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Pasolini era un genio ma anche un uomo troppo polemico – I quattro gran pagliacci più belli e duri della storia


15 Aug

Falotico

Pier Paolo Pasolini non si discute. Però, fra molti suoi film e libri eccezionali, fra molte sue parole straordinarie, a ben vedere e leggere, vi ravviso anche molta frustrazione.

Basterebbe questa sua storica frase a dimostrazione del mio Teorema:

Li ho visti, li ho visti in folla a Ferragosto. Erano l’immagine della frenesia più insolente. Ponevano un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parevano in uno stato di «raptus»: era difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti.

(Pier Paolo Pasolini)
Ecco, a Pasolini che fregava della felicità degli altri? Talvolta, era invidioso come Michael Wincott de Il corvo? Secondo me, sì.

Detto questo, in Italia abbondano i luoghi affollati a Ferragosto? Anche. Soprattutto, abbondano i luoghi comuni…

Vi faccio un esempio. Se un uomo ha una vita non diversa, sessualmente parlando, bensì solamente diversa dalla massa, la massa gli vuole far credere di essere, in ogni senso, un diverso. Poiché imperano, ahinoi, ancora le discriminazioni omofobiche e razzistiche.

Di mio, solo perché non mi sveglio la mattina e svolgo un lavoro mediocre, ricevo offese bulliste delle più vergognose e deplorevoli.

Non sono omosessuale ma la gente ignorante si dimostra più burina del Pelosi e ti dice che devi avere più pelo sullo stomaco. Scusate, se sono abbastanza glabro, devo diventare uno scimmione?

Non capisco.

Fatto sta che ci tengo alla mia “diversità”. In un mondo cinico, sono romantico come tutti i “grandi pagliacci”. Sono “stupido” come loro, eterno adolescente come loro, sono quello che sono e vi dirò di più, spesso non prendo sonno.

Semplicemente perché soffro d’insonnia? No, perché è finito ferragosto ma non si riesce a dormire.

Dei tamarri, sotto casa mia, all’una di notte fanno casino. Ah ah.

Amo Joker, Eric Draven, Cheyenne di This Must Be the Place e Robin Williams de La leggenda del re pescatore.

 

di Stefano Falotico

JOKER: THAT’S LIFE e le Luci della città si tingono mansuetamente di candidi effluvi nell’ira sopita


12 Oct

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C’est la vie e si sospira.

Rifletto, scuoiando i miei turbamenti nella discernenza d’una ritrovata immacolatezza.

Ogni rabbia oramai ho smarrito, tergendola nell’etereo struggimento della mia impalpabile vaghezza. O forse è solo smemoratezza che, riscaldata in notti di morbide nuvole e nuove fresche brezze, nell’ebrezza della mia candidezza giammai svanita, oh sì, si rispolvera come se ieri mai fu e il domani si svela semplicemente come il presente d’un torpore romantico assai fluido. Probabilmente soltanto furbo, invero, a esservi sinceramente melanconico, debbo confessarvi che giacqui nelle catacombe del mio cuore incancrenitosi eppure non del tutto inariditosi ché, fulgidamente riertosi in gloria, di vita ancora potente mi fulmina.

Se i miracoli esistono, io ne incarno la quintessenza poiché, laconico per non dire taciturno, diciamo muto, sepolto dalle mie apparentemente inguaribili tristizie, vagai con vista quasi daltonica nella beltà d’oscuri ma sognanti, splendidi deliri non so se allucinanti, sicuramente un po’ farneticai e ai miei coetanei risultai ingombrante.

Posso comprenderli. Erano anch’essi assorbiti dalle loro problematiche adolescenziali senza tante vie d’uscita. Perché mai avrebbero dovuto capirmi? Io, per caso, capii loro?

Soffrimmo tutti di mancanza d’empatia. Obbligati e obliati, castigati e complessati, compressi in corpi e anime troppo ancora tenere per potersi congiungere amicalmente unite e robustamente vere.

Ieri dunque vivacchiai, anzi, scomparii dalla vita e mi tacqui ermeticamente come un sottaceto, affogato dal veleno delle mie stesse ansie nelle quali annegai quasi come un’ameba nella melma. Annacquato e soffocato, riemersi in maniera fantasmagorica e brillante.

Malgrado, qualche volta, ancora sparisca come un fantasma per poi riapparire turgidamente gagliardo alla maniera d’un magnifico pagliaccio che, dopo tante nottate all’addiaccio, non ha per niente però intenzione di venir vinto dalla tenzone dei panzoni. Poiché costoro, già nell’anima troppo falsamente preti o periti, non sono dei buoni pastori, bensì soltanto dei cattivi impostori.

Energico come Jeff Goldblum de La mosca, mentre loro persero e ancora perdono, io perdono ogni vile affronto e rinunzio, da grande uomo, a ogni vendetta da Eric Draven.

Poiché come Charles Chaplin, chiamatelo e chiamato anche Charlie, so che il mondo è dominato da irredimibili dittatori e non possiamo, amici, sconfiggerli con la stessa presunzione.

