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Ricelebrando il mio compleanno, un video che espone la mia personalità, buffa, stramba, forse come Harry Dean Stanton


16 Sep
THE PLEDGE, Harry Dean Stanton, 2001. ©Warner Brothers

THE PLEDGE, Harry Dean Stanton, 2001. ©Warner Brothers

È morto Harry e Lynch lo celebra, in memoria di un grande, che ha partecipato, sempre incisivamente, a una marea di film davvero culto. Lasciando stare questa morte, che mi ha fatto piangere molto, propongo questo video che “rielabora” un mio scritto (che potrete trovare qui e sul mulhollandlynch, al link indicato nelle “informazioni”) di qualche giorno fa, quando “compii” 38 anni.

Dovete sapere che la mia voce, ispida, nervosa, che repentinamente s’interrompe burrascosa, calda, allietante, sobria e poi “sciocca”, piace parecchio e vengo subissato da messaggi in cui mi si chiede di far il doppiatore. Non so, potrei “prestarla” per far la voce narrante di qualche lungometraggio o per raccontare favole. Io ne racconto parecchie, anche a me stesso, perché la vita va presa con spirito vorace, brioso, anche quando le cos(c)e non vanno bene e siamo sommersi da obblighi, responsabilità, da lavori frust(r)anti, e la nostra indole rabbiosa emerge furiosa. Quindi ci calmiamo, ci ricomponiamo, ancora ci spacchiamo. Voi il culo, io no. Amate il cubo e non fissate troppo le cubiste. Siate pittori cubisti, siate fancazzisti, quindi agganciatevi al dovere quotidiano, amate, scopate, non rompete il cazzo, sostanzialmente fatevi… i vostri.

 

di Stefano Falotico

Il Cinema di Sean Penn mi tiene caldo


05 Jan

La promessa, tu servi messa? E chi apre ai messi? Hanno il permesso?
Toc toc, premesso che mi sembrate dei fessi, posso affossarvi?

A Facebook e ai social network prediligo non esser diligente ma lavorar di “nettare”

Analisi di Sean Penn, la prenderà larga. Perché, “al largo”, l’Uomo nell’oceano sa che, se ingrasserà, il lardo lo trascinerà nell’abisso dei lordi.
Lode a Dio nell’alto!

Sì, mi guardo allo specchio e Lui mi porge un affettuoso “Baciami dentro, di carta vetrata saremo ruggine e ossa, riflettendo dei nostri problemi, ansiosi nello scorticarci fra un’immagine repulsiva e un istinto abrasivo”.

Lo specchio non mente mai. Sa quando, di mattina, il tuo pene già eretto e “inaffrontabile” dovrà cimentarsi nel cemento armato delle amene quotidianità. Ove smonterai calce con voce “truzza” nello strozzarti sedimentato di tua fatiscenza.

Ah, la scienza è sempre inesatta. Come gli esattori dei conguagli. Bussano alla porta per riscuotere il debito ma non hanno calcolato le mie percosse. Su “bonifico” postale della spedizione al mittente. Con tanto di calci, appunto e francobollo.
Più un plateale pugno in faccia che sacramenta questo: “Non ci provare a estorcermi, altrimenti torcerò tua moglie che sa come attorcigliare le sue gambe, guarnendolo di torta con la ciliegina torrida, rossa e bollentissima, cotta fresca a puntino di ricotta”.

L’esattore fugge tumefatto, in preda a spaventosi oneri da oberare dopo che operai nel suo fegato orrendo con colpi a rinsecchirne i coglioni da rompiballe.

Ah, io e la vita. La amo… Ci sarebbe d’allestire un romanzo intitolato: “Ove c’è una bistecca al sangue, il mio contorno ama l’aceto spruzzato sui manzi”.

Di mio, son romantico ma, come i romani, afferro delle cosciotte di pollastrelle e le spolpo fin al midollo più spinale delle colonne di Ercole insuperabile nelle vertebre vertiginose dell’orgasmo con tanto d’origano e ricamo.

Sì, molti tentarono di spazzarmi via, ma li spiazzai dopo averli spiati. E, se non basterà la mia talpa, palperemo anche le loro donne, recapitandolo loro dei video “amatoriali” di quando, d’amanti, cornificarono il già traditor marito col bagnino delle maree depressive da ormoni mestruativi su un oceano in balia delle sue rotonde ciambelle col buco.

