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Che ci fa il Joker a Medicina assieme a un suo amico del circondario imolese? Super video


30 Jun

benigni stecchino phoenix johnny cash

Sì, il Joker Marino, ovvero il sottoscritto, non abbisogna di truccatori e visagisti.

La faccia del clown è stampata nei suoi lineamenti affascinanti, malinconici e talvolta rock su espressione beffarda da Travis Bickle di Taxi Driver, da Rupert Pukin di Re per una notte, associata al miglior Joaquin Phoenix possibile. Forse il suo Johnny Cash di Quando l’amore brucia l’anima.

Un’anima dura, nuda, senza makeup e imbellettamenti.

Con zigomi da Al Pacino di Crusing e fascino magnetico alla Sean Penn, a sua volta grande amante di Springsteen.

Con un mio amico, il quale abita a Castel San Pietro Terme, in quest’ultimo sabato di Giugno 2019, mi sono avventurato a Medicina. Cittadina di quasi ventimila abitanti sulla quale aleggiano storie macabre da Carlo Lucarelli.

Questo mio amico, passeggiando lungo le vie del centro storico di tal paesino ameno, mentre adocchiai qualche ragazza indubbiamente sollecitante i caldi estivi, mi ha condotto nei pressi di un’abitazione maledetta.

Si dice che in Italia i medici, non la famiglia Medici, siano la categoria a più alto tasso di suicidi.

Sì, anche negli Stati Uniti non stanno messi meglio.

Il medico, laureato in Medicina, anche se s’è laureato a Bari, a forza di stare a contatto con persone malate di qualche patologia, si ammala lui stesso.

Pensate all’episodio finale della stagione 4 di Black Mirror. Col segmento dello scienziato pazzo che, prima entra in contatto con gli infermi e poi, immedesimandosene troppo, s’incancrenisce da solo.

Ad esempio, io posso dirvi questo. Avete presente il finale di Johnny Stecchino? Quando sbattono Dante, scambiato appunto per lo Stecchino, nella bottega del barbiere?

Tutti credono che sia fottuto in mezzo a quegli animali.

Come fa il tacchino?

Ah, miei polli.

Pensiamo per esempio agli psichiatri. Ne incontrai molti nella mia vita. Mi dissero che, a forza di vedere troppi film, avrei aggravato la mia indole delirante sulla realtà, imitando il peggio del Cinema di Jodorowsky.

Invece, smentii ogni loro diagnosi. Sì, uno mi dette solo qualche mese di vita cerebrale.

Avevo ragione io. Se Matthew McConaughey dimostrò l’impossibile in Dallas Buyers Club, io dimostrai, come un teorema pasoliniano, che la scienza non può niente contro di me. Sono troppo oltre le teorie assurde e invalidanti partorite da rimbambiti.

No, non fui accusato di avere l’AIDS ma di essere spacc(i)ato nel cervello. Mi costrinsero ad assumere farmaci, convinti che altrimenti avrei fatto la fine di Russell Crowe di A Beautiful Mind.

Ragazzi, non assumete mai robaccia come gli psicofarmaci. Perché poi, se vedete Jennifer Connelly di Hot Spot, il cavallo dei pantaloni non sentirà il bisogno di cavalcarla come in un tosto rodeo.

Si chiama calo della libido. Non è castrazione ma diciamo che colui che assume psicofarmaci, ecco, tende ad angelicare ogni donna anche se si trova dirimpetto a Miss Italia.

Sì, io ho scarsa fiducia nei medici. A mio nonno dissero che aveva superato il Cancro e dopo tre mesi il suo corpo fu inondato di metastasi e lui morì.

A un mio amico ingessarono l’alluce quando invece s’era fratturato il pollice.

Mia madre invece non sta tanto bene ultimamente. Le dissero che era affetta da una strana allergia propagatasi sul corpo e invece si è scoperto, assai in ritardo, che ha la celiachia. Non può mangiare il glutine. Era il glutine a provocarle una reazione infiammatoria.

Il mio caso è stato diverso.

Ero un enfant prodige. A forza di abbassarmi al livello dei dementi, il demente ero diventato io.

Per una semplice ragione. È come ne Il seme della follia di Carpenter. Se i pazzi dicono che il pazzo sei tu, lo sei davvero perché gli altri non capiscono. E ridono e ballano, facendoti le smorfie.

