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La pornografia psichiatrica


15 Jul

hedonism

Ebbene, amici, vi racconto questa. E se non mi siete amici poco importa, tanto me la son sempre cavata da solo, tirandomi fuori dalle impasse con le mie forze e fu inutile che mi sgolassi, urlando al lupo al lupo, tanto mi lasciarono deperire, deambulare fantasmaticamente nella brughiera delle mie perdizioni, permettendo che la mia anima si dissanguasse, trafitta dalla più afflittiva malinconia. No, non faccio dei piagnistei la mia forza di volontà, non sono il tipo che si crogiola nei rammarichi e nella più inconsolabile, gridante, supplicante mestizia. Forse, proprio in virtù del mio tener tutto dentro con discrezione da far impallidire anche Cristo, che dinanzi alla verità del mio cuore, che lui in maniera appunto veritiera sonderebbe con doti da veggente delle mie interiori profondità, s’adirerebbe non poco e mi spronerebbe a bestemmiare, ecco, proprio a causa della mia eccessiva riservatezza, di questa atimia che mi blocca perfino nel rivelare i miei insanabili malesseri, appaio una persona, paradossalmente, estremamente lieta e felice.

E l’altro giorno son stato da uno psichiatra. Ecco svelato l’arcano. Ma come? Uno grande e grosso come me si presuppone che abbia tutte le qualità possenti della sua stabilità emozionale per non cadere nelle mani di uno strizzacervelli. E che fa? Va da uno di questi?

Devo confidarmi che io disistimo gran parte dell’umanità ma continuo, chissà perché, a dar fiducia al prossimo. E quindi volevo confrontarmi con qualcuno esperto o uno che almeno ha le credenziali formali per spacciarsi come tale, per aprirmi e donarmi sinceramente, in piena remissione dei miei dolori esistenziali.

Ma non avvenne nessun transfert. Il transfert sapete cos’è, no? È quel semplice, almeno all’apparenza, meccanismo mentale che permette al “paziente” di trasferire il suo inconscio e il suo sentire all’interlocutore e, dall’empatia che si spera ne sortisca, discutere costruttivamente della sua vita, nel comprendere che l’interlocutore è in sintonia, anche se in disaccordo dal punto di vista ideologico, con la sua anima, e quindi da quest’interscambio, quasi “telepatico”, poter intervenire sulla sua stessa esistenza per un fine benefico. Per ritrovare la serenità smarrita o persa nei meandri delle tormentose tribolazioni.

E attuare un’opera radicale di rinnovamento alla sua intralciata, soffocata o compressa vita poco anelata e amata.

Io e lo psichiatra parlammo per mezz’ora abbondante in un reciproco gioco di sguardi complici e ammiccanti. Chiamatele vicendevoli ruffianerie o sciocche carinerie, oppure più semplicemente reverenziali leccate di culo. Ove uno pensa una cosa negativa riguardo a ciò che dice l’altro ma l’asseconda per fare bella figura e risultare affabile, simpatico, alla mano. Affinché, arrivati nel bel mezzo della “terapia” conversativa, nessuno dei due, soprattutto il paziente, possa aver paura di chi gli sta fronte e quindi potersi esporre in totale franchezza e denudata onestà morale e psicologica.

Lo psichiatra, dopo aver appurato, ascoltandomi parlare, il mio forbito ed erudito, colto e ponderato saper chiacchierare amabilmente, pose repentinamente fine al mio delicato, per quanto sofferente sfogo, con una lapidaria, brusca autorevolezza da lasciarmi interdetto.

– Sa, è inutile che vada avanti nel suo racconto. Ho inteso molto bene e non c’è bisogno che aggiunga altro. Questo, sì, che sarebbe offensivo alla mia intelligenza. Perché, se mi ripetesse le cose ancora e ancora più e più volte, finirei col credere che mi avrebbe preso per un cretino. Le sue parole son state precisissime, argute e inquadrano perfettamente la situazione. Ripeto, sarebbe retorico e fastidioso che le colorisse di altre perifrasi. È tutto lapalissianamente talmente chiaro che solo un tonto fraintenderebbe.

