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Joy – Recensione da La Eco del Cinema, non è Umberto


12 Jan

Film che sta dividendo la Critica ovunque.
Anche in Italia, dopo le fazioni pro vs contro, stiamo leggendo recensioni delle più disparate, alcune che a zero sparano, altre moderate, altre annacquate, altre buttate via, sciatte, sciocche oppure per allocchi, perché il film non è, come leggiamo qui, affatto da stroncare.

E io, essendo preso, precis(in)o, correggo qua e là i refusi del testo da me copia-incollato, corsivizzando, al solito, come mia consuetudine falotic(hes)ca, le parole di derivazione straniera.

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“Joy”,tratto dalla storia vera di Joy Mangano, segue le vicende di una casalinga statunitense che è riuscita a farsi strada nel mondo del business grazie ad una serie di invenzioni per la casa, innovative e particolari, non senza ostacoli e problemi sia sociali che economici.
Voce narrante e presenza importante è la nonna di Joy (Diane Ladd), che da sempre ha avuto fiducia nelle capacità della nipote.

Jennifer Lawrence, nei panni di Joy, offre, come sempre, una prova di recitazione impeccabile, coinvolgendo lo spettatore nella sofferenza e nella frustrazione della protagonista, derivante dal fatto che in campo economico e giuridico ci sia un divario enorme tra coloro che ‘possono’ e ‘non possono’ avere successo. Affidarsi agli altri in questo caso è, come si dice, ‘a tuo rischio e pericolo’.

“Joy”: personaggi che conquistano accanto a una protagonista convincente

A condividere le vicende di Joy c’è la sua famiglia al completo, un gruppo notevole di personaggi ben caratterizzati che bucano lo schermo, dall’ex marito della protagonista (Edgar Ramirez), un latinoamericano troppo impegnato a cantare e a diventare il nuovo Tom Jones per andare a lavorare e mantenere la famiglia, a Trudy (Isabella Rossellini), la nuova fidanzata del padre di Joy, una signora ambigua e a tratti illogica nel suo modo di pensare, che fa ridere e allo stesso tempo riflettere. La madre e il padre di Joy (Virginia Madsen e Robert De Niro) sono dotati di uno spessore e di un’umanità incredibili nei loro numerosi difetti e mentalità ristretta, che potrebbero risultare quasi sopra le righe se non fosse per un carattere così ben strutturato da renderli in qualche modo estremamente credibili.

La sceneggiatura: la carta vincente di “Joy”

A spiccare sopra ogni altro aspetto del film è però la sceneggiatura, un piccolo capolavoro che si destreggia agilmente tra profondità, leggerezza e ilarità, permettendo allo spettatore di non annoiarsi mai. L’elemento surreale, molto simile a quello de “Il lato positivo”, funziona in maniera eccellente e offre momenti di pura ilarità che smorzano la frustrazione costante della protagonista, creando una dualità molto piacevole che alleggerisce notevolmente l’elemento drammatico della pellicola.
Le voci inconfondibili di Ella Fitzgerald e Frank Sinatra condiscono quest’ottimo mix di scene drammatiche, comiche e introspettive che legano lo spettatore al destino di Joy.
Dopo “Il lato positivo”, David O. Russell ci regala per la seconda volta un’opera in perfetto equilibrio, ricca di umanità e di spunti per ragionare sulla vita e sulle relazioni umane.

“Joy”: una soap opera come sfondo della vita

Joy episodicIl tocco brillante di “Joy” è indubbiamente la soap opera che la madre della protagonista guarda tutti i giorni della sua vita, una versione ironica di “Beautiful”, interpretata da famosi attori di soap statunitensi quali Maurice Benard e Laura Wright. La serie rasenta volutamente il ridicolo, portando all’estremo alcune caratteristiche delle soap opera americane per creare situazioni improbabili e dialoghi spassosi, ma è interessante vedere come la madre di Joy prenda come oro colato tutto ciò che dicono, finendo per vivere completamente fuori dalla realtà. Un altro spunto di riflessione che invita a pensare con la propria testa e a vivere veramente, e non attraverso storie raccontate su uno schermo.

“Joy”: un messaggio per le donne

La pellicola colpisce soprattutto il pubblico femminile, perché ogni donna almeno una volta nella vita si è sentita impotente, sacrificata, costretta a prendersi cura della famiglia e a rinunciare ai propri sogni per mancanza di tempo o perché chiunque intorno le mette i bastoni fra le ruote. Joy diventa così un simbolo, un modo per dire: ‘ce la puoi fare anche tu, che non sei nessuno’. Il cosiddetto ‘sogno americano’, che è in realtà il sogno di tutti, e che storie come questa fanno credere sia veramente a portata di mano: l’importante è non smettere di lottare.

 

Valeria Brunori

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