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MAURO BIGLINO è veramente un GENIUS? Cosa si nasconde dietro la verità?


08 Jul

Stando alle testuali, non corrette parole di Wikipedia, che in tal caso pecca in quanto a virgole, senza stare a corregger/la, copia-incollerò qui la sua pagina dedicata a Mauro Biglino.

Personaggio controverso dalla fortissima dialettica persuasiva, estroverso e conoscitore di antichi versi? Punto interrogativo di natura ancestrale e ignota.
Cosa si nasconde al termine della notte?
Notate bene:

Mauro Biglino (Torino13 settembre 1950) è uno scrittore italiano che si occupa principalmente di storia antica e Antico Testamento sostenendo tesi ufologiche legate alla teoria degli antichi astronauti.

BIOGRAFIA

Mauro Biglino, dopo aver frequentato il liceo salesiano Valsalice di Torino, fece parte del corpo di fanteria speciale degli alpini, ricoprendo il ruolo di infermiere[1]. A seguito degli studi condotti presso la comunità ebraica di Torino, divenne successivamente traduttore di ebraico biblico all’interno di un progetto editoriale delle Edizioni San Paolo per le quali eseguì la traduzione interlineare di diciassette libri del testo masoretico della Bibbia, ovvero i dodici Profeti minori e le cinque Meghilot, traduzioni raccolte nei due volumi I profeti minori e I cinque Meghillôt. Basandosi in parte sulla sua traduzione, che definisce letterale[2][3], Biglino affronta la Bibbia da un lato attribuendole una natura di cronaca storica, dall’altro desumendone ipotesi inseribili nel filone del neoevemerismo, della paleoastronautica, del creazionismo non religioso e assimilabili a quelle di Zecharia Sitchin, altro sostenitore della teoria degli antichi astronauti.

Ha interpretato sé stesso (recitando in inglese e poi ridoppiandosi per la versione italiana[4]) in Creators – The Past (2020), film diretto da Piergiuseppe Zaia che vede la partecipazione di Gérard DepardieuWilliam Shatner e Bruce Payne[5][6]; nello stesso film è accreditato come consulente storico e biblico.

È inoltre coautore di fumetti basati sui suoi libri[7].

IPOTESI E METODOLOGIE DI TRADUZIONE

Biglino propone una disamina dell’Antico Testamento – nella fattispecie la Biblia Hebraica Stuttgartensia – utilizzando un approccio alla traduzione del testo che egli asserisce essere il più letterale possibile ed esortando, in alcuni casi, a mantenere i termini originari, non traducendoli affatto poiché ritenuti intraducibili[8][9]. In particolare, pone in risalto quelli che reputa riferimenti alle conoscenze tecnologiche degli “Elohim“, i quali avrebbero “creato” l’uomo a propria immagine e somiglianza.

Biglino presenta l’ipotesi secondo cui, nell’Antico Testamento, il termine Elohim[9] non indicherebbe una singola entità, bensì un gruppo di esseri evoluti e non meglio identificati, che avrebbero accelerato l’evoluzione del genere umano avvalendosi di tecniche avanzate di ingegneria genetica, i quali si sarebbero spostati utilizzando velivoli (identificati come velivoli alieni) – o comunque a dispositivi dotati di tecnologie ignote e incompatibili con le conoscenze dell’epoca. Da qui la possibile presenza di esseri viventi giunti da altri pianeti o appartenenti a civiltà avanzate non riconosciute dalla storiografia ufficiale[10].

Biglino, seguendo le teorie della paleoastronautica, identifica tali Elohim con gli dèi dell’antichità come quelli egizi o sumeri, i quali erano difatti un numero di individui molto ampio. Tra gli Elohim sarebbe da annoverare lo stesso Jahvè – erroneamente identificato come “Dio” nella cultura ebraica e cristiana – il quale viene quasi sempre indicato come Jahvè Elohim Israel[11][9] (Jahvè, l’Elohim di Israele). Il termine Elohim non è in sé esclusivo di Jahvè, ma da Giosuè 24:15[12] è riferito anche ai falsi idoli adorati dai nemici Amorrei e dai padri di Israele residenti oltre il fiume mesopotamico[11], quali ChemoshMilkom e numerosi altri[9], che quindi sarebbero anch’essi Elohim al pari dello stesso Jahvè ma che nella tradizione e nella mitologia vengono identificati come “divinità pagane”.

Sull’identificazione degli “Elohim” con extraterrestri o comunque esseri evoluti provenienti da altri mondi, Biglino stesso riferisce[13]:

«[…] Io ho ripetutamente detto e continuo a dire che “non so chi siano gli Elohim perché la Bibbia non lo dice” ma quando mi si pone la domanda precisa io non mi sottraggo e dico sempre che “faccio finta” che gli antichi abbiano detto il vero e i popoli di tutti i continenti della Terra definiscono “quelli là” come “figli delle stelle”, per cui io applico il mio metodo e “faccio finta” che sia vero. L’esistenza di “quelli là” è inoltre sicuramente più credibile e statisticamente più probabile che non quella di quel Dio che i teologi hanno inventato partendo da Elohim. Se si scoprirà che “quelli là” erano E.T. io dirò “bene”. Se si scoprirà che “quelli là” non erano E.T. io dirò “bene”. L’importante è capire l’inganno colossale che si cela dietro l’affermazione “Elohim uguale Dio spirituale”.»
(Mauro Biglino, Mauro Biglino chiarisce 2 temi importanti!, su maurobiglino.it)

Al di là delle teorie ufologiche, le sue traduzioni – imperniandosi su sottili differenze semantiche e interpretative – differiscono in forma e in contenuto da quelle adottate dalle maggiori confessioni religiose. Nel volume La Bibbia non è un libro sacro, ad esempio, a proposito di concetti quali[9]:

l’autore illustra la propria tesi secondo la quale non sarebbero contemplati nell’Antico Testamento, mentre sarebbero il frutto di una traduzione errata e volutamente manipolata. L’argomentazione di Biglino passa al vaglio le plausibili modifiche apportate ai testi ed ai codici dell’Antico Testamento, e il ruolo assunto, nel corso dei secoli, da determinate figure chiave[18][19][20][21].

