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I peggiori film del prossimo anno saranno certamente meglio dell’ultima pellicola di Tarantino


18 Jun

pitt hollywood tarantino

Eh già, tutti fanno previsioni sui possibili film migliori della prossima stagione.

Ma è troppo facile puntare sui registi di qualità, sui cosiddetti cavalli di razza vincenti.

Ora, chiariamoci, C’era una volta a Hollywood di Tarantino, secondo me, come già profetizzai, sarà una delle solite, ultime gigionate anemiche e poco emozionanti di Tarantino.

Tarantino è un bel tipino. Ha da sempre impostato la sua carriera, girando film pieni di citazionismi che a loro volta omaggiano film del passato da lui idolatrati e adorati, quindi shakerati secondo la sua visione spesso volgarmente pulp o pacchianamente grindhouse.

Ripeto, ciò aveva un senso per i suoi primi tre film, ovvero Le ienePulp Fiction e Jackie Brown, perle che non si toccano.

Le perle non vanno assolutamente toccate. Così come le gambe di Catherine Zeta-Jones, donna ora sposata a Michael Douglas, il quale le regala tuttora collanine d’oro neanche se fosse Bob De Niro di Casinò con la sua bagascia Ginger, dunque dovete tenere ben a mente il comandamento… non desiderare la donna d’altri.

Io la desidero eccome ma Michael Douglas non lo sa perché è rincoglionito. Catherine invece sa tutto.

E non mi spingerei oltre.

Torniamo a Tarantino e non perdiamoci in freddure da Clint Eastwood di Per qualche dollaro in più.

Sì, diciamocela, Kill Bill 1 e 2 valgono solo per la scena finale del capitolo uno quando un ispirato Michael Madsen recita cimiteriale, con soffice farsela nelle sue mutande, la celeberrima… merita la sua vendetta.

Sì, una battuta di dieci secondi in un film che dura quasi due ore.

Il capitolo due invece dura quasi 140 min ma non ha neppure dieci secondi di gloria.

Quindi, secondo voi questo dittico sarebbe un capolavoro?

Se la pensate in questi termini, David Carradine deve prepararvi un panino con le sue mani lerce e servirvelo con tenerezza così come fa con sua figlia ancora innocente e incosciente.

The Hateful Eight è una spossante esibizione di attori che vogliono dimostrarci di saper recitare monologhi interminabili.

E perfino la scena finale che dovrebbe risultare rivelatrice e dunque emozionante, cazzo, non sta in piedi neanche ad attaccarla con la colla.

Scusate, uno riceve la lettera di Abramo Lincoln e, anziché conservarla come la reliquia di San Gennaro, la illiquidisce nel sangue più purulento e gore?

Il bifolco Samuel L. Jackson dovrebbe prendere lezioni d’igiene da Al Pacino di Danny Collins. Il quale, a differenza sua, coccola l’epistola recapitatagli da John Lennon neanche fosse Yoko Ono.

Sì, l’accarezza con estrema delicatezza, eccitandosi come Lino Banfi di Al bar dello sport quando, contando le banconote della vincita della sua schedina miliardaria, pare che stia massaggiando arrapatissimo le cosce di Milly Carlucci dei tempi di Pappa e ciccia.

Eh, Milly è invecchiata ma all’epoca attizzava ogni uomo pugliese di verace Calore! E anche froclen, come diceva Pasquale Zagaria, dinanzi alle gambone di Milly aveva attimi assai dubbiosi riguardo la sua senile omosessualità.

Detta come va detta, la Carlucci è sempre stata una bella donna moralmente discutibile. Sì, prostituitasi a filmacci pecorecci pur di arrivare un giorno a una vita da Ballando con le stelle.

Contenta lei, contenti quelli che son stati nel suo letto per farla ascendere ai primati dei massimi ascolti della Radiotelevisione Italiana. Scommettiamo che… andò proprio così?

Sì, so che Milly è sposata da anni.

Sì, da qualche anno, da un decennio. Da un ventennio? Da un trentello? Sì, se me lo passasse su PayPal, non avrei bisogno di partecipare ai telequiz di Mediaset. Un tempo patrocinati da Mike Bongiorno, da una vita sostenuti invece dal peso extralarge per eccellenza, soprattutto nel portafoglio, cioè Gerry Scotti.

Capisco, ora Milly è sposata. Perfetto, non ci proverò, Tanto adesso è pure rifatta.

E qui alla mia vita è stata (s)fatta una frittata! Ah ah.

