“Killer Elite”, secondo i “sentieri selvaggi…”

04 Jun

 

Siamo tutti critici alla John Ford…

 

Il film di McKendry sembra Knockout di Soderbergh senza i giochetti metalinguistici, e si affida a una manciata di sequenze con Robert De Niro a metà tra Ronin Jackie Brown, e a un paio di mirabolanti numeri di Jason Statham. La sensazione è però quella che il cascatore scoperto da Besson si conceda a queste scene d’azione sempre più controvoglia; come già in Professione Assassino di Simon West, Statham sembra avere ormai l’intenzione di farsi riconoscere come ombroso interprete di eroi corrucciati, tormentati e un po’ meno guasconi di quanto il cinema gli abbia offerto finora.

 

Il look di Dominic Purcell è l’elemento chiave di questo film d’esordio sul grande schermo di Gary McKendry, pubblicitario nordirlandese già candidato all’Oscar 2005 per il miglior cortometraggio. Purcell, superba spalla di Jason Statham in Killer Elite, è star della serialità televisiva, già protagonista di John Doe e Prison Break, tra le altre cose. Qui sfoggia una incollaticcia chioma impomatata e un paio di baffi imponenti, e, siccome il film è ambientato nei primi anni ’80, il risultato è quello di un personaggio che non ha ancora capito che gli anni ’70 siano ormai finiti.
In qualche modo questa si rivela essere sul serio una indicazione di regia per McKendry, che fa uno spy movie spedito e virile davvero d’altri tempi, che però evita completamente di compiacersi del proprio aspetto di modernariato funky vintage, ma condensa la confezione in un ritmo secco e in una sceneggiatura senza fronzoli, basata sul romanzo-inchiesta di Ranulph Fiennes Gli uomini puma, che nel 1991 aveva smascherato le presunte malefatte dei servizi segreti inglesi nel corso della guerra per il petrolio del sultanato di Oman.

Il film di McKendry sembra Knockout di Soderbergh senza i giochetti metalinguistici, e si affida a una manciata di sequenze con Robert De Niro a metà tra Ronin e Jackie Brown, e a un paio di mirabolanti numeri di Jason Statham, tra cui una lotta con mani legate dietro una sedia non proprio inedita ma atleticamente impressionante, e un corpo a corpo di una certa potenza con Clive Owen, o più probabilmente il suo stunt double. La sensazione è però quella che il cascatore scoperto da Besson (e che non a caso qui ricomincia da Parigi – “Lo sapevo che saresti tornato!”, esclama Purcell) si conceda a queste scene d’azione sempre più controvoglia; come già in Professione Assassino di Simon West, Statham sembra avere ormai l’intenzione di farsi riconoscere come ombroso interprete di eroi corrucciati, tormentati e un po’ meno guasconi di quanto il cinema gli abbia offerto finora.
La sfida con un Clive Owen più dalle parti di The International che di Shoot ’em up, ne stimola a dovere le acerbe capacità attoriali: ma è Owen in realtà il vero protagonista nascosto del film, fantastico perdente tradito e ossessionato dal passato, di cui lo script schizza la figura con un paio di elementi e nulla più, ma di cui sentiamo tutta la sanguigna umanità.
Matt Sherring, lo sceneggiatore anch’egli al battesimo cinematografico, mostra infatti questa ottima abilità nel caratterizzare i suoi personaggi con un paio di riferimenti, qualche immagine (vedi la lettera che arriva a Statham all’inizio del film, che contiene solo una foto di De Niro in ostaggio e un biglietto d’aereo, ed è subito tutto spiegato), poche parole di contorno, e soprattutto i tempi giusti.

 

Articolo del 04/06/2012 di Sergio Sozzo

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