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Il professore e il pazzo, in arrivo la nuova bischerata targata dalla premiata ditta Gibson & Penn, io amo le storie vere


02 Feb

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Non ne avevamo a sufficienza delle banalità fasulle e retoriche di A Beautiful Mind, di van Gogh e sulle soglie dell’eternità che (s)semplificano la follia con la facile dicotomia genio e sregolatezza? Quante altre volte dovremo sorbirci queste mistificazioni romanzate della realtà? E per quanto tempo, soprattutto, dovrò sentire pronunciare, perfino da psichiatri e persone che presupponevo essere dotte ed erudite, davvero sensibili e dunque umanisticamente profonde (anche se poi la psichiatria è una scienza assai poco umanistica e umana), la sciocchezza secondo la quale il genio va di pari passo con la pazzia? E viceversa? Non se ne può più di una madornale, colossale stupidaggine del genere.

Luoghi comuni veramente insopportabili, verità che di vero non hanno nulla, apoditticamente sacramentate e snocciolate con una faciloneria da lasciarmi esterrefatto. Basito, sconvolto, luttuosamente afflitto. Ah ah.

Sono proprio stufo, asfissiato da queste idiozie, da queste plebiscitarie, amene puttanate sesquipedali a cui solo oramai la vostra inguaribile, immedicabile dabbenaggine può ancora abboccare.

Ieri, ad esempio, sono tornato al cinema. Da tempo appunto immemorabile non me ne recavo. Non perché non mi piaccia assistere a un grande film sul grande schermo e ascoltar dunque ogni vibrazione sonora d’un meraviglioso audio perfettamente calibrato di casse gigantesche, bensì perché sono intollerante alla massa. Ciarliera. Il loro chiacchiericcio, durante la proiezione, mi avvelena le arterie, queste persone sono vomitevoli quando parlano ad alta voce durante, semmai, la scena topica d’una pellicola, e rovinano la magica atmosfera sacra di un film, appunto, visto al cinema, sgranocchiando patatine e non solo quelle piluccate col ketchup, ma leccando e sbaciucchiando le loro topine donzelle ignorantissime che vanno a vedere un film vestite come se battessero sui viali e forse, durante il trailer di Un’avventura con la scema ma “bona” Laura Chiatti, hanno rimembrato il loro piccolo (borghese) grande amore. Passando da Mogol e Battisti a Claudio Baglioni in un nanosecondo. O sol in un nano, il loro ragazzo. Ricordando quando incontrarono Michele, soprannominato Michael nel loro puzzolente ambiente camionistico di porchette e salamini arrosto, di calze a rete e unghie laccate fuxia coi cuoricini fluorescenti sul mignolo sinistro e anellato, e furono sensazioni a pelle, soprattutto a palle, a palla. Sì, Michael, un vero “duro”. Un tosto, un bellimbusto tronista alla De Filippi che ha sempre il ciuffo che non deve chiedere mai e una barbetta “sexy” su rasatura Gillette con tanto di basette e cultura, soprattutto, bassissima. E in autoradio ficca puntualmente Marco Mengoni! Ed è anche un “fine” culturista, cazzo, mica un minchione che suona Chopin. Sì, dopo aver imparato a memoria le trigonometrie per pigliarsi la laurea da ingegnere edile (dal quale non mi farei costruire neppure la casa di Barbie, a proposito di sue bamboline dalla mente assai de-strutturabile, plagiabile e condizionabile, spesso franabile in lamentose crisi isteriche) coi punti di sutura delle sue leccate di culo a docenti più trogloditi di lui (infatti questi qua ascoltano Laura Pausini che canta in coppia con Antonacci perché, sì, sanno eseguire la planimetria di un grattacielo ma non hanno saputo nelle fondamenta allestire la loro vita, oramai crollata senz’alcun basico piano regolatore, e non sanno neppure riallacciarsi le scarpe) va in palestra ove solleva pesi mentre su occhio marpione s’infoia già (s)pompato sulle forme scolpite d’una ragazza che fa pilates su e giù di glutei marmorei mescolata a una “storia in diretta” d’Instagram e sa rafforzare la tempra di un “bravo” ragazzo, già da codesta colpito, modellato e tornito, adoratore delle donne coi coglioni. Donne con forte personalità da marmittoni e, più che da esercito disciplinato, da amplessi indisciplinatamente schifosissimi dentro caseggiati abusivi con vista sul cemento armato e murales più brutti dei loro tatuaggi. Godendosela da matti nel bilanciere dell’ipocrisia guardona da futuro dottorino ex geometra-calcolatore di una bellezza giovanile da lui edonisticamente mal soppesata. E sentita.