Me ne frego di tutto. M’accusaron di soffrir d’ansia e mi chiusero senz’aria. Invece, so che come “arieggia” il mio non è sfogo ma foga d’evacuazione. Non è fuggiasco ma guascon bomba di scoreggia a suonar un ritornello martellante su libera detonazion’ con tanto del pirotecnico fuoco artificiale nell’orifizio finale. Che botto, ah, tutto svuotato lo stomaco è adesso rilassato dopo che lo riempirono dei loro frustrati metabolismi.

Quanti ne ho visti. Ragazzi liceali con l’uccelletto d’una ragazza vergine, professori col flessore occhialuto nel guardar quelle nelle flessioni dei compagni di banco. Fra una gomma da masticare e qualcos’altro d’arcuare. Modulandolo a interezza del toccarlo per stimolarne la fornicazione “studentesca” dell’adescato sul leccarlo in tanto irrigidimento dai godimenti frivoli.

Metallari con complessi d’inferiorità, psicologi della mutua che non mutarono da retrograde manie d’egocentrismo non commutabile, tanto che il capo della psichiatria è sposato con una “patita” di Nostradamus nelle profezie messianiche del carabiniere a metterla a novanta con tanto di manette sadomaso.

“Maestri” che recitan a memoria la lezioncina dei loro disagi adolescenziali tardivi, citando sempre Leopardi ma sognando, con un pessimismo amaro, le leopardate docenti superiori e (a) posteriori del corso Garibaldi, la via delle prostitute di massa, inton(n)ate a tacchi lievi nell’accennarti un segnale di “fiamma”. Che femminaccione!

Ripetenti che, dopo innumerevoli bocciature, sono adesso dirigenti d’azienda per la rovina dei (tele)dipendenti del precario “Dipende se non m’appenderanno alla cassaintegrazione”.
Integralisti e moraliste tutti nel dogma dei fondamentalismi americani.
Terroristi camorristi nelle mafie delle politiche italici nello spago per il suicidio dei disoccupati senza neanche il gorgonzola nel frigo.

E soprattutto mignotte che voglion un lavoro “dignitoso” per la pagnotta ma, per lo più, un cazzo per il “pienotto”.

Quindi, guardate questi e, se tua sorella vuol farsi suora, rendete clausura la sua bocca.
Come ogni fratello deve “farsela” d’incesto con la fragola nel “cestino” della sua “merendina”.
Soono l’ossessione che non si vuol curare e, se un curato proverà a catechizzarmi, “verserò” il mio macabro gesto più blasfemo al suo lavabo di candelabro ad arderglielo.

Sì, m’impunto contro l’idiozia e contro chi non tollera le scelte. Vi potranno apparire, sempre questa fissazione dell’apparenza, disgustose, io adoro provocare per tastar con mano… che ho ragione io a non tollerarvi.

Proletari sempre in cerca di trombate, tromboni che si fottono di filosofie, zie che fan le madri su uno che sverginano per scoparsi la vita che non s’ubriacò, gentucola d’amorucoli svestiti di vestito lindo come le macchie del prete pedofilo.

Allora, viva la rucola!

E ti brucio la casa se scasserai. Sì, tu scassini e io faccio casino.
Diamoci alle cascine!

Forza, tutto la “viuuulenza” d’Abatantuono, tuoni, fulmini, saette e la mia setta. Voglio una con l’ottava di “DO” maggiore nei pentagrammi del suo diaframma. La infiammo, che puttana!

Ficcatelo in culo, bagascia!
Ecco, se rompete, giungerò con le asce e vi disgiungerò, untori!

Ecco il marchio che ammacca, ti divelle come il petrolio di mio martello bombardante nel tuo ano inseminando.

Il panico…

Ne soffrirà quella scema di tua madre, signora alta e piccolina di borghesuccia con la sportina.

Con uno sportivo mai mettersi, perché te lo mise senza Miss.

Sparati il videone e stai zitta. Se no, ti dissenno. Io dissento, poiché sono il sentire!

E ricordate: ogni genio ama mangiar gli spaghetti alla carbonara in questo locale, “Ristorante La Fenice”,

Via della Beverara, 95  40131 Bologna
051 634 5313

ove tutti siam felici nel lieto fine da carbonari col carbone nella stufa e, di stantuffo, in una “cotoletta” su cui tuffarci con tanto di “capperi”, acciughe e alici. E spruzzatona di peperoncino!

Applauso!

