo molto di più dei ventenni di oggi. A 13 anni con la BMX siamo andato fuori città ma dalla parte opposta di Torino, avremo fatto 60 chilometri almeno e ci gestivamo affinché nessuno di noi morisse. Sapevamo cosa ci ammazzava e cosa no. Sapevamo capire al volo se una situazione era una merda oppure era sicura. Noi non lasciavamo nessuno indietro, non c’erano i cellulari, chi si perdeva era fottuto. C’era il senso del gruppo per cui tutti facevano in modo che nessuno si perdesse perché oggi poteva capitare a me, domani a te. I cellulari hanno distrutto tutto.

Al nostro tempo c’era solo il telefono in casa e costava soldi, telefonavi raramente e solo per chiamate brevi, per darsi appuntamento. Oppure scendevi giù e andavi a suonare i campanelli della gente: scendi? Si, no, non posso, mia madre non vuole, devo fare i compiti. E in fretta capivi quando e in che modo potevi suonare a casa della gente senza rompere i coglioni. Se no arrivavano i rimproveri dei genitori del tuo amico e poi lui se la vedeva di merda in casa. Oggi se dici a qualcuno con cui stai chattando “vediamoci di persona davanti a una birra” ti prende per scemo, se è una tipa peggio ancora, è come se le chiedessi di trombare. Non è normale, è solo guardare in faccia la persona con cui parli.

Se dovevi parlare non esisteva altro modo che farlo faccia a faccia, non con sms e cazzate varie e quando c’erano i problemi la gente si parlava e i vigliacchi sparivano per non farlo. E li andavi a cercare, ti stavano mancando di rispetto.

Alle tipe scrivevi la lettera, a mano, su carta, ci mettevi un pomeriggio e facevi solo quello. E mentre lo facevi dovevi pensare a che cazzo stavi per dire e scrivere che poi non c’era modo di cancellare. Poi spedivi e aspettavi, lei forse rispondeva, con un’altra lettera, e vedevi la sua calligrafia e sentivi il suo profumo sulla carta e la conservavi e la rileggevi.

E non ci dovevi neanche pensare di toccare le ragazze, loro non si facevano toccare, non ti mettevano le tette in faccia, la figa dovevi proprio sognartela e guadagnartela, avevano molta più dignità allora le donne che oggi con ’sto cazzo di femminismo 68ino, che sono tutte delle vacche. Bello, eh, facile, si tromba subito ma poi dopo che rimane? Quando una cosa è troppo facile non vale più un cazzo. E le tipe di oggi sono così, non valgono più un cazzo, la loro figa per loro stesse non vale più un cazzo, la danno via come se niente fosse. Ti farei riflettere che si dice… non vale un cazzo per la roba senza valore e si dice Figo! Figa per la roba che ha valore. Un motivo c’è. Nessuno dice “non vale una figa!” anche se fra poco potrebbe accadere. A volte alle tipe telefonavi anche ma era già uno step oltre, una roba non per tutti, una roba da cagarsi sotto dalla tensione. Altri tempi, altro che foto nude su whatsapp per baccagliare o per le ricariche telefoniche.

Il pacco non esisteva, quello che ti dà appuntamento e non viene. Veniva immediatamente etichettato come paccaro e nessuno lo chiamava più. Senza telefono cellulare se non ti presentavi nessuno poteva beccarti, bisognava essere precisi e organizzati. Il ritardatario idem, si aspettava una volta, due volte, poi vaffanculo, lui arrivava in ritardo e non trovava nessuno, la volta dopo arrivava in orario. Il rispetto era la base dei rapporti umani.

La polizia era molto più dura e severa, non ci pensavi neanche di dargli del tu o rispondergli male, erano cazzi tuoi. Idem con i genitori, ci mettevano 10 secondi a riempirti di mazzate e sputtanarti davanti a tutti. Volavano gli schiaffi come quando piove, se mancavi di rispetto. E mentre li prendevi sapevi che gli amici magari ti stavano guardando e stavi facendo una figura di merda e a nessuno veniva in mente che questa fosse una cosa sbagliata. ’Ste stronzate 68ine che i bambini non li devi mai umiliare sono una cazzata, così non crescono mai e rimangono viziati e debosciati. Oggi provi a dare uno schiaffetto o a rimproverare un bambino e questo chiama il Telefono Azzurro e ti pianta un casino, o ti denuncia addirittura. Sono furbi e stronzi ma soprattutto non gli è mai stato insegnato il rispetto per i grandi come lo avevamo noi. Un poco come i cani sono i bambini, se non li cazzi mai, loro si allargano di brutto.

