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Last Vegas, mini-recensione


23 Apr

Last Vegas

Commedia garbata, lentamente, pateticamente godibile, fra il deprimente e un euforico contenuto, schizzata in alcuni momenti bolsi, trita, sensualmente candida, moralistica, fascinosamente spinta verso la vecchiaia mort(ifer)a.
Con quattro attori in forma senile, ma gustabili.

 

di Stefano Falotico

 

 

Motel, recensione positiva


24 Feb

Da persinsala.itMotel Cusack

Tutto ambientato in una notte, in un motel alquanto malfamato, la storia di un’attesa angosciante e piena di imprevisti, ben interpretata da due attori che in questo film confermano la loro bravura a cimentarsi anche in film apparentemente “minori” del solito.

Jack (John Cusack), un uomo dal passato burrascoso, ma buono e sensibile, viene assoldato da Dragna, un killer senza scrupoli (Robert De Niro) per portare a termine un compito molto semplice: sostare una notte in un motel in Louisiana in attesa del suo rientro, con una valigetta che non deve assolutamente aprire. Le cose però si mettono in modo più difficile di quanto previsto e Jack dovrà fare i conti con insidie e personaggi loschi, che tenteranno di impedirgli di portare avanti la sua missione.
Ma durante la sua permanenza, conoscerà anche Rivka (Rebecca Da Costa), una spogliarellista dalla vita tormentata, che deciderà di aiutare Jack e incastrare Dragna.

Quello che inizialmente può sembrare un Aspettando Godot noir, la vicenda di un buono che aspetta un cattivo in un motel in pieno bosco, dall’aspetto orrorifico e poco promettente, in realtà si rivela un film avvincente e capace di tenere incollato lo spettatore alla poltrona.
Sì, perché il buono si scopre un serial killer (John Cusack) al servizio di un serial killer ancora più pazzo di quanto sembrava (Robert De Niro), capace di citare passi di letteratura poco prima di uccidere.
In effetti, per quanto ci siano tutte le premesse per rappresentare un film in un certo modo “introspettivo” , mettendo in scena un protagonista stanco, imbolsito e ancora non del tutto abituato alla morte della moglie – oltre al fatto che il film è liberamente ispirato al racconto La gatta di Marie-Louise Von Franz, una delle più illustri allieve di Jung –  in realtà si rivela un thriller/horror ben congegnato e pieno d’azione.
L’attesa di Jack infatti è caratterizzata dall’incontro con diversi personaggi: primo su tutti la super sexy Rivka (Rebecca Da Costa), ingaggiata dal boss per sedurre Jack, ma che si innamora davvero del killer e decide di seguirlo; c’è poi l’inquietante e invasivo direttore del motel (Crispin Glover) in sedia a rotelle; e infine c’è lo sceriffo della zona (Dominic Purcell), giunto al motel per arrestare Jack.
E ci sono tanti morti, gli ostacoli che Jack deve superare per arrivare fino all’incontro con finale con Dragna, un Robert De Niro quasi ringiovanito, che incute terrore dalla sua prima apparizione in scena.

Diretto da David Grovic, il film diverte nel suo avvicendarsi di imprevisti, e ci regala un duetto, quello tra Cusack e De Niro, che non si era mai visto prima.
John Cusack, che è sempre stato abile ad evitare il mondo dello star system e a far parlare di sé solo grazie ai suoi film, per quanto inizi a sentire il peso dell’età, regge benissimo il gioco a un De Niro quanto mai rigenerato dopo innumerevoli apparizioni in film non proprio alla sua altezza. I due si vedono solo all’inizio e alla fine del film: rispettivamente alla consegna del lavoro e alla fine di esso, cioè alla resa dei conti.
Il regista riesce benissimo nell’intento di rappresentare il motel come una “trappola per scarafaggi” (tutti vorrebbero andarsene, ma sono destinati a rimanervi), quasi simbolo di una condanna, un luogo angusto nel quale scontare i propri peccati, in attesa della morte.
Nessuno è salvo, chiunque potrebbe morire da un momento all’altro. Per farla breve, un film che può divertire anche i non amanti del genere.

