Posts Tagged ‘Roman Polasnki’

Questo mio weekend alla Frantic in quel di Torino, vi terrò aggiornati, sì, aggiornatevi sempre sennò, senza giorno, è notte fonda in cui non sfondi


28 Dec

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Ebbene, so che delle mie peripezie ve ne siete sempre altamente fregati. E se a Torino, nei prossimi due giorni, qualche donna me lo sfregherà, cosa alquanto improbabile, ve ne fregherete altre, in tutti i sensi. Ah ah.

Sì, fra poche ore, esattamente alle 14 e 38 di questo pomeriggio di fine anno, piglierò la Frecciarossa in direzione di Torino, culla della magia satanista e di Dario Argento. In verità, Argento è di Roma ma mi piace pensare che sia di Torino. Ha ambientato vari suoi film qui, no?

Non importa, fatto sta che, fermatosi il treno con me a carico a Torino, prenderò il taxi, forse guidato da Travis Bickle o da una bella donzella dalla minigonna stimolante, e risiederò all’Hotel Cristallo. Sì, Argento fa il paio con il cristallo. E forse, nella camera d’albergo, dal frigobar tirerò fuori una Coca-Cola, versandomela su un liscio bicchiere di vetro di finissima fattura come le gambe slanciate di Natasha McElhone, una donna con cui converserei per ore, ammirando i suoi occhi profondi e incavati come i mari di Marte. Sì, Natasha dev’essere una donna che, dietro le sue pose ciniche da finta inaridita, nelle profondità del suo tailleur elegantissimo, ha dei solchi ove rigogliosa fiorisce una folta vegetazione incontaminata.

Sì, secondo me, Natasha McElhone è vergine. Quella sua aria stizzita da donna spaziale, in ogni senso, mi dà l’idea di una che se la tira, a me lo tira eccome ma non ha mai conosciuto davvero la tettonica di una trivellazione nel suo inesplorato Pianeta Rosso. Ah ah.

Sì, sarò a Torino e, pensando a Natasha, mangerò al ristorante i grissini torinesi, lunghi e morbidamente stuzzicanti come il suo viso magro e provocante.

Non so se state guardando la serie The First. La recensirò ma a me sta profondamente annoiando. Perlomeno, ho visto solo per ora i primi due episodi ma mi è venuta la Lattea, no, il latte alle ginocchia. Non fosse per il colpo di scena iniziale con tanto di lancio della monetina disastrosa e i minuti commoventi di quei due genitori anziani dell’astronauta perito, sì, perito nel senso letterale del termine, e non solo perito astronautico, a cui Penn fa capire che la vita di loro figlio, sì, sulla nostra Terra è finita ed è sottoterra ma che devono andare fieri di averla messa al mondo. Perché come ogni vita donata è stata comunque una vita importante. E loro non hanno sbagliato e non devono essere tristi per la scomparsa del loro caro. Perché lui non voleva fare l’avvocato ma l’astronauta e soprattutto ha vissuto sempre nella dimensione magnifica di un sogno luccicante. Attimo bellissimo, attimo fuggente.

Bellissimo invece non è Sean Penn che, per tutta la serie, non fa altro che indossare impresentabili infradito, più che capitano aerospaziale sembra un metalmeccanico di Bari vecchia, ha un taglio di capelli da trentenne quando invece di anni ne ha quasi sessanta e se li porta malissimo. Con rughe enormi, occhiaie da uno che, durante il giorno, si è masturbato almeno cinque volte e un fisico scolpito non solo di culturismo ma dei culi che si è fatto in questi anni, soprattutto quello cosmico di Charlize Theron. Un culo di Venere che manderebbe in orbita di Saturno qualsiasi uomo che vorrebbe allunarsene, allupandosi nello stellare amplesso da Giove, sì, con Charlize diventi un dio greco e Plutone. Sì, l’accrescitivo di Pluto, il cane della Disney che, dinanzi a Charlize, diviene anche volpone e lo allunga più del naso lunghissimo di Sean Penn. Charlize Theron, sì, davanti a costei ignuda, non ce n’è per Nettuno!

Charlize sapeva far vedere attimi di luce a quel lunatico e ombroso di Sean ma la loro relazione durò quanto la massa per l’accelerazione di gravità, cioè un nanosecondo, e Sean, adesso, dopo essersi fatto il viaggio, girando attorno ai suoi crateri la sua lingua atomicamente solare, è di nuovo sprofondato nell’angoscia più abissale. Prosciugato e sterilizzato di ogni potenza virilmente elevata… Con Charlize, quello di Sean volava alto ma in men che non si di(c)a Sean, invece, è precipitato in basso e lo fotografano con bagasce di scarso peso quantistico. Sean scopa sempre a volontà ma non vi è più quella figona esorbitante che lo rendeva un uomo aitante.

Sean è ora solo un polpettone peggiore di The First che, nella solitudine più metafisica, si prepara polpette, ascoltando la puzza dei suoi piedi e delle sue ansie.

Sì, a Torino ci son già stato varie volte. Ma ogni volta per me è come la prima volta. Che, detta fra noi, fu una schifezza. Lei volle che le entrassi e invece io, dopo esserle venuto, svenni e persi la testa.

Impazzendo perché non ero pronto ancora a lanciare il mio missile nello spazio del suo buco nero.

E, a Torino, mi sentirò perso come Harrison Ford di Frantic.

Molti non sanno nulla della mia vita privata come in Quello che non so di lei.