Poi, è passato il “provino” de Il primo re. Col bell’uomo Alessandro Borghi. Che non voleva sporcarsi troppo la faccia con Stefano Cucchi ma far capire che, malgrado la finzione veristica d’una tragedia orribile, conserva il fascino macho di uno che ancora cucca, mostrando bicipiti e tartaruga tra boschi non piliferi ma cosparsi di fango da Niccolò Ammaniti.

Sì, ero nella multisala The Space Cinema, vicino zona Rovere qui a Bologna e ho visto il filmato “muscoloso” di tal pacchiano regista imitatore nostrano del Mel Gibson di Apocalypto.

E mi sono chiesto: perché a quel razzista di Salvini non regaliamo il volantino Green Book? Così, anziché essere un moderno duce, capirà cosa significa, anzi significhi, la segregazione e sapere che, in una sua seratina da illuso morto non di fame ma di figa della ex Isoardi, è invece un immigrato sui barconi che fortunatamente s’è salvato ed è riuscito a sbarcare a stento e di stenti nella nostra penisola, però morirà lo stesso perché nessun ristorante “mafioso” della Sicilia ospiterebbe mai a cena uno di colore.

Ma non perché i siciliani siano cattivi e “padrini” con chi è un saraceno bensì perché anche un popolo “arabo” (e Dennis Hopper di Una vita al massimo docet) ha subito oggigiorno il lavaggio del cervello di un porcellino con la panza piena. Che adora senza dubbio Barbarossa di Renzo Martinelli!

Ma non perdiamoci in Salvini e persone non salvate per colpa di gente che ha travisato a sua immagine e somiglianza fascista le parole del Salvatore!

Non basteranno mille salviette per salvarci da questo scempio d’imbarbarimento culturale ai limiti del cannibalismo più oscenamente “progressista”.

No, saranno lacrime amare, anzi, solo lacrime in mare…

Le calotte polari si stanno sghiacciando per colpa del riscaldamento termico dovuto al buco dell’ozono del cervello annacquato di Salvini? Qual è il problema. Questa nostra Waterworld deve tornare coi piedi per terra e non illudersi nemmeno che i 5 Stelle potranno risolvere la siccità dando il reddito di dignità a chi, ahinoi, soffre davvero di cecità, abbisogna di un assistenzialistico sostentamento a differenza invece di chi è così paraculo, stolto e miope che si fa prendere bellamente incosciente per minorato mentale e “diversamente abile”. Quando invero vuole soltanto riscuotere l’assegno di mantenimento e far la bella vitarella coi soldi di chi si fa il culo, anche intellettualmente, e non è disposto a farsi inculare come un “negro” da questi demagoghi screanzati e moralmente ripugnanti.

Con le loro bugie e artificiali terre promesse… tese e sottese a (s)fotterci.

Basta con questi (ter)ragni, non mi farò intrappolare nella loro rete. Lungi da me abdicare a queste fregature, non mi farò mangiare vivo.

Ho una mia integrità da portare avanti a costo che mi sbudellino.

Ma non perdiamoci nel nazional-popolare e soprattutto nel loro populismo d’accatto(ni).

Dicevo…

Green Book è davvero molto bello. Sparatevi… la mia recensione e non confondete i film sentimentalmente pregiati per pellicole retoriche. Fatemi il piacere! Aiuto, mi ci vuole un paciere, anche un posacenere, vogliono bruciarmi e aspirarmi nelle loro vite già arse. Vogliono incattivirmi, spronandomi a cedere alla loro “poetica” cinica, belligerante e stronza. No, giammai.

Non affogherò nonostante, appunto, l’alta marea.

Prima, ho citato Mel Gibson. Sì, un uomo che non ho mai capito se è un bovaro, un titano della Settima Arte, un cazzaro, un alcolista manesco con le sue ex donne, un uomo di sana passione cristologica, un repubblicano o un democratico, un puttaniere assurdo o un genio assoluto.

Ma è tornato in pompa… magna, sta girando film come se fossero noccioline e sta preparando il remake de Il mucchio selvaggio.

Sì, costui è indubbiamente pazzo. Ci vuole la camicia di forza! Non sta fermo un attimo. Ma cos’è? Uno stacanovista, un ebefrenico, un epilettico, uno schizofrenico o semplicemente uno a cui piace vanitosamente essere al centro dell’attenzione?

Nella sua carriera d’attore, parallelamente a quella di controverso regista cazzuto, ha fatto un po’ di tutto. Ma mai avrei potuto pensare che Mad Max e mister Lethal Weapon potesse un giorno interpretare la parte di un professore universitario.

Sì, non so se avete mai letto lo splendido fumetto Il grande Blek. Mel Gibson, in questo film, The Professor and the Madman, è una sorta di Professor Occultis barbone e barbuto.

