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“Lo scafandro e la farfalla”, recensione


10 Dec


Monoculari visioni surreali di spalancate palpebre mentali

Una vita spezzata, menomazione che squarta l’anima prima di “sfigurare” il volto, mascherandolo in una semioscurità (in)tangibile, cieca astrazione che si tinge(rà) di fantasia per inarcarsi libera ove il flusso di coscienza s’espande, squartato dal dolore sedato nel surreale, variopinto, atomico “imprimerlo” d’espressionismi alati. Come il quadro psichico del suo autore, Schnabel, artista dalle movenze indecifrabili, “ingombrante” e possente di personalità debordantissima. Cineasta innanzitutto del suo Mondo interiore, felicemente sposato con una Donna bellissima che si sposa armonica nella cornice pindarica della sua barocca nobiltà romantica. Invaghita di spazio e sprazzi temerari.
L’importanza iconoclasta d’una trasgressività illimitata, perfin eccessiva e talora stucchevole se non dosata nelle sue frenesie creative, craterico magma di stupende intuizioni spesso sterili come dimenticabili opere “invisibili” del suo sopraffino essersene inabissato di troppa sua forse eccelsa essenza enigmatica, designer d’architetture così spagnoleggianti di multietnica miscela per poter davvero, vere, sudarci dentro di vita e attrattiva empatia.
Pasticci o plastica alla surgelata quiete dell’effimero? Duello vivido a sfoderarsi ribaldo d’intrepida incognita suadente?

Nel caravanserraglio delle sue “serre botaniche” schizzate, folli e intim(istich)e di misture fosche, mistica anzi poi coloratissima, tele dipinte e “paniche” che svettan d’apice in questa pellicola che segna indelebilissima la vertiginosa summa d’una giostra sua neuronabile dolce e (s)velata.

Una storia assurda, triste, raccapricciante nell’irricubile strazio del miracolo che invoca, eco che rimbomba “avvelenandoci” di letizia moribonda a estasiante virus nei nostri sentimenti più cinici. Li scarnisce, ci “scurisce” proprio nell’inconcepibilità di un’amarezza “inespugnabile”, assorbita di vortici ludici a sfidare permanentemente le barriere istituite dei preconcetti emozionali, permeandoci d’un senso angosciantissimo da spasmo divoratore al Cuore.
Una normalità tanto agiata da starci antipatica, una sbavatura imprevista del destino “trabocchetto” per uno scherzo crudelissimo. A tranciare gli occhi, a incupirli di tenebra allucinante, a disamorarli dal Piacere della pelle solo adesso annusato e sfiorato. A diveller ogni collaudato equilibrio e ad adombrarlo d’un buio spasmodico perché “vegeta” ma sente.
Di più. Al volo, sensitivo.

Un’eutanasia sospirata, lagrime laconiche del silenzio mortifero, testamento funebre strangolato per esorcizzare il pianto eterno, insostenibile che, invece, scocca vigoroso per spegnersi nella morte. Ma è un’esperienza irreversibile che, nella sua tragedia, ridona speranza sorprendente e inaspettata a illuminare l’energia distrutta, a spaccarla di forza nella potenza esoterica delle meningi oniriche.

Lynch che incontra la sensibilità, Mare dentro d’analogia “spettrale” d’ombra e orme del metacinema, immaginazione al potere del superbo balzo a valore della sopravvivenza più arsa per bruciare languida, soffuso e commovente urlo che bacia le pietrificate grinze delle nostre corrotte durezze.
Lapide liquida che, immortale, si terge meravigliosa.

(Stefano Falotico)

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