Ad esempio, la realtà la puoi strutturare in vari modi. Se per te vita significa timbrare il cartellino, fare figli, andare a messa e guardare partite di calcio, chi amerà Clive Barker verrà da costui/costoro considerato un mostro di Lovecraft.

Il concetto mi pare chiarissimo. Com’è che non ci arrivate? È una questione cabalistica.

Infatti, con questo mio amico abbiamo parlato dei grandi horror degli anni ottanta come Hellraiser.

Concordando che Barker è superiore mille volte rispetto al tanto celebrato Stephen King.

Detto ciò, mi ha mostrato un’abitazione per cui una leggenda metropolitana narra che le persone del luogo che hanno deciso di farla finita, eh già, affittano una stanza per continuare la funebre tradizione, come in una catena di Sant’Antonio, del primo che si suicidò in quella precisa cameretta orribile.

Roba quasi da Shining.

Quindi, io e il mio amico siamo ritornati a Castel San Pietro Terme.

Recandoci all’Accademia del Pomelo, bar sui generis con una barista che sa come shakerarti gli ormoni.

E questo è quanto.

Il resto non ve lo posso dire.

So che siete curiosi di sapere come sia andata a finire tra me e la barista.

E, nel mistero, si crea la suspense.

Mentre, nel vostro cervello, si sviluppa sempre più l’onanismo a farvi i cazzi altrui.

Statemi bene. E curatevi. Il detto dice: meglio prevenire che curare.

Il mio invece sostiene questo: chi mi disse di curarmi, eh sì, credo sia stato inculato.

Ho al solito ragione io?

Chiediamolo alla barista.

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di Stefano Falotico

Il sottoscritto intervista il grande Antonio Del Sorbo


09 Jun

Ecco una foto bellissima dal suo profilo Facebook.32929195_10155644914413284_820853041509957632_n

DOMANDA numero uno e poi tutte le altre: la visione cinematografica coinvolge lo spettatore su un piano razionale-cognitivo o emozionale-sensoriale?

– Dipende da come si fruisce del Cinema. Per molti anni il Cinema ha avuto una valenza popolare. Era una valvola di sfogo per i fermenti anche rabbiosi che scorrevano sottopelle, per esempio, fra i proletari incazzosi che, nella Settima Arte più fantasmagorica, sublimavano le loro esistenziali sconfitte quotidiane, proiettando i loro sogni sul grande schermo e, a loro volta, come in un rapporto quasi parassitario ma vivamente simbiotico, esperivano da questi sogni la voglia di vincere ed emanciparsi dai loro grigi o turbinosi malesseri quotidiano-sociali.

Quindi, in tal caso il Cinema coinvolge lo spettatore dal punto di vista sentimentale.

Quest’anno, agli Oscar sono stati premiati perlopiù film che hanno assolto a questa funzione. Puro, ottimo Cinema popolare nella sua forma migliore. Basti pensare alla storia di amicizia di Green Book. Un po’ indubbiamente retorica ma comunque di pregiata, indiscutibile fattura.

Poi, ovviamente esiste il Cinema artistico più elevato. Come quello di Lynch o Cronenberg.

Che agiscono a livello razionale e cognitivo, svelandoci la nudità del mondo nella sua verità più freddamente realistica. Sì, Lynch è paradossalmente realistico anche quando estremamente metafisico. Non è mai retorico nemmeno nelle storie più semplici come Una storia vera.

 

  • Il cinema deve assolvere anche una funzione pedagogica oppure deve solo rappresentare e non pretendere di educare?

– No, a mio avviso il Cinema non deve educare proprio a un bel niente. Questa visione scolastico-pedagogica è sbagliata. È adottata, che ne so, dai docenti di Storia che portano i loro alunni a vedere Salvate il soldato Ryan, faccio per dire, per far capire meglio ai loro studenti la Seconda Guerra Mondiale.

E invece non li portano a vedere La sottile linea rossa. Film ben più introspettivo delle spielbergate retoriche. Sì, di Salvate il soldato Ryan salvo la prima mezz’ora dello sbarco in Normandia. Per il resto è trionfalisticamente patriottico e falso.

