Analisi spietata sugli Oscar, abbasso i vincenti, evviva i perdenti, cioè Willem Dafoe

03 Mar

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Domani notte, in concomitanza con gli exit poll delle Elezioni italiane, da me ribattezzate “erezioni italiote”, perché ogni partito sicuramente si ecciterà se vincerà, assisteremo, anzi, assisterete a questo spettacolo pacchiano chiamato Oscar, una manifestazione che aveva un senso, che ne so, cinquant’anni fa, quando la gente era molto ingenua e si faceva emotivamente turlupinare da lustrini, paillettes e sguardi mondani sul red carpet, sognando di trasfigurarsi nel suo attore preferito. Eh sì, quante casalinghe del Texas, ove ci son le mucche, andavan in brodo di giuggiole per quegli occhi viola di Liz Taylor, mentre il marito, alla consacrazione di Elizabeth (sì, il premio alla miglior attrice vien consegnato in tarda notte, da noi quasi all’alba, negli Stati Uniti al canto del gufo), era già bello sveglio per andar a cavalcar nel Rio Bravo al primo fiorir del crepuscolo sottilmente rugoso come la sua pelle da Grand Canyon. Sì, il Rio Bravo è in Texas e non in montana, miei montanari, mentre il Grand Canyon è in Colorado, ove Wile, detto Willy, il Coyote non riusciva mai ad acchiappare Beep Beep, e ove Michael J. Fox di Ritorno al futuro parte terza precipitava in un incubo da trenino della Lego. Sì, quel povero sciancato di John Wayne vinse la statuetta per Il Grinta, ennesima interpretazione uguale e monocorde come tutte le sue, e glielo diedero per anzianità. Infatti, di lì a poco schiattò. Da cui Jack Palance di Scappo dalla città – La vita, l’amore, le vacche. Eh sì, sempre le vacche, queste bovine domestiche da carne Manzotin come dimostra quel bel pezzo di manzo e patonza che è Kelly Reilly. E Kevin Costner di Yellowstone sa come (m)ungerla… Mah, ancora non è uscito, ma sicuramente il re di Balla coi lupi  pelerà la sua agnellina, da cui Il silenzio degli innocenti. Silence of the lambs.

Sì, è arcinoto che a vincere gli Oscar non siano necessariamente gli attori dell’anno più bravi, ma quelli più “mostruosi”. Non sempre mostri sacri, a volte semplicemente interpreti che fanno la parte degli handicappati, dei minorati, dei malati di qualche cosa, AIDS o Alzheimer, che si trasformano fisicamente, s’imbruttiscono, vengono truccati “a (d’)uopo” per commuovere. In poche parole, spesso si premiano le interpretazioni “patetiche”. Basta scorrere la lista dei vincitori di tutte le edizioni, in particolar modo degli ultimi trent’anni, per accorgersi che l’Academy preferisce usare questo metro di giudizio assai discutibile, prevedibile e scontatissimo.

Io sono un fanatico delle interpretazioni interiori, quelle che partono dall’anima e poi si trasmettono negli sguardi, sguardi dell’attore che aderisce a questo metodo attoriale, ben più complicato, sofferto e intenso, e sguardi nostri, da spettatori empatici che ci emozioniamo per come un attore riesce a effondersi, oserei dire, nel character, e dà vita a gioia, letizia, dolore anche solo attraverso un’occhiataccia, un’alzata sopraccigliare, un’espressione impercettibile.

Dunque, capite bene che, sebbene lodi l’egregio Oldman de L’ora più buia, tumefatto dal makeup, che comunque ha dovuto cambiare voce per fare Churchill, non poco sarei felice se a vincere fosse Chalamet.

Ma è altissimamente improbabile che ciò possa avvenire. Poi è ancora un “guaglione”, deve farsi le ossa…

Come certa è la vittoria della solita pazza strillona McDormand, a cui preferisco la solita Streep estremamente contenuta, che vive internamente i suoi dubbi e con la carica della sua magnetica espressività li comunica senza troppe grida o scene effettistiche.

Ma, si sa, gli Academy amano variare, anche se per la McDormand sarebbe comunque una “doppietta” dopo l’Oscar per Fargo, e allora anche la signorina Saoirse Ronan dovrà accontentarsi di essere ricordata come “semplice” candidata e nulla di più. È una figa bruttina ma comunque farà la sua porca figura.

Eh sì, per dare una seconda possibilità a quelle cariatidi della Dunaway e di Beatty, hanno deciso che non era giusto farli uscire di scena con la più grande gaffe della storia degli Oscar, e allora sono stati richiamati, acciacchi permettendo, per “sbagliare” di nuovo. Ah ah.

A proposito, rimanga fra noi: sebbene sia stato eccellente per Toro scatenato, De Niro ha vinto l’Oscar per questo film per via del fatto che è ingrassato trenta chili, ma l’avrebbe meritato molto di più per Taxi Driver.

Ho detto tutto…

E Willem Dafoe che c’entra? Anche quest’anno la sua sete di vittoria sarà solo un’ultima tentazione da povero Cristo. Perché l’Oscar se lo intasca Rockwell.

 

E, naturalmente, essendo io uno spietato, che dice la verità senza cazzeggiare in stronzate, vi mostro la foto di uno degli Oscar, secondo me, unforgiven…

Ah ah! E qui sono Pacino di Scent of a Woman!

Anche se, nella notte delle elezioni, l’avrebbe meritato Washington di Malcolm X.

E Denise Negri, in studio per la diretta su Sky, assieme al Canova e Castelnuovo, tiferà per i neri. Eh sì, evviva Get Out! Negro ti faccio nero, e su questa stronzata Scappa, no, scappo!

UNFORGIVEN, from left: Gene Hackman, Clint Eastwood, 1992. ©Warner Bros.

UNFORGIVEN, from left: Gene Hackman, Clint Eastwood, 1992. ©Warner Bros.

 

di Stefano Falotico

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