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In attesa del trailer di Mindhunter 2, le clip dell’opus n.9 di Tarantino e i filmati di IT 2 e di quella schifezza di TOP GUN: MAVERICK


20 Jul

Ora, com’era prevedibile, come avviene infatti puntualmente a metà luglio inoltrato, veniamo in questi giorni bombardati dai trailer e dalle clip dei film della prossima stagione, ovvero la 2019/2020.


Ecco, se Anthony Perkins fu l’interprete de Il processo kafkiano di Orson Welles, nell’immaginario collettivo è invece identificato quasi esclusivamente, eternamente come Norman Bates di Psycho.


Ho detto tutto…

Sindrome di cui soffre anche Henry Winkler, visto ancora solamente come Fonzie di Happy Days.

Eh già, certi attori e certe persone, una volta che la massa stupida gli appioppa delle patenti, non riesce più a togliersele.

Sono molto curioso, per esempio, di sapere cosa succederà alla carriera di Damon Herriman. Che interpreta, nello stesso anno, caso più unico che raro, la parte dello spietato matto par excellence Charles Manson sia in C’era una volta a… Hollywood che nella stagione 2 di Mindhunter.

Parafrasando Roberto Benigni di Johnny Stecchino, non c’assomiglia pe’ niente. Ah ah.

Torneremo su Mindhunter 2 dopo, adesso occupiamoci di un altro tipo poco raccomandabile da internare, ovvero il clown di Pennywise.

Siamo stati tutti bambini. Io, a trentanove anni, 40 fra meno di due mesi, lo sono ancora, ah ah.

Ecco, quante volte vi sarete sentiti dire dai vostri genitori, nell’età in cui appunto eravate nudi dinanzi alle possibili, adulte crudeltà, la fantomatica, oserei dire frase agghiacciante: non accettare, figliuolo mio, mai caramelline da uno sconosciuto?

Ecco, i bambini di Derry non devono, per nessuna ragione al mondo, accettare invece i palloncini.

Sì, possibile che a Derry, per fare il culo al pagliaccio solo di sé stesso, il Pennywise, un pervertito pedofilo e bullo, non abbiano mai assoldato l’ispettore Derrick?

Mah, dovevano aspettare che i bambini, traumatizzati da questo giullare pulcinella, da quest’arlecchino assai malignamente birichino, crescessero e diventassero fighe e fighi come Jessica Chastain e James McAvoy?

Una crescita assai anomala, mostruosa, inattendibile.

Ecco, infatti già questa scelta di (mis)casting la dice lunga in merito alla compiutezza veridica di tale nuova stronzatona di Andy Muschietti.

Ecco, signor Muschietti, mi dia retta, si faccia crescere il mustacchio e vada a preparare il presepio con tanto di muschio, lasci stare Stephen King.

Sinceramente, nella vita reale, non s’è mai vista una ragazza bullizzata in maniera così tremenda che, fattasi donna, e che donna, alla faccia del cazzo, è riuscita a superare lo shock perpetratole dal Pennywise, un saltimbanco d’avanspettacolo, un sacco di merda, un fantoccio che denigra tutte le persone deboli come Fantozzi, diventando appunto una figona mai vista come Jessica.

Ne ho viste tante… comunque.

Sì, mi ricordo che, durante la mia adolescenza, le ragazze più belle venivano prese di mira dai bulli, dai più stronzi. Invidiosi perché loro non gliela davano, dandola invece a quelli più boni come McAvoy.

Al che, questi frust(r)ati s’accanivano contro di esse, tormentandole. Al fine di rovinare i loro lindi amori in quanto tali spregevoli gelosoni-rosiconi erano onestamente più ridicoli e imbarazzanti di Bill Istvan Günther Skarsgård.

Uno che, conciato così, fa paura soltanto a una condomina del mio palazzo, la figlia della signora Bortolotti.

Sì, la figlia della Bortolotti ha avuto un unico, vero pretendente amoroso nella sua vita.