Inoltre secondo l’autore il verbo “bara”[9] non significa “creare dal nulla” ma “intervenire per modificarle una situazione”[22]:

«Abbiamo esaminato i venti passi in cui viene utilizzata la radice ברא, bara, [qui sopra] e abbiamo rilevato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che non vi si riscontra alcun rapporto diretto con il presunto atto creativo narrato secondo la tradizione nel libro della Genesi. Nessuna delle ricorrenze considerate e tradotte ha attinenza con il concetto di creazione, tantomeno nell’accezione di “creare dal nulla.”»
(Mauro Biglino, Lorena Forni, La Bibbia non l’ha mai Detto, Mondadori)

Se si accetta questa ipotesi, naturalmente decade il concetto di peccato originale in quanto gli adam, ovvero il gruppo di esseri che l’autore suppone geneticamente modificati dagli elohim, dovevano essere, sempre secondo Biglino, addestrati per servire i loro padroni, dotati di una nuova intelligenza, abili nella gestione degli animali e nell’agricoltura, a differenza dei loro simili confinati al di fuori del giardino dell’Eden – letteralmente tradotto come “giardino recintato e protetto”. Yahweh, che Biglino afferma essere stato tradotto erroneamente con “Dio”, è ipotizzato essere solo un figlio minore di uno dei capi Elohim; egli non sarebbe altro che un comandante militare a cui non fu affidato l’intero popolo ebraico, bensì il solo ramo della famiglia di Abramo, limitatamente alla stirpe Giacobbe/Israele, e che istigava a guerre fratricide per conquistare lembi di terra e piccole aree del territorio palestinese. Ben diverso era il compito degli altri Elohim più esperti che si occupavano di popoli come l’Egitto e la Grecia per i quali, ancora oggi, i sostenitori della paleoastronautica affermano di rilevare le cosiddette “tracce degli Dei”[23]; esempi ne sono i parallelismi con i poemi epici (IliadeOdisseaEpopea di Gilgamesh) per la tradizione occidentale.

Egli evidenzia l’aspetto puramente genetico dell’essere umano: unico essere vivente che non ha un habitat climatico a lui congeniale. L’essere umano, così com’è strutturato, ha sempre dovuto adattarsi al clima modificandolo e spesso adattandolo alla propria condizione. Le anomalie “genetiche” vengono segnalate in alcuni fattori congeniti, come i capelli e le unghie che, a suo dire[24] crescono costantemente. Nessun altro essere vivente sul pianeta, secondo la sua opinione[25] potrebbe vivere con queste limitazioni: un predatore avrebbe serie difficoltà a cacciare con i capelli e le unghie lunghe ma, allo stesso tempo, anche una preda sarebbe limitata nelle sue possibilità di salvezza. Facendo leva su questa personale constatazione, Biglino sostiene come tali fattori non possano derivare dalla normale evoluzione umana, ma siano tratti genetici scelti dagli Elohim durante i loro interventi sull’evoluzione umana. La sua metodologia di ricerca tanto nel campo filologico e storiografico, quanto in quello biologico evoluzionista, non presenterebbe alcun rigore metodologico scientifico. Lo scrittore si rifà ad autori dello stesso genere, citandoli come fonti autorevoli, così come ad articoli scientifici, dandone talvolta una propria rilettura divergente da quella originaria, come nel caso di Dario Bressanini[26][27][28], riportato di seguito.

VITA PRIVATA
Autore del volume Chiesa Romana Cattolica e Massoneria, ha dichiarato di essere stato membro della massoneria per una decina d’anni[29], e di esserne uscito verso metà degli anni duemila[30].

PROCEDIMENTI GIUDIZIARI

Il “crack Bersano” del 1990

All’inizio degli anni novanta, Biglino fu inquisito, assieme ad altre ventuno persone, all’interno del processo al finanziere torinese Aldo Bersano. I reati contestati agli indagati erano bancarotta fraudolenta, truffa[31], appropriazione indebita e violazione delle normative CONSOB[32], attraverso la vendita di strumenti finanziari (soprattutto a pensionati dell’area piemontese) e la realizzazione di una serie di operazioni finanziarie di facciata, volte a svuotare le varie società finanziarie. Biglino, in particolare, è stato accusato di aver ricavato, fra la fine del 1984 e l’inizio del 1988, circa un miliardo e 463 milioni di lire in provvigioni dalla vendita di strumenti finanziari[33].

Nell’ottobre del 1991 è stato condannato in primo grado a cinque anni e quattro mesi di carcere[34], ridotti in appello a due anni e quattro mesi l’anno successivo[35]. Nel marzo del 1993 in un ulteriore processo è stato condannato a due anni e due mesi dal Gip[36].

Lasciamo stare dunque le controversie e le opere, ah ah.

 

mauro biglino elohim alieni

Posso farti una domanda? Le confessioni lapidarie e spudorate di uno psichico, so che ridacchierete ma poi rimarrete agghiacciati


07 Jan

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Fra tutte le persone da me incontrate negli ultimi anni, soltanto una riuscì a indovinare chi sono. Chi io sia. Perlomeno, ad addivenire a come ragioni la mia anima.

Questa persona abita a Torino.

Secondo lui, io sarei uno psichico. La prima volta che me lo riferì, feci spallucce. Credendo addirittura che mi stesse prendendo sottilmente in giro.

Gli psichici, secondo la dottrina gnostica, sono quelle persone che, inconsapevolmente, si allontanano dal comune vivere quotidiano e, senza neppure volerlo, si elevano interiormente. No, non è un atto conscio. Non è che uno si fermi a riflettere e ponderi a tavolino la sua scelta. È una scelta scritta, potremmo dire, nel suo codice genetico, ancestrale di natura, per l’appunto, intrapsichica.

Adesso, so che scatterà la battuta piuttosto scontata e, sinceramente, di pessimo gusto.

– Si eleva solo la psiche? E non qualcos’altro?