Che vuole aiutare e salvare la vita di Sean Penn. Uno che, fisiognomicamente, assomiglia al sottoscritto, il quale ne ha passate delle belle, per modo di dire, per essere eufemistici, ma a differenza del personaggio interpretato da Penn non ha ammazzato, sino a prova contraria, nessuno ma solo il suo uccello per molto tempo. E ho detto tutto.

Il Falotico, al di là di qualche alzata di testa da incazzato, è sostanzialmente un database vivente, enciclopedico, di attori e registi.

Conosce vita, morte e miracoli di tutti, tranne della sua vita. Ah ah. È consapevole di essere mortale, a differenza di chi vive nell’inconsapevolezza della sua finitezza e scherza sulle vite altrui con ignobile sfacciataggine, tanto da definirsi immortale, fa miracoli agli altri ed è un miracolato lui stesso con tanto di certificato psichiatrico che attesta non solo la sua recuperata, totale sanità mentale, con tutta probabilità solo turbata precedentemente da degli idioti, bensì anche la follia altrui che ha generato un casino della madonna di proporzioni bibliche.

Insomma, è il Genius.

Patente che si è auto-appioppato della quale vorrebbe disconoscere la sua paternità. Ma, ritornando nel mondo reale, ha capito che davvero è un genius. Un gigante in mezzo a dei pappagalli e a degli automi.

Perché non ha i soldi né di Mel Gibson né di Sean Penn. Ma è molto più bravo di codesti. Vorreste forse smentirlo?

Direi che, ah ah, possiamo per oggi fermarci qua.

Alla prossima, figlioli. Anzi, no…

Sì, Falotico è l’uomo che può rivaleggiare, in fatto di libri pubblicati, con Stephen King ma non può permettersi una villa nel Maine.

E mi sa che, assai presto, dovrà trovarsi un lavoro da Jack Torrance di Shining.

Impazzirà ancora? Ne dubito.

Vi racconto questa.

Il novantanove per cento della gente sulla faccia della Terra è pazza. Solamente che non lo sa. Perché non è mai stata esposta a situazioni davvero gravi o sfortunate tali che sia riuscita a prendere coscienza della sua malattia. Si chiama ipocrisia. E ignoranza.

Che culo. Non mi credete?

Prendete Rocco Siffredi. Lui scopa ragazzine e mamme da mattina a sera e la gente lo rende ancora più ricco, noleggiandosi i suoi filmetti. O guardandoseli in streaming. Poi, appunto, va al cinema mano nella mano con la figlioletta a cui fa vedere cose “sane e giuste” come Harry Potter.

Invece, Giuseppe, uno del mio rione, solo per aver detto troia alla sua collega di lavoro poiché lei gli ha fregato l’ufficio, succhiandolo al direttore, è adesso in clinica psichiatrica e credo che ci rimarrà per molti anni.

Questo non è moralismo né maieutica, non è pedagogia né retorica sinistroide. È la sconcertante verità.

E vi chiedo, per favore, di svegliarvi.

Non sono The Punisher.

Sono e non sono, oggi sì e domani no.

Come tutti.

Dunque, finiamola con le stronzate, cinematografiche, psichiatriche e non.

Non fanno bene a me, non fanno bene a te, non fanno bene in fondo a nessuno.

E come dice il proverbio, appunto verissimo: lo scherzo è bello quando dura poco.

Quando dura troppo è una mostruosità, un omicidio bianco e anche uno scandalo terrificante.

Per quel che ho imparato, in ogni storia di “follia”, vi è sempre di mezzo un vigliacco psicopatico che si diverte appunto da morire a coglionare il prossimo, giocando sulle suggestioni e il potere ricattatorio di un vantaggio psicologico. Ci sono molte lampanti verità che, per quieto vivere, si preferisce zittire.

E ci sono situazioni “incontrollabili” che, anziché chiarire con coraggio, si preferisce seppellire nell’omertà più “candida” e politicamente corretta. Pronunciando al massimo… mi rincresce, buona vita, auguri…

Per non inquietare nessuno, soprattutto il diretto interessato della storia di follia.

Esiste un termine per definire quest’atteggiamento scioccante e orrendo. Filisteo.

Essendo lessicografo, filisteo deriva dalla leggenda di Sansone.

Crolla lui ma fa crollare anche tutti gli stronzi.

Qualcuno ha ancora dei dubbi?

Se sì, alzi la mano e scagli la prima pietra.

 

Come dice Mahershala Ali: non si combatte un’ingiustizia con la stessa violenza, psicologica o fisica. Non si vince con la rabbia mal dosata e neppure con le urla o appunto con le “follie”. Bensì col talento, la dignità. Con questa forza.

È con questo che li distruggi.

E se vi sentirete dire che siete penosi, non siete cresciuti e continuate a credere nei sogni come degli adolescenti viziati, mandateli a farselo dare nel culo.