Sean Penn è come me, oltre.
Tanto che può permettersi tutte le porcate che desidera, in quanto meravigliose e acquose, così:

1) Son un fanatico del guilty pleasure delle caviglie femminili. Registro i tuffi della grande Tania Cagnotto, e zoomo sul suo costumino nell’inguine più sublime d’un pelo bagnato.

2) Federica Pellegrini è triste, brava e anche fallace. Non sa parlare e balbetta, ma le sue tette non sono tanto “peregrine”. Sanno che hanno la mia cittadinanza.

3) Tutte le tenniste e le pallavoliste. Perché le tenniste giocan di palle nel “dritto” sul “rovescio” e “schiacciata”, le pallavoliste san come fartelo volare di gambe a rete.

Da quindici anni sogno di scoparmi una gnoccolona che fa, se li fa tutti, Prampolini di cognome. Ah, sarò la sua nomea, enumerandole tutti i trampolini nel letto dei suoi pannolini.

La folla è in visibilio!

Anche la follia!

E la troia? Chissà dove sta? Voi la conoscete.

 

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Lupo solitario (1991)
    Cinema di compagni di sbronzebukowskiani, cazzari, menefreghisti del fottere, dello sfottersi, del “fanculo” a tutto,  fratelli di sangue springsteeniani, di tragedie annunciate evitate, di calme che scoppiano, di nevrotiche scopatrici, anche a terra, di Viggo Mortensen disfatto, strafatto, fottuto, macilento, prima di Cronenberg, di David Morse nella morsa del ragno, dell’Arquette già da spalmare nonostante sia matta. Meglio, la matta ne va “in folle”, si sospende per il pen che penzola rombante. La matta sa che l’Uomo vero desidera la lingua e non le casalinghe. E, in macchina, non tira il freno a mano. Ma spinge.Sì, fra Patricia e Rosamund Pike, però scelgo quest’ultima. Una di prima… ah, me la immagino seduta di gambe accavallate su scarpe già d’ammorbidire, da trangugiar aprendomi dentro nello “scompisciarsi” fra un biondo su(g)o e tutta mia nell’onda.
  2. 3 giorni per la verità (1995)
    Due poveri Cristi. Sempre Morse che sconta una pena ingiusta, d’omicidio (in)volontario per colpa del volante, e di Nicholson violato dell’affetto paterno per un’autostrada maledetta.
    La Huston, anziché alleviare, se la spassa con un minorato impiegatino, e Jack s’incazza, vuol farsi giustizia, poi comprende l’elaborazione del lutto e del missing, una perdita incolmabile, da entrar in coma. Va da David, gli punta la pistola, poi dice fra sé e sé “Ma che son impazzito?”. Lo abbraccia, si recano al cimitero e piangono.Un capolavoro, tutto penniano. D’altronde, uno che si sbatteva Madonna, ha più spine nel Cuore di questi qui. Sì, Madonna rende subito maturo chi, “duro”, “la” intenerì. Perché lei sempre tradirà.
    Sean lo sa, e tradì Robin Wright, ma la Johansson lo lasciò al “palo” della cuccagna.
    Ripiegò su Shannon Costello, una figa pazzesca. Ma stronza pure Shannon. Prima volle il castello, poi capì che Sean ha un uccellin’ da villetta.
    Meglio, Sean dev’essere villano senz’anali fedi nuziali.
  3. La promessa (2001)
    Già.
  4. Into the Wild. Nelle terre selvagge (2007)
    Chi contesta tal film, merita una stelletta sulle palle.
    Sì, sono così. Mi diagnosticarono un Cancro ai testicoli perché non m’ero sverginato, il Giorno dopo mi trovaron spompato nell’harem dell’Arte.Per me la vita è curiosità. Le certezze le lascio ai “grandi”.
    Anche Sergio Leone, sebbene lo adori, e ne abbiam celebrato la scomparsa, la sputò sbagliata. Secondo Sergio, non si può invertire la rotta della vita e neanche accelerare.Una grande puttanesca! Io rappresento il non luogo comune, perché mi distinguo.
    E so tingere più di quando avevo tredici anni. All’epoca mi masturbavo su Valeria Cavalli, adesso le donne mi fan bere delle valeriane perché altrimenti patirebbero di troppe mie “infusioni” da cavallo nel purosangue!

“La promessa”, recensione


03 Jan

Notte d’un licantropo nell’ispida marcescenza d’un Mondo bavoso e sbavato

Sean Penn assomiglia, anche fisicamente, al sottoscritto. In molti posson appurarlo, perché ne constataron il visibile viso di naso sprezzante alle ingiustizie e “tetrissimo” con sfumatura rabbuiata ad abbaiar silente quando si sconfina di deduzioni perspicaci come psicobioetiche etichettanti da iettatori.