Allora, a questo punto, è meglio leggersi, appunto, un libro di guerra. Pure questo ideologicamente schierato ma almeno privo delle lezioni moralistiche di Spielberg. Uno che quando faceva il Cinema che gli riesce meglio, cioè quello scacciapensieri, era molto più pedagogico, eh sì, di quando ha tirato fuori Amistad. Altro film palloso e bugiardo.

E ne vogliamo parlare dei genitori che portarono i figli adolescenti a vedere L’ultimo bacio? Ansiosi che i figli s’innamorassero della classica ragazza brava e in gamba?

Ma per l’amor di dio.

Un genitore sano e non bacato deve portare i figli, sin dalla più tenera età, a vedere un film con Edwige Fenech. Tanto il figlio è già più sveglio di loro e capirà che questo genere di film è una porcata. Solo allora, da sé si approccerà a Cuore selvaggio.

 

  • Il cinema è il veicolo privilegiato per la visione di un film o anche i mezzi di nuova generazione (piattaforme streaming) hanno la stessa dignità?

– So che, se dovesse leggere questa mia risposta Federico Frusciante, mi brucerà la casa.

Ma io qui lo affermo e non lo nego, lo sottoscrivo, firmato in calce.

Lo streaming è meglio. Sarò più preciso in merito. Il Cinema inteso come luogo di aggregazione non esiste più.

Sono stanco di fare la fila, sorbirmi venti minuti di pubblicità e non capire un cazzo di un film di Woody Allen perché una buzzicona, al mio fianco, scoreggia e mangia la sua patatina…

Ah ah.

Invece, nell’intimità della propria casa, posso fumarmi una sigaretta. Per aggregarmi a qualcuno, ci pensa la ragazza che ora sto corteggiando. Con cui condividerò emozioni in compagnia…

Così è. La seduta è tolta.

 

  • Quali sono le caratteristiche del genere noir?

– Il noir lo riconosci subito. Molti pensano, erroneamente, che in un noir debbano esserci per forza una donna seducente oppure un omicidio. Non è sempre vero. Femme Fatale di De Palma non è un noir, è un giallo hitcockiano. Così come Black Dahlia.

Gli spietati invece di Eastwood è un noir camuffato da western.

 

  • Un grande regista esplora aspetti nuovi in ogni suo film oppure può anche riprodurre lo stesso prodotto?

– Invero, i grandi registi “parlano” sempre delle solite tematiche, cambiando solo le trame.

Kubrick, per esempio, ha sperimentato quasi tutti i generi, ma ha fatto sempre lo stesso film. Incentrato sulla follia dell’uomo collocata in ambiti diversi.

 

  • Come si contempera l’aspetto commerciale del cinema con il non porre alcun tipo di paletti a una forma d’arte?

– Nella risposta precedente, ho accennato a Kubrick. Ebbene Shining, sul quale comunque io ho delle riserve, coniuga l’arte alla commerciabilità. È un film che puoi vedere a otto anni e rimanerne impressionato. E rivedere a ottant’anni per scoprire lati più profondi che da piccolo ti erano sfuggiti.

John Carpenter è maestro in questo. Infatti, lui s’è auto-definito un comunista-capitalista, eh eh.

Uno che cioè pensa alla grandissima qualità con l’occhio comunque al portafogli.

 

  • Cosa rende un film classificabile come prodotto d’autore?

– Un film può essere anche un porno o un film orribile ma lo stesso d’autore. Perché, pur nella sua sconcezza o nella sua estrema bruttezza, è d’autore in quanto chi l’ha girato, ha adottato il suo punto di vista. Il suo sguardo.

 

  • Lo spettatore è soggetto passivo o attivo dell’esperienza cinematografica?

– Lo spettatore è sempre attivo. Diventa passivo quando vede Sharon Stone in Basic Instinct e non si attiva qualcosa in lui di “coinvolgente”. Se è così, è passivo pure omosessuale. Ah ah.

 

  • Negli ultimi anni le serie tv hanno via via acquisito un maggiore spazio. Ciò è dovuto a un aspetto di puro intrattenimento oppure si lega, magari, alla migliore caratterizzazione dei personaggi e/o al miglior sviluppo della trama in un arco narrativo più prolungato?

– Non sono un grosso ammiratore delle serie tv. Anche le più belle peccano dello stesso difetto. Dilatano la trama, con digressioni e scene inutili, per allungare il brodo. Quando era tutto più risolvibile e migliore se avessero cancellato parti, appunto, superflue.