 

Sì, indubbiamente, la vostra facile associazione mentale, da cui inevitabilmente derivò l’inevitabile battuta goliardica a sfondo sessuale, fa parte del vostro essere ilici.

Cioè persone che, incolpevolmente, essendo per l’appunto appartenenti alla categoria degli ilici, non credono e soprattutto non vogliono, inconsciamente, credere che possano esistere persone diverse dalla cosiddetta normalità. Perciò, paradossalmente, intendono normalizzarle per livellare il prossimo a immagine e somiglianza del loro concetto di normalità stessa. Anche stesa.

La normalità, chiariamoci, non esiste né giammai è solamente pensabile. Normalità non significa nulla.

Normalità, per molta gente, è rispettare i parametri regolatori d’un modus vivendi socialmente accettabile, dunque ipocrita e biecamente celato, anzi congelato, dietro la rispettabilità d’una maschera pirandelliana.

Allora, cari psichici, mettetevi l’anima in pace poiché la maggior parte delle persone sono degli ilici.

Al che, se soltanto voi, psichici come me, v’azzarderete a dire che vogliate, sì, a voglia, vivere lontani dal porcile collettivo, preparatevi a un jeu de massacre impressionante.

Resisterà lo scanner più forte. Gli altri soccomberanno paurosamente per una spettrale ecatombe micidiale.

Arriviamo al primo quesito su cui verterà la questione.

Dentro di voi, avete appurato chi siete, oramai avete raggiunto un’omeostasi emozionale dopo tanti patimenti e, conseguentemente, anzi parimenti in seguito a tante inesorabili prese, involontarie e stavolta anche volontarie, di coscienza progressivamente evoluta a causa dei continui conflitti psicologici derivati dal vivere e vivervi.

Voi sì, gli altri no. Cominceranno a indagare poiché come detto, non capacitandosi di quella che ai loro occhi appare una vita insensata, assurda e senza significato, vi tampineranno, anzi, “tamponeranno” di domande indagatorie affinché possano razionalizzarvi e relegarvi, a mo’ di compartimento stagno, in ciò che, oggi come oggi, potrebbe essere racchiuso nella tristissima espressione… ora, ti ho inquadrato.

Le domande a cui sarete sottoposti, peraltro, non saranno delle più simpatiche. Anzi, saranno dittatorialmente arroganti, superbamente blandenti il vostro amor proprio, scarnificanti le vostre viscere psico-emotive, se vi andrà fatta bene.

Saranno invece dispotiche e bulliste, violentemente feroci al fine che chi vi porrà stupidamente tali domande impertinenti e insensibili possa godere scelleratamente del suo sadismo, del suo relativismo e del suo limitato, efferato, crudele quanto folle, malato solipsismo.

Poiché, essendosi costui costruito una forma mentis, anche una percezione sessuale del prossimo di natura etica-estetica e meritocratica allineata alla ricattatoria, circostanziata e circoscritta sua visione egoistica e narcisistica del mondo, dunque anche degli altri, saprà onestamente solo pateticamente offendervi, rinunciando a qualsiasi altrui punto di vista semplicemente democratico.

– Posso farti una domanda? Hai un lavoro? Cosa ti è successo? No, confidati, vorrei aiutarti. Forniscimi delle chiavi interpretative e cercherò una soluzione al problema. Però, non devi mentirmi, devi aprirti e soltanto così potrò aiutarti. Vedrai che tutto si aggiusterà.

Per esempio, sei stato amato? Ah sì, sei stato amato? E come mai è finita? Ecco, se mi rispondi che doveva andare così, non ci siamo. Ci sarà stato un motivo. È stata colpa tua, scommetto. Perché ami solo te stesso. Redimiti dalla tua aridità, la vita è bella e ti offrirà tante possibilità.

Ora non le vedi, lo so. Ma fidati di me. La vita è sorprendente. Non puoi essere così certo di volere ballare da solo. Non ti annoi? Ma soprattutto non ti fai pena?

Tanto, non ti crederò mai. Non è umanamente possibile che tu mi dica che vivi felice come stai vivendo adesso. Lo reputo falso e inaccettabile. Dunque, ora, senza pensarci due volte, ti provoco a man bassa. Anzi, a mani basse. Cederai e, detta come va detta, un sano calcio in culo e quattro ceffoni ti sistemeranno a dovere. Finiscila di piangerti addosso, no, non autocommiserarti e non piagnucolare, sei un uomo, mica un bamboccio, la vita è dura per tutti, per tutti noi esistono mortificazioni e tremende fregature. E tu non mi freghi!

Ti boccio! Vedrai come risboccerai, finocchio! Pinocchio, finiscila di credere al malocchio, figlio di antrocchia.

Ecco, ti servo, seduta stante, il primo pugno devastante. Poi, se mi riderai in faccia, porgimi pure l’altra guancia perché ne arriverà un altro più dolente, potente e assestato come dio comanda, povero coglione demente!

Sei pronto? Ora arriva. Tieniti pronto. Ti do una bella svegliata.

 

Questa dicasi demagogia di bassa Lega, forse salviniana, dunque nazi-fascistica.  Che vi piaccia o no, esistono persone come Johnny Smith de La zona morta. Fategli del male e, alla stessa maniera di Jude Law di The Young Pope, si fermerà nel bel mezzo dello spiazzo di un autogrill e, con la sola forza della mente, vi distruggerà.

 

di Stefano Falotico

Dario Argento presenta i mostri di Stranger Things 3 ma nella vita come si sconfiggono i mostri veri? O forse fake? Di mio, sono un guerriero da Sol levante


13 Jul

Quanto hanno dato a Dario quelli di Netflix per recitare delle banalità in cui, con aria ieratica da monaco del Tibet, aplomb da lord un po’ rincitrullito e aura da regista altisonante di Suspiria e Inferno, con lentezza disinvolta snocciola sciocchezze a buon mercato, citando John Carpenter, Tobe Hooper e George Romero?

Dario Argento, un uomo, un mito.

Molti credono che Argento sia di Torino. Dario è romano al cento per cento. A Torino ha girato solo alcuni suoi capolavori. Perfino non integralmente.

