“Shining” – Recensione

21 Oct

Shining

La casa del fantasma fra le nevi d’un albergo maledetto



Grey luccicchii o Mr. Grady, “compassato cameriere” nella “vacanza” dai soliti incubi degli spettri di Jack Torrance, enigma “torreggiante” nell’orrorifica memoria “assopita” d’una labirintica mostruosità gelidamente “sepolta viva”.

Quale aberrazione si nasconde nella room 237? Red ascia del lupo affamato, macchiata di sangue “rabbonito” nell’identità celata d’un signore fin troppo ligio al dovere?

L’Incipit si (s)taglia delle sequenze “finali” del Blade Runner davvero “director’s cut”, “evirate” dai limiti imposti dalla produzione, qui inanellate negli stupefacenti, “lacustri”, ghiacciati panorami “floridi” d’un nightmare già “flemmaticamente” scandito di brivido denso, endemico, “corrucciato” nelle vertigini d’altopiani a planarvi foschi(a) nel bosco sperduto. Ove, come nitido bagliore d’“arredati” misteri, s’“inarca” l’Overlook Hotel, “nevralgia” d’ogni pericoloso esaurimento ne(r)voso, solido e granitico in mezzo alla grandine, alle piogge invernali, alla “valanga” terrificante d’una perversa mente lì lì a “squagliarsi”, a sgelare appunto l’orco ch’era scomparso.
Attività paranormali come scossa tellurica a svelar la visione, ad allucinarla d’occhi spaventati, tremolanti e rabbrividiti da lugubri riemersioni d’un assassinio che mangiò l’innocenza, divorandola nella “beatitudine” (ri)composta di Jack, del chi è Jack?
Un triste figuro da mattino con l’oro in bocca?

Jack Torrance, “inebriato” nel sobrio Jack Nicholson più “arricciato” di “controllo” mimico, scrittore fallito in cerca di “serenità” e di un lavoro tranquillo che possa “illuminarlo” dai “blocchi” dell’ispirazione smarrita.
Sostiene, di beffarda “irrisione” forse già rivelatrice, il classico, “incravattato” colloquio per l’“assunzione”. Per “assolversi?”.

Forse già la soluzione degli arcani? O dissolvenze, kubrickiane “maschere” eyes wide shut d’uno Stephen King “traslato” e qui livido di traslucida detection-“detentiva-intuitiva?”.

Jack vorrebbe farsi assumere come “guardiano” di un albergo, proprio l’Overlook.
Il direttore lo prende subito “in simpatia”, con tanto di firma (faustiana-nefasta?) al cont(r)atto.
Sì, prima d’apporre la “calce”, Jack è stato avvertito dalla “vocina” del direttore.

Il lavoro è “semplicissimo”. La “manutenzione” appunto di un albergo nei mesi di chiusura, cinque “tondi tondi”. Ma…, in questi cinque mesi, il clima “lassù” è rigidissimo e costringe all’isolamento perché tutte le strade (i collegamenti col Mondo esterno) sono “intasate” a causa, o per cagione (cacciatrice?), della “sventura termica”.
Anni fa, un altro signore con una situazione “identica”, accettò l’incarico, un “tale” Delbert Grady, che si trasferì nell’aspro eremitaggio con moglie e due figlie gemelle.
Ma, per colpa della solitudine, impazzì e massacrò la sua famiglia.

Jack, dapprima un po’ “impaurito” dal macabro “racconto dell’ orrore”, poi giovialmente “ridacchia” che, per quanto gli concerne, questa sorte è davvero poco avverabile. Si dichiara un Uomo stabilissimo, imperturbabile. Desidera solo “staccare un po’ la spina” dalle frenesie cittadine, sgombrare la mente dall’ansia asmatica dei turbinii chiassosi, solo perché possa riscaturire la “limpidezza” appannata del suo fervore creativo, momentaneamente spento. La “pace” d’una vita estemporaneamente lontana dalle “oculatezze” d’una “normale” esistenza, ché sarebbe facile a “distrarsi” per via degli “attriti” sociali, e la tranquillità potrebbe essere ciò che cerca per finire il suo romanzo “interrotto”.

Così, la famiglia Torrance va a vivere, appunto, all’Overlook.
Il figlio di Jack si chiama Danny. Danny è in effetti dotato dello shining, il sensitivo potere, dunque sesto senso, di vedere i “morti”, oppure è un bambino “disturbato?”.

No, forse Danny possiede davvero questo dono “speciale”.
A rivelarglielo è Mr. Halloran, il cuoco dell’albergo che, all’arrivo dei Torrance, fa i suoi “onori di casa”, “porgendo” a Torrance le “chiavi” delle “camere”… segretissime.
Mr. Halloran ha visto in Danny qualcosa che lo turba, lo spaventa. Ma Danny è un bambino, e deve essere protetto dal Male che si annida nei “nascondigli” del “castello”, ove potrebbe imbattersi in una vera “cella frigorifera”, scoprendo un mistero raccapricciante, che non va, per nessuna ragione, “sprigionato”…
Danny invece scorrazzerà liberamente, “abbandonato” a se stesso lungo i cunicoli della magione. E, inabissandosi col suo triciclo, dedalicamente “a zonzo”, riporterà alla Luce la fiaba, nerissima, di Charles Perrault, “Le Petit Poucet”.
Il nostro piccolo Danny trasmuta quindi in Pollicino nel gioco degli inganni e degli incastri.

Il resto è Storia consolidata del Cinema, “ossidata”, anzi… pelle e ossa.

Jack Torrance lo sa…
(Stefano Falotico)

 

 

 

 

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