 

  • Il regista contemporaneo che ha maggiormente innovato il cinema e perché?

– Credo David Cronenberg. Prendiamo il successo di Black Mirror. Che comunque a me piace. Incontestabile il talento di Charlie Brooker. Ma non vi è un solo episodio di Black Mirror che non possa essere riconducibile alla nuova carne tecnologica di Cronny.

 

 

Grazie Antonio.

 

Intervista di Stefano Falotico

L’episodio n. 1 di Black Mirror 5 è un capolavoro: la vipera che morsicò mia suocera morì avvelenata


08 Jun

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Fa ridere, no?

Questa frase oserei dire tremenda più di Vipera di Sergio Citti (da non confondere con Franco e ora state zitti) è una massima incisa in una piastrella nella casa sgarrupata di mia nonna paterna. Un fatiscente tugurio anticamente affascinante. Puro modello pregiato di antiquariato raffinato. Sì, certo…

Gli altri miei nonni, compreso suo marito, sono tutti purtroppo morti.

Un aforisma degno del carattere irascibile di mia nonna. Donna che ama tuttora le telenovele argentine e conosce tutti gli attori ispanico-brasiliani a memoria. Mia nonna non ha mai imparato nessun ballo latino-americano ma va matta pure per Ballando con le stelle. Ho detto tutto…

A proposito, campa ancora Grecia Colmenares?

Mah, io son sempre stato invece un tipo da C’era una volta in Messico. Come Sly Stallone di Cobra, vado da una donna come Brigitte Nielsen e, con sguardo provocante al massimo, le dico di stare attenta perché quelle patate affogano nella salsa

Vero?

A mia nonna piaceva Julio Iglesias e voleva essere da lui messa incinta. Invece a me è sempre piaciuta Hero del figlio.

Un videoclip capolavoro ove anche un eterosessuale convinto non sa se innamorarsi, appunto, di Enrique, di Jennifer Love Hewitt oppure del solito strepitoso gigione Mickey Rourke.

Chiariamoci, Mickey Rourke ha carisma da vendere. Guardatelo in questo video. Questo tamarro da Man on Fire di Tony Scott, da Domino che la scena domina, fingendo di saper suonare il pianoforte, scioglierebbe Salma Hayek di Dal tramonto all’alba senza aver bisogno di tatuarsi come quel fake di George Clooney.

Lo sapete, no, che la prima scelta di Tarantino per il suo Stuntman Mike di Death Proof fu Mickey?

Mickey rifiutò la parte, andata come sappiamo a Kurt Russell, perché il ruolo del maschilista puttaniere disse che gli stava stretto.

Ah ah, questa è bellissima!

Ma chi vuole prendere in giro? Mickey non sa niente di Musica. L’unico pianoforte che conosce è il ritmo basculante che offriva alla sua ex, Carré Otis. Un allegro vivo da Vivaldi con tutte le sinfonie di orgasmiche corde vocali e letti strapazzati più di una chitarrina di Jimi Hendrix.

Erano amori fra loro da Orchidea selvaggia, schifezze da filmacci quasi pornografici come tutta la produzione, artisticamente censurabile, di Zalman King.

Ma che fascino, però, il Mickey.

Non dimenticherò mai la sua smorfia di delusione nella notte degli Oscar quando perse la statuetta. A mio avviso sottrattagli ingiustamente dal manieristico Sean Penn di Milk.

Sì, uno scandalo di proporzioni ciclopiche. Mickey, in questo caso, pregustò davvero la vittoria tanto agognata. Vinse da poco il Golden Globe, battendo proprio Penn. E, sebbene gli allibratori azzeccarono la previsione, avendo alla vigilia posizionato proprio Penn come pretendente numero uno per intascare lo zio, Mickey, diciamocela, ci fece un pensierino.

De Niro presentò Penn. E Mickey pensò: questo De Niro mi ruberà l’anima un’altra volta come il suo Louise Cyphre di Angel Heart.

Per un attimo infinitesimale, può darsi pure che gli barcamenò questa folle, irrealizzabile idea: no, Bob, farai la fine di Louis Gara di Jackie Brown, povero coglione. Penn è anche amico mio.