Costui, tale disgraziato, era di lei così puramente innamorato che, un bel giorno, affisse un manifesto da stadio sulla parete del centro commerciale che affaccia dirimpetto al nostro palazzo, dichiarandole, firmandosi in calce, il suo sconfinato amore.

… TI AMO!

Lei lo denunciò per stalking.

Mah, ripeto, è stato l’unico, eventuale scopatore suo.

Né prima di lui né dopo di lui ha avuto né ha, neppure avrà altri uomini che volessero, vogliano e vorranno amarla.

Secondo voi questa qui è da ricovero?

Un po’ sì.

Comunque, no, non è una monaca di clausura, è solo ricca sfondata. Economicamente, in altri sensi non gliela sfonda nessuno.

Ho detto tutto…

Passiamo ora a Top Gun: Maverick, la storia di un uomo che non avrà mai bisogno di corteggiare la figlia della Bortolotti perché è Tom Cruise e dunque può avere tutte le Kelly McGillis che gli paiono e piacciono.

In questa boiata edonistica, seguito di uno dei film più brutti del mondo, un manifesto reaganiano del culto machista-maschilista più militaresco per cui forse il movimento MeToo ha, in tale caso, diritto di esistere e spaccare in due tale troiaio cazzone, hanno ficcato… pure Ed Harris.

Uno dei più grandi attori del mondo. Anche il più imprevedibile. Capace di passare da The Rock a Cronenberg, da Il mistero delle pagine perdute – National Treasure a Snowpiercer, avvalendosi soltanto delle sue rughe più profonde della tristezza della figlia della Bortolotti.

Che uomo!

Ora, la domanda sorge spontanea: ma Falotico è un uomo o è un Joker?

La risposta precisa, chirurgicamente, empiricamente veritiera sta nel titolo che vi metto qui sotto:

ROSEBUD, la mia vita è un enigma pure per le donne a cui regalai una ruota delle meraviglie

 

Un disastro. Questa mia esistenza è stata spesso una stronzata, diciamocelo.

Da tempo immemorabile, nessuno crede a quel che dico e non si spiega molte cos(c)e da me avute.

I conti non tornano, a volte invece sì.

Paio infatti il Conte Dracula di Bram Stoker, rinato dunque come Gary Oldman di Francis Ford Coppola.

Perii in una sorta di demenza quasi senile e, nel mentre della mia adolescenza da spacc(i)ato demente senescente, gente che si credette onnisciente, eh già, m’affibbiò etichette peggiori del trucco impiantato e impiastricciato sulla faccia di culo dello stesso Oldman.

Di mio, ho sempre vissuto uno Stato di grazia mentale assai strabiliante. La mia mente, eh sì, già molto tempo addietro, superò ogni barriera del tempo, sprofondando in zone oscure ove la tetraggine del mio animo scorato fu lastricata da un’inondazione melanconica più cupa d’un pieno plenilunio che si staglia, altissimo nel cielo plumbeo, sulla sempiterna, notturna Transilvania.

Fui enormemente frainteso e sono oggi JFK – Un caso ancora aperto.

Sì, me la stavo godendo come John Fitzgerald Kennedy, festeggiando solare con la mia bella, più bella di Jacqueline. Di cui ancora vi parlerò nelle righe seguenti, enucleandovi inoltre tutti i miei amori da Kevin Costner selvaggio come in Balla coi lupi. No, solo accennandovene.

Un losco cecchino, da non confondere col cognome del mio vicino di casa, il Cecchini, assiepato dietro un ignobile profilo falso, nascostosi nel buio d’una pessima identità fittizia, attentò alla mia ritrovata, restaurata e ripristinata felicità ma fui accusato io di essere Lee Harvey Oswald.

Peraltro, Oswald fu solo il capro espiatorio d’una cospirazione di più largo raggiro e raggio. Fu sfortunatamente designato lui come unico colpevole dell’omicidio Kennedy quando, invero, il complotto vi fu davvero.

