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Non sono i pazzi a soffrire, sono le persone normali


19 Jun

Starman

Sì, per lungo tempo mi ero convinto che la verità, da me esposta nel titolo, fosse questa. Che fossero le persone con qualche turba psichica a essere scontente, profondamente turbate dalla realtà, una realtà spesso da loro rifuggita, rinnegata o adattata alla loro distorta forma mentale. Perché di solito i pazzi sono lagnosi, insopportabili, si lamentano di tutto, sono iper-polemici e, talvolta, da simpatici contestatori, si trasformano in sobillatori pericolosi, in indomabili nichilisti reazionari, in mitomani, in esaltatori delle rivolte. Vedono imminenti guerre civili dappertutto perché, non amando né tollerando la loro miserrima, spesso ridicola condizione, sperano che una fantomatica battaglia per i loro diritti usurpati e calpestati possa riequilibrare, pareggiare, livellare i conti. Propugnatori di un’equità sociale-economica figlia del più retorico, allarmante populismo.

Sì, il termine populismo ha di solito un’accezione negativa, perché esalta non tanto il popolo, come entità basica e primaria costituente la collettività, bensì magnifica ciò che, invero, di esaltante ha ben poco.

I barboni nei film, semmai, sono nobilitati e romanzati, nella vita reale, chi si trova a dover fronteggiare gravissime difficoltà finanziarie, collassa, impazzisce, soffre disumanamente, viene emarginato e, si sa, l’emarginazione scatena sentimenti di odio e rabbia ingestibili. La solitudine induce alla melanconia, dapprima, alla più triste mestizia e alla sconsolatezza, all’amarezza e alla rassegnazione ma, se questo stato psicologico si protrae, genera faide, voglie terrificanti di rivalsa, fenomeni d’imbarbarimento e farseschi, diciamo eufemisticamente, moti vendicativi.

Perché non si hanno alternative. O si accetta la propria abbruttente, impoverita condizione, o ci s’ammazza. E, in alternativa a queste due possibilità, l’animo, angariato, perennemente vilipeso, dapprincipio si comprime, sdilinquisce nell’apatia, nella pur fastidiosa sottomissione, quindi esplode, si ribella e combina malestri. E appunto dà di matto, scriteriatamente agitato.

Funziona esattamente così. Di solito, le tragedie non nascono mai dalla pacifica, rispettosa convivenza, ma vengono ingenerate dall’intolleranza, dalle umiliazioni, dai soprusi, da quelli che oggi si definiscono bullismi. Dalle prese di posizione ottuse, testardamente ostruenti ogni altrui idea che non combaci con la propria.

E vi garantisco che non vi è niente di dolce e garbato nel cosiddetto pazzo. Se è un pazzo incosciente, cioè idiota, è remissivo e delira, farnetica dissennatamente ma, come si suol dire, è un can che abbaia ma che non morde e non fa male a una mosca. Semmai canta pure da mattina a sera con le pezze al culo, ma è incomprensibilmente felice. Se il pazzo invece è consapevole di esserlo, essendo pressoché impossibilitato a normalizzarsi, per via della sua oramai immutabile, danneggiata struttura psico-emotiva, si dilania e bestialmente sventra sé stesso. Con una programmatica lucidità autodistruttiva da lasciare esterrefatti e sbigottiti. Tanto che poi abdica a tale pazzesca sofferenza e, ucciso da sé stesso, diventa uno zombi. Non ascolta più nessuno, non s’interessa più di nulla, respinge ogni contatto col prossimo, si aliena.

Ma, quando ciò avviene, è un pazzo pazzo. Permettetemi di usare questo rafforzativo. Cioè un pazzo che, non possedendo più alcuna volontà, soprattutto di migliorarsi e collaborare con la propria anima, è talmente affogato nelle sue illogicità da aver perso il senno, il senso di tutto. E quindi non soffre più. Annichilito, macerato nell’incredulità beota, totalmente sospeso in una dimensione quasi incantatoria, lisergica e fluttuante nella più insanabile crocefissione di sé.

È l’uomo normale che soffre, il cosiddetto “coglione”. Perché, avendo coscienza chiarissima del mondo, è scrupoloso, cerca di non tradire mai i patti di amicizia, è sensibile, delicatamente tenta di non ferire mai nessuno, di non spiattellargli la verità, cercando sempre un compromesso, una strada diplomatica, inseguendo insomma la libertà sua e di chi lo circonda. E non s’infuria se uno ha più di lui, non dà in escandescenza. E, quando si arrabbia, è perché ha inevitabilmente ragione. Perché lui rispetta l’altro ma l’altro non rispetta o non ha rispettato lui. E con ferocia lo ha aggredito.

Questa è la verità. Non ce ne sono altre.

Come Starman/Jeff Bridges. Sembra tonto, invero è superiore.

E lancia un messaggio. Ma non lo capiranno, perché la maggior parte degli uomini sono pazzi. Vivono come se non dovessero mai morire, come se potessero permettersi di offendere la natura, ogni creatura, ogni essere, perché non sono, essi vivono…

Ecco perché il personaggio di Karen Allen dice a quello di Charles Martin Smith… non vede che sta già morendo?

Il suo habitat non può essere il mondo, coi suoi militarismi, con le sue idee bacate di forza e sopraffazione individuale, col suo orrore, con le sue animalità.

 

Buona visione.

 

 

di Stefano Falotico

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