Sì, gironzolo anche scalzo, ma sempre scafato fra i camuffati e gufi che sonnecchiosi giaccion già in tenebre lor “assolte” nel bestial pudore tanto sventolato quanto, di vendita, prostituita alla fiera dei ferali, attanaglianti denti voraci, ghiotta fame dei patti(ni) a un Mefistofele che offrì loro le “savie” chiavi del godimento brado. Forse un branco, all’erta per divorarti e poi allarmato, d'”uscite di sicurezza” nella lucina “arrossita” quando affinerai le armi per sbranar tal cannibalistico, orgiastico (s)lavarsi.

Come un lavico “borbottio”, appena “auscultato”, d’incupiti, profondi meandri resuscitati, nervici alla neve d’odorarla in tutto orgoglioso esibirsene per non plasma-re le argille già scricchiolanti del gorilla nelle sue insospettabili, cruente, unte brutalità.

Una storia che profuma d’orrore, orripilante come la beffa “scherzosa” della cena dei cretini.

L’intuito da tartufo, oh oh com’annusa il più lesto, inconfutabile, uno che non arresta mai prima che l’onta probatoria dimostri il mostro d’inequivocabili fatti accusatori.

Un Nevada di nome Black, nero come l’acutezza delle sommità vertiginose d’un Nicholson nella sua penombra recitativa più sottile, smorzata di palpebre nelle sopracciglia dense d’amarezze, a riflettere la paura agli angoli d’una “bianca”, tranquilla cittadina ove è stato commesso un infanticidio che urla vendetta, squama la pelle della spietata ricerca.

Nel trambusto sconvolgente, un povero muto, incapace di difendersi per “interdetto” pregiudizio forse dei superficiali al suo capro espiatorio di facile smacchiamento alle cattive coscienze, viene colpevolizzato.

Ma Black non ci sta, e non crolla perché l’evidenza s’annida invece nel dubbio. Latente, a ergerlo sveglio perché esperisce che, invece, l’assassino vero è ancora in libertà, e colpirà, in modo forse più efferato.
Quindi, va fermato anche se il caso è momentaneamente “chiuso”. L’archivio degli scheletri che pulsano dal tombal dissotterrare la voce che ti sussurra, appena percettibile e così tonante e fastidiosa, l’urlo della battaglia alle anime innocenti… e ti sprona a non mollare nulla. Proprio nulla. Eh no. Non puoi.

Black, quasi pensionato, perché t’interessa “cacciarti” in un guaio? Nel tuo guaito ancor escoriar la tua grinta e raggrinzirti per il dolore da tacere per sempre?

Perch’è biblico, come le tragedie, come la salvezza che s’immola in Lui stesso a giudice inappellabile.
Sacrilegio nella blasfemia collettiva omertosa che bisbiglia ma sta zitta e copre “legalmente”, forse deturpando solo l’immondo scellerarsene e non sbraitare all’arbitrio che, anche se illusorio, ripristinerebbe i torti intollerabili.

Ma che scherzo. Chi più ti dà credito, chi segue la tua antica vi(t)a da combattente? Corron tutti alla ritirata per “rimboccar le maniche” solo alla paciosa bugia assopita e “assottigliata” d’occhietti-simbiosi al Diavolo stesso. Sanno che non è chi vorrebbero che fosse, ma preferiscono esser più muti di quello preso… alla (s)provvista. Alle (s)palle.

Black insiste, sfugge dalla certezza “approvata”, s’ossessiona.
Il mostro è fuori, lo sente, ne capta il cardiaco respiro.
Questa è una sfida, un duello fra un gigante buono e un “mago” nano cattivo.

Ma ci siamo, ci siamo quasi. Ecco che lo stai catturando, “piccola” frettolosità, una mossa troppo svelta proprio tu che l’hai pensata così veloce. Più avanti degli altri.

E il pazzo appari tu.

Forse (non) sei il Kevin Costner “intoccabile” che guarda il criminale, lo afferra e lo getta in pasto al “Cielo” del Dio dei giusti.

Forza, mostro!
Fatti vedere!

Dai, t’abbiamo scoperto.

Forse si mostrerà. Eccoti.

Piangi. Hai incontrato uno che (non) hai fregato.

