Archive for September, 2013

Stallone e De Niro in vestaglie ufficiali da “Grudge Match”


11 Sep

Il 13 Settembre 1979 nacque il Genius


11 Sep

Storia di un maledetto che si “denirizzò” nel neo anomalo, spuntato sulla guancia per empatie a pelle di Andolini Vito…

Meglio che suonare il mandolino!

Sì, sto assumendo un look sempre più somigliante al Bob. Ieri pomeriggio mi “rivolsi” allo specchio e notai che la lentiggine sulla guancia s’è ingigantita a forma nera, dunque deniriana, di verruca. Una mutazione “metacinematografica” da far impallidire Kakfa e Cronenberg. Ma tutto ha una “regione”. Sì, Bob veniva chiamato Milk da giovane, io sono solo Bobby con la lacrima sul viso… comunque, meglio il colorito ceruleo, pulito al “cloro” e non annerirsi nelle rughe, poi liftate con incuria, delle corali voci di massa.
La mia pubertà fu umorale a pois. Precoce di masturbazioni in solitaria, le “avvenenti” mie compagne delle medie, mediocri in termini fisici nonostante ambizioni da scienziate di Fisica (sarà stata colpa di quello “laureato” all’ISEF, un povero paraplegico che s’eccitava dinanzi a tante fiorenti “gioventù”, impartendo flessioni “ginniche” al suo senza rotelle eppur in carrozzina), un po’ me la mostravano nell’accavallar di gonnelline sotto i banchetti birichini quanto poi, “tirandomi” un affettuoso bacino, concupivano schifezze per eccellenza, leggasi bifolchi maniaci che, di “manesco”, già agitavan le “acque” appena mestruanti. Sì, tutto un mescolio di ormoni appena venuti a galla, fra galli che poi avrebbero dimenticato ogni putrefatta “prima volta” con tali gallinazze nello svoltar, previo “sviolinate” da lacchè, a impiegati col “bianco” colletto.
Sì, prima non sapevano coniugare, poi impararono a memoria la pappardella nell’adolescenza più da papaveri con le “paperine” sboccate-imboccantissime, “solari” quanto depresse ma bastava un “poco di zucchero” e andava giù… glup glup. Galoppate d’arrivisti sulle “bimbe” che emulavano, già mule, le modelle sulla copert(in)a della (ri)vista…

Fu allora che mandai tutti a farselo dar nel culo. Questi paraculi non meritavano un Travis Bickle “straniero” al porcile già avviato… M’innamorai di De Niro e scomparvi nella Notte più “allegra”. Quegli animali scopavano, cazzi che non mi riguardavano. Nessuno/ anche ora mi caga? Per fortuna? Già la mia merda basta. A bestia! Ci mancan solo le racchie, dei cessi e la coprofagia. Per quanto mi concernette, a tal “cenetta”, ho sempre prediletto farvi i “grilletti”. Polemico, asociale, contro ogni convenzione e talvolta, guidando nello “sbandare”, anche punito di contravvenzioni. Meglio di chi si punge nelle vite artificiali! Ah, per rimediar la figa, vendereste le siringhe anche a un barbone senza stringhe. Sarò stringato se non mi capite. Se sei un drogato, ti slogo. Il braccio è mio.

Non ci vedo della perversione. Ognuno ha la sua. Se la tenesse quella zoccola… sta sol che nella gatta ci cova. Altro che cicogne. Queste partoriscono già a dieci anni, previo aborto pagato dalla madre che si fa il lor teen.
Sì, un figlio di papà per minorenni e milf.

Mi terrò sempre bene, conservato di fascino al pepe di pene, al buon come il pandoro, e faccine con la “sordina” da Corleone, Brando a “venire” come miglior attore della sua generazione. Anche se Pacino lo surclassa. Va detto. Tutta la saga, non seghe mentali perché Coppola conosce i mafiosi “ipocriti” ch’eppur pregan sotto la “cappella” nel togliersi il cappello col “baciamo le mani”, è costruita su Michael.
“Puro” da proteggere così tanto che diverrà, appunto, il più cattivo.
Bacerà di Giuda suo fratello Cazale e poi lo ammazzerà! Porco…!
In Quel pomeriggio di un giorno da cani, al nostro Cazale andrà peggio.
Credeva di aver trovato un amico come un “tesoro”, leggasi “rapina” per far il bott(in)o e spartirselo ma invece, oltre che senza colpo gobbo, sarà ucciso di pallottola.
Comunque, anche Pacino ebbe molte gatte da pelare. Cazale aveva la pelata, Michael incontrò, nella vita reale, una Keaton Diane che gli succhiò le palle.
Infatti, negli anni 80, causa lo “spompamento”, Al girò soltanto Cruising, Scarface, Papà sei una frana e Seduzione pericolosa. I nomi glielo dicon “lungo”.
Cominciò a riprendersi la virilità con Profumo di donna… Vinse l’Oscar e Diane, dalla platea, applaudì commossa mentre Al la guardò come a gridarle: “Ecco, mi usasti a statuina per ingessarlo. Tieniti Woody Allen e i suoi o-nanismi, puttana!”. Ma ancora ebbe un crollo psico-sessuale-affettivo, ravvisabile in Paura d’amare.

E dire che Michelle Pfeiffer conobbe un Tony Montana che la montava… Heat significa calore ma Diane Venora chiese il divorzio ad Hanna. Che casino! Pure Natalie Portman che si taglia le vene prima de Il cigno nero!

Ora, che c’entra De Niro? De Niro c’entra eccome. Venerdì uscirà Malavita in America.

Finalmente, una bona Michelle, seppur un po’ invecchiata e scialba. Per la serie: dopo due volte senza neanche una (s)cena assieme, leggi Stardust e Capodanno a New York, Bob fotte Michelle.

Ce la vogliamo dire?

Come vi prendo per il popò io, neanche il padrino.

Venerdì 13 del 1979


11 Sep

Venerdì 13… compio gli an(n)i. E non ci son più cazzi. Speriamo nel “mio”, alive e vivo, anche se talvolta vegeta. Non so dov’è eppur mi ama… in questo “viavai!”

