Bar no Man

13 Feb

l bar dei Big Jim alla Barbie di lor (no)bili da lavoro ferroviario sul dopobarba

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Sottotitolo e sotto il tavolo:

La se(le)zione ero(t)ica di un uomo anomalo che preferisce il suo cappello “Canguro” ai cazzoni “duri” delle cappelle da mammarie, som(m)ar(i)e s(ed)uzioni da cammelli per le donnone da “Porca la Madonna!”, cioè le marsupiali di salivari ghiandole “avare” soltanto b(u)one per gli insultanti lor “sultani” da Marlboro a sputar nel piatto avido in cui magnano poi da (s)lavare… in “godibilissimo” (c)oro. Uomini di “cuore”, come si suol dire in lor lordante “brindare”. Sì, io sono l’erede di Alighieri Dante, loro se le scolano su alcolisti da Chianti!

Già, ieri sera mi sono inoltrato con la mia macchina, a tarda notte… nuvolosa, quando si dice il serale nottambulo sereno-variabile ficcato nel “posteriore” (u)morale, in quel di un bar frequentato da molte “birre” immorali fra tavoli da biliardo in mezzo alle “palle” dei bari con la bile e l’asta degli amari caffè in burrasca fra sbraitate bestemmie incontenibili nel buttar la cameriera in vacca. Sì, non molto colti ragazzi di barbina incolta con la brillantina per la moglie “barbona” del barista da servir col cazzon schizzante volgarità pesanti d’“apprezzamenti” fra i vecchietti “ridenti” al “cannolo”, goliardicamente gozzoviglianti in pelate talvolta di nere lacche brizzolanti.

Tumefatto da tal “maschi” orrendi di “cremosi cornetti”, ordinai un cappuccino per scremarli col “marrone” del mio star lì come un pesce fuor d’acquoline lor in bocca, sempre sgranocchianti salate “patatine” di “stuzzichini”, e grattandomi compiaciuto il mio “coglione”, preso in mezzo da codesti in maniera “ambidestra”. Anche a manca fra tirchie mance e peli fuori dalla sinistra manica.

Uomini villici davvero di pet(t)o in fuori e panzona villosa a mettermelo dentro in modo pe(rma)loso a lor piazzate di mancino tir(o)!

Al che, “onorato” di tanto mio trovarmi “agiato” fra tal mangioni di cozze e di “Ostrica, ficcala in buca, mica fichi”, uscii, pagando lo scott(at)o con in man lo scont(r)ino del “biscotto”, causa il “contante” del mio esser troppo conte ma non aver previsto l’oste bastardo e la sua “mostarda” di conto.

Intascai dunque il mio ferito orgoglio, su gargarismi di tosse nervosa, asciugata tra la mia fronte da questi spaccata e una sigaretta stronza ma più roca della barista racchia, eppur da tali esemplari molto “corteggiata” all’urlo di “Zoccola da Lavazza, quanto sei gnocca, e ora vogliam gli gnocchi, vaffanculo ai finocchi!”.

Infilai la “chiave” e accesi il motore, gironzolando ai 50 Km all’ora lungo la “superstrada” digerente il mio “multato” per eccesso di nobiltà. Sono un “dirigente”.
“Vincente”, lampeggiante…

E, divorato da una rosicante raucedine, alzai il volume dell’auto(radiografia) su mio coraggioso fegato… canticchiante.

Al che, improvvisamente, sostai in una piazzetta e dal cruscotto tirai fuori una “margherita” di piadina del mio viso alla piastra preso da ta(vo)li di puzza all’aglio nei pizzicotti dell’esser stato “brindato” per pazzo con tanto di lor mozzarella e pizzette alla faccia mia… al motto di “Osteria numero 8, chi lo dà in culo a Gianna, tu o Pinotto?”.

Sì, questa storia mi fa comprendere l’aspetto involutivo, anche “involtini”, della razz(i)a umana di selezione darwiniana.

Se dai di cultura all’umanità, i disumani t’inculano per “ottima” cottura di “qualità”.

Insomma, fai la fine del pollo arrosto? No, della quaglia. E devi prevedere anche il bavaglio.
Insomma, ti rendon pan per focaccia e non gliene frega un cazzo di aver solo la fissa delle figaccione per inumidire il pienotto lor penoso pene.

Cristo lo “prese” fra le dita e lo “spezzò”. Che cenetta di pen(n)a all’arrabbiata!

Poi, disse “Vogliatene e beviamoci sopra”.

Eh, a far del bene… Sì, era anche lui (di)vino…

Quindi, chiudendo(mi) del “lutto”, dopo tal porchette, in mezzo al parchetto, molto di me reso “parco”, riflettei nel pianto al tergicristallo su irreparabile retrovisore del mio gridare allucinato, a vita oramai danneggiata, “Autolavaggio, aiuto, da solo non ce la faccio!”.

Perciò, andai a far un (bi)sognino.

Ah, sì. Dopo che tal “umane” feci mi fecero in gastrite da fave di Fuca, smaltii la lor “fame” di gran cagata di liberat(ori)o “culo”.

Sì, sono un’araba fenice.

“Felice” di tante rabbie alla Moka.

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