Il buio oltre la senape

10 Jul

Duvall buio oltre la siepe

L’avete visto questo memorabile film con Gregory Peck? Il buio oltre la siepe? Ah, non domandatelo a me. Io guardo tutto ma spesso non rammento quando lo vidi, e se lo vidi. Può darsi che in qualche scantinato della memoria, eh sì, da scardinare, giaccia nei suoi recessi la visione di questo film per cui Peck vinse il suo unico Oscar. Sì, Peck in questo film non sbagliò neppure un mezzo tono recitativo, fu impeccabile, insomma Peck non steccò e non peccò. Eh eh.

Ora, cos’è il buio oltre la siepe? Il “buio oltre la siepe” rappresenta l’ignoto e la paura che genera il pregiudizio. Secondo Wikipedia.

E voglio, a tal proposito, raccontarvi una breve storia che spero possa farvi riflettere sulla scellerata imbecillità che nasce dai più ignoranti e oscurantistici sospetti.

Anni fa, nel mio quartiere, conobbi un ragazzo. Avrà avuto sui diciassette anni. Mi fu di primo impatto immediatamente molto simpatico ma agli altri suoi coetanei, invece, appariva tutt’altro che una persona affabile o della quale potersi fidare. Insomma, agli occhi dei suoi coetanei pareva mattoide, strambo, inaffidabile. Una persona da prendere poco seriamente, da schivare e con cui, se proprio uno era costretto a scambiarci quattro chiacchiere, da trattare con la più bieca e pusillanime indifferenza. Con la tronfia ribalderia di chi lo guarda dall’alto in basso e sogghigna dinanzi alle sue parole, con l’aria inconfutabilmente di chi, mal giudicandolo a priori, ridacchia sotto i baffi e in cuor suo lo disprezza oppure, ancor peggio, ingenerosamente lo blandisce.

Questo ragazzo, in effetti, di primo acchito poteva sembrare un po’ spostato e picchiatello. Non voglio ammettere che non apparisse così e, inevitabilmente, se uno vi fosse entrato in contatto e, superficialmente, aveva la pretesa d’inquadrarlo, be’, non si può certo dire che si trovava di fronte a uno a postissimo, come si suol dire.

Uno che, per motivi però assolutamente leciti e personali, aveva deciso d’estraniarsi dai suoi coetanei, molto riservato, taciturno ai limiti quasi del mutismo. Tanto da scatenare in chi lo guardasse di sfuggita dei sentimenti derisori o sdegnosi.

No, proprio questo qui non voleva saperne di stare assieme a quelli della sua età. Ed era altresì convinto che una scuola superiore non potesse fornirgli strumenti utili alla comprensione della realtà più di quanto già la sua anima e la sua mente stavano privatamente, da auto-didatta, apprendendo. Anzi, riteneva con estremo orgoglio e perfino insopportabile superbia, che le lezioni scolastiche in qualche rigida scuola classicista e classista, come lui definiva i ginnasi e i licei, avrebbero solo coartato la sua libertà di pensiero, e avrebbero intorpidito la sua anima scioltamente romantica, sognante e profondamente viva. Perché in quelle scuole, istitutrici a suo avviso di un sapere retorico, falso e malinconico, avrebbe incendiato il suo cuore nell’ottundimento nozionistico più triste e pedante. Avrebbe lacerato la sua indole scoppiettante e fulgidamente creativa, quasi futuristica, nell’imbrigliarla in un apprendimento manicheo e improntato solamente a precetti distorsivi. E si sarebbe allineato al carnascialesco porcile adolescenziale di ragazzetti futilmente ambiziosi e vanagloriosi, tacendo le sue vere, fluide e più sentite emozioni, avrebbe omologato la sua unicità per contentare un fallace parametro di finta allegria culturale, debosciata e già istruita al cinismo competitivo.

Eran gli altri quelli ottusi che non capivano il suo stile di vita appartato e ritirato, e dunque lo scambiavano per mattoide. E, da dietro, gli affibbiavano gli appellativi più infamanti e indignitosi, stando ben attenti a non volerlo conoscere davvero. Perché in quella casa immersa in un giardino, su cui svettavano alberi un po’ lugubri e germogliavano arbusti cespugliosi, secondo quei ragazzi abitava una specie di stregone nero, un essere diverso dagli altri. Che a loro suscitava tenerezza, misera compassione e addirittura paura.