Interstellar review


17 Nov

Il Cavaliere Oscuro – Recensione


15 Sep

 

Stelle (de)cadenti nell’imbrunita palpitazione di rossa sinergia su turgide, virulente lune, battito alato d’una nitida ma sibilante resurrezione

Diario di bordo, “versetto” di sangue numero uno, Incipit

Nella vulcanica astrazione del mio “horrorificar” l’anima, smaltandola di simbiotico baglior albeggiante, oggi, finalmente riscoccò il Giorno nei fulminanti latrati d’un corpo rinnovato, famelico di nutrizione metafisica, in una serenità scossa, ancora, da fragili equivoci di neuroni contorti, imprigionati di melanconico naufragio nel tenue ma corrosivo inabissarli, dunque appunto intenerirli nella claustrofobia rinascente d’un vivido grido selvaggio inferocito di nitor a Ciel “cereo”, opaco e poi perlaceo, di suoi gracchii furibondi ed euforici. Sguinzagliando le tenebre che castigarono il Cuore in un esserne preda della vita, imponderabile e maestra nel “perquisirmi” per inseguire la romantica dissolvenza della catarsi.

Con tal brillante apatia sconfitta, dopo le lenzuola morbide di cuscini setosi nell’opulenza dei sogni, solerte nel Sol solitario ma evanescente d’immaginazione erotica e intrepida furia, mi “racchiusi” in un cinema sapor “primizia”, a degustare un capolavoro annunciato, la cui visione rimandai per sfoltir la massa troppo rumorosamente adorante di suggestioni e indotto, “acritico” imboccarla.

Dietro la mia poltroncina, addobbata di classe “invisibile”, un gruppetto di ebetucci con le “erbette”, tra frizzi e il “lazzo”-canaglia alle loro cagnoline, “dolci” di bacetto “fumoso”.

Aspettai, (in)ininterrottamente, che tutto si spegnesse per riaccendermi, e la mia anima, (dis)illusa, si sorbì gli “assorbenti” e filmati sconci di macellerie ove il capriccio edonista sfodera quanto sforbicia la coscienza, “invogliandola” a patir l’omologazione anche del più inviolabile nostro segreto, il Sesso.

Numero due, l’inizio del Terzo…

Memorie dal sottosuolo del ricordo di un Uomo “scomparso”, misteriosamente eremita e “asociale”, zoppo, dunque claudicante, scarico e addolorato d’occhi troppo neri e una magrezza ossutissima di muscoli ieratici nel panorama tetro d’una inflaccidita, pigrissima Gotham.

Christian Bale, proveniente da un Pianeta camaleontico di mutazioni corporee dal fisico bronzeo ma carnagione pallida e “malata”.
Antichi amici tentano, (in)delebilmente, di risvegliarlo perché troppo “addomesticato” dal suo carisma “dormiglione” negli allori, nella allure e nelle aurore che (non) furono.

Ove la Notte squittiva nuda indossando un colore mascherato di voce cavernosa nelle grotte che zampillavan da giustiziere…

Prima della sua (ri)comparsa, un mostro titanico di fisico teutonico e “detonante”, Bane, un Tom Hardy di robustezza quasi “obesa”, costole “pentecostali” di un’esistenza soffertissima e lacerata nell’efferato terrorismo, anch’esso “celato” dietro un volto semicoperto, però non “sdoppiato” ma fin troppo esplicito senza fraintendimenti: prenderà d’assedio Gotham per “rigenerarla” nella vendetta purificatrice del fragore atomico.

Pausa erotica, insomnia…

Anni di clandestinità e da cane, anzi d’allupato su un divano “scamosciato” di mie registrazioni notturne “dispettose” nella “suzione” di tutta la mia magniloquenza virile che allisciò le turbolenze adolescenziali, gemendomi dentro nell’apotesi “svergognata” d’una “reclusione” ed “esclusione” di “sfregarmele da menefreghista e (s)freg(i)ato”.
Donne dai culi magnifici in gara di competizione antecedente, dunque di posteriore “sgommato”, con questa Catwoman “aderentissima” d’eccitazioni “pneumatiche”.

Versetto finale del rising

Un urlo a incoraggiare il leone abbattuto dall’oscurantismo “medioevale” di torture all’anima e punizione troppo severa.
Un pozzo che non avresti mai più scalato. Finché i nervi si rinsaldarono al metallo forgiato nella tua forza adamantina, principesca, possente d’ancestrali potenze rifiorite nella Genesi del tuo Tempo.
Allenamenti a rinvigorire le iridi accecate dall’odio e dalle invidie, del tuo dinastico privilegio che non ha mai imparato a “farsi il letto” per esser riverito da maggiordomi e (Notre)dame…

E un balzo sorprendente, issato in gloria di chi ha tifato lì, in fondo ai “tufi”.

Complotti, una Cotillard dal seno che ci rimani secco, in “giuggiole” d’occhiolino invadente per “spolparla” nei succhiotti al nettare.
Ma che si rivelerà una traditrice doppiogiochista di lama tagliente ma, tanto scattante, quanto di lenta scaltrezza.
“Calcolo” a cantar “vittoria” troppo presto che, infatti, rallenta l’imminente, rinviata tragedia per la suspense“prevedibile” ma sempre spettacolare.