Meglio così, ai miei thriller psicologici è preferibile tifare per la Juventus.

La Juve vince sempre. Io invece son spesso in zona retrocessione. Non vado mai in B e mi salvo per il rotto della cuffia ma è una vita, fidatevi, in cui devi perennemente sperare che quelli che stanno davanti perdano per superarli.

A fine anno, mi sono salvato ma è al solito una lotta.

Non ho i soldi di Agnelli e al massimo posso permettermi una Fiat Punto.

Comunque, questa vacanza di due giorni me la sparo. E chissà… ci potrebbe scappare anche finalmente una botta di culo. E, come Lino Banfi di Al bar dello sport, potrò ammirare dall’alto della Mole Antonelliana, il montepremi.

Mah, in verità, al ristorante ordinerò un Montebianco.

Ricordate: io non mi son mai fatto i film. Io conosco molto bene la realtà. E io guardo una donna con questa faccia. Di cazzo.

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di Stefano Falotico

Evviva i grossi guai a Chinatown, Polanski e Carpenter!


19 Dec

Spensieratezza, brindiamo, giochicchiando coi fluidi capelli d’una Donna a noi intinta nella brace, cortesemente sdraiata nei nostri orgasmi “sfilacciati”, affiliati, affinatissimi di miei denti che suggon il miele del seno suo ribaldo, e di baldacchino “giocondeggian” nell’onda di lussurie incastigabili.
Di quando, bimbo, spargevi i sassolini da Pollicino, orchidea già selvaggia per il tuo cammino “deviato” per non imboccare la retta via del nazista orco. Per sbeffeggiarlo di shining e “labirintizzarlo” nel suo freddo da “orsacchiotto” polarissimo. Sì, quell’orco t’accusò di depressione bipolare e sintomi che fan sinonimo con “pazzia”. Ma è lui il vile scellerato che brandì solo la carne più godereccia per bruciar i suoi figli, “allattandoli” alla protervia classista della sua “pedagogia” che disprezzava le musulmane sinagoghe e singhiozzò, ingozzandosi, di tutto fregio a sfregiar chi non s’appaiò ai suoi “paletti”. Da conficcargli vampiristici, donandogli sangue avido contro il suo venereo, destrorso AIDS da imbonitore dell’Avis, da “avo” anche delle sessualità, quando, nel suo mattin “florido”, già spalancava la bocca maialesca per altre macellerie inton(n)ate suo “intonso” abito da garzone, spadaccino di tenzoni stizziti per duellare, sbudellando, contro chi non s’esibì prosciuttesco come il suo vorace viso laido e grassissimo d’antropomorfa mortadella. Egli gridò imperiosamente “Morte!” a tutti coloro d’aff(l)iggere se non mercanteggiavano come la sua insanissima bottega per la (s)vendita delle anime da bovini. E “suineggiava”, “asinando” chi non s’accoccolò al suo presepino di statue di cera. Da posizionar a piacimento del suo “giocattolarle” nel suo “adulto” infantilismo solipsista. Sì, il demiurgo della “chirurgia” cucita a pelle, ad addobbarti di un’etichetta per ingobbirti se, a petto in fuori, non marciavi marcio come lui.
Sì, sbottonò le “cerniere” a ogni Gesù puro per “donargli” le “palle” e “salvarlo” dalla sua speciale unicità, per domarlo con “dominabile” bastone d’una vecchiaia davvero da “pastore”. E ammansì il gregge, ché non bestemmiasse inferocito se deturpato della sua verginità, con quella “gradita” simpatia degli “svezzamenti” inconcepibili, alteri contro ogni immacolata altra Concezione. Della vita, delle virtuose pudicizie, ché tutti si prostrassero come le prostituite al muschio “maschissimo” delle sue “pecorine”.

Un patetico mascalzonissimo, un Balanzon’ di grasso panzone. Che or “commedieggia” la sua tragedia (dis)umana, reinventandosi “attore” in recite parrocchiali ancor più oscene.
Sì, tanto sputò nel piatto dell’Ultima Cena quanto, prima di spegner la sua ultima candelina, vien “benedetto” da altri suoi vegliardoni vecchiacci malefici a “teatro”, ove tutti applaudono tal Giuda, onorandolo della sua “san(t)ità”. Sì, prima dell’unzione finale, d’estrema confessioncina alle sue porcate, crede di discolparsi per un Paradiso che gli sia “benefico”.
Tanto di “fica” era ossessionato che proprio infilzato, invece, dal Diavolo nell’Inferno sarà.
Ed eternamente, “infiammato”, espierà di “grande freddo”.
Sì, tanto spiò chi sospettò di pregiudizio che, così universalmente giudicato, sarà per sempre inculato.
Tanto “lottò” per uccidere gli “ossi buchi” che, da uno con “le corna in testa” e con più cornee di sua moglie, la cornutissima, “piacevolmente” l’ha ricevuto nel buchino.
Ah, che “serratura”. Ora, terrorizzato, chiude le serrande.
Perché vuol esser lasciato in pace. E viver sereno, consapevole di quanto (si) macchiò.
Io direi che, solo nel seder, tanto lo pigliò.
Sono come Jack Burton, svecchio gli stregoni. Odio la caccia, però, alle streghe.

Ora, mettete su un po’ di musica bambocci!

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Chinatown (1974)
  2. Grosso guaio a Chinatown (1986)
  3. Teste di cono (1993)

Genius-Pop

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