Ma voi, italiani, ragionate per luoghi comuni. Accostate l’esoterico Cinema avanguardistico che fu di Dario alla città dei misteri per antonomasia, vale a dire appunto Torino.

Scambiando la Mole Antonelliana per una mula veneziana di nome Antonella.

Sì, leggo commenti su Facebook, sotto le foto delle belle donne, da raccapricciarmi. Poiché fingete di essere incapricciati di una donna riccia e le scrivete le solite frasi da ciarlatani con in mano la pizza e sulle maniglie dell’amore tanta bisunta ciccia.

Io posso essere capriccioso, in quanto malmostoso e anche, se voglio, bello e focoso.

Voi invece non sapete corteggiare le donne e ululate insonni le vostre scemenze sotto le immagini di quelle che si scalderanno, quest’estate, con uomini più alti di voi, poiché siete omuncoli che state sempre al livello del mare.

Cioè siete terra terra…

Ah, che lato b immortalato mentre il tramonto scandisce l’attimo della tua poesia in movimento.

Questo è il commento tipico del vostro italiano cafone che si crede Casanova e invero vive in una casa vetusta. In una catapecchia. Meglio allora il mio amico di Civitavecchia. Uomo senza peli sulla lingua.

Mentre voi siete pericolanti come un tugurio fatiscente pericoloso, in quanto presto crollerete e colerete a picco. Guardate, non vi picchio perché mi sporcherei le mani.

Sì, la dovreste davvero finire. Siete perfino imbarazzanti. Io invece posso permettermi di parlare con donne marine forse di Igea Marina, in quanto io affogai nell’oceano della depressione più nera, al cui confronto i thriller psicologici di Dario sono pellicole comiche da bagnomaria, sì, mi tuffai nella perdizione di me stesso e poche volte al sole steso, ma riemersi abbronzato e ancora amato. In una parola, fui teso e, miei tesori, con le donne tesissimo. Miei tenerissimi.

Vado infatti da una donna e l’approccio così…nadia

Se lo fate voi, lei vi annega in un fiume d’insulti.

Io invece posseggo il carisma dell’uomo che può tutto, in quanto galleggio a Viareggio con una donna carnevalesca e poi ancor non mi correggo, facendo l’amore anche con una di Correggio.

Fra le vostre mascherate, io non uso trucchi ma tutte le strucco, io ho il classico, magico tocco.

Sono insomma incorreggibile.

Adombrato nella notte più cupa che gorgogliò nel blu dipinto di blu dei miei pleniluni senz’apparente speranzosa luce diurna, uscii dalla mia catacombale urna e, come Dracula, non quello però di Dario, divenni ancora un uomo 3D.

Io sono io.

Mi spiace per voi, blob (non) viventi come il Mind Flayer.

Leggete anche questa.

Sì, ho molte persone che mi odiano. Mah, l’odio, lo iodio, il mar ionico.

Questi mi paragonano a Fantozzi. Non direi proprio.

Insomma, se uno è Bruce Lee, non può essere come quel panzone lì.

Scusate se sono successe cose strane…

Sì, sono anche come Takeshi Kitano.

Ieri, al bar cinese-giapponese-coreano-pechinese è successa una mezza rissa con me protagonista.


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Discussioni con la barista cinese #barcinese

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Chuck Norris le ha prese. Io, anche nel cesso, divento sempre più giovane. Voi rimanete dei cessi pure nei bagni di Rimini. E ho detto tutto.     di Stefano Falotico

 

 

 

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A domani #tonight #tomorrowland Un post condiviso da Stefano Falotico (@faloticostefano) in data:

 

 

C’era una volta a Torino…


30 Dec

 

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Ieri, era il 29 Dicembre e Rai 3, come di consueto in questo periodo, in concomitanza con la fine dell’anno e l’approssimarsi vicinissimo dell’Epifania, ha trasmesso C’era una volta in America.

Stefano Falotico, il qui presente-assente, Bickle e Joker Marino, uomo rispuntato dalle tenebre per fortunati accadimenti miracolosi della sua mente che, dopo essere andata a letto presto, invero tardissimo da After Hours scorsesiano per molti anni, dopo essersi persa nei vicoli meandrici di amnesie storiche, dopo tanti eventi rovinosi, impazzimenti vari, ha riacquistato la luce, una luce tenue come il crepuscolo adamantino del suo Nosferatu passeggero in questo mondo bislacco ch’è il nostro.

Così, ho deciso di far visita a un mio amico di Torino, per una giornata e mezza di allegre rimpatriate.

Sono passati tanti anni dalla prima volta che lo incontrai e più volte ci siam rivisti, anche se di rado, negli ultimi tempi.

Così, quando la malinconia si fa così forte nel mio animo che ho bisogno d’incendiare i miei ombrosi umori in serate piacevolmente amicali, non perdo mai il treno.

Che, semmai, sosta anche alla splendida stazione di Milano. E il mio animo, in quel frangente in cui le ruote del treno stridono sui suoi binari e sospendono il loro cammino nella metropoli lombarda per eccellenza, si placa, vien colto da spasmi romantici e ripenso a quando, nel 2006, amoreggiavo con una ragazza che forse non amavo neppure. Un periodo seppellito nelle mie memorie. Con lei non andai d’accordo tantissimo ma mi piaceva baciarla.

Poi, finito che ho di rimembrare quell’amore bizzarro, ecco che chiudo gli occhi ma non dormo. E odo, a palpebre abbassate, il casino dei passeggeri. Il treno è pieno di gente e, sapete, io mi sento sempre a disagio in mezzo alla folla ciarliera e rumorosa. Fra bambini che piangono, cullati dalle loro madri appunto amorevoli, trogloditi che urlano al cellulare e nuove persone che salgono nel baccano generale.