Da allora, comunque, psichiatri di scarsissimo acume, per risolvere sbrigativamente la pratica, addussero troppo celermente che necessitassi di pesanti cure farmacologiche.

Poiché, dopo un brevissimo, approssimativo, scandaloso colloquio nel quale affermai tostamente, così come asserisco testé senza ricusare una sola parola di quel che, in tutta onestà, già dissi all’epoca a mia giusta discolpa, addivennero ingiustissimamente alla conclusione che soffrissi di disturbo delirante.

Un idiota addirittura, sbagliando dalla A alla Z la diagnosi, sì, un errore, anzi un orrore diagnostico terrificante di proporzioni macroscopiche, vergò nero su bianco che, appunto, deliravo/i e non era perciò affatto vero che venissi perseguitato da un fake che mi tormentava su YouTube e altrove, giorno e notte.

Spedendomi missive di rara brutalità verbale, insultandomi inusitatamente dietro l’ombra malvagia del suo fantasma da stra-pazzo.

Cioè, ancora una volta, a causa della superficialità sconvolgente di un capoccione molto trombone, fui scambiato per Gary Oldman. Sì, però quello di Mille pezzi di un delirio.

Purtroppo, gli spiacevolissimi eventi, il bombardamento intimidatorio che subii anonimamente in quel periodo corrispose e dunque coincide perfettamente, senza una sola sbavatura, alla più nuda, oramai inequivocabile, atroce verità scabrosa.

Sì, s’è trattato di un crimine ribaltato.

Il matto non ero io e, se reagii, stalkerizzando taluni, fu perché a quei tempi lo stalking fu esercitato ai danni del sottoscritto da un figlio di puttana da sbattere ove sapete…

C’è infatti, prove alla mano, un pazzo, un maniaco psicopatico che ancora va a dire in giro, diffamandomi scriteriatamente, purtroppo impunitamente, che io sia affetto da insanabile schizofrenia.

Una calunnia gravissima partorita dalla mente malata di uno che vedrei bene dietro le sbarre come i folli alla Charles Manson di Mindhunter. Del quale, fra l’altro, presto vedremo l’attesissima seconda stagione.

Io, purtroppo, così come allora brancolai nel lupo, no, nel buio, sparando a zero forse su persone incolpevoli che non c’entravano nulla con questo stalker invisibile, beccandomi, ahimè, un trattamento psichiatrico assolutamente disutile e sicuramente deleterio per la mia autostima, morirò senza avere la certezza matematica di chi si celasse e ancora, probabilmente, s’offusca nella penombra, agendo occultamente per provocarmi ripetutamente, giocando appositamente su mie passate fragilità psicologiche da lui reputate latenti. Perennemente incombenti.

È un criminale. Uno che ha fatto passare me, come detto, per mentecatto. Quando, in verità, è sempre stato ed è lui quello da mettere dentro.

Anzi, da incarcerare, buttando via il lucchetto, in una prigione di massima sicurezza. Un individuo socialmente pericoloso che abbisogna, quanto prima, di robuste sedazioni, di rehab e soprattutto d’infrangibili, durissime, inscalfibili manette.

Un ragazzo, forse adesso un uomo, incurabilmente afflitto da disturbo di personalità.

Assomiglia tantissimo, anzi, è praticamente spiccicato a quel ragazzo che, nella prima stagione di Mindhunter, violenta e sevizia la ragazza pompon.

Semplicemente perché fu di lei geloso, violentissimamente attratto dalla sua giovinezza, dalla sua bellezza, dalla sua spensieratezza e dalla sua libertà così stupenda nella sua ilarità di soave dolcezza.

Con personaggi così, bisogna adottare la stessa tecnica da Actor’s Studio praticata da William Petersen di Manhunter.

Farli crollare similmente all’omicida de Il gatto nero di Edgar Allan Poe.

Parimenti a Jonathan Groff/Holden Ford e Holt McCallany/Bill Tench, mostrare cioè loro qualcosa che non si sarebbero mai aspettati.