Perché quel ragazzo non voleva saperne di stare in compagnia dei suoi coetanei e passava le giornate a guardare film dalla mattina alla sera, spericolatamente inventando e allestendo teorie sulla settima arte?

Ah, inaccettabile. Certamente c’era qualcosa che non andava. Forse quel ragazzo, per ritrosia e pudore, non voleva ammettere a sé stesso e agli altri che con tutta probabilità era affetto da qualche malattia oscura.

No, non era possibile che volesse vivere così. E, ammesso che non soffrisse di niente, il suo atteggiamento era figlio soltanto della vigliaccheria, della tristezza assoluta spacciata per chissà cosa. Povero scemo illuso!

Ah, gli stavan scappando dalle mani gli anni migliori, e troppa cerebrale spensieratezza, se non la si palettava subito con prontezza, l’avrebbe fatto scivolare nella più sciocca timidezza e nella pericolosa demenza. Ma che scemenza, ma sì, il suo volersi isolare e rintanare in quel castello di sogni e bramosie fugacemente stolte.

No, quel ragazzo non ci stava con la testa!

E su di lui cominciarono ad aleggiare molte fantasie e storielle.

Sì, quei ragazzi si riunivano da McDonald’s, in pieno centro cittadino, e gozzovigliando di patatine… e salse, coi loro paninoni ben farciti di colante senape stuzzicante, ne inventavano di cotte e crude su quel ragazzo.

E gli attribuirono poteri cataclismatici arrecatori di disgrazie e sfortune. Sì, se a uno di loro qualcosa andava male, se uno di loro aveva bucato la gomma del motorino o aveva fatto cilecca con la sua ragazza, incolpavano quel ragazzo, responsabile secondo loro, con la sua stregoneria, di aver fatto accadere lo spiacevole evento.

Un bel giorno, una ragazza del quartiere fu ritrovata in fin di vita nel parco comunale. Era stata malmenata e picchiata. E la comunità del luogo attribuì la colpa a un ragazzo di colore che era stato avvistato più e più volte in compagnia di quella ragazza. A mettere in giro la voce che fosse stato questo nero ad aver abusato della ragazza, fu uno di quei ragazzi del McDonald’s, uno studente modello, baldanzoso, aitante, di cui tutti ciecamente si fidavano, senza aver il minimo dubbio che potesse mentire o avesse, per maligno diletto, creato una calunniosa fantasia a mo’ di puro, sadico sfregio. E la gente cominciò a evitare quel ragazzo nero, emarginandolo e riempiendolo di pesanti, volgarissimi, ripugnanti insulti.

Quel nero fece amicizia col ragazzo che viveva nella “siepe”. E, col trascorrere dei mesi, il nero e il ragazzo della siepe divennero grandissimi amici. Incitandosi a vicenda nel portare avanti con passione sfrenata i loro sogni. Il nero voleva diventare un attore, il ragazzo uno sceneggiatore. Seppure, a eccezione di loro stessi, non avessero altri amici, perché uno era sotto “indagine” dalla comunità, l’altro era da una vita che nessuno voleva vedere e stare ad ascoltare.

Una sera, il nero e quello della siepe si misero a fumare e a parlare dei loro progetti, a tarda notte, in una panchina del parco. Al che udirono delle grida di donna. Si precipitarono di tutta fretta verso la direzione da cui le urla arrivavano e, dietro un cespuglio, videro con grande stupore e sgomento una ragazza coperta di sangue che adesso sussurrava loro di acciuffare colui che l’aveva aggredita. E disse loro che quell’aggressore era fuggito e ora era tornato nel suo appartamento. La ragazza rivelò loro come si chiamava.

Era quel perfetto ragazzo inappuntabile e così all’apparenza integerrimo, il leader di quelli del Mc.

Ora, il nero e quello della siepe avevano ora capito chi si celava dietro quella maschera di ragazzo fighetto e rispettato da tutti.

Un pazzo che ostentava grande gioia di vivere e che parlava in maniera forbita e coltissima. Colui che aveva messo in giro quelle voci false a cui tutti però avevano prestato fede, pendendo in adorazione dalle sue labbra dispensatrici di verità assoluta e incontrovertibile. Non poteva essere stato lui ad aver aggredito quella ragazza, e forse pure quell’altra ragazza.

Ma che scherziamo, su? Ah, non crederò mai che sia stato lui. Dai, son robe da matti…

Lui? Proprio lui? Così ricco dentro e fuori, lui estroverso bon vivant sempre felicissimo?