 

Purtroppo per lui, da grande attore qual è, dissimulò la tragedia di questa sconfitta epica, sorridendo come dire… tanto me ne fotto.

In cuor suo, in quel momento si sentì come il personaggio del suo cammeo ne La promessa.

Detto ciò, mie vipere, la vita è come Street Fighter, un videogame arcade.

Pensa te. Credi di essere un tipo da Roxette, un mezzo effeminato e invece scopri di essere uno che deve solo ascoltare il suo combattivo cuore da Lionheart, sì, Listen To Your Heart.

Chi ha visto l’episodio numero uno di Black Mirror 5 sa a cosa io stia alludendo.

Con questo che voglio dire? Che vorrei segretamente fare sesso spinto col mio migliore amico?

No, gli do un pugno se farà ancora lo stronzo e vorrà fottermi.

In realtà è il mio più grande fan.

Parimenti a Citti (Franco o Sergio) al Maurizio Costanzo Show – Uno contro tutti, sa benissimo chi sono.

E pensa: ti stanno prendendo tutti per il culo platealmente ma io credo in te visceralmente. Perché come Pasolini e come Carmelo Bene sei un genio.

 

Man on Fire. Come in Vipera, c’è Giancarlo Giannini.

Vi ricordate cosa gli dice Christopher Walken?

Dunque, all’ennesimo colpo basso vigliacco, poveri codardi, sappiate che non saprete a che ora, a che minuto, a che secondo arriveranno i miei colpi.

C’è una sottile differenza fra me e voi. Io, dopo tutte le batoste prese, mi rialzo sempre.

Voi no. Non fatevi male.rs20-2

 

di Stefano Falotico

Con l’impresentabile Dumbo, la carriera di Tim Burton può dichiararsi finita? E la magia del Cinema esiste ancora?


27 Mar

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Ecco, premetto questo. Il film non l’ho ancora visto e credo che in sala non lo vedrò.

Perché dovrei recarmi in una multisala e verrei attorniato da una massa tanto festosa quanto insopportabile di bambini pestiferi e chiassosi. I bambini sono la nostra salvezza ma non è propriamente bellissimo, eh eh, assistere al film di un maestro, quale Tim Burton comunque insindacabilmente è, e venir distratti da incontenibili entusiasmi molto, anzi troppo, fanciulleschi.

Detto ciò, mi attengo, almeno per il momento, a quelle che son state le reazioni della stampa italiana nei confronti, appunto, di Dumbo. Che in maniera quasi del tutto unanime e impietosa ha dovuto ammettere che, malgrado la forte simpatia che noi tutti abbiamo sempre riserbato nei riguardi di Tim, cantore favolistico dei diversi, delle vite difficili ed emarginate, sublimatore fantastico di ogni durezza della vita attraverso le sue nere fiabe poetiche, stavolta ha decisamente toppato. E forse la sua carriera s’è stoppata.

Perlomeno, davvero inceppata.

Invero, la Critica americana gli è stata più benevolente ma, si sa, noi italiani siam retorici a parole, demagoghi in trincea ma anche realisticamente, inevitabilmente più cinici. Sì, paradossalmente, questo già bistrattato Dumbo aveva tutti i crismi di un possibile capolavoro burtoniano. La storia dell’elefantino volante, vessato da tutti, che si dimostra prodigiosamente straordinario, lasciando anche i più stronzi e dal cuore di pietra, come si suol dire, con un palmo di naso, ovvero di proboscide, eh eh.

Ma a quanto pare, almeno leggendo le critiche, qualcosa non ha funzionato. Anzi, non ha funzionato nulla. I personaggi sono stereotipati, Colin Farrell che c’entra? E Michael Keaton, per quanto possa sforzarsi, a pelle non è credibile nei panni del cattivone. E soprattutto questo live action è stato accusato di mancare di poesia. Dobbiamo essere crudelmente schietti. Tim Burton non azzecca un film da una quindicina d’anni e passa. Ma è proprio così? In realtà, il Cinema di Tim Burton è sempre stato questo. Poetico, sì, ma anche molto stilizzato. In un certo senso, persino freddo. E sempre più mi stupisco che in Singles lo si abbia paragonato a Scorsese. In verità, Scorsese è quanto di più agli antipodi rispetto a Burton. Anche se Hugo Cabret, sì, qui lo dico, già lo dissi, è il miglior Scorsese degli ultimi vent’anni. Pensate che bestemmi? No.