E, come per magia, eccomi a Torino. Scendo piano, m’incammino verso l’atrio e incontro il mio amico che mi aspetta. Prendiamo il taxi, alloggio nel mio albergo, sento una donna strillare, inizialmente pensavo che ridesse sguaiatamente. Apro la porta della mia camera e colgo un’ombra fuggevole che, disperatamente odorante di lacrime, chissà perché scende le scale, l’uomo della reception cerca di chiederle che succede ma lei esce dall’hotel e, dalla terrazza, la scorgo furtivamente inoltrarsi nella sera già buia.

Chi è questa donna? Chi era? Mistero.

Stordito, indosso il mio giubbotto, chiudo delicatamente la porta, consegno le chiavi. E il mio amico è lì che mi aspetta. Mi porta in un locale molto accogliente, molto d’elite, raffinatissimo. Doveva essere solo un aperitivo ma alla fine ci vien servita una lauta cena. E il mio stomaco è ben sazio.

Girovaghiamo per questa periferia torinese, fra parchi illuminati fiocamente e gente che come noi passeggia o beve nei bar, dunque sostiamo a un pub.

Vien la notte, dormo. Mi sveglio prestissimo, è alba ma a Torino sembra ancora notte. Notte, notte, notte. Esco a prendermi un caffè. Pochissimi passanti e l’odore genuino di un inverno freddo ma al contempo mite.

Aspetto mezzogiorno, incontro nuovamente il mio amico. Pranziamo a un ottimo ristorante, ricordiamo assieme i film che Dario Argento ha girato a Torino. Profondo rossoNon ho sonnoLa terza madre.

Il mio amico li ricorda assai meglio di me. Inferno? No, è stato girato a Roma.

Suspiria all’estero. Altri giri, altre bellissime chiacchierate, un altro taxi. Il viaggio finisce.

Intanto mi arriva la recensione di un egregio direttore di una rivista letteraria importante.

Ve la faccio leggere in anteprima. Sono commosso, davvero, non so se merito queste parole.

Ho fatto tantissimi sbagli, tanto ho sbadigliato, tanto ho peccato, tanto sbaglierò ancora. Ma mi sento della vita ancora innamorato.

 

UN SAGGIO CRITICO SU STEFANO FALOTICO

 