Sì, sono l’unico uomo della storia che, anni addietro, finì nei centri di salute mentale. Dopo che tutti appurarono che non necessitavo di alcuna Cura da Franco Battiato, ho capito che non mi piaceva manco la filosofia sempliciotta di Lucio Battisti.

Ah, ma è tutto un battistero. Sì, prima mi chiesero di recarmi ed entrare in chiesa a confessare i miei peccati, poi vollero sconfessarmi. Qui viviamo di baci di Giuda come ne Il padrino – Parte II.

Non va bene, eh? V’è un’ipocrisia dilagante, figlia appunto della moralità piccolo-borghese di cui è, ahinoi, intrisa la falsa cultura radicalchic nostrana da farisei Pater Noster e fasulle Bibbie come se fossimo in Cape Fear di Scorsese.

L’Italia, l’unico Paese al mondo ove primeggia negli incassi Checco Zalone, ove andavano forte i film banfiani, una nazione di Cornetti alla crema, di Ciccio perdona… io no!, un posto malfamato di religiosissimi mafiosi ove tutti ammiccano e provocano con pessime, equivocabili battute scontatissime sul sesso manco se ci trovassimo, appunto, nello studio dentistico della pellicola Vieni avanti cretino col compianto Gigi Reder nella stravista, abusata parte d’una spalla fantozziana di Luciano Salce.

Tarantino è figlio della nostra peggiore italianità. Non è come il grande, succitato Scorsese, appunto. Uno che in Mean Streets ficcò in colonna sonora Renato Carosone non per fare, come Tarantino, il citazionista piacione molto cazzone, bensì perché in quei bar fetidi di Little Italy nei jukebox passava davvero il Carusone. Il suo vero cognome.

Statem’ buon’, a casa tutti bene? Come ti sei sciupato. Hai mangiato? Vuoi ancora un po’ di polpette?

Sì, le madri italiane amano i figli e i loro picciotti come se fossero bravi ragazzi…

E tu invece? Stai sul timiduzzo? Henry, perché non parli mai?

Sì, in Goodfellas passa, nella stupenda scena della presentazione dei vari personaggi, Il cielo in una stanza poiché i piccoli manovali della criminalità adoravano realmente Mina.

E può darsi che su un barcone di sballati sia andata on air veramente Gloria di Umberto Tozzi così come si vede in The Wolf of Wall Street quando Margot Robbie, scatenata e smutandata, qui sembra Sharon Tate e nel film di Tarantino no.

A proposito, secondo voi, Roman Polanski, prima che Sharon fosse oscenamente trucidata dalla banda di Charles Manson, cantò mai alla sua Tate Ti amo?

Mah, secondo me vi può fornire una risposta esaustiva in merito, eh già, Brudos di Mindhunter.

Ecco, a mio avviso i peggiori film del prossimo anno saranno dei capolavori in confronto alla super porcata mai vista di Tarantino.

Quentin, hai davvero rotto il cazzo col tuo Cinema autoreferenziale, leccaculo, auto-imbrodante.

Ha ragione l’attuale moglie di Polanski, Emmanuelle Seigner. O fai un film alla David Fincher incentrato esclusivamente sulla tragedia di Sharon Tate, oppure, se devi ficcare la storiella di contorno per altra carne al fuoco, vai a fare in culo.

Scorsese ha fatto solo una scelta sbagliata in vita sua.

Ha avuto ragione Nick Nolte a non applaudire Elia Kazan nella notte degli Oscar in cui, al regista di Fronte del porto, consegnarono l’Oscar alla carriera.

Certamente, immenso regista, Elia, ma non dovevi fare il maialino.

Sennò sei (stato) solamente un figlio di puta peggiore di Clint Eastwood de Il buono, il brutto, il cattivo.

Ve lo dice Wallach Eli.

Ora, se non ero a Cannes, se C’era una volta a Hollywood non è neppure uscito ancora negli Stati Uniti, chi sono io per dire questo?

Be’, sono il padrone di un mulo a cui non piace la gente che ride…

E soprattutto i puntini di sospensione nel titolo, cazzo, Sergio Leone non li avrebbe mai usati.

Fanno proprio schifo.

E dunque nemmeno io li uso.banfi carlucci pappa ciccia

di Stefano Falotico

Clint Eastwood è proprio un mule. Come me, incarnazione del fascino superbo della nichilistica arroganza


07 Dec

eastwoodmule

Eh sì, ieri alle candidature dei Golden Globe Awards, son state commesse due gravi dimenticanze, a mio avviso.