La clip da me mostratavi giorni fa, intitolata Il JOKER ha mai avuto una ragazza?

Purtroppo, ne aveva avuta un’altra prima di lei…

Non è colpa mia se madre natura mi ha regalato una faccia da Justin Timberlake.

Ho scritto che, al festival di Venezia, mi presenterò con la giacca di Ryan Gosling di Drive.

Ah ah! Pensate, come vostro solito, che vi stia raccontando balle?

Perché mai?

Ne ho effettuato l’ordinazione poche ore fa.

 

 

di Stefano FaloticoAnna Torv

timberlake wonder wheel
giacca ryan gosling drive

La ruota delle meraviglie, bistrattano Woody Allen ma io vi dico che siamo tutti bagnini frust(r)ati


06 Dec

ww02

Sì, la Critica statunitense non è stata benevolente con Woody e ha stroncato in modo pressoché unanime il suo ultimo film. La Winslet, che sognava l’Oscar, peraltro è stata coperta d’insulti, e i critici hanno affermato che è la sua peggiore interpretazione, perché sacrificata in un miscasting spaventoso.

Lei che, cicciotella, veniva dipinta come la Venere del Botticelli dal DiCaprio mentre il Titanic si preparava ad affondare, parimenti afflitto dalla forza di gravità come il suo seno già cadente all’epoca, un seno che però a prua si gonfiava mastodontico in poppe speranzose, carezzate da un romantico vento di maestrale ove la Dion cantava my heart will go on nel melò fiammeggiante che diede a Cameron l’immortalità. Ella, diva dai tratti mascolini, donna di carattere tanto da sposare Sam Mendes e perdersi ancora con Leo nelle revolutionary road di una vita in apnea,  avrebbe avuto solo pene… così come in quel mar infernale boccheggiava dopo aver fatto il bocca a bocca a DiCaprio nella “cabina proibita”.

Adesso, dopo l’Oscar per l’analfabeta di The Reader, lavora col maestro di Manhattan che però sposta l’azione nella patria dei proletari, a Coney Island, ove Timberlake, dopo aver bagnato Cameron Diaz, ora ha una vita dalle delusioni bagnata. Ah, mie “bagnanti”, riscaldatevi nell’illusione che domani potrete incontrare un Jim Belushi di panza che vi renderà (s)contente di sua tracotanza. Ma è uomo giostraio che conosce il sudor della f(at)ica… non è un buon partito, vi prenderà a sberle quando un tempo vi faceva girar la testa.

No, solo il Mereghetti, indefesso, ha apprezzato questo lavoro di Allen, gli altri l’hanno liquidato con frasi “di maniera”, sostenendo che oramai il suo genio è sempre più prosciugato nella monotonia dei soliti temi e stilemi, che non si respira più genialità e i suoi film, poco sentiti, sono tutt’al più simpatici ritratti di malinconie dimenticabili come una marina, bella cartolina senza soggetto… Allen ama i primi piani, anche quando ambienta le scene in un attico, è all’antica nelle scelte estetiche e fa della sua depressa poetica lo slancio vitale da cui riesce a trovare sempre nuovi stimoli per non suicidarsi. Adesso, fa meno ridere, e forse in tutti i sensi fa piangere. Ma non compatite la sua bolsa senilità, egli non abbisogna delle vostre compassioni, poiché agguanta l’essenza delle cose con la naturalezza del suo animo mutevole, versatile a filmare sé stesso nella coralità non solo delle sue storie ma di poliedricità del suo cuore sempre più alla tristezza ancorato. Uomini, accoratevi a una donna, ah ah, e rincuorandovi saprete convivere con una che caccia le scoregge di notte, prendendole con filosofia. Sì, prima la gente si sposava e di amori “litigarelli” si spossava, adesso tutti convivono e chiedono il divorzio dei genitori sul punto di morte, perché almeno potranno mantenersi con la reversibilità delle loro pensioni. Sì, vedo giovani già mentalmente in pensione e vedo pensionati che guardano i film porno per “innalzarsi”, dopo una vita poco retta ma che l’ha sempre preso/a nel retto. E in queste erezioni “maschie” se ne fregano delle elezioni e ognuno fa della politica quel che vuole, votando chi farà i suoi interessi, chi possa salvarlo dallo stress e chi possa difenderlo in caso di sfratto. Ah, miei ratti, rantolate in pantofole, voi che avete perduto il gusto della fantasia che rende l’uomo degno di essere uno stronzo. Galleggiate nella mer(da).

