Ebbi il presentimento e il sentore istintivo che The Irishman sarebbe stato il mio ultimo film definitivo, posso darvi ora l’addio, alla prossima s-figa

22 Oct

Anna+Paquin+Flack+UKTV+Premiere+Red+Carpet+SQe6nYkAZK0lFrase epica: di cento cose che dico, novantanove sono vere, solo una è falsa ma non mi ricordo nemmeno io quale.

Sì, ho completato il patto stipulato con me stesso anni or sono quando annunciai che, a visione terminata di The Irishman, quando tale opera magna fu ancora in fase d’iniziazione, ancora prima che si parlasse di pre-produzione, pochi minuti dopo aver letto la notizia su Variety in mento alla sua futura lavorazione, avrei posto fine alla mia vita.

Dopo aver visionato tale pellicola mastodontica, dopo un’attesa interminabile durata in modo spropositato, dopo aver assistito all’infinito scandirsi dei titoli di coda, dopo esser rincasato a Bologna post mio viaggio a Roma, dopo aver allestito un’epica, epocale, magniloquente recensione, giunto che son ora nella mia umile dimora, nuovamente asfissiato dall’autunnale incedere inesorabile della mia melanconia incurabile, asserisco testé e ivi che la mia esistenza non ha molto più senso ancor d’inoltrarsi e avanzare.

Mi pare logico e obiettivamente realistico abbandonare ogni utopistica illusione e far sì che la morte possa bussare presto alla mia porta. Le offrirò un dolce caffè e poi scivolerò via, scremato lievemente fra le mie essiccate labbra screpolate nei sepolcri della mia vita solo trasognata e mai davvero lambita, mai veramente voluta e ambita, probabilmente soltanto non capita, per crepare come un bacio di morbida panna nella calda cioccolata del mio squagliarmi lontano da ogni ansia zuccherata. Vivamente mi cremerò nell’estasi della perpetua dissoluzione senza chiedervi omaggianti, retoriche assoluzioni.

Poiché già patii una resilienza immane atta solamente a scagionarmi, in questo decennio abbondante, da vili e spregevoli, malvagie infamie proterve e stupidamente arroganti.

Dunque, dopo essermi inutilmente giustificato dinanzi ai più burocratici, frettolosamente e scandalosamente organi preposti alla valutazione psicofisica della mia interiorità morale, inviolabilmente sacra e mortale, dopo essermi vanamente sbudellato e scorticato le interiora al fine soltanto d’attestare la mia giammai contraffatta integrità a degli animali sesquipedali, affermo che è un mondo affetto da mentale, irreversibile infermità. Cosicché, dirimpetto a una mostruosità disumana dalle proporzioni spaventose forse maggiori del budget enormemente dispendioso di The Irishman, parimenti a questa titanica e indimenticabile, insuperabilmente sopraffina prova artistica improba e impari, decreto catacombale di tale iper-sintetica, poetica silloge la mia devastante dipartita monumentale. Oserei dire cimiteriale.

Ah, per forza. Una volta morto, tu speri davvero di ascendere al paradiso? Stai fresco.

Sì, sottoterra stai freschissimo. È caldo d’inverno e freddissimo d’estate. Stai di un bene…

Senza battere ciglio. Sono stanco delle incitazioni superflue e sdolcinate attuatemi affinché possa fingere di essere felice e di mischiarmi alla baldoria euforica d’un mondo che, dalla nascita, dannatamente non m’appartiene né mai allineato sarà al mio spirito metafisico super raffinato. Puniamola, pugnaliamola, no poniamola così, ah ah. Altrimenti, se dovessi essere obiettivo, mi dovrei suicidare e basta. Ah ah.

Questo è uno scritto di puro afflato sebbene mi senta molto affaticato.

So che posso indurvi a ridere, perfino a deridermi nell’esternare con indubbia fierezza ciò che potrebbe apparire come strafottente, ilare irriverenza o come un’antipatica posa figlia d’un mio momento imbarazzante d’assurda deficienza.