Aver innanzitutto trascurato vergognosamente la performance di Ethan Hawke in First Reformed. Film, come detto, dal finale assai discutibile, ma Ethan ha sfoderato nella suddetta pellicola forse la sua migliore interpretazione in assoluto. E dunque, ripeto, mi par alquanto scandaloso averlo messo in disparte. Speriamo negli Screen Actors… e naturalmente negli Oscar.

E poi ovviamente Clint Eastwood di The Mule. Il film non l’ho ancora visto. Da noi uscirà soltanto a Febbraio. Ma credo, in tutta onestà, che neppure i giurati dei Globes l’abbiano minimamente guardato.

Perché basterebbe questa clip, a prescindere dal valore ultimo, definitivo, complessivo dell’opera, per poter attestare che Eastwood, fosse solo per la sua commovente faccia raggrinzita, tenera e dolcissima, avrebbe meritato la menzione speciale…

Sì, devo confidarvi quanto segue, carissimi e anche acerrimi nemici (in)validissimi.

Io, da tempo immemorabile, mi son appartato, molto schivo, refrattario alla vita sociale, in una sorta di eremitica, perciò virtuosa, vita iper-coscienziosa al di sopra delle squallide piccinerie, oltre le regole falsamente basiche di un mondo ipocrita e pusillanime. E tengo a distanza le chiacchiere, le possibili calunnie che, inevitabilmente, proprio a ragione di questa mia anomala, bellissima scelta esistenziale, mi attiro addosso. Cattiverie inaudite sputate da vomitevoli bocche stomachevoli. Ché m’han stancato, quindi stomacato, disgustato, in una parola stufato. Anche nauseato.

Beceri luoghi comuni atti a prescrivermi istruzioni per l’uso… di questa vita. Come se la vita fosse un casellario, un questionario, un quiz a crocette, una battaglia crociata di rigidi percorsi a tappe per non venir sbattuti al tappeto. A cui adattarsi, improntarsi conformemente remissivi senza battere ciglio, senz’opporci con la nostra, vivaddio, unica, personalissima anima, perfino impura, masturbatoria in ogni senso, autoreferenziale, ombelicale. E semmai omologarci a narcisistici, morettiani precetti malati di solipsismo.

Sì, è stato immenso Goffredo Fofi quando ha bellamente, sottilmente sputtanato Nanni Moretti e il suo accalorato pubblico di pecoroni finti sinistroidi. Personaggini da CGIL che pendevano dalle labbra di quest’autarchico post-sessantottino e hanno sempre aspettato i suoi mediocri, blandi filmetti come fossero irrinunciabili appuntamenti da concerto di Woodstock. E si scompisciavano dinanzi alle sue battute, alle sue tirate d’orecchie, ai suoi “girotondi” in Vespa, a questa sua magnificazione della piccola borghesia apparentemente schierata politicamente ma invero più fascista della maggioranza del sistema da costoro aspramente criticato, osteggiato ma in realtà accettato, a cui sono stati i primi ad abdicare, celandosi dietro ribellioni di maniera, retorici discorsi pazzi in piazza e sventolio di bandiere rosse, dietro trasgressioni fasulle da uomini insinceri, tristi, appagati, facendosela sotto nella facciata tediosamente intellettualistica di una vanagloria ancora più pericolosa e barbosa della Destra più facinorosa.

Sì, so bene io chi è Moretti. Non fatevi ingannare. È uno che, memore delle scopate che aveva con Bianca, ha ficcato… Laura Morante ne La stanza del figlio solo per succhiarle di nuovo il seno. Con la scusa della scena empaticamente coniugale. E ficcò… il cammeo di Jennifer Beals in Caro diario perché, fanatico delle sue cosce in Flashdance, sperava di corromperla per uno stress da vampiro da Campbell Scott di Roger Dodger. Non poteva esserle franco? Che ne so? Andare da Jennifer e presentarsi così:

 

– Sai, Jennifer, dopo il tuo momento di gloria, a Hollywood non ti cagano molto. Io sono Moretti. Un regista molto cazzuto, portato su un piatto d’argento in Italia. Sai, vorrei sbattertelo di Strange Days perché sei una strafiga. Ci stai? Poi posso darti anche una particina… in Aprile, per farti rifiorire come in una maledetta primavera da Loretta Goggi.