Poi, ognuno si bagna come più gli aggrada. Alcuni vanno a messa e intingono le mani, dopo aver fatto la mano morta sull’autobus, nell’acqua benedetta, altri usano la doccia e non la vasca, alcuni rovesciano le pentole e si bruciano quando io vi dico che furono bruciati ancor prima di diventare bolliti.

Di mio, so che i miei occhi le bagnano… ed è acqua non “piovana”.

Sì, il Meteo ha messo pioggia, voi usate pure gli occhiali da Sole e nessuna, non potendosi incantare dei vostri sguardi ficcanti, ah ah, potrà mettervi in mutande. Sì, le donne chiedono solo soldi e, spellati, un giorno non potrete più far(vi) al mare un bagn(in)o. So che avete quella tendenza…

 

Vado a fare il bagnetto.

 

 

di Stefano Falotico

Sono un giostraio di Woody Allen, un po’ goofy, mentre Fofi non è meno trombone dei Nolan che “ammazza”


20 Sep

Sì, sta per uscire il nuovo film di Woody Allen, e ci è stata mostrata la prima locandina incantatoria, anzi, incatenata alla giostra delle nostre emozioni più nostalgiche, più “asciugate” laddove Coney Island fa l’amore coi gabbiani nei cieli tersi di una New York da cartolina. E io andrò a vederlo, non credo vi rinuncerò, sebbene non abbia amato l’Allen recente, troppo macchiettistico, superficiale e persino “cartoonistico”. Penso che quando riesce a bilanciare le serietà bergmaniane all’umorismo ebraico da uomo che ne ha passate tante, e dunque può ironizzare con gusto sulla vita, faccia centro. Ma si vedrà, ah ah, come già detto. Poi ho voglia di rifarmi la “bocca” con questo Belushi panzone, che pare stia vivendo una seconda giovinezza.

Ma, adesso, mi concentrerei sulla recensione di Fofi, apparsa nell’Internazionale (che potrete “raccattare” andando in giro su Google, non mi perito a linkarla perché spesso il web fa strani scherzi e poi cancella tutto…), inerente o, meglio, distorcente… (a) Nolan.

Fofi non ha torto su tutta la linea e che il film non fosse un capolavoro lo si sapeva già… noi europei, più esigenti, meno trionfalistici e amanti della pomposità degli americani che l’hanno “strombazzato”. Fofi però non lesina sulle parole cattive e alla fine addirittura lo classifica come filmaccio.

Vi estraggo i pezzi più “esaustivi”, tralasciando la parte ove cita film del passato, che credo sia poco interessante per il nostro “discorso” ed è soltanto sfoggio “decorativo” delle sue conoscenze:

Dunkirk è un film brutto e detestabile per molti motivi, un fallimento anche spettacolare e anche per lo standard ruffiano ma solitamente efficiente del suo autore-demiurgo, un divo del jet set anglostatunitense come quelli di cui tratta Hanif Kureishi nel suo ultimo e splendido romanzo-farsa. So di irritare i suoi fan e gli pseudocritici del web, vittime consenzienti della stupidità programmata dai poteri (web = ragnatela, in cui il capitale contemporaneo cattura e divora o, al meglio, castra i moscerini che siamo), ma la perdita di senso dell’esperienza, e in questo caso dell’esperienza estetica e prima ancora morale, va combattuta con tutte le (poche) armi che si hanno a disposizione.