Lui, sì, l’incarnazione del buio oltre la senape…

 

Seconda versione

Anni fa, nel mio quartiere, conobbi un ragazzo. Avrà avuto diciassette anni. Mi fu di primo impatto immediatamente molto simpatico ma agli altri suoi coetanei, invece, appariva tutt’altro che una persona affabile o della quale potersi fidare. Insomma, agli occhi dei suoi coetanei pareva mattoide, strambo, inaffidabile. Una persona da prendere poco seriamente, da schivare e con cui, se proprio uno era costretto a scambiarci quattro chiacchiere, da trattare con la più bieca e pusillanime indifferenza. Con la tronfia ribalderia di chi lo guarda dall’alto in basso e sogghigna dinanzi alle sue parole, con l’aria inconfutabilmente di chi, mal giudicandolo a priori, ridacchia sotto i baffi e in cuor suo lo disprezza oppure, ancor peggio, ingenerosamente lo blandisce.

Questo ragazzo, in effetti, di primo acchito poteva sembrare un po’ spostato e picchiatello. Non voglio ammettere che non apparisse così e, inevitabilmente, se uno vi fosse entrato in contatto e, superficialmente, aveva la pretesa d’inquadrarlo, be’, non si può certo dire che si trovava di fronte a uno a postissimo, come si suol dire.

Uno che, per motivi però assolutamente leciti e personali, aveva deciso d’estraniarsi dai suoi coetanei, molto riservato, taciturno ai limiti quasi del mutismo. Tanto da scatenare in chi lo guardasse di sfuggita dei sentimenti derisori o sdegnosi.

Da dietro, costoro gli affibbiavano gli appellativi più infamanti e indignitosi, stando ben attenti a non volerlo conoscere davvero. Perché in quella casa immersa in un giardino, su cui svettavano alberi un po’ lugubri e germogliavano arbusti cespugliosi, secondo quei ragazzi abitava una specie di stregone nero.

E su di lui cominciarono ad aleggiare molte fantasie e storielle.

Alcuni ragazzi si riunivano da McDonald’s, in pieno centro cittadino, e gozzovigliando di patatine… e salse, coi loro paninoni ben farciti di colante senape stuzzicante, ne inventavano di cotte e crude su quel ragazzo.

E gli attribuirono poteri cataclismatici arrecatori di disgrazie e sfortune. Se a uno di loro qualcosa andava male, se uno di loro aveva bucato la gomma del motorino o aveva fatto cilecca con la sua ragazza, incolpavano quel ragazzo, responsabile secondo loro, con la sua stregoneria, di aver fatto accadere lo spiacevole evento.

Un bel giorno, una ragazza del quartiere fu ritrovata in fin di vita nel parco comunale. Era stata malmenata e picchiata. E la comunità del luogo attribuì la colpa a un ragazzo di colore che era stato avvistato più e più volte in compagnia di quella ragazza. A mettere in giro la voce che fosse stato questo nero ad aver abusato della ragazza, fu uno di quei ragazzi del McDonald’s, uno studente modello, baldanzoso, aitante, di cui tutti ciecamente si fidavano, senza aver il minimo dubbio che potesse mentire o avesse, per maligno diletto, creato una calunniosa fantasia a mo’ di puro, sadico sfregio. E la gente cominciò a evitare quel ragazzo nero, emarginandolo e riempiendolo di pesanti, volgarissimi, ripugnanti insulti. O ancor peggio evitandolo.

Be’, le malignità non vengono esplicitate attraverso gesti eclatanti, lo sapete meglio di me, ma vengono perpetrate con la più sfrontata ipocrisia.

Era estate, e quel nero, dopo aver passato tutto il pomeriggio a studiare, decise di concedersi una bella boccata d’aria e farsi una passeggiata.

Passeggiava sul marciapiede…

– Buonasera, signora Petri.

 

Non ottenne nessuna risposta e la signora Petri continuò a tirar dritto.

“Mah, è quella della cartoleria, ah, povera donna, sarà così tanto presa dalle sue preoccupazioni che non mi ha visto neanche passare”.

Dunque, il nero entrò in una gelateria.

 

– Un gelato stracciatella e pistacchio.

– Ci dispiace, stiamo chiudendo.

– Be’, sì, lo so. Sono l’ultimo cliente. Ma per trenta secondi in più non muore nessuno, no?

– Come lo vuoi questo gelato?

– Gliel’ho detto. Stracciatella e pistacchio. Nel cono da 2 Euro.