Il terrificante cattivo abbattuto, la “puttana” seviziata da un’Hathaway che recita nell'”esagerazione” delle “natiche” della controfigura, gran figa, e un finale “aerospaziale-nautico” con tanto di esplosione…

Della salvezza, dell’applauso, del Robin da colpo di scena furbetto e un inevitabile…

… Michael Caine, il saggio e “venerando”, commosso, lancia un’occhiatina e augura “Buona vita” al “(non) morto”.

Nosferatu ama anche in un bistrot…

(Stefano Falotico)

“Killer Elite”, secondo i “sentieri selvaggi…”


04 Jun

 

Siamo tutti critici alla John Ford…

 

Il film di McKendry sembra Knockout di Soderbergh senza i giochetti metalinguistici, e si affida a una manciata di sequenze con Robert De Niro a metà tra Ronin Jackie Brown, e a un paio di mirabolanti numeri di Jason Statham. La sensazione è però quella che il cascatore scoperto da Besson si conceda a queste scene d’azione sempre più controvoglia; come già in Professione Assassino di Simon West, Statham sembra avere ormai l’intenzione di farsi riconoscere come ombroso interprete di eroi corrucciati, tormentati e un po’ meno guasconi di quanto il cinema gli abbia offerto finora.

 

Il look di Dominic Purcell è l’elemento chiave di questo film d’esordio sul grande schermo di Gary McKendry, pubblicitario nordirlandese già candidato all’Oscar 2005 per il miglior cortometraggio. Purcell, superba spalla di Jason Statham in Killer Elite, è star della serialità televisiva, già protagonista di John Doe e Prison Break, tra le altre cose. Qui sfoggia una incollaticcia chioma impomatata e un paio di baffi imponenti, e, siccome il film è ambientato nei primi anni ’80, il risultato è quello di un personaggio che non ha ancora capito che gli anni ’70 siano ormai finiti.
In qualche modo questa si rivela essere sul serio una indicazione di regia per McKendry, che fa uno spy movie spedito e virile davvero d’altri tempi, che però evita completamente di compiacersi del proprio aspetto di modernariato funky vintage, ma condensa la confezione in un ritmo secco e in una sceneggiatura senza fronzoli, basata sul romanzo-inchiesta di Ranulph Fiennes Gli uomini puma, che nel 1991 aveva smascherato le presunte malefatte dei servizi segreti inglesi nel corso della guerra per il petrolio del sultanato di Oman.

Il film di McKendry sembra Knockout di Soderbergh senza i giochetti metalinguistici, e si affida a una manciata di sequenze con Robert De Niro a metà tra Ronin e Jackie Brown, e a un paio di mirabolanti numeri di Jason Statham, tra cui una lotta con mani legate dietro una sedia non proprio inedita ma atleticamente impressionante, e un corpo a corpo di una certa potenza con Clive Owen, o più probabilmente il suo stunt double. La sensazione è però quella che il cascatore scoperto da Besson (e che non a caso qui ricomincia da Parigi – “Lo sapevo che saresti tornato!”, esclama Purcell) si conceda a queste scene d’azione sempre più controvoglia; come già in Professione Assassino di Simon West, Statham sembra avere ormai l’intenzione di farsi riconoscere come ombroso interprete di eroi corrucciati, tormentati e un po’ meno guasconi di quanto il cinema gli abbia offerto finora.
La sfida con un Clive Owen più dalle parti di The International che di Shoot ’em up, ne stimola a dovere le acerbe capacità attoriali: ma è Owen in realtà il vero protagonista nascosto del film, fantastico perdente tradito e ossessionato dal passato, di cui lo script schizza la figura con un paio di elementi e nulla più, ma di cui sentiamo tutta la sanguigna umanità.
Matt Sherring, lo sceneggiatore anch’egli al battesimo cinematografico, mostra infatti questa ottima abilità nel caratterizzare i suoi personaggi con un paio di riferimenti, qualche immagine (vedi la lettera che arriva a Statham all’inizio del film, che contiene solo una foto di De Niro in ostaggio e un biglietto d’aereo, ed è subito tutto spiegato), poche parole di contorno, e soprattutto i tempi giusti.

 

Articolo del 04/06/2012 di Sergio Sozzo

“Killer Elite”, la recensione


02 Jun

 

Attenzione! Sono presenti spoiler o anticipazioni del finale.

