Per Lucrezia la Luce

06 Dec

Non so cosa m’attrae di te, mi sento spinto a contattarti. Avevo spento il PC e son stato invaso da una profonda pioggia d’emozioni. Al che, mi son sciacquato il viso, ho affamato le nocche tatuate d’eccellente, duale specchio affranto, ho “acceso” la mia mente mescolandola al rubinetto che gocciolò calda estasi ormonale e ho avuto un’erezione nello scroscio dell’acqua lievissima, pura come i miei pori, appena baciata dai miei occhi insaponati. Non succede sovente, spesso mi “gastrizzo” come Jake LaMotta, nuotando a pelo d’acqua coi miei muscoli che rifletton la nevrosi metafisica incarnata e incauta tanto da incanutir di canottiera, ché scarniti si destan all’alba, soffocando i massacri giornalieri di squallidi mentecatti che adoran solo massaggi melliflui al “flautello” loro sempre “in diretta” nella scorribanda del porcile. Sì, mi struggo e svengo, prima capitombolai in catalessi, col tuo volto impresso suadentissimo a mia maestà metà sudata e suddita che deragliò nelle rotte anomale del Piacer epidermico all’ematoma che m’hai inflitto, soggiogandolo alle tue gambe bugiarde per ingannarmi con sollazzo svagato da Donna d’alto bordo e fischiettante armonica sincerità nello sfacciato mostrarmela senza veli che mai celeran il gelo tuo vulcanico in me ballerino, lestofante di chiacchiere per concupirti d’occhiolino che strizza le palpebre e non strozzarmi. Ah, m’ingozzerei di te, camaleontico nell’onta del mio essere ripudiato dall’ipocrisia di tal mendaci germanici gendarmi, armati sempre di valori ferrei che han raffreddato il vivo pudore quando, divorato da nubi fragile, s’accasciò in lagrime assorte di contemplativa letizia così menzognera che sollevai solo il naso, annusando il profumo del mio sperma ch’odorava dorato saltellando per aria come angeli indemoniati dal “carisma” d’una fontana, mielosa sì, ma succosa di leccarla tutta, gustandoli’amante del mio tenero oblio del tenebroso esser Arlecchino fra questi lacchè. Il gallo è cresta nelle onde che “chicchirichìeggian” nell’eco delle vertiginose scale mobili senza sabbia. Vergognosa, quali gogne? La vigna!
Ti spoglierei, inesausto, altalenante nell’allenar i polmoni su tuta grintosa di sesso in noi mirato di-vino, odio che impersonifica il disprezzo per le “fiche” perché, senza S di suggere, tormentan di smorfie amorfe la mia morfologia orogenetica, genital di gelato morbido e cremoso.
Tale è follia, tale è profezia. Tale è il predicatore nella valle, che avalla cavalcando.

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