L’inserto tutto-cultura PROMETEIA sarà un allegato costante del Faro Italiano, che nel 2019 sarà sottoposto a un’importante evoluzione. Nelle prossime edizioni di PROMETEIA appariranno i saggi critici sui libri di Stefano Falotico con riferimenti a tutte le pubblicazioni precedenti. In questo saggio, invece, mi soffermerò sull’Autore. La crisi che vive la lettura italiana (ma anche mondiale) è dovuta essenzialmente all’inconciliabilità fra lo scrittore e il lettore. Il lettore del XXI Secolo non è più quello del XX e, meno ancora, quello del XIX. La tradizione scolastica, che ha le sue radici in una specie di ripetitivo classicismo, si scontra, volenti o nolenti, con una trasformazione, che, posta in essere nel XX Secolo, ha trovato nel XXI il suo compimento. Ovviamente, molti scrittori, pervasi da un agone egotistico, non si rendono conto della nuova capacità di lettura e insistono in un canovaccio inestirpabile forse a causa di una cultura eccessivamente libresca. I grandi scrittori hanno trovato invece elementi “istruttivi” e “insegnanti” nella vita di tutti i giorni, nel quotidiano vivere, nell’analisi della società e delle sue evoluzioni culturali, economiche e di costume. Restare “classici” in questo contesto non avrebbe avuto come sfogo il lettore, ma una ristretta cerchia di amici “complimentosi” per “adeguarsi all’occasione”. Stefano Falotico si è posto il problema di come restare classici, senza “urtare” la suscettibilità del lettore. Ha dato vita così a una prosa complessa, attiva, interattiva, non dormiente, non assuefatta, non cantilenante, non ripetitiva, ma sempre fornitrice di soluzioni letterarie che, scatenando l’intimo sentimento, come forse era accaduto soltanto a Victor Hugo e Lev Tolstoj, ha “tradotto” in realtà pensante anche i lettori più indifferenti e sopiti. Lo ha fatto non solo attraverso la curiosità “linguistica” avveniristica, ma soprattutto a mezzo di una sequenza di contenuti che si susseguono in una “asfissiante devozione” al mondo. Se, in qualità di critico letterario (ma sono soprattutto autore di non indifferente livello), mi soffermo sul fenomeno Stefano Falotico, è perché il nostro soggetto letterario offre al divenire culturale soluzioni che dapprima non abbiamo rinvenuto neppure nei maggiori scrittori contemporanei. Stefano Falotico si è certamente posto il problema: Come “raggiungere” il cuore del lettore? Come “svegliare” la sua mente? Come evitare di essere scontatamente evolutivi? Come essere evolutivi e “classici”? I suoi libri narrano di “dame” e “cavalieri”, ma in questo costante divenire-trasformativo-interattivo non troveremo Torquato Tasso, Ludovico Ariosto e, ancor meno, Dante, Virgilio e Milton. Non troveremo il narratore romanzato. Non troveremo “scontati-inutili” castelli. Troveremo invece l’uomo pluridimensionale, l’amore per l’enigma-vita (Il Cavaliere di Londra – in una mia prossima recensione), lo snodarsi lungo le difficoltà della vita (Il Cavaliere di San Pietroburgo). Le avvisaglie della nuova filosofia linguistica si hanno già nel Cadavere di Dracula (che si pone come confine fra il vecchio dire e il nuovo dire). “La libertà e anche il libero arbitrio passano attraverso perigliosi cammini e ardui ostacoli. Anche la libidine e la lussuria per l’Autore passano attraverso la catarsi “profetica” di un’intima soffusa sofferenza (La mia lussuria si scaglierà terribile di veemenza arsa a vostra finta sapienza. – Il Cadavere di Dracula – Stefano Falotico), attraverso la paradossale lente di un epidiascopio, che, con le sue immagini alterate e “assurdamente iperboliche” ci offre una visione “esagerata e folle” della vita, perché, in fondo, la vita umana non è che “un mezzo” per perfezionarsi per pervenire a vite “diverse”, a mete da conquistare nell’evoluzione biologica, sociale e filosofica, che si dipana nell’incessante comporsi e scomporsi degli “elementi” – così nella mia recensione (già ampiamente pubblicata e inerente libro di riferimento). Stefano Falotico si è quindi posto il problema di come innovare, trasformare, essere “contenutistico”, concreto ed “emblematico”, non travolgendo totalmente i canoni classici della scrittura, ma adeguandoli e rielaborandoli con l’immissione di una straordinaria linfa vitale. Come riesce a ottenere questo? “Caratterizzando” i personaggi, facendoli “lievitare”, crescere, come un padre e una madre pazienti che intendono impartire la migliore educazione alla prole. La prole, nella fattispecie, si chiama libro, scrittura, passione per la crescita letteraria. Non allievo mai, Stefano Falotico è in realtà un appassionato “Maestro”. Ha l’ascia di chi colpisce e il cuore del bambino che rimane tale per tutta la vita. A lui piace “bere” nei suoi stessi libri, non per quel sentimento “draculiano” che, oberato dal peso del nome, si trasferisce nella realtà, ma perché fra incantesimi, “diavoli”, “estemporanee divinità” e uomini-dei, si dipana in lui la “tragedia” dell’umanità nel divenire e nell’essere sempre uguale o simile a se stessa. In questo modo Egli infligge una lezione morale e sottilmente satirica, se non palesemente ironica, agli “umani”. Costoro amano, odiano, non amano, non odiano, finiscono nella spirale dell’indifferenza, si “mediocrizzano”, risorgono dalle ceneri del proprio pensiero, si interrogano, si esaminano, sono contemporaneamente “allievi” e “maestri”: allievi teneri e “maestri d’ascia”. I personaggi di Stefano Falotico sono composti Cavalieri, ma anche uomini bizzarri, fedeli a se stessi e senza una reale fede universale (nel senso classico della parola). Sono esseri ribelli, che fuggono dalla realtà quotidiana, dalla “ripetitività”, dalla tristezza “comune”, dal lirismo della piaggeria e del finto altruismo, dalla pace senza costruzione, dal “senso del dovere”, ovvero da quell’inferno intimo che costringe l’uomo a fare sempre le stesse cose, non chiedendosi nemmeno perché e non domandandosi il perché del “mancato cambiamento”. Nei personaggi di Stefano Falotico la vita chiama a soccorso se stessa, esce dall’infantilismo letterario-creativo per “erompere” come petali in fiore. La sua prosa è fiore e taglione, magistrale rievocazione classica e distruzione del passato “inutile”, in una specie di “anti-religiosità”, che si perpetua in un moto uniformemente accelerato e in un bizzarro divenire. Se i suoi personaggi dovessero delinquere, lo farebbero conservando la loro compostezza, la coscienza di stare a fare sempre bene come nel “Kick-Boxing”. Essi sono incassatori e “canne al vento”. Sono deboli e forti. Sono cani che mordono e arpie feroci. Sono “angeli custodi” della tradizione e innovatori “implacabili”. Leggono in se stessi e fuggono da se stessi. Si ribellano a se stessi quando scoprono di essere “quotidiani”, “sensibili” alle solite cose e vicini allo scorrere delle ore, lo scorrere monotono come le parole che si susseguono con un nesso logico che non si identifica mai con l’evoluzione. Spesso gli scritti dell’Autore “cercano” la “soluzione” e non sembri strano che tale soluzione si identifichi con la tragedia. Sono Romeo da Villanova e dittatori solenni. Sono schiavi e “contumaci ribelli”. Sono condannati alla vita e condannati a morte. Tornano vincitori e si comportano da vittime “solenni”. Sono il futuro, il presente e il passato, con tutte le patologie che proprio il passato può trasmettere e che, pur tuttavia, trovano un organismo ribelle e una “pelle” così mutevole da essere “portatrice” di novità e trasformazioni perenni, tali da “vanificare” il passato medesimo. I personaggi di Stefano Falotico corrono, vanno, cercano, si dimensionano diversamente, in base ai casi e alle circostanze, ma mai in qualità di vittime reali, bensì di protagonisti, anche impavidi e caparbi. Essi sono la volontà che incide nella loro vita. Quando i casi della vita vogliono che essi tornino al loro quotidiano essere, scoprono in se stessi una sorta di ambiguità, di plurivalenza, di crudeltà, di crudezza e nel loro cuore rinvengono un “cruciforme” destino. Essi non si deprimono mai: lottano, escono allo scoperto, vincono e perdono, ma non sono mai realmente sconfitti. In loro si legge: desiderio, brama, moto variamente accelerato, ricerca della vastità del creato, in una specie di sublimazione che consente loro di uscire dal greto del fiume della vita per cercare un’onnipotenza personale, in un “irreligioso” silenzio. Essi troveranno siepi e alberi, aspre montagne e fiumi agitati, alte maree e ripidi camminamenti, tunnel e altipiani lussureggianti. Essi troveranno estati, primavere, autunni e inverni. Ma non si arrenderanno al destino o al fato. In loro la lotta è un “classico essere” e un “azzardato divenire”. Incontro, scontro, conversazione, avversità, devozione, “dialogismo”, biasimo, amore, “disamore”, dolore, costanza, “endemica malattia”, catastrofe, polimorfismo e fallimento si aggrovigliano in un “enclitico” divenire, che fa sì che un’azione priva di tono ne assuma uno, avvalendosi di un “precedente soggetto”. Tutto l’insieme diviene in Stefano Falotico “filosofia vitale” e “naturale disfacimento” in vista di successive “grandezze”. Grandezze che egli non identifica, ma che lascia intuire o supporre, perché è cosciente che sia un cattivo scrittore colui che fornisca soluzioni o che faccia di ogni argomento una “tematica” per riduttive conversazioni.

 

Eliano Bellanova Direttore della Rivista Il Faro Italiano. Presidente dell’Araba Fenice Edizioni Magna Grecia

 

 

Dopo tutto ciò, potrei anche suicidarmi. Come Mishima.

Ho perso tanti amici, alcuni sono morti addirittura e non ho avuto il tempo di chiedere loro scusa.