 

Siamo uomini, ammettetelo anche voi

Si parte sempre dai personaggi, per “intimarci” e prender, poi, confidenza con l’ambientazione, la storia, la vicenda narrata.

Qui, ci troviamo di fronte a un terzetto che è già “moschettieretrio vincentissimo, lucente, fra le “locande” non tanto candide, di spadaccina audacia e inoppugnabile virilità.

Jason Statham, colosso atletico di movenze felinissime, quasi “felpato” anche nella nervatura e intelaiatura “ossea” dei suoi bicipiti “agilissimi” ma schioppettanti di “schiocco” cric-crac “spaccaossa” (e tutta la carcassa, fragorosamente “fracassandoli” di pugni e “pam pum” senza esser docile di “piume” ma acrobatico “spataccarli” velocissimamente come un selvaggissimo puma che ti “sfiora” appena appena), divenuto oramai celebre nel “cementato” (e “armato”) “mondo” dei b-movie, o delle pellicole “tritadenti”.

Azioni, inseguimenti, funambolica spia e guardingo amante fra villici lombrosiani, del suo (an)alfabetismo, poco loquace, ma perspicacissimo, spiccato a spaccar i musi di tali antipatici e ad appiccicarli…

Icona, inizialmente paragonato a Bruce Willis, in termini non proprio eufemistici, quasi “effeminandolo” d’un blandito “Non può reggergli contro”.

Assurto, invece, a eroe prescelto per questo genere, anzi, oramai per il Cinema “di genere”.

Cinema che non ha la pretesa di ereditare i geni da Woody Allen, ma che ti serve, spesso “caldo”, pietanze saporite che ti puoi gustare in sal(s)a, sgombro dagli ingombranti “imbrogli” sociali, dalle “schede elettorali”, dai capriccini, dalla riccia che, accanto a te, muove il “piedino” (ma potresti “starci”, una sola poltroncina è “scomoda”), Cinema ove il “buono” è un bel pezzo… che spezza le reni, che non viene irretito, che, “cafonissimo”, agguanta i cattivi, li sfida di “guantoni”, aggiusta i conti, anche un po’ “raccontando(se… e “ma”)la” alla sua bellona, qui Yvonne, un nome ch’evoca la Donna da “ingioiellare” anche se non sei sempre un damerino, semmai, come Jason, sei invece solo, “decorato” e decorosamente, un “giullare” che la corteggia, finissimo, d’anello al dito anulare, ché se ne “abdichi” e con te, di Notte, “canticchi”.

Questo è Statham, se stesso, inutile chiedergli di essere Sylvester Stallone dei tempi “rapaci”.

Quella è la sua faccia, e “questo” ti “schiaff(eggi)a”.

Clive Owen?

Spenderò poche parole su “costui”. Non ho ancora capito se è davvero un “mercenario“, un tizio da paycheck, o un attore “inglese”.

Qui, il mustacchio è “canagliesco”. Fottutamente bastardo.

Owen. Ma, Lei, chi è? A quale giuoco gioca?

Piacere, è un omaccione piacente, ma a volte “Non mi piace”, e non “lo” condivido sul “like button“.

Qui, sì, eccome, bravo! Il posto a tavola è per Lei…

De Niro?

Esce da Ronin, esce dal “semifreddo” di Frankenheimer, è un mentore, è un cacciatore, il ricercato forse numero uno, in possesso della sua “valigetta” malinconica. Parla, dice e non dice, ammicca, sta zitto, guarda di “traverso”, ti fa vedere, anche a settant’anni, e in forma strepitosa, le “traveggole”.

De Niro. So bene chi è Bob. Se non lo sapessi, la nostra vita non ne avrebbe giovato.

Trama, esplosiva sin nei primi, “trivellanti” ma rivelanti minutaggi esagitatissimi, di “smitragliate” a raffica su panorami deserti sullo sfondo. Di corpi sfondati con del piombo rovente, di sangue “asfaltato” dai siderali colpi letalissimi, di bronzei guerrieri metallici con De Niro, truce e ruvidissimo a sparare, “rosatamente” sventrandoli, su capigliatura sciolta, “raccolta” in una “senile” carrozzeria di Sguardo disincantato, incagnito, “scandagliante”, a rincarar poi la dose di morti ammazzati, “uccidendo” anche solo le macchine già “ammaccate”, come da sua battuta antologica nel prefinale mozzafiato.

Da Ronin è “invecchiato” di voce ancor più esperta, che ha spirato tante volte, e si è esperito di fiuto sempre più affinato e non affatto deperito, semmai a spellarli e “perirli” tutti, d’indurita chioma argentata e barba sofficemente incolta da (im)paziente “prigioniero” del meccanismo, appunto, che innesca quest’action. A breve, ce ne “ricollegheremo”.