 

Insomma, una merda. Ne ho viste tante. Sono quelle ex professorine, ora in pensione e mi auguro presto seppellite, che guardavano tutti i programmi “culturali” di Serena Dandini, strofinandosi la figa marcia con la mortadella di un marito pasciuto alla Gianfranco Funari. Donne dunque più volgari, classiste e cafone delle troie che odiavano. Disprezzavano e volevano bruciare, mettere al rogo. Delle streghe!

Ma cosa insegnavano ai loro studenti? A adempiere al fighetto inculare il prossimo col potere ricattatorio di un pezzo di carta per pulirsi il deretano?

Sì, secondo queste megere vacche, ogni ragazzo che non frequentava il Classico sarebbe stato estromesso dalla società che “conta”. Perché non aveva formato, anzi, io direi formalizzato la forma mentis del cazzo.

In parole poverette come codeste, donnette che avevano figli come Silvio Muccino di Come te nessuno mai, a loro volta pubescenti idolatri di Tarantino e poi cresciuti a moralismi peggiori dell’inquisizione de Il nome della rosa.

Eh sì, dopo averli indotti e indottrinati al Classico, tal mentecatte hanno indirizzato i figli agli studi da Umberto Eco, obbligandoli a non andare allo stadio, ah, roba da sottoproletari orribili, bensì  inducendoli a mentali stadi da “tribuna elettorale”, sì, ficcandoli psicologicamente, oserei dire in modus ermeneutico, semanticamente semiologico a studiare le teorie illogiche di tal fervido, abietto fautore di una delle più grosse stronzate “sintattiche” della cultura oscenamente “giornalistica”, ovvero Scienze delle comunicazioni, facoltà per futuri imbecilli come il “bot”(taniere) Montemagno.

Ove t’insegnano a comunicare per farci capire. Capire che? Come se un articolo di un giornale fosse un graffito preistorico ove, per far comprendere al tuo simile che non sei vegetariano e sei inserito… al vertice della gerarchica scala alimentare, col sangue di porco dipingi di murale un maiale scannato offerto in sacrificio per Natale al popolino come fosse un grasso, lardoso zampone con le lenticchie…

Sì, l’altro giorno, un tale Frattini mi ha attaccato su Facebook. Luogo in cui avevo condiviso la mia video-recensione de L’avvocato del diavolo. Costui, spregevolmente vigliacco, probabilmente di profilo fake senza foto e “credenziali”, ha messo in guardia, ah ah, i futuri fruitori del mio dissacrante video coltissimo, chiedendo loro di non dar retta a un personaggio come me, da tale idiota definito un clown d’avanspettacolo, un poveraccio senz’arte né parte, un guitto imbarazzante, un misero omuncolo che, a suo (ar)dire, non possederebbe la sensibilità artistica, il tatto, il gusto e la culturale perspicacia per addentrarsi in esegesi e disamine che, sempre a sua detta, esulerebbero dalla mia limitata comprensione della realtà e di conseguenza della sua raffigurazione, neorealistica o meno, surreale o visionaria, il Cinema.

Oddio, sto morendo. Frattini. Uno che, ammesso che sia un profilo vero e non un falsario alla Totò de La banda degli onesti, visionando la sua bacheca, pare un morto di fame che posta solo manifesti politicanti, ridicolmente politicizzati più dei peggiori film di Oliver Stone, inveendo contro tutti, sbertucciando l’Italietta unta e bisunta e poi melensamente glorificando i suoi musicali cantanti giovanili. Per un patetico, senile, pensionistico giovanilismo anacronistico da messia ante litteram poco letterato ed erudito, qualunquista e stupidamente partenopeo, floridamente incattivito nell’odio più oscurantistico.

Frattini, sì, la parodia di sé stesso da vignetta di Giorgio Forattini.

Insomma, in tre secondi netti, rispondendogli in chat, l’ho fatto piangere. Credo che al momento sia ricoverato in qualche clinica psichiatrica di Napoli. Città nella quale dice di aver doverosamente svolto il lavoro di direttore di banca, tifando il Maradona dei bei tempi e drogandosi da mattina a sera di seratine “dolci” come il liquore del suo babà. Ah ah.

Sì, uno che non voleva essere un sempliciotto come il compianto, suo concittadino Troisi ma che, a mio parere, trattava tutti come fosse il direttore del circo Massimo, rimanendo ideologicamente al minimo storico. Simpatica bestiolina questo Frattini. Un frustrato che giustamente frustai.

 

Sì, volevano che rinnegassi le mie scelte e ripartissi daccapo. Mortificando il mio io interiore affinché m’immiserissi nel porcile di massa, mercantile e spaventoso.