Ma sa, io devo esserle sincero. È il mio lavoro l’essere sincero, e amo esserlo coi pazienti, persone a cui voglio molto bene e per le quali mi prodigo affinché migliorino proprio il loro benessere.

Lei non è uno qualunque e ha un grosso fardello sulle spalle. Anzi, da levarsi dalle palle. Vari esperti in materia, professionisti seri con anni e anni di studio, qualche tempo fa, hanno asserito che lei soffre di un disturbo molto grave. E, nonostante la sua schietta umanità, la dolcezza perfino commovente della sua storia, io non me la sento di contestare queste diagnosi. Se non, tutto sommato, dar loro ragione.

– Guardi, non capisco. Le ho già detto che quelle diagnosi furono affrettate e molto, molto superficiali. Lei oramai mi conosce da tempo e, se ho capito qualcosa del nostro rapporto medico-paziente, credo di aver anche inteso che lei è sempre stato, in linea di massima, in disaccordo con quelle “certificazioni” molto ipocrite e approssimative.

– Sì, è vero. Non dico che le confuto e non posso dirlo a lei se effettivamente penso che siano molto parziali e frutto del fatto che si doveva velocizzare una qualche diagnosi per calmare la situazione che per lei era diventata intollerabile e poteva, ahinoi, spingerla a gesti sconsiderati, se non addirittura autolesivi o suicidari. Sa bene che il segreto professionale non si esplica soltanto se qualcuno mi viene a chiedere di un mio paziente e, se non ha un “mandato di perquisizione” della sua anima, io sono obbligato a non dirgli un bel niente, ma è altrettanto valido per quanto riguarda il rapporto medico-paziente. A grandi linee, posso dirle che idea mi son fatto di lei e quale sia la mia personale “diagnosi” ma con certezza né nero su bianco mai e poi mai gliela potrò confidare negli esatti termini nei quali si palesa.

– Quindi, lei preferisce l’ambiguità, la slealtà, la politica correttezza di una bugia bianca per non ferirmi o danneggiarmi nell’autostima oltremodo.

– Vedo che lei è in gamba. Sì, ha capito alla perfezione. Io non posso dirle nulla di lei, in termini diagnostici, se non operare con lei, in modo soft e indolore, un programma terapeutico che possa condurre lei verso la salvazione della sua anima malata e me stesso, permetta un po’ che mi vanti di questo pregio, a comprovare che anni e anni di studio mi son serviti davvero ad aiutare le persone e non sono stati anni buttati via di teorie inermi, inefficaci e cattedratiche. Se lei si salverà, se ritroverà la sua perduta vita e la sua traviata via riagguantata, il merito sarà anche mio. Non le dimentichi mai. Questo è di primaria, basilare importanza.

Ora però mi permetta di esserle ancora più sincero e mi perdoni se sarò troppo duro con lei.

– Cioè?

– Cioè, vede, lei è una persona molto colta, ha mille conoscenze, curiosa, sveglia, forte e coraggiosa. Tutte qualità che mi sento di attribuirle perché se le merita e rispecchiano la verità. Mentirei se le dicessi che è uno stupido. Molti miei pazienti, ahimè, lo sono, e non hanno assolutamente coscienza dei loro limiti né si rendono conto delle distorte imbecillaggini che mi vengono a riferire. Altresì, devo dirle che la sua vita non mi piace affatto. E la reputo molto triste. Tristissima, patetica, orrenda, penosa. Allora, o si dà una mossa immediatamente per vivere come uno della sua età, costi quel che costi, e dunque divertirsi, prendere la vita con più filosofia, non dolersi delle delusioni, tanto le prendiamo tutti, chi più chi meno, e lei in quanto uomo non ne sarà esente, oppure verrà visto pericolosamente come diverso e come una persona da emarginare. Non ha alternative, questa è la realtà. E poi non si lamenti se la gente la evita ed eviterà. Anche se nelle pulsioni la evirerà! Se l’è andata a cercare col suo astruso modo di fare insopportabile.

– Cioè, lei dice che vado benissimo così come sono ma vuole cambiarmi perché alla società non sto bene e dice allo stesso tempo che io stesso devo provvedere subito a cambiare. E in cosa dovrei cambiare?

– In tutto. E scopi di più.

– Ah, capisco. L’intero valore dell’anima di una persona si riduce al numero di scopate che uno fa.