– Ecco, tieni qua.

– Scusi. Questo è il cono da 4 Euro e mi ha messo fragola e limone.

– Be’, scusami. Stiamo chiudendo. Sono stanco. Che vorresti? Che buttassi questo gelato e te ne facessi un altro? Oramai è andata, tanto fragola e limone sono buoni.

– Ah, certo. Ma io ho solo 2 Euro in tasca.

– Ah sì? Tu, bello mio, mi hai chiesto un cono da 4 Euro.

– No, veramente no.

– Che fai? Mi prendi per il culo? Dammi i 4 Euro, subito, o chiamo la polizia.

– Non ho 4 Euro.

– Non hai 4 Euro? E tu giri per strada senza avere un soldo in tasca?

– Ho fatto solo una passeggiata. Non è vero che non ho i soldi per pagarle il gelato. Ho i due Euro per il cono che le avevo chiesto.

– Io chiamo la polizia.

– Guardi, i due euro mancanti glieli do domani. Tanto mi conosce, sono un cliente abituale. Sa pure dove abito. E poi per 2 Euro non farei una tragedia.

– Non m’interessa un cazzo! Io voglio i 4 Euro. O me li dai adesso o chiamo la polizia.

– Ma la polizia riderebbe. Non può denunciare uno per 4 Euro.

– Infatti, non ti denuncio per quello. Io ti ho visto l’altra sera con quella tipa, sai? Ho visto e non ho detto nulla ma adesso potrei dire tutta la verità.

– Guardi, io non ho fatto nulla a quella ragazza.

– Ah sì? E quei lividi che aveva per tutto il corpo?

– Non sono stato io.

– Invece io dico e dirò che sei stato tu se non mi dai i 4 Euro.

– Sta scherzando, vero?

– No, sono serissimo.

 

Nel frattempo, da quelle parti passò una volante della polizia. E, attratta dalla caciara che proveniva dalla gelateria, sostò la macchina e scesero due pezzi d’uomini grandi e grossi. Facendo irruzione nel locale.

 

– Be’? Si può sapere che sta succedendo, qui?

– Questo è un manigoldo. Ha ordinato un gelato e ora non vuol pagare. E poi è il tipo che ha violentato la ragazza.

– Che cosa? È lui il tipo che stiamo cercando da una settimana?

– Sì, è lui. L’ho visto in quel parco coi miei occhi! È lui il farabutto pervertito!

– E perché ha aspettato a denunciarlo?

– Sa, io sono un modesto gelataio, ho una casa da portare avanti e una famiglia con mio figlio piccolo. Sono stato preso dal lavoro. Sarei venuto in centrale appena possibile.

– Quindi lei è pronto adesso a testimoniare contro questo qui?

– Sì, assolutamente. Ho finito ora di lavorare, ora sono libero. Vengo in centrale immediatamente e sporgo denuncia.

– Ottimo, ci segua. Ci segua anche lei, bastardo. Anzi, ecco qua.

– Che fate? Mi ammanettate?

– Sì, sei in stato di arresto e in un mare di guai, criminale!

 

Tutto a un tratto, nella gelateria entrò il ragazzo della “siepe”.

– E tu che vuoi? Non t’impicciare – gli disse il poliziotto.

– Lui è mio amico e non potete arrestarlo. Lui non ha fatto niente. Era con me quella sera.

– Hai delle prove per dimostrare ciò che ti dici, ragazzo?

– Sì, guardate questa. È una foto che abbiamo scattato assieme quella sera. Siamo in casa mia a guardare un vecchio film con Gregory Peck.

– Fa vedere. Eh sì, c’è la data, le dieci e mezzo di sera di lunedì 18 Giugno. Più o meno la stessa ora nella quale la ragazza ha detto di essere stata aggredita. Non può essere stato questo qui a picchiarla. E lei, caro gelataio, adesso verrà in centrale, eccome, ma per beccarsi lei la denuncia di falsa testimonianza.

– Ma su, dai. È solo una foto che non dimostra nulla. Io dico che è stato questo qui, l’ho visto coi miei occhi.

– No, questo genere di foto auto-generate con tanto di data e orario dai cellulari, non si possono contraffare tanto facilmente. Voi, ragazzi, andate pure a divertirvi. Mentre lei, gelataio, adesso viene con noi.

– Ma che fate?

– Forza, non opponga resistenza. Lei voleva incriminare un innocente.