Possiamo solo ballare e ridere felici, liberi da ogni malvagio untore. Con una piccola, lacrimevole goccia di malinconia che ci squaglia il viso nella venustà del tempo che non esiste, eppur nuovamente si patisce, quindi si gioisce.

Poiché io sono l’uomo che visse, morì, rinacque e ancora forse creperà ma, dai sepolcri del mio perpetuo sonno senza respiro, risorgo sempre come un’araba fenice.

Buona vita a tutti.

Ai miei parenti morti che sono lassù, a chi non c’è più, a chi c’è e forse non sa ancora di essere.

 

di Stefano FaloticoIMG_20191012_103338_655 IMG_20191012_101703_317

 

Credo, in fin dei conti, di essere davvero il peggior attore della storia, tranne quando recito davvero


25 Nov

Johnny+Depp+Fantastic+Beasts+Crimes+Grindelwald+rWmH2TtY5pJl

Sì, nella vita di tutti i giorni, sono l’attore peggiore che si sia mai visto nella storia.

A volte, anzi spesso, le circostanze esistenziali ci obbligano a recitare una parte. A fingere spudoratamente. Perché, se dicessimo la verità, chi ci vuole bene entrerebbe in apprensione e io non voglio allarmare nessuno. Dunque, mento e mento ancora mentre la mia mente sta vivendo, può essere, degli stati di demenza o soltanto, probabilmente, di profonda acquiescenza. E il mio sguardo si perde nel vuoto più abissale e insondabile anche se davanti a me compare una figa colossale.

Sì, in certi momenti, voglio starmene per i cazzi miei. E oscuro dalla mia vista perfino le cose e le cosce piacevoli. Sterilizzando le mie iridi a espressione acquosa di un apparente io deficiente e armonioso. Invero, nelle intimità inaudite della mia anima sgualcita, ribollono pensieri cupissimi. Quasi suicidari. Pensieri di uno che pare abbia avuto una vita secolare e invece è ancora uno scolaro.

Sì, io ho molto d’apprendere. Non si finisce mai d’imparare anche quando credi di aver capito tutto e non sai prepararti neanche un panino. Ah sì, miei panini, farcitevi da soli, non ho tempo da sprecare nell’affettare il prosciutto, oggi voglio essere affettato e non posso perder attimi preziosi ché desidero affrettarmi per mangiar una buona patatina. Succosa, con tanto di salsa, ah, senti come si sgranocchia questa gnocca fra i miei denti e, sulla sua lingua abbrustolente, ausculta nel cuor succhiato le profumate sue papille gustative, poi si posa con letizia tutta la sporcizia… sì, un rimestamento schifosissimo di salivazioni puzzolentissime, nonostante il dentifricio, questa sua bocca carnosa quasi quasi mi rende un vegetariano e non voglio più mescere la purezza del mio alito nella gola del suo fetido smalto.

Che cazzo significa? Significa.

A parte la tal parentesi agra, agreste, silvestre e di orgasmi poco celesti, sì, sono un attore pessimo.

Un libro aperto. Posso simulare uno sguardo da monaco tibetano ma si vede lontano un miglio che la mia anima è funestata da preoccupazioni trivellanti ogni mia budella spappolata.

Oppure, rido fintamente euforico quando invero, amici, mi sento talmente triste che potrebbero usarmi a Viareggio come carro allegorico, sì, una maschera carnascialesca da uomo la cui parola preferita è malinconia. Con tanto di occhio pittato e la gocciolina nera simil Il corvo.

Un uomo zombi imbattibile, una sfinge lacrimosa eppur ingenuamente cremosa. Le donne mi guardano, s’inteneriscono e, mosse a compassione, desiderano che sia loro passionale, ché mi strugga nelle lor roventi coscione dopo tanta smodata, dolorosa alienazione e, nelle lor gambe ruggenti, mi devasti per orgasmi distruttivi e vulcanici in unte e congiuntesi esistenze prosciugate da sfinimenti resilienti a ogni dapprima piacere rinnegato, esistenze amareggiate che, in un frangente di cazzuta solidità, si compenetrino d’infiammata vacuità empatica, ma io mi sciolgo solo nel leccare un altro ghiacciolo. Quando delicatamente suggo ogni colorante di tanto gelo refrigerato e poi nella mia pancia riscaldato.

Sì, molte donne mi cercano, tumefatte dal mio viso angelicamente diabolico ma me ne sbatto Le riempio di complimenti per dar loro cinque minuti d’illusoria, masturbatoria felicità, eppur sostanzialmente me ne fotto.

E, sopra il ramo di un albero, con la gamba accavallata, suono la chitarra mentre un uccello, lindo e puro, sorvola le mie ansie e mi caga in testa.

Sì, anche in questo caso faccio buon viso a cattiva sorte.

Dicono che le cagate portino fortuna e, se mi avete letto fin qui, questa è una cagata che spacca il culo.

Fidatevi.

 

 

di Stefano Falotico

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