La mia Deborah, il grande amore della mia vita, si chiama, lo sapete, Tiziana. E si è sposata. Ha anche dei figli.

Sono stato dappertutto nella mia vita. Con la fantasia e anche realmente.

Ma il viaggio non finisce qui.

No, non è ancora giunta la mia ora.

Ancora soffrirò, riderò, piangerò, mi emozionerò.

E dunque buon anno a tutti. A chi è ancora di questo mondo e a chi, dall’alto, non c’è più ma forse è orgoglioso di me.

 

 

di Stefano Falotico

Questo mio weekend alla Frantic in quel di Torino, vi terrò aggiornati, sì, aggiornatevi sempre sennò, senza giorno, è notte fonda in cui non sfondi


28 Dec

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Ebbene, so che delle mie peripezie ve ne siete sempre altamente fregati. E se a Torino, nei prossimi due giorni, qualche donna me lo sfregherà, cosa alquanto improbabile, ve ne fregherete altre, in tutti i sensi. Ah ah.

Sì, fra poche ore, esattamente alle 14 e 38 di questo pomeriggio di fine anno, piglierò la Frecciarossa in direzione di Torino, culla della magia satanista e di Dario Argento. In verità, Argento è di Roma ma mi piace pensare che sia di Torino. Ha ambientato vari suoi film qui, no?

Non importa, fatto sta che, fermatosi il treno con me a carico a Torino, prenderò il taxi, forse guidato da Travis Bickle o da una bella donzella dalla minigonna stimolante, e risiederò all’Hotel Cristallo. Sì, Argento fa il paio con il cristallo. E forse, nella camera d’albergo, dal frigobar tirerò fuori una Coca-Cola, versandomela su un liscio bicchiere di vetro di finissima fattura come le gambe slanciate di Natasha McElhone, una donna con cui converserei per ore, ammirando i suoi occhi profondi e incavati come i mari di Marte. Sì, Natasha dev’essere una donna che, dietro le sue pose ciniche da finta inaridita, nelle profondità del suo tailleur elegantissimo, ha dei solchi ove rigogliosa fiorisce una folta vegetazione incontaminata.

Sì, secondo me, Natasha McElhone è vergine. Quella sua aria stizzita da donna spaziale, in ogni senso, mi dà l’idea di una che se la tira, a me lo tira eccome ma non ha mai conosciuto davvero la tettonica di una trivellazione nel suo inesplorato Pianeta Rosso. Ah ah.

Sì, sarò a Torino e, pensando a Natasha, mangerò al ristorante i grissini torinesi, lunghi e morbidamente stuzzicanti come il suo viso magro e provocante.

Non so se state guardando la serie The First. La recensirò ma a me sta profondamente annoiando. Perlomeno, ho visto solo per ora i primi due episodi ma mi è venuta la Lattea, no, il latte alle ginocchia. Non fosse per il colpo di scena iniziale con tanto di lancio della monetina disastrosa e i minuti commoventi di quei due genitori anziani dell’astronauta perito, sì, perito nel senso letterale del termine, e non solo perito astronautico, a cui Penn fa capire che la vita di loro figlio, sì, sulla nostra Terra è finita ed è sottoterra ma che devono andare fieri di averla messa al mondo. Perché come ogni vita donata è stata comunque una vita importante. E loro non hanno sbagliato e non devono essere tristi per la scomparsa del loro caro. Perché lui non voleva fare l’avvocato ma l’astronauta e soprattutto ha vissuto sempre nella dimensione magnifica di un sogno luccicante. Attimo bellissimo, attimo fuggente.

Bellissimo invece non è Sean Penn che, per tutta la serie, non fa altro che indossare impresentabili infradito, più che capitano aerospaziale sembra un metalmeccanico di Bari vecchia, ha un taglio di capelli da trentenne quando invece di anni ne ha quasi sessanta e se li porta malissimo. Con rughe enormi, occhiaie da uno che, durante il giorno, si è masturbato almeno cinque volte e un fisico scolpito non solo di culturismo ma dei culi che si è fatto in questi anni, soprattutto quello cosmico di Charlize Theron. Un culo di Venere che manderebbe in orbita di Saturno qualsiasi uomo che vorrebbe allunarsene, allupandosi nello stellare amplesso da Giove, sì, con Charlize diventi un dio greco e Plutone. Sì, l’accrescitivo di Pluto, il cane della Disney che, dinanzi a Charlize, diviene anche volpone e lo allunga più del naso lunghissimo di Sean Penn. Charlize Theron, sì, davanti a costei ignuda, non ce n’è per Nettuno!

Charlize sapeva far vedere attimi di luce a quel lunatico e ombroso di Sean ma la loro relazione durò quanto la massa per l’accelerazione di gravità, cioè un nanosecondo, e Sean, adesso, dopo essersi fatto il viaggio, girando attorno ai suoi crateri la sua lingua atomicamente solare, è di nuovo sprofondato nell’angoscia più abissale. Prosciugato e sterilizzato di ogni potenza virilmente elevata… Con Charlize, quello di Sean volava alto ma in men che non si di(c)a Sean, invece, è precipitato in basso e lo fotografano con bagasce di scarso peso quantistico. Sean scopa sempre a volontà ma non vi è più quella figona esorbitante che lo rendeva un uomo aitante.

Sean è ora solo un polpettone peggiore di The First che, nella solitudine più metafisica, si prepara polpette, ascoltando la puzza dei suoi piedi e delle sue ansie.

Sì, a Torino ci son già stato varie volte. Ma ogni volta per me è come la prima volta. Che, detta fra noi, fu una schifezza. Lei volle che le entrassi e invece io, dopo esserle venuto, svenni e persi la testa.

Impazzendo perché non ero pronto ancora a lanciare il mio missile nello spazio del suo buco nero.

E, a Torino, mi sentirò perso come Harrison Ford di Frantic.

Molti non sanno nulla della mia vita privata come in Quello che non so di lei.

Meglio così, ai miei thriller psicologici è preferibile tifare per la Juventus.