Venerdì, dico a voi, amici e nemici, compio gli anni. E sarà Venerdì 13.
Ah ah, io combatto la iattura, da patenti sfigate talora (im)potenti, essendopirandellianoUno, nessuno e centomila. Festeggerò con pochi eletti per poi darmi a più amene intimità. Non intimidito dai detrattori, se mi va, guido pure il trattore come Farnsworth lynchiano. Ma ammonisco mio fratello di sangue. Invero, son figlio unico. Quindi, non ho nessuno a cui ricongiungermi. In quanto Travis Bickle del mio viaggio al termine della Notte. Orsù, in alto le candeline. Illumineranno il buio. E voglio tutta la torta, compresa la ciliegina di tua sorella, dolce e cremosa, per rimpinguarla di soave cioccolato, denso e fondente, forse un tiramisù o mi butterà, senza burro, giù dalla scarpata. Io non uso maschere, mangerò con la scarpetta anche a carponi per leccar i tacchi delle donn(ol)e, in quanto mascarpone di Savoiardo, “scivolante” a valle…
Son savio biscottone mica un Monaco principino. Ah ah! Ardiamo i monarchi!
Vai, arcieri! Poi, bruciate le lor cere nei bracieri! Che braciole di maiali!
Ce la vogliamo dire? Esemplifico, spesso senza fighe, un film romantico “ a pelle”. Da guardar mentre addenti uno “spezzatino”. Talvolta, indosso il giubbotto, spesso prendo molte “botte” e varie sportellate. Al che apro l’ombrello e, in umido, balla sotto la pioggia…
Sì, piango a dirotto perché innamorato cronico di tutte le donne.
Tutte, senza esclusione di colpi… sì, “incarno”, scarnissimo e scannato, la versione Elvis Presley di Bloodsport. Sì, immaginate Elvis di corde vocali armoniose su addominali nervosi. Insomma, uno da fegato macerato. Elvis doveva rimanere Elvis.
Che furon quelle mosse marziali perché di droga s’ammazzasse?
Ah, farò come Elvis. Morirò per colpa del movimento pelvico. Penicillina, no, Silvio Pellico! Sì, m’imprigionarono!
Quando codeste m’afferraron ferree di calci “sguazzanti” nell’aria su gridolino…, un po’ da spaccata e quindi “spappolante”, “come” Van Damme. Di posa plastica soprattutto quando avvicino una, mi schiena senza “toccarmi col guanto”, e lancio una sfida “imbattibile”.
Cioè, i miei occhi duellanti, già tendenti al languido, sgorgan senza “darlo a vedere e mai il mio ne toccherà molte eppur di più ne vedrà, già, basta connettersi a YouPorn”, s’impietriscono ma continuo a buttarla… sui muscoli per rinforzare l’evirazione.
Un’irraggiungibile crisi mistica mastica “ardente”… il dentro mio che, “coraggioso”, per nuovo (intra)prenderle…, s’accartoccia in lagrimanti corrosioni d’emorragia. Al che, “ascendendo paradisiaco”, mi do al cerebral intellettuale con molte “frecce ad arco”. Da cui la mia arcata gengivale di spalancata bocca aperta nella tagliente ferit(oi)a inguaribile di un più a(r)mato(re)
Eppure, sempre sanguigna, la perdita è incolmabile. Neanche le trasfusioni di una pornoattrice, che fa sangue appunto, placherebbero la morte agonizzante. Quella mora è però attizzante, tutti aizza nei rizzi. Rabbit, ex JessicaRizzo o sono io il coniglio? M’hanno rapito!
Assatanatatissima per sete a infiammarli mentre io, oltre che di “fame”, sto schiattando d’assenze soffocanti, le femmine diffamanti. Lei… non “chatta” con me. Fottiti, chiatta! Chiatti Laura è anoressica!
Lei arcua il bacino perché sia imbucata d’altri dardi (es)tratti che, penetrandola, un po’ fuoriescono “rientranti” al ventre suo bollentissimo e raggiante, mentre io congelo e non “cola”. Diedi le lettere di “dimissioni” dopo la prima volta che lo (o)misi. Da cui peggiorai di stima. Nonostante i distinti saluti. Mah. Epistolari lettere di “puro” e distillato amore, liquidato in mail che non si dica. E non la dà.
Lei era una misera, io a quei tempi er(t)o, oggi spezzato d’arto ad artico mio membro che può sol rimembrar Silvia. Artù, pensaci tu. Un Tempo, la mia spada era “lucente”, Excalibur dove sei sparita? Che fai? Stai esalando il respir fatale da Napoleone!  Siete dei pezzi di Manzo(ni)! Chiamate Perceval, a Venezia vince Sacro GRA, ci vuol un avventuriero da Indiana Jones e l’ultima crociata per l’eternità della mia “gru”.
Sta andando giù! Chi lo tirerà su?
Nonostante “tutto”, credo nell’amore. Momenti indimenticabili che, alle volte, vorrei dimenticare. Come si suol “dare”, la teoria fallimentar del “Vuoi ma non puoi, mio uomo, cucina le uova ché la fritta(ta) della gallina sarà strapazzata da un gallo di cedrata, ecco la tua cenetta senza sbottonar le cerniera, cena gustosa da intinger il pene nel rosso tuorlo mentre lui è torello ai suoi orli vicino ai for(n)elli”. Sono un debole, una moll(ic)a davvero “elastica”. Sono propenso a incazzarmi, tanto loro quanto scazzan quelli altrui dopo che li han inculati con lo “schizzo!”. Che cozze!  E che cazzo, basta! Ogni donnetta è Paese. Tutto il Mondo lo sa.
Le donne tedesche usan a incrociarmelo con la svastica, quelle italiane raschian anche l’ormai teschio senza carne del mio volto “magro” come lor su(or)ine. Quelle francesi son dei cessi, troppo “eleganti”, quelle spagnole adorano il “Sole”. Quindi con me, che son Mister inglesino “color” malinconie, non posson che rendermi un crisantemo da orticarie e ad altri la dan solari nelle vie delle cagne. Evviva chi sogna senza “glassa!”: Non avrò classe ma c’è la galassia!
Basta con Claudia Galanti! Sarò “galante” al suo uomo “croccante!”.
Ricordo quest’aforisma: chi fa da sé, forse è un uomo col tè.
“Famoso detto” dell’englishman come me, “lunghissimo”, che la vede “lunga”. “Di mano” per sue gambe chilometriche a metrica d’uno di trenta centimetri. Egli l’accoglie da maître mentre io, da gobbo di Notre-Dame, passo le notti sotto la metropolitana di Parigi. Cambiando città!
Ma, nel frattempo, Johnny Depp è “barbone” con Amber Heard vicino a Montmartre.
Sì, sono un martire, un miserabile da Victor Hugo…
Un Cabret caprone, pausa di Scorsese da DiCaprio, “orfano” del rimaner in “stazione”. Remiamo a Venezia. Ove Romeo e Giulietta furon sospiranti di Shakespeare! Mah. Finiranno entrambi fregati. Non mi fregherete.
Sì, non vedo un cazzo io ma quella sì, eccome… osservo col telescopio mentre scopa con l’antennista del “cavo”. Orgasmi stroboscopici! La sogno di grande “schermo”. Mi schernisce anche dal “nero” con pixel di pizzetti a (s)granata bombardarla. Meglio una pizzetta. Fidati.
Quando, finita la “proiezione”, lei è titolo di coda per un “montatore” col codino “testicolante”, tu sarai alla Bionda, birra per digerire. Ecco Babilonia!
Ah ah. Sono un giocherellone, un matto gaglioffo. Insomma, con me non arruffan il pelo eppur (s)tiro… in quanto “nato con la camicia”. Di buon manico, infatti è evaporato e tutto di pieghe b(r)uc(i)ato.
A parte il mio “ferro”… era comunque da battere finché poteva esser caldo, adesso mi sbatton di “stiratura” rovente a un altro più da “battiscopa”.
Al Mattia Pascal preferisco una matta che con un altro si scalda. Scopriranno che è stata una cazzata. La mia matita è matador! Oh Dio, però leggendo le mie opere, quanto dolore! La mia anima è tormentata!
La nostra vita?
Sì, meglio coltivar il proprio orticello e ber di vino a vite non a queste avvitate.
Grazie, offrimi un altro bicchiere.
Voglio ubriacarmi davanti a quella che ancor ne ubriacherà.
Sì, tutti avvinazza e beve le mie amarezze.
La verità? Sono un romantico?
Guardo Innamorarsi e mi commuovo.
Se poi, “ficcano”… questa, son già andato…

Comunque, delle mie amanti non vi svelerò proprio un cazzo.
Sì, a volte temo siano degli uomini.
Tutte s’invaghiscono di me, poi mi fanno il culo.
Ma si “tira” a campare. Gli altri le “comprano”, da cui i paraculi. Con una “laurea” guadagnano la “risata aurea”. Rimango povero “in canna”.
Insomma, io ho una teoria sulla vita: se una ti rifiuta, il fiuto rimane, un po’ con le mani in mano, oh mio “man”, gli anni per per recuperare il “purè”, semmai con una del Perù, non ti mancano! E i soldi? Senza un soldo, neanche un “saldo” per vestire senza “nudo”.
Mica la (s)figa ti rende monco! Siamo sicuri?
E quindi: evviva la minchia(ta)!
Perché Totò diceva: la testa deve stare al solito posto, cioè sul collo.