Sì, quando opto per uno stato deficiente, sono un uomo splendente, autentico. Quando invece voglio omologarmi alla contemporanea imbecillità corrente, in quei momenti assumo espressioni innaturali come se stessi fremente cagando la diarrea più puzzolente.

No, mi viene facile essere un uomo ostico, assai difficile. Mi riesce pressoché impossibile ballare e ridere come tutti. Poiché alle scimmie preferisco la solitudine coi miei salati arachidi.

A nulla mi servì la scienza. La psichiatria di fronte a un granitico macigno indissolubile come me, in quanto convinto assolutamente che questa terra a me non s’addica e mi dica da tempo immemorabile e assai spettrale un bel niente, s’arrese esterrefatta e disfatta!

Completamente putrefatta, sconfitta grazie alle fitte che le riservai coi miei metaforici pugni allo stomaco.

Costernata e perfino vilipesa, oltraggiosamente affrontata dal mio genio stupefacente che sfatò e sfondò ogni teoria cretinamente partorita da Freud il malato. Uno che non possedette certamente una bella mente a voler enucleare le psiche altrui quando invero avrebbe dovuto copulare con la sua anima connaturatamente irredenta. Irridendo a stretti denti la sua boria penosamente, sorridentemente vergognosa ed esecrabile nel ridente essersi presa gioco di me con tale orripilante strafottenza.

Poiché chi ardì solamente a voler studiare i meandrici cunicoli della nostra inconscia, ermetica, criptica e perciò non decriptabile sofisticatezza, meriterebbe il manicomio eternamente. Nel suo folle delirio da onnipotente, elevatosi per l’appunto a dio giudicante quest’umanità derelitta e spregiudicatamente, irrimediabilmente violenta anche solo psicologicamente, commise il madornale orrore d’un tragico, insalvabile e insanabile pregiudizio che, in realtà, avrebbe dovuto applicare alla limitatezza della sua ridicola demenza.

Avrebbe dovuto effettuare a danno della sua inconsapevole pochezza, per l’appunto nei riguardi della sua incoscienza, nei confronti della sua presunzione farneticante e immonda, tale abominevole stoltezza.

Vomitante solamente la tristizia della sua boriosità tremenda.

Mi sento come Frank Sheeran, un uomo materico che non soffrì sensi di colpa né ebbe da confessare a chicchessia, tantomeno a un ipocrita uomo di chiesa, la durezza della sua spericolatezza e della sua insopprimibile, folle fermezza.

Visse senza sapere di vivere, camminando strisciante come un fantasma della notte. Aleggiando macabro nel nitore dei suoi estemporanei ardori, dei suoi brillanti seppur rari fulgori.

Vedendo attorno a lui dei fantocci di cartapesta, dei moralisti senza ritegno che, semmai, quando non impauriti dalla sua cupa, ombrosa e lombrosiana grandezza, gli consigliarono solo di redimersi e di mostrarsi al prossimo con più contegno. Quella che, falsamente, denominarono come dignità.

Sì, la dignità di coprirsi dietro un lavoretto per celare tutte le magagne dei loro nascosti magnaccioni. Mannaggia!

Evviva chi s’arrangia e non è mai contento in quanto non è un frivolo uomo di panza.

Ma quale tornare indietro? Ma che state dicendo? Non vi penso nemmeno a infatuarmi di un’altra puttanella. Perderò la testa per lei ma anche i testicoli. Poiché, dopo avermi sedotto e concupito, dopo avermi svuotato le palle e soprattutto il portafogli, m’evirerà come quella bagascia che, tanti an(n)i fa, per mia disgrazia conobbi. Una tale Elvira, baldracca che si spacciò per direttrice d’azienda. So io invece, eccome se lo so, di cosa fu rettrice. Donna poco retta ma comunque amò pigliarlo tutto ritto nel suo ottimo retto.