La Juve vince sempre. Io invece son spesso in zona retrocessione. Non vado mai in B e mi salvo per il rotto della cuffia ma è una vita, fidatevi, in cui devi perennemente sperare che quelli che stanno davanti perdano per superarli.

A fine anno, mi sono salvato ma è al solito una lotta.

Non ho i soldi di Agnelli e al massimo posso permettermi una Fiat Punto.

Comunque, questa vacanza di due giorni me la sparo. E chissà… ci potrebbe scappare anche finalmente una botta di culo. E, come Lino Banfi di Al bar dello sport, potrò ammirare dall’alto della Mole Antonelliana, il montepremi.

Mah, in verità, al ristorante ordinerò un Montebianco.

Ricordate: io non mi son mai fatto i film. Io conosco molto bene la realtà. E io guardo una donna con questa faccia. Di cazzo.

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di Stefano Falotico

Il Genius, il ritorno, meglio di Twin Peaks 3, e buon Natale a tutti


22 Dec

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Il cuore rivelatore, che fantastica storia è la vita!

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Il cuore rivelatore, che fantastica storia è la vita!

E tutti che pensavano assurdità sul mio conto. Lotte, invidie, mormorii, pettegolezzi.

Ma, restaurato, rinnovato, rincuorato, mi è giunto a casa il libro col mio racconto Un angelico miracolo.

E, fra un colpo di genio e l’altro, una colazione con molta panna e molto zucchero, sono io che risolvo i problemi, vero Mr. Wolf, rinato a suadente decadenza.

E se il grande Dario Argento filmò a Torino, no, a Roma, L’uccello dalle piume di cristallo, perché io non posso recarmi in questo capoluogo piemontese come il mitico Lino Banfi di Al bar dello sport e ammirare, dall’alto della mia Mole Antonelliana, tutto il panorama di questa vita strana?

Habemus Papam! Evviva le romane e anche le spagnole!

Come un gargoyle a Notre-Dame, osservo la miseria degli stolti e ballo assieme a Edgar Allan Poe la magnificenza della mia spettacolare giovinezza mia perduta o forse giammai vinta.

Tutti pensavano che fossi un martire e invece sono spaziale artista da Montmartre.

È ancora presto per ascoltare il rumore del mare, son riemerso come una marea di Mont Saint-Michel perché vado matto per quella figona di Pfeiffer Michelle. O meglio, ora Michelle è un po’ andata ma in giro ci son altre bionde che aspettano soltanto che io nei loro buchini le strapazzi come una buona frittata.

Molti pensavano che scherzassi quando mi autodefinii il Genius. E mi pigliarono per malato di mente.

Invece, io non sono né malato né inculato, resto un ragazzo con un ottimo c… o.

E d’ora in poi fatevi i vostri.

Un certo Lavstig su Facebook mi ha detto che son penoso. Dopo tre minuti, l’hanno ricoverato in manicomio perché gli son arrivate tre frecciatine che l’hanno fatto capitombolare di colpo.

Un altro, un tale Frattini, mi ha dato l’appellativo di poveraccio. Sì, questo pensionato avrà da me solo un rutto in faccia e una scoreggina distillata con enorme aplomb, silenziosa, scricchiolante nello sfintere a lui inchiappettante.

 

 

di Stefano Falotico

LA ZONA MORTA, ecco a voi il Chris Walken italiano, folle come Klaus Kinski, per fortuna


19 Dec

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THE DEAD ZONE, astenersi da questa lettura i moralisti bigotti.

Fra pochi giorni, mi inoltrerò nella cupa e magica Torino. Poiché, oramai lo sapete, io sono una sorta di Klaus Kinski del capolavoro di Herzog.

Anima tormentata, straziata, romanticissima.

E ovviamente vi mostrerò il video.

 

Intanto, vi lascio a questa copertina. Altro masterpiece che dovete inderogabilmente leggere.

 

Fratelli, dalle mie fonti, mi giungono notizie che molti di voi siano stati colpiti da gravi malattie fisiche debilitanti.

Spero che tutto si risolverà per il meglio.

E buon Natale. Ah, mi raccomando, in questo volume trovate anche un mio racconto miracoloso. Sono risultato fra i vincitori del Concorso. Avevate dei dubbi?

 

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di Stefano Falotico

 

Nella vita, chi da detto che ci vuole luce?


27 Aug

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Sempre più scuro in volto, rimesto nel “vuoto” mio più riempito di emozioni di tante persone di “cuore”. A culo, sfango… i fanghi di questa sabbia mobile mi permeano d’una beltà inaspettata e son forse più sgallettante di John Turturro in Mac, film che ho visto forse in un’altra epoca mia da “sgangherone”.

Al che, dopo una cena di frittura di mare, ancor la vita marino, “ciambellando” nel mio oceano tenebroso, fatto di fantasie coi gatti neri e di un horror che “spasima” per volerne ancora. Inebriato di chiaroveggenza in questo mondo “solare”, tetrissimo passeggio nella mia ombra cupa come una giostra vicina a un chiosco senza anima viva. Lontano da voci indiscrete mentre contemplo e (non) tocco una figa smisurata che chiede invero un uomo appunto nero, “torbido” nel suo vincere illuso di “evincerla”. Scrittore “farabutto” della mia grandezza indiscussa, lavoricchio per sbarcare il lunario, sognando una me(ge)ra Luna.

Su Facebook, una donna mi critica per la mia “perseveranza” nella malinconia. Ma mi annoia e allora una risposta tanto per scriverle io annoto. Ed è ancora notte.

Domani, nella bella alba, un gallo festeggerà la convocazione in Nazionale degli spennati “a farsi” come il centravanti del Torino, Belotti. Chiamato da Ventura, torinese di adozione, nazional-popolare di trombette in bocca.

Che cazzo c’entra questo? Eppur la ficca battendo il figo, no, la fica, insomma la tua fiacca.

 

Come il grande Belotti, bello bello do di mac, no di matto, di testa che spunta e nell’angolo te lo sbatte, perdendo contro i milanisti, berlusconiani che furono, diavoli rossi.

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