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Marilyn Monroe – 50Th Anniversary


05 Aug

 

Scocca il 5 Agosto, ed è il cinquantesimo anniversario di Marilyn Monroe.

La rear window End User, il nostro gestore, mi contatta privatamente perché diffonda l’esclusiva “certezza”, attestata da People, secondo cui, sarebbe proprio vero, con tanto di prove, che la Monroe si suicidò.

Dobbiamo credere a People?

 

The story made headlines around the globe: Marilyn Monroe, the world’s most celebrated starlet, had apparently committed suicide. 

 

But many who knew her didn’t believe she’d take her own life, and as the 50th anniversary of her death at age 36 approaches, her tragic end remains shrouded in mystery.

 

In the new issue of PEOPLE, guest writer J.I. Baker – author of The Empty Glass, a new murder thriller based on her death – uses his research and fresh reporting to explore the truth.

A Mysterious Death

On August 5, 1962, Monroe was found dead in the bedroom of her Brentwood hacienda.

 

Toxicology reports showed high levels of Nembutal and chloral hydrate in her bloodstream, and her death was ruled a “probable suicide.” But why wasn’t her body turned over to medical examiners for more than five hours after it was discovered?

 

Forensic pathologist Cyril Wecht tells PEOPLE he has “a strong suspicion she might have been injected,” given the lack of pill residue found in her stomach – but by whom?

 

Why did not-yet-tested tissue samples go missing, along with Monroe’s phone records? And were Jack and Bobby Kennedy, with whom she was rumored to have had affairs, involved?

 

For more questions and answers surrounding Monroe’s mysterious death, pick up the latest issue of PEOPLE, on newsstands Friday.

 

Quale occasione migliore per questo “diario?”.

 

Marilyn, mito inossidabile d’immarcescibili “ossigeni” anche metacinematografici.

A imbiondarci, come la platinata sua chioma schiumosa, di fiammeggiante eternità.

Eterea, perché solo e mai più Lei.

 

 

5 Agosto 1962, uno dei giorni più scioccanti per il Mondo, la sua morte.

 

Oramai, ci siamo tutti “wikipediazzati”, e quindi ne estrarremo proprio tal “memoriale”:

 

Le circostanze della sua prematura morte, dovuta a un’overdose di barbiturici, sono state oggetto di numerose congetture, sebbene il suo decesso sia ufficialmente classificato come “probabile suicidio”. La successiva sparizione di tracce e documenti dalla casa dell’attrice, dove sembra fosse stato anche Bob Kennedy la sera della morte, nonché innumerevoli omissioni e varie incongruenze nelle dichiarazioni dei testimoni e nel referto autoptico, hanno dato adito a molteplici dubbi sugli eventi di quella notte. Tra le varie versioni formulate, la più plausibile vede ipotizzata la complicità dei Kennedy, che vedevano in Monroe, dettasi pronta a dichiarare pubblicamente le loro relazioni con lei, una minaccia per la loro carriera politica.

 

“Sfogliacchiando” questo raggelante “reportage“, mi balza alla mente, angosciandomi, la Dalia Nera, fonte d’ispirazione letteraria, in primis James Ellroy col suo capolavoro macabrissimo, e l’omonimo film d’un incompreso Brian De Palma.

 

Come Dalia, forse, una “vergine” santa ma prostituita alla seduzione del Potere, ch’ella stessa seduceva in ammalianti pose ammiccanti d’impudiche esibizioni sensuali di dolcezza.

 

Il suo cadavere, un terrificante mistero che continua ad affascinare, irrisolto, su cui fantasticare e inventarsi più e più storie. Stessa sorte ingrata affiliata a molti eterni, leggendari, immortalati d’icona ancor più maliarda e invincibilissima nella forza evocatrice, appunto, dell’immortalità di chi è asceso nel Paradiso degli dei.

 

Marilyn, forse non so, non una grande attrice, ma perfetta per la società puritana dell’America sull’orlo delle rivoluzioni sessuali, mangiauomini che ossessionava sol sbirciando di occhi pittati, d’uno Sguardo malizioso travestito da ingenuità bambina. Di svolazzanti gonne per un vedo-non vedo ipocrita, accaldato, guardone, “mansueto” e incantato dalla sua pelle di pesco.

 

Culto infinito d’intere generazioni, pietra di paragone, tutt’ora, per qualsiasi Donna che voglia varcar la soglia della reggia splendente ove aleggiano le divinità intoccabili.