Però, è tutto improntato nella (di)sfida, malfidatissima, fra Danny (Statham) e Spike (Owen).

Il volto dell’innocenza su cui son “sgorgate” lagrime di sangue nel frenetico, senza tregue Incipit, han intenerito il duro Statham infatti, che par essersi redento e purificato.

Ma, il suo maestro, Hunter (De Niro), è ora nelle mani di un “sultano” saudita che, come in tutti gli “scambi” (il)leciti di “rapimenti, ostaggi e riscatti”, pretende un lavoro sporchissimo da Danny, in cambio, appunto, della vita del Bob tra le sbarre, “barricato”, anzi, in una ieratica “melanconia” afosa tra schegge “sceicche” di Luce rossa come il vento di scirocco, “sapide” e lungimiranti d’un “loculo” sotterraneo di “segretissime…” confessioni.

Qui, entra in gioco Ranulph Fiennes (no, se siete dislessici e vi è venuto in mente il famoso attore “omonimo” Ralph, ci avete quasi preso, ne è il cugino), “giallista” di spionaggi e avventure “misteriose”, autore di “The Feather Men”, romanzo incentrato, “macinato”, “marciato” sul massacro di alcuni membri delle forze speciali inglesi, per l’esattezza la S.A.S (Special Air Service).

Il regista, il pressoché esordiente Gary McKendry, confeziona un filmone che nondicenulla sotto il Sole, eppure, sebbene molti se ne “accaniranno” screditandolo con recensioni “tagliate con l’accetta” dei modaioli sarcasmi snobismissimi, ce lo “spara” di combattimenti maschissimi, iperrealistici, fedelissimi a strenui amicizie, non tutte da mantenere o solo tradite, di “distretti” e di strette di mano da “morse”, di fitte dolorosissime, di corse e di quello che corre a fiotti.

Statham, allora che “picchia” legato a una sedia, con tanto di “atterraggio” da wrestler, e “carpiato” knock-out massacrante. Poi, senza sprezzo del pericolo e della verosomiglianza, spacca, ancora “ammanettato”, il vetro della finestra e “rimbalza”, “nudo”, senza paracadute su un “materasso” abbastanza resistente agli “urti”.

Ferito, solo “di striscio”, appena “zigrinati” i suoi zigomi, di mascelle slogate e “legamenti” un po’ spappolati.

Statham, allora già un classico.

Ecco il miglior Owen d’occhio “sinistro” davvero, “fintissimo” e doppiogiochista che imparerà l’unica lezione importante di chi è assoldato: quando le fazioni opposte decidono di porre fine alle ostilità, devi arrenderti, (ap)pagato o meno.

La lezione “amara”, vera di Frankenheimer.

C’è sempre una bionda che aspetta, preoccupata, nei bistrot parigini, ove può spuntare proprio Hunter il redivivo, e interrogarla per carpire informazioni utili alla sopravvivenza dell’amore.

Be’, quando si son calmate le acque, Jason sfila per il boulevard luccicoso, “stronzo” ma romanticissimo, e, con quel look police-sco, “pollice su” alla grande, vincente di risatina che “sospira”, tiratissimo in giubbotto di pelle adorante, non può che strizzarle l’occhiolino e aspettar che salga in macchina.

Sofferenze (in)giustamente patite, giusta vittoria di solletico e “sollievo”…

Vissero tutti felici, i buoni”, scontenti quelli che non ci sono più, in tutti i sensi. Forse, non erano poi tanto cattivi…

Perché, il Mondo, bello, brutto, che ci piaccia o no, o “Può darsi”, è lotta e darsele, le cazzate le risparmiamo al reparto “filosofi” delle “buone maniere”.

La verità è nella frase di Hunter, che recita a Danny le parole di suo padre, dei padri, dei saggi.

La vita è comeleccare miele da un cactus…

Che significa?

Ve lo spiega sempre Lui, ma, adesso, per (il mio) Piacere, la mia l’ho già data e detta.

 

 

Recensione spaccaregolucce…
Non è un film da spallucce e da lagrimuccine….
Prendete la valigia, “nomignolizzatela” in “valigetta”, 24h di soldi e pulp fiction, e ficcatevi nel centro della Terra. Optate, senza batter ciglio, senza pensarci due volte, a questo poker d’assi: Statham, Owen, De Niro, Strahovski. May the best man live, e vedrete che vincerete anche voi…

Yvonne, una che carezza il suo cavallo, il suo “stallone”.
E vuole amarlo…

 

(Stefano Falotico)

Genius-Pop

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