E il “mio” sul ca(va)llo.
Sì, a caval Donato non si guarda in bocca!

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. I mercenari 3 – The Expendables (2014)
  2. All’ultimo pugno (2013)
  3. Una storia vera (1999)


“The Family”, clip


11 Sep

“Cose nostre – Malavita”, “Director’s Cut” Red Band Trailer


10 Sep

Affascina sempre più questo nuovo Luc Besson. Qui, tagliato proprio dal regista, per uno straordinario trailer R rated. Che abbina action improvvisa a virate comiche di umorismo nero. Il tutto mescolato a citazioni da Goodfellas, come da esecutivo produttore, che non a caso è Martin Scorsese, e di altrettanta novella, da cui è tratto il film. Ma i ben informati san già tutto. Mi pare inutile ribadirlo.

(Stefano Falotico)

Lino Banfi, grande commissario Lo Gatto


09 Sep

“Il commissario Lo Gatto” non è male o “mele” perché, simil banfianeggiando, adoro ancora le donne, con una particolare predilezione per la stupenda Valeria Cavalli, ricordi muliebri…

Ieri, avanti eri, Sabato sera tremendo. Nonostante sia stato invitato a vedere Elysium, ero in uno dei miei momenti “No”, totalmente schienato dalle ricomparse, inaffondabili ritrosie sociali e acuite in nostalgico-nottambulo da pensatore malinconico. E me “lo” elisi. La mia peculiarità preferita è infatti indurmi alla melanconia con picchi forti di rockettante euforia, talora indomabile da toro dell’arena. La curo con denti finti da vampiro casto. Meglio di tua sorella. Lei usa “vampirizzarli” e poi si trova dissanguata a livello gengivale. Ce la vogliamo dire? Tua sorella è un fiume Danubio dinanzi (che davanzale) a cui anche il Dracula più satanico morirebbe. Perché è “marea” di tanto “inaridirsi”. A forza di inumidirlo/a. Mah. Comunque, sulla peperoncina va abbinato l’aglio. Fa la sua porca figura ed è meglio di quel tanto “piccante” che la“s-becca”. Come abbocca! L’aglio tiene lontano quelle che “ragliano”. Quando si dice “Affilata ma con la puzza sotto il naso”. Come succhia tua sorella, neanche la benzina. Costa sempre di più… ma non c’è pozzo da cui attingere a parte qualche pizzo molto stinto. Non sai dove pomparla. Oramai è spompata da ogni maiale davver “distinto” a voler il suo istintivo “sticchio”. Vabbe’…, povera gonnella delle bretelle! Meglio un bretone e farsi prete che tua sorella anche inchinata ai brutti “galli”. Insomma, associo alle fife di qualche ancor residuo schivar la “realtà” tosta a un duro graffiarlo di corde vocali arrochite in balli spettinati su (in)sud(ici)ato spesso in solitudine. Ergo il palcoscenico e applaudo a me sconsolato. Ah ah! Gigioneggiando “a man bassa” d’uno schitarrare tutto mio. Tanto che talora “stecco”, incrocio le mie palle al danzar troppo veloce da schiacciarle sullo scalmanato-nervoso e , “sublimando”, canto “stordendomi” lo stormo “armonico”, “usignolo” che canta “castrato” nel “sensibile stonare” all’urlo “Chezz’, l’ho prese male, intonazione sguaiata d’aver infilato il plettro del ventre a diaframma sonantissimo dello spappolamento, detto anche noia pallosa del riff più melodico con peli arruffati-appiccicati e gridolino incorporato, salvo abbassar il volume alzato, rumoroso e non brioso, per non disturbare il vicino che intanto scopa, suonandosela di leccato violino”. Dicasi anche aver “strafatto” di Stradivari(cata) sul divanetto, rischiando di far da soli il cazzo tuo “solar” quando la Notte, “ululandolo” apparentemente felice, eppur rischiò l’evirazione dolorante a raschiar di “musicalità” quasi (a)ritmica sul “muscolo” di “Allegranti i testicoli, maiuscoli, bricconi e sciolti, andaron dondolandosela ma, sbranati di melodia interrotta, si ruppero detonando in pezzo sbriciolante”. A parte le cazzet’, ero talmente giù… non solo di pantaloni su incazzatura da “Madonna dell’Incoronet’ com’ho mal incrocet’”, che volli noleggiare uno “streaming”. Per forza, dopo un Sabato sera “striminzito”, ci vuol un filmetto che, anche se minchiata, dia “botta” alla vita lacerante… Aspettando la di Domenica mattina, forse pedalando in bicicletta. No, Cocciante mi scocciò sin da piccolo e qui non c’entra, meglio un po’ di scotch. Non nel senso alcolico ma in quello “sfig(ur)ato” per salvar il tuo quasi “annacquato”. Sì, dovevo guardare Elysium ma mi auto-esiliai e stetti lì lì, “ristrettissimo”, ad aver raggiunto, disgiungendomi l’uccell’, lo stesso timbro “aperto” della cantante Elisa… piagnucolando di (r)impianto. Talmente pigro, e soprattutto “pigiato”, con anche dei buchi nel pigiama causati dallo “strappo”, scelsi a casaccio tra i film completi della disponibilità “dritta” del Tubo.

Ed ecco che ti ripesco un secco, diretto e senza fronzoli Dino Risi sottovalutatissimo. Adesso, non siam dalle parti de Il sorpasso ma questo Lo Gatto è, per certi versi, meglio di Leopardi Visconti. E me lo son sparato libero, (s)contando e (ri)scoprendo battute divertentissime. Impagabili. Diciamocela. Non annoia mai e tira su, non solo l’umore. Infatti, Isabella Russinova faceva… resuscitare i “morti”… Rossa mozzafiato, da “sballo”, appunto. Lo Gatto indaga sulla sua morte… ma lei invece scoperà ancora tutti i “bagnanti” di Favignana da viva… vampirona vampissima ad ancor tirar un vegetale vegetariano. Più che altro bona da morire. Non siamo acidi, suvvia. Ovvio che deve darla sui viali. Questo Commissario… l’avevo già visto da “piccolo” ma non mi colpì in quanto ero un accidioso infante, rivedendolo… è “cresciuto”. Lo ridimensionarono alcuni critici troppo esigenti ma lo rivaluto a “posteriori” perché, quando “uscì”, fu inver un bel “colpo”. Così vengo… a sapere, almeno. Non ce la menassero questi “esegeti”. Parlan per f(r)asi fatte!
Con un Banfi strepitoso, al massimo della “pelata” e della recitazione “con la sordina”. Già, incazzet’ facilmente. Memorabile la scena col bagnino Mario e la “cenetta” con Maurizio Micheli, sciancato dal piede “equino”. Tutto un campionario di facce caratteristiche intagliate fra pittoreschi scorci marini, il seno di Lentini Cecilia, qualche caduta di stile ma una commedia senza pretese e mai lenta. Sorretta appunto dal suo protagonista che sostiene il tutto in un one man show clamoroso. Sì, un Lino tirato a lucido. Quanto la crapa! E le cime di rapa! Pugliese di origine controllata!
Ecco, non è un capolavoro ma ho riso dall’inizio alla fine. Eh, un Risi non amaro… Ah ah!
Non sempre dobbiamo guardare solo, e da soli, Lynch, Cronenberg e compagnia “eccelsa”. Dobbiamo anche riderci su… mi credevate morto, invece son più vitalmente bello di Isabella. Lo isso fra le russe come novo. Cioccolato Novi, svizzero per la svizzerina!
Basta con gli autori! Anche perché Lynch dal 2006 non fa un cazzo. Gira tutt’al più stronzate semi-MTV per i Duran Duran. Roba pagata a prezzo d’oro. Che schifo! Neanche Spike Lee è sceso così. Se avessi la sua troupe e i suoi soldi, io cosa girerei a confronto?
Ce la vogliamo dire la verità? Finitela di dire che Lynch è il più grande cineasta vivente.
Sono otto anni che scopa solo puttane alla Laura Harring. E, fra le due puttan(at)e, se devo essere sincero, nel frattempo Lo Gatto ci sta e lo (s)batte pure. Addolorata lo sa. Serva che serve. Infatti, Lino è erede conclamato di Totò quando gioca di doppi sen(s)i meridionali. Pelle e palleDica Duca. E tocca il suo popò. Egli, da “fallito” totale, è in verità più in gamba di tanti “celebrati” a mollo. Decerebrati invece di falli… La sua zucca ha pepe. Non è mai bollito. Banfi è eterno! Che c’entra l’attrice Valeria Cavalli? La considero, da an(n)i, la più grande figa del Cinema italiano. E ne ha più di cinquanta.
Della “topa”, è una bella tipo… la classe non ha età e “acqua”. E ora ti spezzo la noce del capocollo!
Sì, Lo Gatto “lupeggia” da indagatore con un “fiuto” enorme. Assassinata… è stat’ assassineta? Ah no? Come no? La vita riserva donne baffute e sempre piaciute, Banfi sempre amato, piacioni alla Clooney e una gravity dei miei coglioni!
Grande Lino.
Chi paragona Sandra Bullock a Sara Bulloni, si tenesse i suoi “maroni”.
Conosco la Bulloni. Bulloni è sorrata!

