Archive for August, 2016

La battaglia di Stefania Grassi per il suo copyright. Presunto?


04 Aug

La Grassi, da Ottobre dello scorso anno, continua a sostenere che il cortometraggio Ellis di JR con Robert De Niro sia un plagio della sua sceneggiatura, The Main in Tails.

E ora pare abbia ottenuto soddisfazione, dopo lunghi proclami, denunce e accuse a De Niro e alla sua Tribeca, poiché il trailer di Ellis sul canale YouTube è stato disattivato del suo audio.
Per rivendicazione, appunto, di un presunto copyright.

Chi ha ragione?

 

Sinceramente, è stato rivendicato il copyright ma non vedo di che gioire, ancora. Fino a prova contraria, il nostro audio è stato disattivato momentaneamente finché non sarà stata fatta chiarezza su tal accaduto, ma è una temporanea sospensione, come scritto sotto al video ufficiale del trailer di Ellis.

Tanto rumore per nulla?

Vedremo.

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Al grande Bob non fa né caldo né freddo (?).

Eppur si gela.

I giganti o i gitani?


03 Aug

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In questa società ossessionata dal cul(t)o dell’apparenza, è tutta una lotta fratricida per imporre la propria personalità, come se poi averla significasse essere migliori.

Io non posseggo una “forte” personalità, cambio sempre la traiettoria del mio pen(s)are tra la foll(i)a e oggi sono allegro e anche oggi meno. Sì, meno, da “picchiatore” dei miei (ri)sentimenti, angustiato da tanti ricordi spezzati, sfilacciati che diventano memoria. Non so se memorabili ma comunque appartengono alla mia “memorabilia”, a quel flusso incantato di esperienze, anzi, d’aver esperito, respirato, le mie colpe, se ne ho, espiato, perfino aver il prossimo, nelle sue mancanze e vigliaccherie, spiato. Sì, fui spione di molte vite altrui, soprattutto cinematografiche, “biografizzandomi” in Robert De Niro quando, adolescente, nutrivo il suo “nitrire” e il mio simbiotico a lui sentire. Ora che è senile, mi sento io giovan(il)e. E, come lui, deniriano.

Non ho mai amato Fellini, anche perché mai scattò con lui il feeling. Quelle sue storie provinciali didolci vite vitellonesche mai scatenano in me l’amarcord.

Passeggio come Garmbardella nella mia grande bellezza, sfiorita da tante donne che mi sfiorarono e non volli “forare”, no, far fiorire, disprezzando la loro boccaccesca voglia di mio uccello.

È al cerv(ell)o che bisogna legarsi e accopp(i)arsi, non al bastone della vecchiaia del matrimonio, sappiatelo, infedeli e coniugi cornuti.

Tutti vogliono primeggiare ed essere dei giganti. Siate invece zingareschi e gitani, e apprezzerete le torte di mele anziché le torri di male.

Così sia. Sempre mi sia lodato.

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di Stefano Falotico

Un boss sotto stress, recensione


02 Aug

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Ecco che ricomincia la terapia. Seguito dello spassoso Terapia e pallottole, nel 2002 approda nei cinema il seguito, Analyze That, ancora una volta diretto dal compianto maestro delle commedie leggere Harold Ramis, e interpretato nuovamente dall’affiatatissimo duo formato dal grande Bob De Niro e dal raffinato Billy Crystal, attore con la sordina di prodigiosa levità.

Non fa scintille come il primo, ché era fresco e originale, e sapidamente mesceva Woody Allen tritato in salsa “volgarotta” con Martin Scorsese diluito in più “cervellotica” baldanza.

Ma diverte, nonostante tutto. E le critiche che (ci) furono alla sua uscita sono, “riviste” oggi, immeritate e forse troppo smisurate.

Paul Vitti è in carcere ove, non resistendo alla dura vita carceraria, entra in un forte esaurimento nervoso che lo fa precipitare in un allucinante stato catatonico misto a momenti eclatanti d’euforia in cui, “infantilizzato(si)”, canta a squarciagola e senza freni inibitori le canzoni più celebri di West Side Story.

Con tutta probabilità è un artifizio, una messa in scena atta a volersi liberare della condanna. Nonostante tutto, viene affidato alle cure del dottore psichiatra di Manhattan Ben Sobel, che ora abita alla periferia ricca di New York, in una villetta home sweet home. In custodia cautelare, però Vitti contravviene alle disposizioni, tenta “disperatamente” di coprirsi dietro lavori onesti per dimostrare, con esiti nefasti e fallimentari, il suo reintegro sociale, ma la sua indole è sempre costituita da un temperamento criminale, eh eh, assai poco curabile. E, infatti, nella sua libertà vigilata, anziché attenersi alle prescrizioni e al programma di “cura”, orchestra di nascosto maneggi per ritornare sulla scena.

Ne nasceranno delle belle, fra equivoci “svolazzanti” e solite battute a raffica di mesta compostezza, non troppo spinte né infastidenti lo spettatore esigente.

Spettatore che deve accettare la “farsaccia” senza troppe pretese, accontentandosi di uno svagato spettacolo di circa due ore, ammaestrato da Ramis con elegante “discrezione” che non dà nell’occhio ma, spesso, ammettiamolo, induce al sorriso con gioviale nostra disarmata partecipazione.

 

di Stefano Falotico

La decadenza di Tarzan


01 Aug

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In questa società pusillanime e infingarda, un uomo si (e)leva di “trono”, è il re delle scimmie fra gli scemi e gl’idioti, con far allegro vivissimo scimmiotta.

Per lungo tempo, nella mia vita da “vegli(ard)o”, i lardosi su di me vegliarono. Vigilandomi, allertandomi con patenti di malato di mente e addebitandomi i peggiori mali, che maiali. Ma seppi (r)esistere con scrupolosa e indubbia “scontrosità”, mai dando nulla per scontato, anzi, “dondolandomelo”. Ché la masturbazione in tutti i sen(s)i, quando così esibita, è foriera di superba “pastorizia”, d’un autoreferenziale godimento che ha da farsi… invidiare. Gente schizzinosa, proiettante l’etichetta di disturbato e disturbante. Ah, vorrei vederli come me turbati, son personcine a modo col “turbo”, sempre frenetiche e indaffarate a cazzeggiare coi destini alt(ru)i. Ebbi modo di disarcionarmene e sempre più “allacciarmelo”, ripudiando con “elevatezza” questa marmaglia d’uomini abbottonati alle “buone” maniere, soddisfacendo il mio egocentrismo nobile e anche “nubile”, da santo ambiguo, da letterato al di sopra della massa, ché sa che il plurale di odio è odi, uditemi bene, e non “odii”, così scelleratamente scritto da qualcuno, anzi da molti. Non odiate, le mie parole udi(re)te quando i tempi saran bui e dovrete il cervello oliare oltre al mio uccello canterino. Sì, parlo col mio uccello, che sta sempre “fuori”, e discuto di politica coi polli, spacciandomi oggi per democratico e domani per uno di sinistra destrorsa, cari orsi. Non ho molto da insegnare se non che l’ipocrisia si combatte solo con la mestizia malinconica, ché riflette per ritrovarsi paciosa e savia, e non con la rabbia che genera appunto razziali odi. Le donne vogliono di “solido” i soliti, e io son solo col sale, no, senza zucchero, (a)mar(o) col Sole. Il resto, nella vi(s)ta, è un pugno nell’occhio.

 

Rispondete a questo mio scritto con un boh.

Meglio Derek Bo.

 

 

di Stefano Falotico

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