Sì, pappammo assieme un filetto e poi degustammo una saporita cotoletta. Quindi, ci sparammo un filmetto e lei si ficcò tutto il mio pisello dal notevole infilarglielo come un rastrello, leccandosi pure i baffi con tanto di lamento.

Ma quale amore di questo par de palle. Semmai prendo una cotta per innamorarmi di una con cui mettere al mondo Anna Paquin. Attrice che, dalla faccia, è più stronza del padre.

Infatti, secondo me, tra lei e Hoffa ci fu una sessuale truffa che Gesù avrebbe svelato, scoprendo gli imbrogli d’una insindacabile scopata che non viene riportata nel film di Scorsese né ufficializzata da nessun atto depositato alla cronistoria degli autotrasportatori ma che io so che avvenne poiché Pacino, con duri colpi di bacino, riempì il suo vuoto pneumatico, sgommando anche d’amplesso furioso sulle sue curve mozzafiato da divetta di Hollywood.

Poiché sono The Irishman, l’uomo più cattivo di tutti. Un lupo solitario dallo sguardo di ghiaccio.

No, quello fu Iceman, il signor Richard Kuklinski.

Uno che, arrivato all’età della cosiddetta maturità, non ebbe più il tempo di farsi le seghe su Valérie Kaprisky.

Al che, prima la buttò in vacca come Charles Bukowski ma poi capì che Bukowski non lo caga nessuno perché tutti i ritardati odierni amano i selfie e leccarsi il culo.

Arriveranno all’età di Frank Sheeran col rimpianto di non aver davvero fatto quel cazzo che vollero ma, improntati al buonismo più fariseo, dopo essersi scambiati baci di Giuda similmente ad Al Pacino nei confronti di John Cazale de Il padrino – Parte II, non più avranno il coraggio di mentire a sé stessi e null’altro nelle loro anime vi sarà se non la magra consolazione d’una esistenza da figli di troia.

Di mio, non ho da scusarmi né ricuso le ripugnanti, immisericordiose patologie attribuitemi. Poiché figlie del vostro mondo che, come detto, non è il mio.

E ne sono felice d’estrema unzione ad averlo (s)macchiato con furente passione.

Sentite condoglianze da parte di un uomo forse sfortunato, forse fortunatamente mai nato. Dunque, ancor prima di nascere e morire, ammainatosi.

Su questa stronzata vi auguro una felice notte.

Ci sentiamo domani.

Se devo dirla tutta, The Irishman è un film magnifico.

E la scena in cui De Niro, a tarda sera, entra nel locale in cui v’è quel bastardo di Joe Gallo e lo ammazza a sangue freddo, cazzo, vale un’erezione superiore a quella che potresti avere quando vedi Holly Hunter, madre di Anna Paquin in Lezioni di piano, superbamente ignuda.

Ora capisco perché ad Harvey Keitel danno sempre la parte della merda. Non si riprese dalla figona di Holly. Una che, nel succitato film di Jane Campion, interpreta la parte di una muta ma che riesce a parlare a ogni uccello meglio di tante laureate. Da cui il famoso detto: sì, quella donna è molto colta ma, stringi stringi, non serve a un cazzo.

In The Irishman vi sono quasi solo uomini. Ora però Paolo Mereghetti deve spiegarmi perché C’era una volta in America lo reputa un film misogino mentre The Irishman… no. In The Irishman v’è solamente e molto sola Anna Paquin, figlia viscida di De Niro avuta da un matrimonio con una donna che lui disprezzò. Io so la verità, Paolo scrive recensioni a seconda di come gli tira.

Ecco, Anna Paquin è la classica femmina che non sai se è figa o racchia. Ma un’inchiappettata liscia ci sta a prescindere. Ma sì, fottetevene. Pensate alla salute. Ora vi saluto.

La vita comincia a farsi dura e non la vedo benissimo. No, non ne vedo molte ma so come uscirne.

Non è difficile. Basta che lei ti dica: levati dai coglioni.

Ah ah.

Ricordate: non fate i galli come Joe.

 

di Stefano Falotico

the irishman

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