Sebbene sia un film mercantile, la vita è davvero come Rocky 4. Quando il “nano” Stallone le prende di brutto e poi all’improvviso sferra un colpo devastante a Ivan Drago. E Drago comincia ad aver paura.

In quel momento, Drago capisce che, sì, è fisicamente superiore a Balboa ma è più lento, meno geniale, meno imprevedibile, e di fronte ha uno che sa combattere come una furia e può davvero annientarlo.

E trema.

Davide contro Golia.

 

Lezioni di vita numero uno.

È con questo che li distruggi.

 

di Stefano Falotico

Sam Rockwell, succede sempre così… giochi occidentali e da Oscar


10 Mar
HEIST, Ricky Jay, Sam Rockwell, 2001, (c) Warner Brothers

HEIST, Ricky Jay, Sam Rockwell, 2001, (c) Warner Brothers

Ebbene, non mi finirò mai di stupirmi della prevedibilità insopportabile della gente. Sino all’altro ieri, Sam Rockwell era un nome che diceva poco o nulla a molti, perfino ai cinefili più accaniti e maniacali. Che semmai lo ricordavano per la sua prova esuberante e ambigua in Confessioni di una mente pericolosa, perché segnò l’esordio registico di Clooney, per essere stato “il genio della truffa” di Matchstick Men, con l’unico Nicolas Cage amabile degli ultimi vent’anni, per essere stato il figlio sfigato di De Niro nel discutibilissimo remake di Stanno tutti bene, per essere stato allu(ci)nato uomo perso in Moon, e qua e là una macchietta buffa e stravagante in tante altre pellicole, più o meno dimenticabili, di cassetta usa e getta.

Ecco che all’improvviso con la sua performance in Tre manifestti… diventa un attore “cult”. E già se ne scrivono monografie e si allestiscono premature, imbarazzanti agiografie sulla sua carriera, definendolo geniale, inconfondibile, lunatico, appunto, uno dei volti irrinunciabili del Cinema degli anni a venire. Sì, perché potete scommetterci, non viviamo più in un’epoca in cui il Timothy Hutton di turno, premio Oscar come non protagonista per Gente comune, lentamente sparisce nell’anonimato o viene relegato in film insignificanti che semmai neanche gli americani vedono. Adesso, la statuetta del nostro zio Oscar garantisce, a meno che la persona premiata non venga colta da pazzia, da insanabile depressione, a meno che da solo non si butti via, affogando nell’alcol, nella droga e altri “problemi” di sorta, a meno che per “indisposizione” non sia lui ad allontanarsi dal grande schermo, ecco, garantisce ripeto uno status pressoché intoccabile, che permetterà a Rockwell di essere bombardato di richieste lavorative in film che, posso giurarvi, saranno di medio-alto profilo. E, chissà, potrebbe fra un po’ anche salire al trono nella categoria di Miglior Attore Protagonista.

Il solito gioco occidentale delle maschere. Insomma, prima dell’Oscar questo qui se lo cagavano in pochi, adesso è diventato un grande. Indiscutibile!

Stessa sorte, anche se in termini diversi e più stratificati, toccò a McConaughey. Da tutti, oramai, veniva considerato solo un bel faccino con un prestante corpicino ridottosi a girare commediole scipite, poi arrivò la McConaissance, e nel giro di una manciata d’interpretazioni fortissime e folgoranti ribaltò ogni cattivo pronostico, affermandosi come attore amatissimo anche dai più severi critici. Aspettando, dopo i recenti, mezzi passi falsi, le sue prove in Serenity, White Boy Rick e Moondog.

Sì, l’Occidente basa le fortune altrui sul caso, sulle circostanze favorevoli, come si suol dire, sui giri della ruota nella giostra dei desideri. C’è chi accetta questo gioco abbastanza squallido, pusillanime e falsissimamente meritocratico, e chi abbandona ogni sfilata e carro. Si dice che chi lo faccia sia comunista. Non so. So che c’è gente con tre lauree che si trova disoccupata, e invece un ragazzotto ignorantone, che scoprì le sue doti in mezzo alle gambe, è diventato miliardario, scopando da mattina a sera, senza mai aprire un libro in vita sua. C’è uno che si chiama Justin Bieber che ha fatto sfracelli con un paio di canzonette per ragazzine brufolose e ora, dopo un paio di canzoni belline e orecchiabili, è preso sul serio anche dai “musicologi” più in vista. E guadagna più soldi di venti generazioni “normali” messe assieme.

Sì, la vita nell’Occidente è spesso questione di culo. Di sfacciate, alchemiche combinazioni “vincenti”.

Non c’entra quasi mai la vera bravura, il vero talento, non c’entrano le reali abilità.

C’entra il gioco di dadi. Se a questo si abbinano professionalità e un pizzico di dedizione, ecco che sbanchi…

 

 

di Stefano Falotico

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