Il film non va così, la vita invece si dimostra, appunto col Tempo e temprarla, una ragione troppo forte rispetto al folle.

(Stefano Falotico)

Mr. Clown, un signor glaciale di “profumo” sapor “freddo” come il piatto della vendetta


05 Nov

Ronin di posacenere, ros(s)a di Nizza issata

Quando il Tempo, nella sua costanza impertinente e imperterrita, atterra su di me che, proprio in quel momento, sto planando per “tacchi a spillo” delle mie vertigini, di “strapiombi” piombati addosso, appioppandomi di nuovo vecchie “patenti” che deformarono il mio viso secondo e “assecondato” ahi trucchi ingannevoli di chi mi “camuffò” per spellarmi e appellarmi “buffo”

Con irriverenza, che mi disgusta e ripugna, d’altri pugni infransi il “frassino” frastornante del mio calore fracassato, sì frana/ò e “divampa”-valanga di “lava” tra le (s)chiappe, accaldando solo antiche rabbie che m’illusi di seppellire per non morirvi, mortificato, ancor dentro e inghiottito. Questi ghiotti spauracchi, d’atrocità mai redente ma “ridentissimi”, violenti, arditi e a metter nella p(i)aga il dito, vollero arrendere la mia resistenza alla prostituzione nel loro Mondaccio ghiacciato, (de)costruito di (i)stanze pettegole e con att(r)acchi abominevoli ove è facile il “grilletto” con tanto di Parlante da “parolieri” dei solipsismi a (rag)giro degli “strapazzati” del frigger(si)-“refrigerio” ancor di lor scelleratezze (pu)pazze, su(uonati) abba(gl)i che non intimoriranno neppur la vecchietta “suorina”, poiché anch’ella rammemora, or che l’“oro” non l’ha più ma sol misere pensioncine le “danno”, gli attimi in cui il suo “attico” era “su(p)ino”, cenette di Sabato sera a base di “pinzimonio” e di coetanei salami in “salamoia”. Ad afferrar le loro palle “prezzemoline” e “imbandirle” nel suo “soufflé”, morbida e “delicata cottura” di “catture” nella discoteca ove scatenò la seduzione al fin di “rimpolparli” e “rispolverarseli”, pescando un pollo di profilattici, uno coi denti da latte per sue mamme-lle da voglia-“cammello”, m’anche talvolta le “tavole rase” dell’uccello libero invece troppo tosto, libellula di “cicala” così tanto che si “salvaguardò” da tal “selva” pura e “botanica” col suo stesso “shock” anafilattico, come chi è allergico al polline e non è “topo” da galline del pollaio. Un “toro”…
La vecchia, da giovane, se ne “infil(z)ò” e tanta sua gatta fu da pelar di cedroni, “limonate” e “galli”. Chi a lei non s’“allattava, “lo sbatteva”… in galera. Che “galeotta”.
Fra un pelato di pomodoro e pomi d’Adamo della sua Eva da m(i)ele del Peccato, la “signora” aspettava sempre le “ore” del suo “contagiri(ni)”. “Contagiandoli” tutti di “bellezza”… “ve(ne)r(e)a”. Sifilide che “baciava” il suo “bello” d’un “soffio” (al cuore…) di “risma” t-aglio marc(hi)atamente “tirato” e sussurrato: “Vieni da me e in me, fidati di come te lo (s)filo. Sfigato, sei il mio cane di lingue inguai(n)ate”.
Ma, vuoi proprio il “culo”, incontrò il “canino” alla Sean Penn, che la ribaltò e poi mise in silenzio i suoi gridolini isterici, andando in salotto e suonando le “batterie”, da “lei” scaricate come chi non ha più “cartuccia” nonostante l’amplesso “caruccio”, stufo di quello “stufato” e ammorbato dal batterio di codesta battona.

Sean Penn, come un clown rockettaro, ballò il suo Lullaby, e punì prima le donne troppo “domestiche”, “addomesticandole” di vero “piccantello”, e poi mangiando il nazista deturpante con “identico spogliatoio” alla sua carne.

Perché è un “cazzone” che mantiene le promesse.
E cucinerà, appunto, al mostro una vendetta coi fiocchi.
Di nuda “neve”.

– Lei è solo un pagliaccio! Non mette paura a nessuno!
– Però, quando “rido” e mostro le gengive, urli! Come mai?

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. This Must Be the Place (2011)
  2. La promessa (2001)
  3. Lupo solitario (1991)
  4. The Hunted – La preda (2003)

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