 

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Elysium (2013)
  2. Il caso Martello (1991)
  3. Il commissario Lo Gatto (1986)

Valeria Cavalli, attrice immensa


08 Sep

De Niro about James Gandolfini death and not only


07 Sep

DE NIRO DEFINED

Just as the famously reserved actor turns 70, Robert De Niro finally lets the outside world in. For once, he’s talking to you

BY ANTHONY DECURTIS
PHOTOGRAPHED BY ROBBIE FIMMANO
STYLED BY KAREN KAISER

Robert De Niro wants to know where I live.

Or, more precisely, where I used to live. We are talking about the New York City neighborhood where De Niro was born and raised, Greenwich Village, and, specifically, the public pool that runs nearly a block from St. Luke’s Place to Clarkson Street, just west of Seventh Avenue South. Apart from its legitimate use during the day, the pool provided a welcome respite from the summer heat when kids like De Niro climbed the black wrought-iron fence that enclosed it and swam until the cops came to chase them away.

Growing up in the same neighborhood less than a decade after De Niro, I took those night swims in Carmine Pool and, more disturbingly, experienced the same complicated contrast between the tough Italian-American street environment and the alternative bohemian culture that suffused the Village in the 1960s and 1970s. Crime, reform school and prison loomed menacingly in the shadows of the artistic life that made the neighborhood known to the larger world around us. The child of painters who divorced when he was three, De Niro straddled the two realms precariously. Running with the toughs, he became known on the street as “Bobby Milk” because of his pale complexion.

As we explore those dynamics, De Niro has a question. “You grew up on 10th and Bleecker?” he asks. “Which corner?”

It’s his trademark obsession with detail, the attention to authenticity that has informed his acting for 40 years, since he played the small-time thug Johnny Boy in Mean Streets (1973), the first of eight films he has made with Martin Scorsese. “I was in the street thing, and then I just realized that I’m not going to get anywhere if I do this,” De Niro says. “I remember telling my friends I wanted to be an actor. Some of them were responsive. Some of them were nonplussed. They didn’t know what to think about it. Actually we shot Mean Streets right on the block I used to hang out on. We used some of the guys I used to know in the film, and Marty used some of the guys he knew too.”

For anyone who grew up in that world, Mean Streets was a revelation, not because of what it told you about yourself but because of what it told everyone else in America about you. As Bruce Springsteen did for the rudderless working-class kids on the Jersey Shore, De Niro and his friend Scorsese found meaning and beauty in lives that had never before been deemed worthy of artistic treatment. In film after film—in The Godfather: Part II, Taxi DriverThe Deer HunterRaging BullGoodfellasCape Fear and Casino—De Niro embodied characters for whom violence roiled within their inner lives. Each was a tinderbox that a wrong word, a thoughtless gesture, an unconsidered act would inevitably ignite. As a viewer you carried that awareness as you watched him in every scene. He never signaled it, and he never needed to. It was with him every step that he took.

In De Niro’s new film, The Family, his relationship with violence takes on another compelling dimension. He plays Giovanni Manzon, a mobster who flees America with his wife, played by Michelle Pfeiffer, and two children to France as part of the witness protection program. In one scene, the renamed “Fred Blake” is grilling meat at a cookout organized in their village. Fred does his best to behave himself, but as his guests begin to display the casually condescending rudeness at which the French excel, director Luc Besson (La Femme Nikita,Taken) allows us glimpses into Fred’s fantasy life. As Fred grins and mumbles cordial responses, he imagines grabbing one of his interlocutors by the scruff of his neck, slamming his face against the burning-hot grill and holding it there.

That contrast between an explosive past in which such assaults would have routinely taken place and, at least theoretically, a more sedate present encapsulates the struggle Fred contends with—and in some metaphoric sense it’s De Niro’s struggle as well. Everything he does at this stage of his career is inevitably compared with his groundbreaking performances of the past. But what sense do roles like those make for a man who has just turned 70?

On a summer afternoon I arrive at De Niro’s Tribeca production office to interview him about The Family. Meeting him is a thrilling prospect but a bit scary, as if I were meeting someone whom I’d somehow known my whole life. He’s earned a reputation as a notoriously difficult interview, so I had no certainty that my personal identification with him would help at all. I remember seeing De Niro at a press conference with Scorsese in New York in 1990 to discussGoodfellas with a group of reporters. Seated on a dais, he writhed in agony even when asked the most innocuous questions. He stammered and gestured helplessly, his eyes pleading for the ever-voluble Scorsese to bail him out. As recently as 2010, a television appearance with Dustin Hoffman on Late Show with David Letterman to promoteLittle Fockers once again found De Niro so taciturn—and Letterman so thoroughly unsettled—that Hoffman described himself as “the De Niro whisperer” and offered to answer any of the questions Letterman intended for his fellow guest.

De Niro’s office is spacious and airy but at the same time lived-in. It’s obvious that a real human being actually works here, and the books, DVDs, magazines and movie posters all reflect his interests. The shyness that everyone who knows him immediately mentions is evident but so is an easy graciousness. Dressed in khaki pants and a white shirt, he’s very much a gentleman in the old-world sense.

I offer him a book I worked on with Clive Davis, and he thanks me, saying, “I was interested in this book,” and then, “Did you inscribe it?”

“I didn’t, but I certainly would be happy to.”

“Do that,” De Niro says. “And date it.”

I do so, but not before silently working out if there were some way I could wrangle a week or so to figure out what I might actually want to say to Robert De Niro in such a context. I settle on “For Robert De Niro, an inspiration.” He reads it and, once again, thanks me. Until I determine where I would be most comfortable in his office, De Niro does not sit down. Then we start talking. It’s a sacred tenet of media training that interview subjects should politely listen to questions but then say whatever they want to say in response with no regard for what was asked. De Niro is nothing like that. He refuses clichés, and there is nothing glib about him. He won’t just rattle answers off the top of his head.