Partiamo dal titolo, che i distributori italiani, genìa ipercolonizzata, hanno lasciato in inglese, fingendo di ignorare che la città di cui si parla sta in Francia e si chiama Dunkerque. È legittimo che gli inglesi la ribattezzino, come noi ribattezziamo, per esempio, London in Londra, Paris in Parigi. Ma non siamo nel Regno Unito e lasciare il titolo inglese è un atto di sudditanza altrettanto imbecille che se si ridistribuisse in Italia, che so, L’oro di Napoli chiamandolo L’oro di Naples.

Questo, ovviamente, non è imputabile a Nolan. Il cui film, tronfio e meccanico e noioso, sta in piedi per la musica roboante e invasiva, ossessiva, di Hans Zimmer, più sound che musica. E un regista che si serve della musica per dare unità e pathos a una storia che altrimenti non regge, è, da sempre, un regista che non sa come emozionare, e che di emozioni vere non si intende. Effetti sonori più che effetti speciali, e comunque effetti, trucchi, tecnica, non un linguaggio autonomo e creativo. E siccome è più facile in laboratorio produrre effetti speciali con gli aerei (il cielo) che con le navi (il mare), dagli con le picchiate e con i primi piani degli aviatori, inespressivi perché il loro volto è nascosto da caschi e occhialoni.

S’intuisce che Nolan, in assenza di ispirazione perché in assenza di convinzione, e avendo ben presenti le bravate del maestro numero uno tra i registi tromboni, Steven Spielberg (ben più astuto di Nolan) in Salvate il soldato Ryan, pensasse al suo film come a un oggetto compatto, come a una sorta di sinfonia sonoro-visiva circuente e stordente, dove il flusso dell’azione fosse appena interrotto da personaggi-guida che scandiscono la buriana senza però spezzarla, senza cioè che l’umano riesca a prevalere, sia pure per poco, sul dominio della macchina.

… film di Nolan, la cui maggiore odiosità sta nel cosciente o incosciente progetto di abituare i giovani spettatori a una visione della guerra imbecille e retorica e disumana. Quei giovani spettatori che ben potrebbero, in mano a governanti mascalzoni e a un capitalismo guerrafondaio che domina i mezzi di comunicazione e finanzia i Dunkirk, trovarsi a fungere da carne da macello per le guerre future, come già accade in molte parti del pianeta. E che oggi applaudono i filmacci kolossal che li abituano all’idea del massacro, pensando però che non saranno loro a crepare.

 

Parole come sempre esposte con enorme padronanza del linguaggio e cultura indubitabile, che quasi quasi ci persuadono al cento per cento che sia una boiata. Ma Fofi, oramai ottantenne stagionato della disillusione più pericolosa, talmente idealista da sfiorare il ridicolo più allarmante, lo conosciamo. Da oramai tre decenni almeno, stronca per “partito preso”, è il caso di dirlo, vista la sua militanza comunista sino al parossismo più paradossale, i registi che gli stanno antipatici, a maggior ragione se sono gli esponenti di un Cinema “grandioso” e spettacolare. E quindi pollice giù all’oramai rincoglionito Goffredo (mi perdoni, “esimio”), che prende fischi per fiaschi e va “avanti”, anzi di “Unità!”, coi paraocchi più tristi. Ma che il film di Nolan non sia la mastodontica opera che, comunque, certamente si aggiudicherà molte nomination agli Oscar… io l’avevo già detto, meglio di lui, con toni canzonatori ben più leggeri e dissacranti, senza la sua seriosità da trombone, non migliore dello Spielberg che lui tanto vorrebbe veder morto e crocefisso.

Nella vita, caro Fofi, bisogna essere obiettivi, e lei lo è, glielo riconosco, senza sfociare nella Critica troppo cinica e talmente assurda da sconfinare nell’idiozia. Comunque, le stringo la mano per il coraggio. Lei il suo tempo l’ha fatto e non comprende la “modernità” frenetica ed effettistica di Nolan, capisco, nemmeno io “ci arrivo” più di tanto, ma sparare così a zero sa di fascismo peggiore del più bieco e ottuso comunismo.

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