– No, ci mancherebbe. Eppur sostanzialmente è così. È così e non ci piove. È il mondo di oggi. Florido, spensierato.

– Un po’ puttanesco e bugiardo. Carnale e materialista. Edonista ed epidermico.

– E quindi il problema dove sta? Il mondo ci vuole così e noi ce lo godiamo tutto così com’è fatto. Perché stare male per non godercelo tutto sin in fondo, tutto in culo? Si prenda questo mondo e se lo fotta di brutto.

Altrimenti saranno guai…

 

Sapete qual è l’atroce, spettrale verità? Che, nella sua fiera nudità espositiva, quello psichiatra non aveva tutti i torti. È triste, aberrante, persino malefico asserire ciò. Ma pensateci. A cosa ci serve, in questo mondo, essere furentemente creativi, pieni di fantasia, possedere una grande anima che vede la vita a trecentosessanta gradi se poi la vita stessa non siamo capaci di esperirla nel quotidiano, negl’inevitabili e potenti attriti col prossimo, se in qualche maniera, anche minimamente, non ci applichiamo per rendere le nostre conoscenze fruibili e alla portata di chiunque? Sì, si crea l’isolamento, semmai anche il delirio solipsistico, lo sganciamento troppo radicale ed eccessivo da ogni regola, da tutte le regole. E questo ingenera solitudine, alienazione e, se non sappiamo gestire le nostre emozioni, sconsolatezza ineludibile, amarezza inestinguibile, rassegnazione mortificante, ipocondria latente o peggio depressione acuta e incurabilmente febbricitante e fremente. Nascono così in noi sentimenti di totale sfiducia verso tutti.

Com’è bello, alto, nobile, coraggiosissimo tentare di vivere soltanto con la forza della nostra diversa unicità, bella, brutta, giusta o sbagliata che sia. Ma non verremo capiti. Soprattutto oggigiorno. E più ci affanneremo a fornire spiegazioni del nostro modo di essere e più verremo equivocati e guardati con sospetto e malevolenza. Ricattati e marchiati, stigmatizzati e allontanati.

E vi garantisco, sono il primo a rimarcare orgogliosamente ciò, che la solitudine è straordinaria. Sì! Ci permette di distanziarci dalle frivolezze più meschine e stolte, ci permette di leggere un libro meraviglioso, filtrandolo con la nostra mente non influenzata da niente e da nessuno, e dunque ci concede il dono e il privilegio di giovarcene, fregandocene solo di quello che noi pensiamo e amiamo di quel libro.

Ma a lungo andare, no, non dico che sia pericolosa, ma è sterile e anche la solitudine può essere un metronomico atteggiamento abitudinario verso la vita. Perché la solitudine protegge ed esalta il nostro autentico io ma può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Perché siamo uomini dotati appunto di anima.

E forse l’anima, qualche volta, va condivisa. Non troppo, intendetemi bene, ma un po’ sì.

E quello psichiatra, sebbene ammetta che abbia estremizzato con esagerata spietatezza, forse non voleva dire che io dovrei essere un egoista schifoso che vive unicamente per il suo esclusivo piacere, ma che il mondo odierno non ci offre altre soluzioni se non cedervi, prima o poi abdicarvi.

Ma è poi davvero vero ciò che ci dicono e cioè che il modo e il modello infrangibile e vero da perseguire sia questo, incontrovertibile, da prendere per l’unico vero possibile?

Non lo so, il dubbio mi attanaglia.

E ora, scusate, devo apparecchiare il tavolo per la cena e mangiare questi ottimi gamberetti in salsa agro-dolce.

Ah, che sono queste macchie sulla tovaglia?