When asked about how he dealt with the violence in making Taxi Driver—perhaps his most iconic film but also his most graphic—De Niro says, “When we were shooting the last scene, the shootout in the hallway and all that, we would always make jokes between takes because it’s such a gruesome thing. You hear about surgeons who are doing these sort of gruesome triages on soldiers and they’re joking as they do it, because what else can you do? It’s not going to change the situation. It makes it easier for you, and at the same time, you’re getting the job done.”

Another striking aspect of De Niro is his support of other actors and directors. He says of both of his co-stars in The Family, Michelle Pfeiffer and Tommy Lee Jones, that he was “lucky” they agreed to appear in the film and praised Pfeiffer’s depiction of a mob wife as “terrific.” Such generosity is extended to James Gandolfini, who had died at age 51 a few days before our interview. Gandolfini’s role as a mob boss in The Sopranos has been compared to De Niro’s work, but De Niro shows no hint of competitiveness. Instead, he praised the late actor’s performance in the Broadway play God of Carnage and says, “It’s terrible. He was too young. I wish that he had been more maybe proactive about his health. I don’t know what he did about that, but I wish he had been. It shouldn’t have happened.”

Working as an actor his entire life means that De Niro sees everything through that lens. In describing his steadfast support for Barack Obama, he compares the president’s challenges to a filmmaker’s. “He’s a good person, period,” he says. “He’s trying his best. He’s going to do things that people feel are not right or violating one right or another. But at the end of the day, he represents, I think, the best of the type of people that I would like to see running the government. He has to play that game, the political game. They all do. They make statements they can’t honor because they’re impossible to honor. Once you get into that Washington machinery, you’ve just got to figure it out and swim against the current and grab onto this rock and that, and just try to maintain your course.

“You know, it’s one thing to be a critic,” he continues. “It’s another thing to be directly involved. It’s like directing a movie and you edit the film and then someone will give you a suggestion: ‘You could do this, you could do that.’ You look and you say, ‘Yeah, but the reason I can’t do that is because I don’t have that shot, and if I use this shot that’s better here, it impacts on this one and it’s a story point.’ In other words, it can’t be done. You have to make these choices with the government, and you’re going to be criticized. If you took the time to explain it all to the public, they’d say, ‘OK, I get it.’ Can you explain to everybody? No. You just have to say, ‘I made this choice because I felt it was the right choice.’ ”

 

Mean Streets was not De Niro’s first acting gig. At the age of 10 he played the Cowardly Lion in a Saturday stage production of The Wizard of Oz in New York City: “I was a kid and they gave me that part to do.”

His knowledge of the city’s cultural life is encyclopedic, beginning with the stage and movie theaters he haunted as a teenager. “In those days, you had the Loews Sheridan and you’d see the double bill,” De Niro says. “You had Suddenly, Last Summer. Then On the Waterfront… A Place in the Sun and all the movies that really affected me, if you will.”

Reminiscing, he says, “Did you ever know the Elgin Theater on Eighth Avenue? There was another theater up the street that also had old films, not like the Loews with the first run, but on the east side, like in the low 20s—off 23rd Street. Then there was the Waverly, which used to have great art films. The audiences would laugh at things that a typical audience wouldn’t laugh at. It’s interesting.”

The favored places of his youth made appearances in his movies, such as the Carmine pool he broke into at night. Locals of De Niro’s vintage invariably refer to it as Leroy Street Pool, though, in typical downtown New York City fashion it is located neither on Carmine nor Leroy street. No matter what it’s called, the pool was in a crucial scene in Raging Bull. De Niro’s character, boxer Jake LaMotta, meets his soon-to-be-wife, Vickie, played by the beautiful Cathy Moriarty, as she sits on the edge of the crowded public pool, cooling her feet in the water. It’s a rare lyrical moment in an otherwise brutally violent film. “That’s why we shot it there,” he says, of his personal connection to the Greenwich Village pool.

High-end boutiques and cupcakeries have replaced the grocery stores, junk shops, butchers and vegetable stands that lined the neighborhood’s streets. “That whole world has changed, you know, over by Little Italy—totally changed,” he says. “And Bleecker, I pass it every day taking my kids over to school. Mulberry Street—totally different world.”

But De Niro always adapts. The Tribeca Film Festival, which he launched as a means of reviving downtown Manhattan after September 11, is thriving, as is his TriBeCa production company. He was living in the neighborhood at the time of the attacks and has a vivid recollection of them. “I had two huge windows, so I saw everything right out my window,” he says. “I saw first the north tower go down, then the south. I couldn’t believe it. I was looking at it, and I had to look at the television to confirm what I was seeing with my own eyes.”

His efforts on behalf of the city have gone well beyond the world of film. His investments include the Greenwich Hotel and the restaurants Tribeca Grill, Locanda Verde and Nobu. The restaurants and the hotel showcase the paintings of De Niro’s father, Robert De Niro Sr., whose estate he oversees. De Niro and his wife, Grace Hightower, have two children, and he has four children from a previous marriage and another relationship.

A great deal is happening with his film career. Just last year he received an Oscar nomination (his seventh) for his deeply affecting performance as an overbearing father obsessed with the Philadelphia Eagles in Silver Linings Playbook. As for The Family, viewers looking for the easy Mafia yuks of Analyze This will be stunned by the film’s unflinching, unapologetic violence. And anyone hoping forGoodfellas II—the English title of the Tonino Benacquista novel on which the film is based is Badfellas—will be surprised by the sweetness of De Niro and Pfeiffer’s relationship and the humor, domestic and otherwise, that earns the film its punning title and its billing as a comedy.

That tonal complexity is part of what De Niro likes best about The Family. “The movie is, what would you call it? Is it a comedy?” he asks as he leans back on a black couch in his office. “I’m not sure. It kind of reminds me of the Italian comedies. There’s definitely a European feel to it, which is not a surprise from someone like Luc.”

Lightness of touch is a central theme in De Niro’s conversation. As for so many artistic masters, his decades of experience haven’t led him to bravura performances but to a quiet internal understanding of how to determine exactly what needs to be done and then doing just that and no more. That approach was evident on the set of The Family, Pfeiffer says. “What is amazing about watching him work when you’re there with him on the set is that it seems like he’s doing so little,” she recalls. “And then you see it on the screen and he just has all of these dimensions that you didn’t pick up on. You’re like, ‘Damn, how does he do that?’ He never forces it. It’s a lesson that all actors can take.”

That restraint is essential, De Niro believes, particularly in a film likeThe Family, where both the violence and the comedy could easily topple into parody. “You can’t do any more than is asked of you to do,” he explains. “There’s a delicate balance of how far to push it and how far to pull back. Not to try to show the feeling and the texture of the scene but to let it happen and unfold and trust that the texture will be there. What the scene is about will come out more easily than you think.”

The prospect of directing De Niro was especially enticing for Besson. “I saw Mean Streets and Taxi Driver when I was 15,” the director says, “so to be able to work with Robert was a big privilege for me. At the same time, after a couple of minutes you just have to roll up your sleeves and get to work. What’s the point of having Robert De Niro aboard if you do nothing special with him? He’s a hard worker. He’d be calling me on the phone, asking me questions all the time.”

It’s that attention to detail again. He builds his characters from the outside as well as from the inside. Nothing is superfluous; everything is telling, even crucial. He took outward transformation to extremes with Raging Bull, when he gained 60 pounds to play Jake LaMotta in his decline. He could have worn a fat suit, but that was not the way he did things.