Vollero che mi curassi per alleviare le mie pene…

Sì, pene, gliel’ho messo in quel posto, ancora una volta.

Perché sono un colorito, armonioso fiorellino.

 

E al mio mulo non piace la gente che ride…0001_100784 rev-1-MUL-01355r_High_Res_JPEG

 

di Stefano Falotico

The Mule, il prossimo film di Eastwood è come me


24 May

Clint

 

Non so se avete presente la scena di Essi vivono in cui Roddy Piper va a pranzare nella mensa dei barboncelli. La signora gli porge una specie di zuppa e gli chiede se ne vuole ancora. Qualsiasi uomo di buona educazione avrebbe risposto un cortese no. Invece, lui, caprone, le risponde… sì, ancora. Quindi dopo avergli riempito il piatto, la signora retoricamente gli chiede ancora se appunto ne voglia ancora. Retoricamente perché a quel punto sia lei che lo spettatore si aspetterebbero un gentilissimo NO. Invece Piper, zuccone amabilissimo, con strafottenza da applauso, replica nuovamente un sì, ancora.

Sì, un uomo senza vergogna che, da vagabondo disoccupato, non rinuncia ai piaceri della cucina e mangia come un porcellino. Senza dover rendere conto a nessuno.

Uno dei primi film con Clint Eastwood protagonista, come sapete, è stato Per un pugno di dollari. Eh sì, quel mulo esigeva le scuse. In questa scena storica, da morir dal ridere, vi è incisa tutta la filosofia eastwoodiana. Ma quale reazionario e giustizialista, è un uomo che non ama i vili affronti, odia gli scherni, gli sfregi come ne Gli spietati, e a costo di beccarsi delle pallottole va sotto casa di quei vermi di Gran Torino, a far la sceneggiata “napoletana”.

Walt Kowalski è uno stronzo, un buffone, uno che disdegna questo fottuto orpello della cosiddetta bonjour finesse, sputacchiando in faccia a Cristo e, a costo di schiantarsi e beccarsi pugni in faccia e batoste tremende, finché non ha sviscerato tutta la merda, non è contento.

Ecco allora la storia di Earl Stone, novantenne veterano di guerra, che soffre di “demenza” e quindi non è imputabile di colpevolezza.

Ah, uomo dai mille malestri, uomo maldestro forse persino di Destra, un figlio di puttana come pochi.

 

Mi trovavo al bar oggi pomeriggio. Ordino il consueto caffè. Una donna molto magra, quasi rachitica sulla cinquantina, però di gambe ben tenute, mentre sorseggio il mio dolce caffè ecco che comincia a fissarmi insistentemente. Io finisco di bere, do l’euro alla barista, al che porgo alla signora un sorriso simpatico quanto questa frase da me a lei pronunciata con aplomb eastwoodiano…

– Signora, se vuole il mio uccello, sappia che non è per donne come lei. Io sono un orticultore dei miei piaceri bucolici. Vada ad arare qualche maschione che saprà innaffiarla a dovere.

– Lei è un porco!

– Come lei, signora. Perché a vederla bene mi sembra pure che voglia mettermelo in culo. Ah, frociona!

 

Al che mi son grattato le ascelle.

Inizialmente il personaggio di Eastwood si doveva chiamare Leo Sharp.

 

Finisco col dirvi che sabato una su Instagram, dopo avermi adocchiato, mi contatta “in privato”.

– Ciao, che bel profilo che hai.

– Facciamola svelta. Vuoi che te la lecchi? Mi spiace, non hai la faccia di quella che “lo” incassa.

– Senti, io sono una donna di classe, non accetto queste volgarità. Sono donna prima di tutto di cervello.

– Ah sì? Non si direbbe.

– Cosa vuoi dire?

– Vai a lavare i piatti, forza.

 

Al che l’ho bloccata. Probabilmente è andata a consolarsi con un piatto d’insalata, coltivato nel campo della sua “cultura” del cazzo.

 

Ah ah.

– Perché ridi? Guarda, Stefano, che quello che hai scritto è abbastanza disgustoso. Non fa ridere per niente.

– Invece a me fa ridere, sai? E anche parecchio.

– Ti daranno un’altra ripassata se continui a non mettere la testa a posto. Ma, cazzo, ne vuoi ancora?

– Sì, ancora. Perché voglio continuare a vivere a modo mio.

– Sei proprio una merda!

– Sì, come tutti.

di Stefano Falotico

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