 

 

di Stefano Falotico

Molte persone sono come il whisky, una volta che si ubriacano danno di stomaco


02 Dec

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Sì, sono stato al bar, mia meta da sempre agognata in cui caldamente riscaldo le mie viscere nel trangugiare caffè che sposano i miei umori che molti vorrebbero zuccherare con le loro mielose banalità. Voglion far sì che t’insuffli nelle loro buffonesche idiozie e che io le digerisca senza quell’amarezza che invece, credo sempre più, sia il punto d’appoggio delle mie genialità. L’amarezza si sorregge in bastioni collaudati dall’avamposto dell’obiettività, mentre il mondo, con le sue insipide convenzionalità, vorrebbe depistarti nella frivolezza e nella sciocca ilarità. Oh, siamo invasi da “dottori” del buonismo perbenista, quelli che ti ficcano nel cervello, oltre che in bocca, caramelline a base di aforismi della felicità. Andassero a imboccare i pesci del fatuo lago dei sogni. E si allietano se tu ti adatti alle loro scemenze, altrimenti ti dicono che sei uomo di cattiva semenza. E li chiamano uomini di scienza! Alcuni, a dire il vero, oltre che fintamente saccenti, sono anche orrendamente senescenti, quindi talmente rincoglioniti da volerti far credere che la vita sia un piatto di cioccolatini succosi e saporiti. So io ove insaporirmi e voglio eccome inasprirmi. Altro che queste “aspirine”. Io sono uomo temprato dal dolore del mio sapere la verità e, sebbene da molte donne sia (at)tentato, nella lor vana speranza di “addolcirmi”, preferirò sempre le canzoni di Nebraska, ove lo Springsteen sgelava di verismo ogni stronzata di caldo buonismo.

Sì, tutti ubriachi di “facilità”, e si danno, indaffarati si dannano.

Meglio i miei “danni” a queste (s)cenette “simpatiche”.

 

Solo io dico il vero, il mondo invece vuole che i fessi continuino a rimanere tali, così i potenti posson far indisturbato sesso e continuare ad aver successo.

 

Firmato un uomo immutabile, spesso muto…

 

cioè Stefano Falotico

Molti grandi attori sono degli “ignoranti”, ed è giusto così


17 Oct

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DONNIE BRASCO, Johnny Depp, 1997, (c) TriStar

DONNIE BRASCO, Johnny Depp, 1997, (c) TriStar

 

Nicolas Cage, che non so se sia un grande attore ma su cui spesi e non soppesai molte parole, tanto da dedicargli un libro che siete obbligati a comprare, disse che un grande attore deve avere alcune espressioni da ergastolano, da “patito”, da uomo sofferente e anche poi capace d’insospettabili sprazzi di euforia. Lui, maestro dell’overacting, funambolo degli eccessi, molte volte un cesso.

Johnny Depp ebbe un percorso scolastico alquanto anomalo, anzi, a dirla tutta non ebbe nemmeno una sufficiente istruzione, e si è sempre abbeverato all’istinto puro, senza regole di bello e/o sbagliato, ove lo conduceva il cuore, e fu maestoso quando apprese le lezioni di Marlon Brando, un attore coraggioso, favolista con Tim Burton e zingaro per Kusturica, prima che si dissipasse e svendesse nelle “piraterie” caraibiche, e s’innamorasse di mezze sciacquette per cui ha dilapidato la dignità in mercimonio della sua bellezza oggi un po’ sciupata.

Depardieu cazzeggiava con una gang francese per le banlieue parigine. In quei sobborghi imparò presto a fare l’uomo, senza contrattare con alcun tipo di “cultura”. Che poi la dovremmo smettere con questa fissa per la cultura “alta” perché, vista così, pare un moloch monolitico a cui possono accedere solo i “capoccioni”. Le cape de cazz’. Boriose, seriose, che non sanno mai ridere e son sempre sospettose del prossimo anche quando il prossimo è in bagno a “tirarselo” e a non tirarsela su un giornaletto “scostumato” libero dai moralistici “buon” costumi. Sì, al mare le donne non indossano nemmeno il costume, e questo invece è riprovevole perché svilisce oscenamente quel pudore delicato che la lor natura dovrebbe indurle a conservare. Ah, comunque non sono un conservatore, sono un liberale-radicale con le mie malinconie radicate sebbene non riconosca le mie radici.

De Niro, invece, abbandonò gli studi dopo le medie e superò ogni medietà possibile, giganteggiando con Scorsese e andando a letto presto con Sergio Leone.

Insomma, solo in Italia si crede che per fare gli attori e gli artisti bisogna essere laureati. La dovremmo finire con queste lauree, ché sono solo specialistiche di un settorialismo vecchio come il cucco, che servono solo a diventare metronomi della carta stampata, “dottori” delle comunicazioni più insulse.