In fact, it was LaMotta’s weight that first intrigued De Niro and made him want to tell his story. “I ran into Jake LaMotta when I was in my late teens,” he says. “I was going down Broadway and I saw him working as a bouncer in a kind of gentleman’s club. He was heavy.” De Niro holds his hands in front of him to convey LaMotta’s girth. “It was like, ‘Jesus, he was a fighter and now he’s here and he’s so heavy.’ It was just interesting to me, the whole thing.”

Jump forward to the mid-1970s, and De Niro was in Italy, shooting 1900 with Bernardo Bertolucci, when he read the memoir co-written by the middleweight champion boxer, called Raging Bull: My Story. “I called Marty and said, ‘You should read this. It’s not a great book, but there’s something about it. It’s got a lot of heart’…I thought maybe I could do it as a play, like a one-man, stand-up play.”

Instead, De Niro and Scorsese took a screenplay that Paul Schrader had written and shaped it to their own ends. Scorsese has described making Raging Bull as “kamikaze filmmaking.” “I threw everything into it,” he said, “and if it meant the end of my career, then it would have to be the end of my career.” The film today is considered one of the most powerful ever made and won De Niro the Academy Award for best actor.

Ten years later, De Niro played a real-life person from another book, the Irish-American mobster Jimmy Burke depicted in Nicholas Pileggi’s Wiseguy. Burke is believed to have engineered the Lufthansa heist, an infamous robbery at John F. Kennedy Airport. The book and the movie Goodfellas center on Henry Hill, who worked for Burke before turning informant. Hill recalls De Niro relentlessly grilling him about every aspect of Burke’s life. The actor would be “on the fuckin’ phone constantly,” Hill states in a 2006 documentary about his life. “I mean, like fuckin’ seven, eight times a day. He wouldn’t leave his fuckin’ trailer without talking to me twice. ‘How did Jimmy hold his cigarette?’ I thought he was a fuckin’ nut job.”

In his 90-plus films, Robert De Niro has portrayed a Jesuit missionary, an architect, a soldier in Vietnam, an oncologist, a retired CIA officer and many, many other characters. But he is perhaps most closely associated with organized-crime figures. Asked what people find so compelling about their gory tales, De Niro says, “Well, for me as an actor, they’re all fascinating characters. I did feel with something like The Godfather that the reason it was so popular is that that was a time the country was in a lot of discord. So the family actually had more of a code of ethics than the outside world, which was going crazy with demonstrations and the Vietnam War and all that. It had a finality to it, a code of ‘You did wrong, you paid for it.’ You didn’t, you were rewarded. It was a romantic idea, but there were many truths in essence about what people feel and want to aspire to.” In a way, The Family adheres to a similar code in a thoroughly complicated time. Ultimately, the film is about a marriage and a family that has stuck together through impossibly difficult circumstances, sometimes of their own making. They’re scarred and they’re hardly perfect, but they have survived.

In addition to The Family, De Niro has the comedy Last Vegas, in which he stars with Michael Douglas, Morgan Freeman and Kevin Kline, coming out soon. He’s also working on a stage musical version of A Bronx Tale, the first film he directed. “I probably shouldn’t say that,” he says about the project, “because something always comes up and then it doesn’t happen. But we’ve been working on it, and it’s been going well. It’s coming along.”

So De Niro is working as hard as he ever has. No one takes filmmaking more seriously. Who, other than Robert De Niro, could publicly confront Jay-Z at a party for not returning his calls? It seems that Jay had agreed to give De Niro a song for a project and then went missing, despite De Niro’s attempts to contact him. At a birthday party for Leonardo DiCaprio last November, De Niro let the rapper know in no uncertain terms that he was not happy about getting blown off. It was a matter of respect between two Kings of New York, and not something De Niro was going to let pass without speaking his mind.

“When I was 17, the head of the dramatic workshop I was in asked me, ‘Why do you want to be an actor?’ ” De Niro recalls. “I said, ‘I just want to be an actor.’ I really didn’t know what acting was. And he said, ‘To express yourself.’ And I thought, ‘Yeah, that’s right.’ And that was it.”

 

Rocky Balboa, la leggenda


07 Sep

La leggenda…

Son tempi oscuri, v’alleviate nell’allevar ipocondrie stagne, che io fervidamente vinco nel combattimento nervoso d’un sollevamento pesi ingigantito a mio Cuore barbaro. L’appendo in pelle futile d’un anacronismo meticoloso, antico, figlio di boreali albe oggi eclissate dal vostro tedioso, avvelenante e “gioioso” sterile sesso mendace.
Abbindolati da lorde sconcezze esasperate, poltrite miei porci della “nuova” generazione, dimentica di sé e del fu leggendario. Dell’ascetico scisma originario alla Bellezza or qui da voi avvilita. Quando i titani arroventavan il vento e se ne “guaivano” sanguinanti teutonica rinomanza sull’issare dardi scolpiti a montagne immacolate. Ove la neve si scioglieva nei solfeggianti, acquosi occhi speranzosi, intrecciato io di granelli alla religiosa (in)fedeltà più assurta e assoluta per approdare ai piedi sdrucciolevoli di sorgenti mistiche dell’immenso detonarsi dentro. “Illusi” o vividi d’ansia leggiadra, lucentezza dorata in aurore gravide di preghiere al Dio lor più amato ché, fors’invenzione delle fantasie animistiche, li rinforzava in “addolciti” valori proprio trepidanti sangue!
Sì, che bello, si strangolavan in balli ludici, inneggiavan a Satana il bastardo, incapricciati dal vizio “furbo” di coloro che, d’impudenza carnale, troppo in fretta desiderarono marciar verso l’ingannevole “piacere”, o a un bugiardo Cristo immolati mordevano le notti acute dei lupi coraggiosi, nel poi brutto tradirli a raggirar se stessi nel “raggiante” sorriso mortifero di tal pauroso oggi essersi arresi d’adorazioni ancor più demoniache. Oggi, invece? Si “catturano” in sbavarsi “cortesie”, si prostrano a meschina “istantaneità” del “godersela” di “scaltrezza”, deruban le gote del prossimo e lo puniscono con “fervore” davvero di lor “onorificenze”.
Avere? Non han nulla.