 

Qualche mese dopo, sulla prima pagina del quotidiani cittadino, campeggiò la foto del leader di quelli del Mc. Con la scritta: il primo della classe, benvoluto da tutti nel quartiere, da amici e parenti, è stato arrestato ieri notte con pesanti accuse di molestie sessuali. Tre donne l’hanno denunciato.

 

Il buio oltre la senape…

 

 

Terza versione

Anni fa, nel mio quartiere, conobbi un ragazzo. Avrà avuto diciassette anni. Mi fu di primo impatto immediatamente molto simpatico ma agli altri suoi coetanei, invece, appariva tutt’altro che una persona affabile o della quale potersi fidare. Insomma, agli occhi dei suoi coetanei pareva mattoide, strambo, inaffidabile. Una persona da prendere poco seriamente, da schivare e con cui, se proprio uno era costretto a scambiarci quattro chiacchiere, da trattare con la più bieca e pusillanime indifferenza. Con la tronfia ribalderia di chi lo guarda dall’alto in basso e sogghigna dinanzi alle sue parole, con l’aria inconfutabilmente di chi, mal giudicandolo a priori, ridacchia sotto i baffi e in cuor suo lo disprezza oppure, ancor peggio, ingenerosamente lo blandisce.

Questo ragazzo, in effetti, di primo acchito poteva sembrare un po’ spostato e picchiatello. Non voglio ammettere che non apparisse così e, inevitabilmente, se uno vi fosse entrato in contatto e, superficialmente, aveva la pretesa d’inquadrarlo, be’, non si può certo dire che si trovava di fronte a uno a postissimo, come si suol dire.

Da dietro, le persone gli affibbiavano gli appellativi più infamanti e indignitosi, stando ben attenti a non volerlo conoscere davvero. Perché in quella casa immersa in un giardino, su cui svettavano alberi un po’ lugubri e germogliavano arbusti cespugliosi, secondo molti abitava abitava una specie di stregone nero.

E su di lui cominciarono ad aleggiare molte fantasie e storielle.

Alcuni ragazzi si riunivano da McDonald’s, in pieno centro cittadino, e gozzovigliando di patatine… e salse, coi loro paninoni ben farciti di colante senape stuzzicante, ne inventavano di cotte e crude su quel ragazzo.

E gli attribuirono poteri cataclismatici arrecatori di disgrazie e sfortune. Se a uno di loro qualcosa andava male, se uno di loro aveva bucato la gomma del motorino o aveva fatto cilecca con la sua ragazza, incolpavano quel ragazzo, responsabile secondo loro, con la sua stregoneria, di aver fatto accadere lo spiacevole evento.

Un bel giorno, una ragazza del quartiere fu ritrovata in fin di vita nel parco comunale. Era stata malmenata e picchiata. E la comunità del luogo attribuì la colpa a un ragazzo di colore che era stato avvistato più e più volte in compagnia di quella ragazza. A mettere in giro la voce che fosse stato questo nero ad aver abusato della ragazza, fu uno di quei ragazzi del McDonald’s, Ennio, uno studente modello, baldanzoso, aitante, di cui tutti ciecamente si fidavano, senza aver il minimo dubbio che potesse mentire o avesse, per maligno diletto, creato una calunniosa fantasia a mo’ di puro, sadico sfregio. E la gente cominciò a evitare quel ragazzo nero, emarginandolo e riempiendolo di pesanti, volgarissimi, ripugnanti insulti. O ancor peggio evitandolo.

Be’, le malignità non vengono esplicitate attraverso gesti eclatanti, lo sapete meglio di me, ma vengono perpetrate con la più sfrontata ipocrisia.

Era estate, e quel nero, dopo aver passato tutto il pomeriggio a studiare, decise di concedersi una bella boccata d’aria e farsi una passeggiata.

Passeggiava sul marciapiede…

– Buonasera, signora Petri.

 

Non ottenne nessuna risposta e la signora Petri continuò a tirar dritto.

“Mah, è quella della cartoleria, ah, povera donna, sarà così tanto presa dalle sue preoccupazioni che non mi ha visto neanche passare”.

Vi basta come esempio?

 

Dunque, il nero entrò in una gelateria.

– Un gelato stracciatella e pistacchio.

– Ci dispiace, sto chiudendo.

– Be’, sì, lo so. Sono l’ultimo cliente. Ma per trenta secondi in più non muore nessuno, no?

– Come lo vuoi questo gelato?