Incarnazione femminea d’ogni podio conturbantemente enigmatico. Impercettibile come un fantasma erotico d’abbagliante splendore, di suo sangue bianco e lucente nelle nostre vene.

 

Così, immagino lo scrupoloso, maniacale e perfezionista J. Edgar, in un’apparizione contemporanea del suo fiuto da tartufo, a gironzolar in macchina per Los Angeles, salire su Mulholland Drive, toccare, timido, le scale del desiderio, entrar “di sottecchi” nella proprietà privatissima della limpida villa di Marilyn, e ammirarla, con gli occhi languidi, perdutamente innamorati, mentre “danza” delfina nella sua ultima doccia.

 

Nuda, si avvicina a J. Edgar, lo bacia e gli consegna la “dinamica”-dinamite della sua morte.

 

Edgar annota sul taccuino l’allucinante, inconcepibile retroscena, spaventoso, glacialissimo.

Poi, la saluta, porgendole un occhiolino color benedizione.

Sale sulla sua cabrio, ingrana malinconicamente la marcia, si ferma vicino al “dirupo” della collina dei sogni, brucia una sigaretta amara tra i bagliori ardenti del sottostante panorama liquido di gorgoglii brillantemente artificiali, e “lancia” al vento la verità.

 

Incamminandosi nel noir omertoso di chi troppo ama la Bellezza per sporcarla…

 

E, con una smorfia corrugantemente (ir)ridente, svanisce nel traffico del Mondo, come Lei.

 

 

A 50 anni dalla misteriosa morte, Stefano Falotico “formula”, non solo le ipotesi, ma un suo lynchiano video inquietante “dietro le quinte”.

 

E sbirciamo anche un “Noir Nightmare…”.

 

(Stefano Falotico)

C’è una lince in Lynch


23 Nov

 

È l’indole che vagabonda che si disseta in balli onirici & in frammenti purpurei, fraudolenti alla mia stessa mente.
Evoco nostalgie lontane, me ne dolgo o solo le dondolo, con la magia dell’esoterismo a cui m’arrampico nei giorni lauti in cui melodici flauti s’arcuano in anfratti arcani.

 

Un altro regista, folgore dei nostri sogni, Lui anzi è il Sogno, intriso in marmoree luccicanze come un bimbo-shining nei labirinti del suo imperscrutabile, “orrorifico” o nelle erogenie del magma, Overlook Hotel di fantasie cogitabonde, d’alcolici lindori fra sprazzi solari e acquatiche “amniosi” d’adamantina Luce.
Magnete della sua “cavalleria” unicorna, impetuoso fluido neuronale nei cristalli ermetici delle sue criptiche sinapsi, o sinuose highway di candidi e poi oscuri fremiti.

Leonina scorribanda di neuroni corridori, onnivori in tutte le convergenze emozionali, a “enfiarle” in spasmi respiratori dell’anima.

Un regista di nome David… David Lynch, baluardo in cui ogni amante dell’Arte viaggerà “affilato” e bardato dai suoi schiocchi tonanti in cupi cieli notturni o librerà via dalle anguste celle che lo intorpidirono di malinconia, sussurandola nel vento con lievi, decadenti musiche rock, nel Cuore che si sgretolerà nelle sue impervie segrete, o baluginerà dopo fosche letargie in una lisergica, eterea “dissolvenza a incupirlo ancora o a baciar le iridi fiammeggianti di cheti crepuscoli, fra ruggine, sudore, amori gridati e “latrati” in cui osannarci.
Patria di poeti, santi e navigatori, come mi rattristi, oggi navighi imperterrita in terragni tenzoni “inumiditi”, ma si credon inamidati, nient’affatto dinamitardi, del pettegolezzo e delle chiacchiere d'”acconciature” provinciali di pedissequa, vetusta tradizione piccolo borghese.
Moralisti inaciditi o solo deturpati nella loro stessa accidia, in una nuova caccia alle streghe, o “santoni” che illudon le masse con demagogie “miracolistiche”.

E la vita, nei ricordi, di schiume e furori, la mia, s’inerpicherà anche lasciva, abbindolata da un “porno”, o perversamente ludica nell’incendio delle proprie “ceneri” che mai s’impolverano.

Peter Boyle, sogghignava mellifluo di fronte a Travis, e filosofeggiava di consigli “spiccioli”. Secondo lui, la vita è il lavoro che svolgiamo, l'”uniformità” alla deformazione professionale, forse al nostro “confessionale”.
E Travis, “ammutolito”, assentiva di cipiglio, senza esserne persuaso più di tanto.
Un altro bicchiere “freddo” nella tavola calda, e le bollicine effervescenti d’una Notte ammaliata nelle sue malie, poco frizzzante, poco “aitante”.