E io, davanti a questo lor “divertimento”, sputo e picchio con più accidioso “cinismo”.
Perché sono romantico e rammento a tutti chi di essenza esigerò. Vicino a una panchina screziata che intreccio della mia sigaretta dal “grigior” plasmatico, vagabondo d’altra insonnia allegra. In Passione mia che vi svergina dalle orride vostre cene, di cera mascherata e colata di putridità orgiastica, son lo stronzo che infilza sghiacciante il tuo immondo star (s)contento. Odiami, d’insulti coprimi le “vergogne”, voglio agognar per la gogna e quindi sculacciami dopo avermi sfilato la “gonna”. Protrai offensivi attacchi e adira il tuo cazzo “robusto” nel conficcarmelo a tuo “adulto” gioco.
Poi, dopo che ti sarai cibato di sevizie, voglio pur viziarti con un leccalecca. Spoglio di me e a te “ateo”, mio “religioso” tanto “savio”. Sì, ti sanerò d’ogni mia fica ché mi piace giocar da “donna”, così come tu te n’avvinazzi e su un’altra da spupazzare “giocondo” quindi spruzzi d’anaconda. Salvifica è la mia vita, arrostiscimi e ingoierai l’odore del tuo vomitante sadismo. Ardo, aridi miei! E tu? Tu sei colui che “buono” giudica, impietoso castighi. Dunque, ai tuoi “umili” servigi, mi denudo in prostrazione. Prostituiscimi di tua salvezza. Di sal(i)va cura la mia indole selvatica, t’ordino d’assalirmi e salirai con me in Paradiso… lì, beccherai la Croce maestosa a te genuflessa.
Fesso!
Zampillo col mio cappellaccio, questa periferia odora ancor di fradicio bello, quel sapore oceanico che vien dai mari del Nord, ove l’America s’increspava lunare a mio battibeccar da “bullo”.
Invero, abito in un’altra città, non è Philadelphia ma l’incarnazione terrificante dello sterco di sanguisughe incrociate a spolparti su “decumane” mentalità immolanti motti nazisti. Dei più fraudolenti, diabolici nella “diplomazia” violenta, tagliata con le lor accette “sofisticate”, con la lametta dell’oratoria più affinata nell’ipocrisia di tal lor crasse caste. Mai son casti, amano “incastrare” per “incastonarti” nei loro perfidi giochetti da mosaico delle carni in scatola.
E il lor accanimento non ha mai tregua. T’etichettano e così “devi” vivere non azzardandoti neppur d’abbaiare.
Perché, se no, son guai. Rincaran carnali un maggior bruciarti caudini nella forca su indebolirti per loro “rafforzate” giostre dinanzi a tuo “incagnito spegnimento”. Se poi ululi, in crepitio tuo urlantissimo, ecco che adottan la tattica “stratega” della “ragnatela”. Prima attentano alla tua innocua incolumità con dosi sedative, non solo verbali, quindi “agguantano” la preda quando incattivita non si frena. Ragni, insomma, per telai… e trappole anche alle ambite “tope”. Ma io tanto lacero i miei muscoli, bicipiti d’olio lucido, quanto strappo! Questa è carrozzeria. Le mie donne vibran a corazze di carrozze principesche. E ne sono il Re! Amen, falliti da reami sciocchi.
Voi, loro non si dichiareranno mai colpevoli di reato né tantomeno arretreranno d’altre offese “velate”, dalla leguleia “ragione” coperte dietro abiti intonsi da bellimbusti, semmai “giornalisti” seduti nelle appollaiate, sgozzanti mucche di braciole e braccialetti per segrete segretarie “scrivanianti” col mezzo busto e totale bustarella. Le chiamano annunciatrici. Ah ah. La dicon tutta appena apron la boccuccia. E son anche analfabete delle novelle.
Evviva la carovana! Cavalchiamo!

Si reggon a vicenda, tra una ruffianeria, una leccata di culo “invisibile”, qualche “cortese” baciamano per ingraziarsi le grazie della pupa dal fondoschiena più spalmabile… di plagio e pipe, nei piallarti sui lineamenti disossati d’una maschera che decretan debba piangere e lagrimarsi dentro in “superfluo” lor godere ingordo che tu sia “guastato e lordo”, sciupato, corroso e nell’intimo dissolto. Ma i dissoluti son loro. Che lord… che lor signori(e).
Li conosco tuttavia, ebbi come tanti la sfortuna d’incontrar questi (rac)conti capziosi lungo il cammino mio mai da ozioso.
Gente “dabbene”, abituata a recider in fretta, di “fin(ale)” filetto, una coscienza se non allineata al borghese “istituzionalizzarsi” da ludri divoratori dell’affarismo più “vincente”. Sono proprio “lucenti”, s’affiancano di donn(acc)e statuarie, che han “conquistato” con il più “sano allungamento” dell’intelletto “perspicace”. Meglio la mia linea. Borderline vs tal bordello. Ho pochi dollari, miei cari(ni). Ma il canino è il tuo cannolo più canna fumaria a te che vendi fumo e anche arrosto. Troppa carne al fuoco. Quindi, vai essiccato. Son ricco dentro, tu arricchisci lei di ricotta.
Sì, lo spiccato portafogli nello “struscio” feudale, poco fedele, analmente al “miel’” di gioiellini da veri “damerini”. Che roman(tic)i…  identici a me, non c’è che dire. Tutte le cosciotte di polle addentano. Da bagnar con “tocchi prelibati”. Ardendole al dentino. Cotte… ammaliate…, servite a puntino del piccantone.
Ognun di questi “grandi uomini” ne ha “una” di cui vantarsi, un fregio di cotanto “arrivare”. Vengano, vengano… il circo è servito di “tavola calda”.
Sì, poi leggi proprio sui giornali che le han sfregiate e una lei chiede il risarcimento delle borse, non solo sotto gli occhi. Borsa di (lacrime da) coccodrillo. Volevi il riccone? E ora non arricciarti la pelle stirata del lifting…
I “cazzi” di oggi son maneschi, si ciban di “sesso” sobrio come i piedi sadomaso del caprin Mefistofele.
Hanno visi bianchi m’arrossiscono davanti a chi dice lor la verità. Eppur è sempre rosso il “peperone” per quella da “sbiancare”… ne son “maestri”. Tutte le indiane van ad accaparrarsi, vacanzina esotica per erotismo venezuelano, quindi mulatta di latticino italiano che poi razzista è sempre fermo al nazismo. Si sposa con la bianca, la tradisce a patto lateranense quando apre le gambe con la messicana. Famosa pizza di salsiccia al calzone.
S’augurano il tuo capitombolo e voglion spedirti nella tomb(ol)a, gridando “Vittoria, Bingo! Abbiam beccato un altro Bongo e sfruttato un’altra bona, alla faccia del bonaccione, enorme coglionazzo e scimmietta d’olezzi!’!”.
Non si fan ribrezzo? Meglio la mia zazzera ché al muoversi delle brezze si sbraccia. Corre a perdifiato, s’allena di metallo.
Ecco, talvolta capita appunto che qualcuno, nonostante la lor diffamazione, la lordante “fame” appetitosissima, nonostante il loro orco di urlo “A me tutto, a te il lupo spelacchiato”, qualcheduno non lo “calmi” facilmente.

Perde alla prima, alla seconda tremenda anche, poi aspetta il gancio sinistro.

Che vale il prezzo.

Rifilato “volgarmente” ai pezzoni di stronzi “eleganti”. Sì, glorifico l’elegia del mio cazzo, eletto. Pensavano di (dis)farsene in quattro e quattrocchi… ah ah, questi da “ottovolante” e “oculate” catene… non avevan previsto il montante. Sì, qualcuno spezza la di montaggio catena.
Ecco lo scatenato.

Sì, da sempre e fin dalla nascita ho vissuto nel pedissequo fottermene. Integralmente e integro, coi “valori” del mio fregar tutti in libertà quasi “scandalosa”. La mia libreria pesa di Cultura pura e valgo molte li(bb)re.
I miei genitori mi han sempre permesso che mi crogiolassi nel vuoto da giocosamente “ammorbidirmelo”, stuzzicar il mio pelo pubico riccio e vispo. Senza mimose, facili innamoramenti e morbidezze da tenerezza. Sono un duro. Remoto dalle ammorbanti risa lontane anni Luce del birbante tristarello e delle puttane a briglia sciolta. Orsacchiotto!
Fate pure… a rissa per il purè di “patate” e datemi del poveretto. Attento che non recida i tuoi (l)etti. Vai sempre a tette, ecco lo smottamento tettonico.
Così, in campestre virtù ghiotta di mio saccheggiar anche un sacco da prender a schiaffi, sfacciato passeggio e mai a bada sbaraglio. Ché i bavagli cuciranno la bocca di tua sorella, “laureata” al cucinotto con un segugio che l’annusa in sudori dei profumini come il manzo a suo maialino. Che femmin(e)a culinaria. Lei lo chiama marito, io la chiamo una che guarnisce la “panna” d’altrui maritozzi. Eh sì, più il suo nuovo amante è tozzo e più beve la “tazzina”. Che zuccherino!
Da serva che terga, da sfruttatore a cui l’erge. “Donna che tutti… li legge. Soprattutto li sorregge.
A cul di “acculturata”. Con tanto di “confetture” e buona marmellata. Lettura smielata, melina “smaltata”.
Devo svuotarmi le palle e liberarmi da queste “apparecchiate” e antiquate. Vanno “liquidate”. Di mio smaltimento e cioè di “mattarello” ammattite. La mia “matita” mata e Mal farà, mia Mafalda. Mi darai del malfattore, meglio dei peni dell’animal fattoria. Preferisco il fango, ove gl’idioti di spranghe gemon dopo che li buttai nella pozzanghera. Non son del mio O-rango Tango. Anche perché ho sempre odiato le ballerine.