– Gliel’ho detto. Stracciatella e pistacchio. Nel cono da 2 Euro.

– Ecco, tieni qua.

– Scusi. Questa è una vaschetta da venti Euro. E mi ha messo solo il cioccolato.

– Be’, scusami. Stio chiudendo. Sono stanco. Che vorresti? Che buttassi questa bella vaschetta e te ne facessi un altro? Oramai è andata, il cioccolato poi si addice a te.

– Che vuole dire?

– Il cioccolato è buono, tutto colorato di marrone. Questo cioccolato è molto dolce. Dolcissimo, vero?

– Guardi, forse ha voglia di scherzare. Io non ho venti Euro, al momento, da darle.

– Che fai? Vuoi fregarmi? Non posso buttare questo ben di Dio nella spazzatura. Ora te lo pigli e mi paghi.

– Scusi, non può rimetterlo dentro il banco dei gelati?

– No, oramai si sta sciogliendo. Non posso.

– Suvvia, non mi pigli in giro.

– Allora, bello, mi paghi questo gelato o no?

– Io le avevo chiesto un gelato stracciatella e pistacchio da 2 Euro. Non solo mi ha sbagliato gusto, ma qui con me, in tasca, non ho venti Euro. E poi comunque non glieli darei. Non sono stato io a chiederle questa vaschetta.

– Ah, è così? Dunque è così? Vedo che non capisci con la gentilezza. Allora passiamo alle maniere forti, criminale!

 

Il gelataio afferrò la scopa, con cui ripuliva il pavimento, e si avventò sul nero. E lo ferì in viso. Il ragazzo provò a divincolarsi e a chiedere aiuto ma il gelataio continuò a ferirlo sadicamente.

– Prenditi quest’altra! Bastardo! Ah, fa male, vero? Così impari a molestare le ragazze!

 

Al che, attirati dal chiasso che si era scatenato, dal putiferio sollevatosi, accorsero nella gelateria altri ragazzi.

Erano quelli del McDonald’s.

– Ah, eccoti qua, razza di malvivente maledetto! – disse Ennio.

 

E il gelataio: – Presto, spingete quel bottone, ragazzi. Chiudete la saracinesca. E saremo soli, senza che nessuno possa disturbarci, con questo qui. Spegnete anche le luci. Forza, presto!

– Te la sei andata a cercare, farabutto! Non vogliamo nel nostro quartiere gente come te!

 

Ed ecco che, mentre il ragazzo nero era ora a terra, coperto di lividi e sanguinante in viso, Ennio provò a sferrargli un calcio sull’addome. Mentre gli altri del gruppo lo incitarono al folle gesto, inneggiando alla violenza.

Al che, nel buio più assordante, apparì all’improvviso, con una torcia in mano, il ragazzo della “siepe”.

– Eh no. Troppo facile così. Dieci contro uno. Siete dei vigliacchi.

– Ah, ecco. Ci mancava pure il matto del quartiere! Vattene via, iettatore! Da dove sei sbucato? Non sono affari che ti riguardano. – gli urlò Ennio.

– Invece sì. Fatti sotto, Ennio!

– Come fai a sapere come mi chiamo? Chi te l’ha detto?

– Questi non sono fatti tuoi. So benissimo chi sei. Con me la tua faccia da finto bravo ragazzo non attacca. Non sono un allocco. Questo ragazzo è innocente. E sono sinceramente stanco di te. Hai oltrepassato il limite. Non mi fai paura.

– Lurido verme. Te ne pentirai di esserti impicciato in questa faccenda. Che pensi di fare? Ah, vero, tu sei matto. Non piangere poi se ti spediamo all’ospedale con le ossa rotte. Forza, amici, all’attacco!

 

Intanto, qualcuno bussò potentissimamente alla porta chiusa del locale. Era la polizia.

– Aprite! O sfondiamo subito. Che sta succedendo là dentro?

– Oddio, è la polizia. Chi l’ha chiamata?

– Sono stato io – disse il ragazzo della siepe. Li ho chiamati cinque minuti fa, quando vi ho visto entrare.

– Da quando in qua la polizia è così tempestiva?

– Siete in trappola! – gridò il ragazzo nero da terra.

– Sì, lo sono – replicò il ragazzo della siepe.

 

Be’, amici, ve l’avevo detto. A me quel tipo era stato subito molto simpatico, a pelle… Ognuno ha i suoi gusti, e alcuni si meritano la senape marcia.

 

 

di Stefano Falotico

 

 

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