Non fatemi più vedere, ad esempio, quella boiata stupida di The Wolf of Wall Street. Oltre a essere un film indubbiamente poco poetico, qui manca propria la poetica, signor Martin. Non v’è morale, non v’è nulla a parte le zinne di Margot Robbie e qualche scena finto-scabrosa che potrà aver entusiasmato e scioccato qualche sempliciotto in vena di scandali ma a me non ha fatto né caldo né freddo. Un film orribile! Diciamocela. Mentre Shutter Island è un film mediocre. A essere proprio sinceri, nei contemporanei tempi del cinismo a buon mercato di Black Mirror, la magia del Cinema, forse un po’ di tutto, s’è persa.

E noi non siamo più quei bambini attorno al falò di John Houseman dello splendido Fog di John Carpenter. Le storie fantastiche, le storie sui fantasmi, le storie tenebrose non ci spaventano né emozionano più. Quindi, non è vero che Tim Burton è finito e che il Cinema stesso sia agli sgoccioli. È la nostra umanità che è deperita, incancrenita, abbruttita. Siamo una società senz’anima ed è tutto un altro discorso. Se dite che questo è moralismo spicciolo, non è così, se volete dire invece che è purtroppo la verità, ahinoi, è così. La gente non crede più ai sogni perché tanto si è accorta che si era fatta soltanto un film inutile e pretenzioso. E la smettesse quindi Ligabue con le sue Luci d’America.

 

Le stelle sull’Africa 

Si accende lo spettacolo 

Le luci che ti scappano dall’anima

 

Ecco, a parte che Africa e anima è una rima baciata, no, assonanza dissonante da filastrocca per neonati, la dovrebbe finire Luciano di conciarsi come il gatto con gli stivali.

E smanacciare al vento nelle lande americane. Luciano, mi dia retta, torni nella sua Romagna e si pappi una piadina o un panino con la mortadella.

Lei, molti anni fa, era anche bravo. Va ammesso. Metteva pepe. Adesso è più sciupato in viso di Tim Burton e potrebbe fare concorrenza a Tim Roth de Il pianeta delle scimmie.

Sì, non me ne voglia, si scherza, lei ha perso da parecchio la testa come Chris Walken de Il mistero di Sleepy Hollow.

E, se continuerà su questa strada, farà la fine di Ed Wood versione “rock”. Sì, prenderemo i suoi ultimi album e li faremo a fettine come Edward mani di forbice. Una bella “tosatura”. Potatura!

Sì, la sua musica si è involuta paurosamente. È passato dai romanticismi schietti e ruvidi da Beetlejuice – Spiritello porcello, con tutti i doppi sensi che infilava da marpione qua e là, a romanticherie più buoniste de La fabbrica di cioccolato.

Insomma, lei si sta trasformando in un fenomeno da baraccone, mio briccone. E, ora che è diventato un riccone, fa proprio il ca… e.

Tanto non ci credi manco tu, Luciano, col tuo lifting da Alfonso Signorini.

Tu eri uno del popolo, un po’ sconcio e sbracato, onesto e simpaticamente sguaiato, perché mai ti sei dato al patinato più scontato?

Questo è grave, molto preoccupante. Sì, ci vuole un chirurgo plastico per rifar daccapo questa società di plastica. Questa società di svastiche e vacche. Ci vuole la poesia di un elephant man.

Un Falotico lynchiano che linci, trinci, no, tranci con occhi da lince come Travis Bickle questo mondo andato oramai… e sapete dove. Sì, un mondo che va stroncato subito. Prima che possa arrivare al primo posto del box office di ogni altra puttanata.

Che gigione che sono, ah ah, un po’ Topo Gigio, qualche volta uomo grigio, spesso uno che non transige in quanto della morale ligio. E volteggio nell’aria, ballando di naso lungo alla Pinocchio anche se le sventole mi tirano le orecchie. Solo quelle…

Insomma, mi sa che Luciano ce lo siamo giocati.

Tim Burton è quasi del tutto andato.

Rimane solo un uomo favolista.

Ed è anche favoloso.

Un uomo che va sempre più su, anche se spesso, va detto, questa società di pachidermi lo vuole mettere in gabbia.

 

 

di Stefano Falotico

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