Mi chiamano il buttafuori, meglio di te, (cer)bottana! Da me, avrete solo che “botte”.

Sì, credo che la società si sia involgarita e tentenna confusa. Ma, di mio, professo il libero arbitr(i)o, innalzando il “ramoscello” delle mie palle dure “fischiettanti”, a differenza di queste torri cittadine, oscillanti fra omosessualità latenti dello sbaciucchiarsi limitrofe, zoofile e finto-filantropiche per tropicali figate squallide, uno svettar di restauri “screpolanti” come le labbra d’una meretrice  da vettovaglie e cianfrusaglie depressive su alcolizzata che sogna erculee aste perpendicolari nel suo ano sempre annualmente, di chirurgia “plastica”, gonfiato con “curia”. Lei crede nelle “Chiesa”, ne chiede di “grazie” e ficca la manina nell’acqua benedetta, salvo scosciar in scrosciante quando dita altrui l’innaffiano di maledetto imbastardirla su e sotto lei bestemmiante gli orgasmi più cattolicamente immorali. Al Diavolo tutti e tutte quante!
Sì, viviamo in un Mondo pseudo cattolico, fra cristiani ortodossi spo(s)sati che se la fan addosso “in mezzo” alle timorate anche quando codeste galline da coccodè “riveriscono” i cocchi d’inchini non tanto castigati, ostie non tanto austere e le solite sceme diplomate alle magistrali, a cui rifilerei la “dotta” saggezza dello scibile più a lor “educativo” di sibilo, cioè il serpente alato quando vorrebbero insegnarmi dove infilzarle, fra uno stretto di Gibilterra, un circumnavigarle in sdraiato inaridirle del mio deserto affettivo e la lavagna di lor gastrite da lavand(ai)e.
Sì, le disprezzo, in quanto misogino a pieno fare sì che penino, scevro da regimi, regine, bacetti e coperto di ruggine ché son adombrato d’un “brioso” oscurarlo nervoso. Come lo Yeti, me lo dormo sulla montagna e, se ricevo visite sgradite dagli sciatori noiosi, li travolgo col mio colorito “pallido” all’aglio, dolcissimo di profumo “vaniglia” d’una valanga e il mio vergarli di pene mostruoso come il vampiro transilvanico.
Quando tiro fuori la lingua, contemporaneamente la Donna graffia di unghie. E io lo allungo. Che lupo.

Credo negli scenari apocalittici e attendo con ansia il primo bombardamento per la tanto “sospirata”, dai che deve avvenire come da Nostradamus…, Terza Guerra Mondiale. Già me lo vedo il Presidente nero assediato dai siriani con la salma di Fidel Castro che si scopa, semi-infartuante, una cubana brasileggiante.

Sono Rocky. E attento a non disturbarmi. Ai lavoratori di questa pigra società “produttiva”, offro un simpatico “Fottetevi” e un sano pugno quando si sganasciano. Ecco il mio “pimpante”. Ai poppanti un bel calcio (ar)rotante.

Per il resto, mi collego a un sito lietamente porno e lievita il mio “tiramisù” sui seni su(p)ini dalle ciliegine rosee e pellerossa con le mulatte nell’intercontinentale e “agguerrito” denudarmi come Dio comanda.
Non sono un moralista. Prediligo un culo “virtuale” ai delinquenti “re(g)ali”.
E non cambierò mai. Neppure la “mano”. Di solito uso la destra per “incendiarlo”. Il “sinistro” lo tengo per dartele. Si chiama colpo “gobbo”, mancino.

Sì, me ne sbatto della religione. Adoro il catechismo di lei quando si china, ubbidisce e i miei moniti s’erigono appunto d’erezione come un monolito “inespressivo” eppur di marmo. Vi servirà di lezione? Voi conoscete un cazzo che abbia più di una smorfia? Sì, è vero, dimenticavo…
Pare che tutte le madri ne posseggano uno nell’armadio. Ha delle “emoticon” con appiccicati dei cuoricini  sulla “faccina” da usare con cautela e “prevenzione” durante i momenti di pausa del marito. Cioè sempre, visto l’andazzo. Lui va a zoccole, poi scopre che il casino coniugale è gestito dalla consorte coi clienti marsupiali, una matrona davvero Mater, da cui il film La milf si fa il figlio tosto di pietra a Matera poi sassi testicolanti con le pere di Bari, “capodopera” a base d’incesti, di “tiri” da tre nel “canestro” venuto… col buco, di zuccheroni filati nel carnascialesco carnevale che la lancia così come va, in vacca per tal corteo funebre di carri mascherati. A quello di Napoli, preferisco il “veneziano”, gondoliere “anonimo” su remar d’ambiguità tremante come in Eyes Wide Shut. Potrebbe essere stato l’amico migliore, il dottore, il marinaio o semplicemente una lesbica nella fantasia non del tutto confessata. Oppur la comare coi suoi lutti. La comare cova, conosce le alcolve. Anche Hulk Hogan del terzo Rocky.

Di mio, voglio leccare le gambe di Naomi Watts, più principessa di Lady Diana, e issarle il mio “Empire State Building”, in maniera inland della Mulholland Drive più delirante al King Kong versione Lynch. Film che David mi regalò in totale “riservatezza”. Una copia ce l’ha lui, l’altra l’ho data da “mangiare” al mio cagnolino. Vive con me nel camioncino. Siamo entrambi dei campioncini.
Un boxer che macina la celluloide sul suo uccellone, uno schiacciasassi che scaraventa al “tappeto” Naomi e vien rotto nella mascella. Eppur nell’angolo la sgolante Naomi fu “sgolatissima”. Una gattona pericolosa.

Sì, sono un macigno in compagnia del mio mastino. Mastico senza mastici delle dottrine sociali, qualche volta mi do, come detto e (non) dat(tter)o all’onanismo, spesso son “schizzato”.
Divengo e, venendo, le sventolo.

E m’incazzerò oggi e domani. Dopo l’altra, un altro…
Io penso al futuro, tu non ce l’hai… te l’ho tagliato io.

Ciao panzone. Vai dal prete e fatti dare l’estrema unzion’. Ti servirà per scendere meglio all’Inferno.
Avrai l’attenuante da “garante”. Vedi? Tu non vedevi oltre le apparenze per via della tua bacata mentalità, e presto sarai in panc(h)i(n)a bucato. Anche un po’ più “in basso”. Ecco il “dotato”.

Sfinisco te, finendoti così, si definisce… del Taglione.
Piaciuta la cazzata? Datti a cose serie. Devi aggiustare il tuo cazzetto. Ma non ti dirò dove lo misi.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

“The Family”, De Niro sizzle


06 Sep

Genius-Pop

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