Mio nonno mi fece il culo, due volte. La prima volta perché giocavo a bowling nel suo corridoio e facevo casino. Mi disse “smettila!”. Dopo 5 minuti non ha detto più nulla, è arrivato e mi ha riempito di mazzate. Mio padre e mia madre approvarono e non dissero nulla. La seconda volta avevo 15 anni e lui 75, eravamo in campagna, era mancata l’acqua, mia madre mi disse di andare a prenderne 20 litri nella casa accanto a 600 metri, dai vicini. Io ho risposto “nonno vai te”. Lui mi ha spaccato il culo solo urlando “ho vissuto cinque volte quello che hai vissuto te e ho fatto due guerre! Vai a prendere l’acqua!”, e io sono andato contando 15 x 5 = 75 e mi sono sentito una merda.

Capito come crescevamo noi? Con la severità e le mancanze e ogni cosa buona che arrivava era una festa.
Questa era la differenza di educazione. Poi purtroppo è passata la “cultura” 68ina, che è una cultura che si dichiara di libertà mentre invece è di distruzione delle strutture sociali in nome di un libertarismo debosciato e decadente. Per capire la libertà devi aver fatto un poco di prigione, non so se mi spiego.

Neanche noi avevamo mai visto le cose che erano cadute in disuso prima della nostra nascita ma le guardavamo, con stupore, certo, e poi immediatamente le usavamo, non c’era bisogno di spiegazioni, eravamo svegli. Capirei se mi dessero in mano una cosa che verrà fabbricata fra 30 anni, allora è più complicata con concetti che non conosco ma non una cosa vecchia, più semplice di quelle che uso, no è inaccettabile, c’è un QI sotto la media in quel caso.

Dei due gruppi… sono molto felice perché vedo che ci sono molti ragazzi svegli e attivi. Alcuni sparano cazzate ma sono attenti, sono svegli, come tutti nel gruppo, si azionano, vogliono fare, hanno una passione. Ma quando vedo la gente per strada, ubriaca marcia a 17 anni, con la sigaretta in bocca, bulli, credendosi di essere uomini di mondo… ma vaffanculo!».

 

 

Ecco, certa gente, prima di andare a dormire, si guarda allo specchio? Quando dice che i bambini è giusto che vengano “cazziati” e che non devono permettersi di denunciare gli abusi? Certa gente, quando parla delle donne, e non lo fa con ironia come faccio io, non è dissacrante o nichilisticamente spiritosa, bensì seriamente convinta del suo maschilismo da caserma militare, quando dice… la figa dovevi sudartela e guadagnartela, enunciando e sottintendendo in questa frase oscena tutta la sua rudezza barbara ed edonisticamente competitiva, offendendo anche gli uomini, da lui descritti come ricercatori disperati di “trofei” di pelle umana, come procacciatori di piacere laidamente carnale, non si fa schifo?

Immagino come costui guardi una donna. La squadra, finge un’eleganza formale da gran signore e dentro la sua mente intanto si addensando pensieri sessuali raccapriccianti, di dominazione, possesso e brutale voglia smaniosa, pensieri violentissimi. Questi, sì, pericolosi.

Quando dice che si stava meglio quando non si aveva il cellulare, ha mai fatto un incidente stradale con le budella che singhiozzano sangue a fiotti, in una strada deserta, e la prima cabina del telefono, per chiedere soccorso, dista cento miglia?

Ma, soprattutto, quando alla fine grida un bastardo vaffanculo a tutti, si è mai chiesto cosa ha fatto lui nella vita per migliorare il mondo? Niente, un beneamato cazzo.

Ma il top lo raggiunge con la frase da Goodfellas… per avere la libertà, un po’ di prigione devi fartela!

Giudica, polemizza, scrive imbecillità, e poi è ossessionato dalla presa per il culo. Dai marchi stigmatizzanti, neanche vivessimo a Palermo, novanta anni fa, tra le famiglie Corleone, ove i “valori” erano e sono purtroppo ancora l’onore, il casato, la dignità mafiosa, il rispetto ottenuto con la severità e con l’omertà.

Ecco, costui perché non prende una lupara e si spara in bocca?

 

E adesso io, invece, metto su il capolavoro di Bryan Adams, Heaven, cosciente di aver superato ogni bazzecola, ogni pettegolezzo, ogni rivalsa meschina, ogni sovrastruttura idiota, e di potermi permettere di credere ancora a quest’umanità.

Vi offro la mia faccia di culo? Va bene?

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di Stefano Falotico

 

 

 

Non sono i pazzi a soffrire, sono le persone normali


19 Jun

Starman

Sì, per lungo tempo mi ero convinto che la verità, da me esposta nel titolo, fosse questa. Che fossero le persone con qualche turba psichica a essere scontente, profondamente turbate dalla realtà, una realtà spesso da loro rifuggita, rinnegata o adattata alla loro distorta forma mentale. Perché di solito i pazzi sono lagnosi, insopportabili, si lamentano di tutto, sono iper-polemici e, talvolta, da simpatici contestatori, si trasformano in sobillatori pericolosi, in indomabili nichilisti reazionari, in mitomani, in esaltatori delle rivolte. Vedono imminenti guerre civili dappertutto perché, non amando né tollerando la loro miserrima, spesso ridicola condizione, sperano che una fantomatica battaglia per i loro diritti usurpati e calpestati possa riequilibrare, pareggiare, livellare i conti. Propugnatori di un’equità sociale-economica figlia del più retorico, allarmante populismo.