Se l’Inferno è la prigione eterna d’imperdonabili peccatori nei loro osceni pianti, il Purgatorio “sdilinquirà” moribondo sin ad ascender vicino al portone di San Pietro, che ti lascerà accomodare nei divanetti “al camoscio” di beatitudini mosce.
Dove si passa il Tempo a girarsi i pollici e ad “afferrar” le mosche, pensando che Mosca è la città comunista che meritava solo la “crocefissione” del cristianesimo crociato.
Una gran Donna “incrocerà” le gambe, e tu sarai lobotomizzato nell’infinito “Nirvana”, ché penserai solo a giocar a scacchi con un altro “coccolino”.

In mezzo a tale tripudio di banali asserzioni e biechi luoghi comuni, io m’accomuno a David, e, assieme al mio amico Giuseppe Avico, “imbastimmo” un titolo “forgiato” in Lui.

Ecco, dunque questo tributo a David, firmato dal mio compagno di visioni e non solo evasioni, David “delirium” Lynch: la mente del suo velluto blu.

 

 

Stefano Falotico, lynchianamente come il nostro amato, un Genius.

Hollywood è bianca?


20 Oct

 

Due anni fa, nel mio Tempo che fa…, la prova del nove, cioè il mio secondo romanzo, immersione anche cutanea e soprattutto mesmerica nell’insondabile Hollywood, per un percorso Mulholland Drive di lynchiano esoterismo, a scandagliarla ove risiedono i “residui”, gli uomini scartati dal destino, e incartati in vite da bar, a bofonchiare d’atmosferiche pulsioni, istinti goliardici, rabbiosi e pregnanti di caldo machismo, ove sfilano, per un attimo indistricabile, donne, o meglio femme fatale, agghindate nel loro erotismo al cardiopalma, come dico io, per meglio dire alla De Palma.

È qui che “zuzzureggia” Clint Steele, anima mai vanitosa ma nel vento, fantasiosa mia creazione d’un joint mio notturno.
E ove attraccano i lupi di mare, il mare non tanto poi così cobalto di Hollywood, bianca all’apparenza, nitidissima per come c’appare ma in cui c’è sempre qualche scheletro da far scomparire.
Anche un morto, sì, m’è “scappato” e “c’è scappato”.

Entrerete nelle viscere del Pianeta “collinare” di Los Angeles, quando la Luna chiede a Satana che ora è.
Tripudio d’immaginazione, di “villani” senza ville a Beverly Hills, di bukowskiani grandi, indimenticabili sleepers alle “fauci” del loro vulcano scoppiettante, arso in vene sempre alcoliche, a volte scurrile, “parolacciai” o solo allacciati alle prime parole che saltan loro in mente in cervelli mai, però, fritti, a combustione cogli ormoni, o solo con gli “orsi” in giubbotti di pelle, di pepite sempre sognate, di speranzose vite “in agonia”, o già messe alla gogna.

E la vita va, come questo mio “respiro” che (ne) scrive.

 

È “Hollywood bianca”, signore & signore, (s)venite!

 

Notti insonni e visionarie nel sordido locale di Clint Steele, dissacrante tempio del culto del niente: pallida come un volto ceruleo e nauseabondo, volgare come una puttana, sbronza di vita e di trasgressioni, Hollywood si staglia immensa e decadente nella luce artificiale di lampade fioche, sigarette che sfiatano fumo e veleno, musica che accompagna il lento scorrere di ore stonate. Sogni e leggende metropolitane riempiono la bocca degli avventori del bar, uomini di ogni razza e saggezza, ciascuno con la sua paranoia; ricordi e amare conclusioni causticamente sbarrano la porta dell’anima alla speranza, inchiodando al bancone i diavoli della città, gli avanzi del giorno, gli scarti dell’immonda immondizia che popolano le strade della regina d’America. Un giro di vite, un valzer negli inferi, una roulette russa dove ci scappa pure il morto: questa è Hollywood, pellicola di carni, saliva, sangue e sudore, dove spiriti irridenti, cialtroni e meravigliosi non si stancano di ridere e piangere di se stessi, trascinando il lettore in uno slancio violento dritto al cuore della terra.

Sì, come Clint, fumacchio sfumando, già “amaro”.

Vaghe rimembranze anche nelle membra…

(Stefano Falotico)

 

 

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