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Leonardo DiCaprio fu agli Uffizi, il Falò è giocondo in quanto anche La Gioconda! Ah ah!


20 Jun

Nel mondo, vi fu anche da Vinci. Voi, invece, cosa vinceste? Siete vinti, qualche volta avete vinto? Il Falò è un vincente? No, ma avvince.

dicaprio uffizi firenze

Il Cinema perduto: la memoria nostalgica de Il nome della rosa, di un saggio che non indossa il saio e non prega col rosario


23 Mar

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– Maestro, posso chiedervi una cortesia?

– Chiedi pure, ragazzo.

– Mi distruggeresti una volta per tutte questi nani?

– Con molto piacere.

 

Come saprete, poiché voi sapete di me tutto e spesso fiutandomi e poi inevitabilmente rifiutandomi, vivo mi linciate e come se io fossi una strega mi bruciate, rattristandovi io coi miei rifiuti poiché uomo malinconico che suona il liuto e, avendo gran fiuto, non può accettare parimenti e inversamente voi in quanto maliziosi e infingardi, della mia anima ingordi e di pettegolezzi pronti a rendermi lordo, ecco… io rifletto nel silenzio delle mie scelte monastiche, forse soltanto dinastiche. Ereditarie d’una generazione famigliare avvezza all’innata dannazione della propria sanguigna, genealogica, dunque consanguinea idea alogica d’una realtà materialistica a cui noi, combattendola da sempre, schierandoci a muso duro contro le false credenze popolari, le superstizioni voraci, infrangendo un dio finto, opponiamo la resistenza lupesca degli uomini melanconici afflitti da troppo mal d’amore. Dai cangevoli umori. Da diavoli agnostici.

Un nostro sentimento accorato alla verità del nostro pulsante, romantico cuore elevato e immolato a magnificazione della santissima trinità d’una reale oggettività.

Siamo malati di licantropia. Così come recita Adso da Melk al suo mentore nella famosa biblioteca dell’abbazia.

Rimembro il tempo e medito severamente sulla dissipatezza dei vostri inutili giorni che si fingono allegri e si acconciano di frivolezze da me reputate stantie. E sconce.

Ho rivisto Il nome della rosa con Sean Connery, raffrontandolo poi con la serie televisiva con John Turturro.

So che mi screditerete e forse scomunicherete per questo mio lancinante dubbio che mi sta tormentando in modo martellante. Ma, dopo dovute e acute, appunto, riflessioni in merito, malgrado riconosca a Connery la sua allure magnetica e, nel rivederlo così calibrato, misurato, interpretativamente carismatico, debba io porgli e rinnovargli complimenti sentiti di stima profonda ed eterna, forse gli preferisco Turturro.

No, non bestemmio come il gobbo Salvatore/Ron Perlman, uomo eretico di penitenziagite e blasfemo, deforme di sue estetiche bruttezze poco piacevoli ai vostri sguardi giocondi.

Sono un giudice forse troppo frettoloso come Bernardo Gui? Lo riconosco. Eppure, nonostante la classe di Connery, Turturro, sì, maggiore finezza e sfumature psicologiche rilevanti al suo Guglielmo da Baskerville ha saputo sobriamente infondere.

Detto ciò, dopo averlo opportunamente recensito, posso asserire altresì, in pieno orgoglio, che Il nome della rosa con Connery è un grande film soltanto nell’ultima mezz’ora. Quando, nel tripudio incandescente ed evaporante su rifrangenze lunari fantastiche di un casino pirotecnico, fotografato e immortalato in modo crepuscolare da Tonino Delli Colli che giocò sapientissimo con luci languide, esotericamente di fiamme dardeggianti e taglienti il buio di un’era oscurantistica e tetra, esplode il putiferio salvifico d’una incommensurabile notte degli orrori e degli spettri smarriti di quel che fu ieri ed è già svanito.

Oramai tutto è finito.

La biblioteca, bruciata da cima a fondo, il luogo meraviglioso ove erano raccolti i maggiori manoscritti della cristianità, appassisce e crolla in un batter d’occhio nell’essiccante erosione dell’inesorabile tempo turbolento, anzi, s’inaridisce istantaneamente a crocifissione tombale e al contempo monumentale del suo stesso tempio maledetto. Covo di oscure macchinazioni inconfessabili, di luciferini ciechi che odiavano il riso. Forse amavano gli spaghetti. Ah ah.

 

La cultura e la conoscenza sono state distrutte dal progresso barbarico dell’imperscrutabile volere di dio.

Ma la vita va avanti e, come in Blade Runner, è tempo di morire. E forse rinascere.

Sì, adoro questo Cinema fuori dal tempo. Era più bello, più stupefacente.