Sì, il termine populismo ha di solito un’accezione negativa, perché esalta non tanto il popolo, come entità basica e primaria costituente la collettività, bensì magnifica ciò che, invero, di esaltante ha ben poco.

I barboni nei film, semmai, sono nobilitati e romanzati, nella vita reale, chi si trova a dover fronteggiare gravissime difficoltà finanziarie, collassa, impazzisce, soffre disumanamente, viene emarginato e, si sa, l’emarginazione scatena sentimenti di odio e rabbia ingestibili. La solitudine induce alla melanconia, dapprima, alla più triste mestizia e alla sconsolatezza, all’amarezza e alla rassegnazione ma, se questo stato psicologico si protrae, genera faide, voglie terrificanti di rivalsa, fenomeni d’imbarbarimento e farseschi, diciamo eufemisticamente, moti vendicativi.

Perché non si hanno alternative. O si accetta la propria abbruttente, impoverita condizione, o ci s’ammazza. E, in alternativa a queste due possibilità, l’animo, angariato, perennemente vilipeso, dapprincipio si comprime, sdilinquisce nell’apatia, nella pur fastidiosa sottomissione, quindi esplode, si ribella e combina malestri. E appunto dà di matto, scriteriatamente agitato.

Funziona esattamente così. Di solito, le tragedie non nascono mai dalla pacifica, rispettosa convivenza, ma vengono ingenerate dall’intolleranza, dalle umiliazioni, dai soprusi, da quelli che oggi si definiscono bullismi. Dalle prese di posizione ottuse, testardamente ostruenti ogni altrui idea che non combaci con la propria.

E vi garantisco che non vi è niente di dolce e garbato nel cosiddetto pazzo. Se è un pazzo incosciente, cioè idiota, è remissivo e delira, farnetica dissennatamente ma, come si suol dire, è un can che abbaia ma che non morde e non fa male a una mosca. Semmai canta pure da mattina a sera con le pezze al culo, ma è incomprensibilmente felice. Se il pazzo invece è consapevole di esserlo, essendo pressoché impossibilitato a normalizzarsi, per via della sua oramai immutabile, danneggiata struttura psico-emotiva, si dilania e bestialmente sventra sé stesso. Con una programmatica lucidità autodistruttiva da lasciare esterrefatti e sbigottiti. Tanto che poi abdica a tale pazzesca sofferenza e, ucciso da sé stesso, diventa uno zombi. Non ascolta più nessuno, non s’interessa più di nulla, respinge ogni contatto col prossimo, si aliena.

Ma, quando ciò avviene, è un pazzo pazzo. Permettetemi di usare questo rafforzativo. Cioè un pazzo che, non possedendo più alcuna volontà, soprattutto di migliorarsi e collaborare con la propria anima, è talmente affogato nelle sue illogicità da aver perso il senno, il senso di tutto. E quindi non soffre più. Annichilito, macerato nell’incredulità beota, totalmente sospeso in una dimensione quasi incantatoria, lisergica e fluttuante nella più insanabile crocefissione di sé.

È l’uomo normale che soffre, il cosiddetto “coglione”. Perché, avendo coscienza chiarissima del mondo, è scrupoloso, cerca di non tradire mai i patti di amicizia, è sensibile, delicatamente tenta di non ferire mai nessuno, di non spiattellargli la verità, cercando sempre un compromesso, una strada diplomatica, inseguendo insomma la libertà sua e di chi lo circonda. E non s’infuria se uno ha più di lui, non dà in escandescenza. E, quando si arrabbia, è perché ha inevitabilmente ragione. Perché lui rispetta l’altro ma l’altro non rispetta o non ha rispettato lui. E con ferocia lo ha aggredito.

Questa è la verità. Non ce ne sono altre.

Come Starman/Jeff Bridges. Sembra tonto, invero è superiore.

E lancia un messaggio. Ma non lo capiranno, perché la maggior parte degli uomini sono pazzi. Vivono come se non dovessero mai morire, come se potessero permettersi di offendere la natura, ogni creatura, ogni essere, perché non sono, essi vivono…

Ecco perché il personaggio di Karen Allen dice a quello di Charles Martin Smith… non vede che sta già morendo?

Il suo habitat non può essere il mondo, coi suoi militarismi, con le sue idee bacate di forza e sopraffazione individuale, col suo orrore, con le sue animalità.

 

Buona visione.

 

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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