Siate attori e, se una donna vi piace, fate capire che state recitando la parte dei timidi. Lei proverà a “sbloccarvi” e voi potrete “timidamente” incunearvi…

Ah ah!

di Stefano Falotico

“15 minuti” – Recensione


11 Oct

Nel Futuro… In the future, everyone will be world-famous for 15 minutes

Fame, it’s not your brain, it’s just the flame

Sulle note d’un Bowie fiammeggiante e famelico di “fama”, la fauna di New York.
Ove Lucifero si nasconde, qualcuno lo sa, ed è proprio lo sbirro Eddie Fleming, un De Niro allucinato nella sua “viscidità” a (p)ungere duplici omicidi di personalità multiple “appaiate” in due.
“Tumefatto” nei suoi sigari che lo stropicciano, “appiccicato” alle “spine” della sua “rosa”, Nicolette Karas, una Melina Kanakaredes tanto “cara”. Da invitare in cene intime per “intimarla” a baciarti “alla francese” d’“accento” pronunciato sul “ne(r)o” di un’indagine “ad alto fuoco”. Infatti,  in questa strambissima detection, il nostro Eddie viene affiancato dal “vigile”, anche troppo, Jordy Warsaw, un Edward Burns in mezzo al “burning”. Fra pedinamenti a Central Park, incendi “backdraft” (memori-e del Ron Howard “assassino”), parrucchiere “spione” e forse proprio i protagonisti a esser pedine, “pedoni” piatti di poca acutezza e fiuto tanto istintivo quanto assai rischioso. In questo trambusto, in quest’“arrosto”, puoi rimetterci le penne, Eddie…, la morte corre sul filo del “citofono”.
“Chi è?”. Toc toc, o tic tac?. Cattura(ti?). Non gridare troppo presto “vittima” se sei carne già a pezzi.
Brividi freddi, a “combustione lenta”, “legati” a una sedia “elettrica” ove ti squaglierai, amico “Fleming”.
Long goodbye…

Questi due russi non se la russano, assolutamente. Orribili storie(lle) di “fornelli”, da “storpi” molto “furbetti”.
Pazzi sì, uno così folle e, “infuocato” (già), da azzardare anche di “psicopatia” pura come una diagnosi cucita a pelle.
Sì, il più “matto” arriverà a prendere in ostaggio Jordy, filmare tutto, farsi dichiarare “infermo di mente” e, una volta uscito dall’“ospedale psichiatrico”, (s)vendersi al giornale da prime time d’un Kelsey Grammer più cannibale di “successo”.
Questo qui non vede l’ora di avere fra le mani “roba che scotta”. Quasi quanto le cosce di Kim Cattrall… sex and the city. Che figa!

Un casino pazzesco, microfoni che volano, “piatti da lavare”, perfino l’effigie” di Rocky Balboa, vetri frantumati, la bandierona americana un po’ “insicura”. Traballa quanto le certezze che vacillano.
La Statua della Libertà a far da sfondo a questo putrescente “fondale”.

Charlize Theron per un favore “cameo” a John Herzfeld, per due minuti senza respiroVera Farmiga prima di Scorsese, già carina forse di più. Che departed di bizzarro parterre.

De Niro ancora “autoparodistico” che monologa allo specchio col suo anello di fidanzamento, ma non ci crede, bravissimo è un “braccio violento della legge” al suo Marlowe di completino marrone. “Maculato” nel cappuccino che sarà “incappucciato?”.

Scop(pi)a lo scandalo, qualcuno parlerà. Che assurdi gli USA. In Europa si sta peggio.
Qualcuno “emigrò”, la guerra fredda è sempre un terrorismo giocato su regole “opposte”, così simili che quasi si sfiorano, anzi, si toccano per un attimo, si fottono a vicenda, si (s)cambiano gli abiti.
Chi è il fascista? Chi è il difensore della “Patria?”.

Si salvi chi può!

E tutto brucia di un cazzotto che si merita il “Vaffanculo” finalissimo.

Così è, così stanno zitti tutti i pezzi di merda.

Ha vinto Edward, ha vinto la giustizia!

(Stefano Falotico)

 

Genius-Pop

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