E si respirava davvero l’aria mitologica della Settima Arte benedetta dal fuoco virulento e vibrante di storie strepitose che c’entusiasmavano in maniera vigorosa.

Il Cinema di allora profumava di leggenda portentosa.

Quando noi tutti, raccolti intorno a un falò, auscultavamo l’odore del nostro cuore e c’emozionavamo come bambini nelle abissali voragini stupende della sospensione mistica e metafisica del tempo.

Dei nostri templi…

Ora purtroppo questo tempo è stato distrutto dalla volgarità, dall’ignoranza, dalla superficialità di un mondo più medioevale di quei tempi bui dei quali vi ho narrato.

Buonanotte.

 

 

di Stefano Falotico

Falotico scatenato, un Raging Bull a cui nessuna camicia di forza riuscirà a contenere il suo Genius esplosivo!


12 Jan

 

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Pindarico, egli s’insinua tra la folla mattutina, entrando in un bar con far smargiasso, scolandosi un cappuccino su occhio cremoso e capelli schiumosi, sì, appena docciati con shampoo carezzevole su alopecia leggermente accennata di stempiatura sexy indubbiamente affascinante.

Con carisma da Sean Connery, figlio di un’epoca romantica e medioevale, il Falotico al bar si beve gli oscurantismi della gente bigotta e ubriaca la cameriera con un gioco inaudito di accigliate sopracciglia smodatamente ammiccanti per indurla a “bevande” sovreccitanti. Affinché la donzella estragga la sua “spada nella roccia” e la conficchi morbidamente dura e scintillante in mezzo alle sue gambe fragranti senza cinture di castità ammorbanti. Egli pietrifica le donne col suo sguardo suadente e le rende morbidamente arrapate, sciogliendo ogni lor dubbio moralistico grazie al suo infallibile, forse anche fallico, fiuto da cavaliere a volte senz’arte né parte eppur sempre galoppante per altre cavalcate imbizzarrite da uomo irrefrenabile.

Alza il ponte levatoio della donna arroccata nelle sue ansie ermetiche e le leva tutto, elevandola in gloria rocciosa e semmai a qualcun altro dandola in sposa. Sì, prima lui la spossa ma poi, come un altezzoso signorotto, non gliene frega un cazzo di averla come regina e, irredento e sotto i baffi ridenti reo, è sempre più un principe cerca moglie con la sua voce da Tonino Accolla. E dotato più d’un nero Eddie Murphy.

Sì, stanno preparando il seguito di questo film di John Landis, ancora i vili miserabili mi perseguiteranno ma orsù, donne, per altri sogni poetici ed ero(t)ici di amori prelibati seguitemi a fiotti in altre fiorite e fiorenti lande. Lontano da me però le mignotte! È pungente il mio fioretto, pungente nel tuo grilletto e or vi do dentro da fur(b)etto con un orgasmo schietto. Tutto ritto e lì diretto, il Falotico guarda un filmetto e poi mangia un buon filetto. Finito che ha di fare il gagà, sublima una scopata mai avuta con Lady Gaga, fottendosene altre a gogò. Egli non è mica uno squallido gigolò ma un uomo che sa donar calore a ogni ore senza mercificarsi, a differenza di voi, da fetido puttanone e da cinico senza core.

Egli ama, non ama, forse è solo l’incarnazione di un Mah…

Dunque, ritorna a occuparsi di Cinema con classe elegante dopo il suo corteggiamento galante.

Imprendibile, corre nei suoi neuroni belli e impossibili, elucubrando teorie sulla Settima Arte e allestendo pensieri proibiti e inconfessabili sulla vicina di casa dalla quarta abbondante, artisticamente poco elevata ma donna che tira su un uomo con rozze eppur toste piluccate scoppiettanti. E, bagnando di qua e di là, piove a voi e in te, donna, ancor spiovve liquidamente in una notte di gran alcova fottutamente penetrante in cui, cogliendotela in (de)flagrante, m’hai ancor nuovamente reso brillante!

Giammai arresosi, il Falotico è proprio una testa di cazzo inarrestabile e pimpante, pompante, talvolta farneticante e blaterante eppur sempre aitante.

Se non è un Genius questo, ertamente non lo sei tu, faccia da culo devastante.

Insomma, diciamocela, non solo ha uno strepitoso glande ma è in verità proprio il più grande.

E ricordate:

 

– Chi? Falotico? Non lo voglio più vedere – disse l’uomo invidioso del suo talento.

– Chi? Falotico? Glielo voglio ancora vedere, sentire e toccare – rispose la donna ancor memore di tanto godimento.

 

di Stefano Falotico

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