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Conversione scorsesiana di mio De Niro mohicano


27 Dec

D’Oscar paciniano amato per quanto l’esistenzialismo vien ripudiato dai “moderni”
Ho sempre adorato il Cinema classico, dunque i classici. Non è luogo comune definirli tali, sebben s’abusi di tale termine e tutti se ne riempiano la bocca, come un bambino che si strafoga di ciambelle e “marina(ro)” è “squola” d’un “q” placidamente conficcato nel suo disgustoso “palato”.

Rammemoro, fratelli involgariti dalle nuove (bio)etiche di massa (biblioteche schifose, mie p-esche) di quando ero Luce quantica e di come, sebbene sia evoluto in tanti camaleontismi alla De Niro di mille volti, non svolterò per un “involtino” che sbaciucchi una “tenera” dolcezza. Melancholia è un mio diritto dinastico, parola che, uditene il respiro sonnecchiante, morbida si posa sui miei occhi mentre navigo nel “maestrale” dei maestri che tesserono la fibra “sintetica” dell’Uomo sonnambulo tra questi frivoli col “passamontagna” delle emozioni raffreddate. Poiché io sento, e il mio sentir si coniuga al diverso cogliere anche il lieve lievitar in cui, sottile ed “equivoca”, la rugiada delle aurore mi solletica nel risveglio di buon’ora. D’allietar di caffè che stuzzican il linguino, zuccherati su sobrio balcone di me, il Papa, in tonaca “ambigua” e soprattutto intonato al cantico creaturale degli usignoli, versando la cenere sul capo dei “caporali” che, ogni mattina, dopo adeguato “scodinzolio”, son gatteschi da padroni dei cani d’urine non esaminate della loro malattia venerea più funerea, il “feretro” all’amore prostituito in vane lotte per “poteri” d’accasar al poder terriero da “piantagrane” delle bombe omicide atomiche ma “idrofile” nel coton’ “inciuffato” su movenze guardinghe da detentori che si professan “dottori”.
Dottori di che? Qui, l’unico erudito son io e, della loro rude durezza, me ne beo, modulando un “belato” che “agnellizza” la mia identità di beffardo leone dal ruggito covato per “benedirli” con mio pelo arruffato e spesso “buffo” fra chi, davvero, è Puffo.
Plof, di tante ambizioni s’incravattano, quanto di fogne son già afflosciati nella melma delle crudeli animalità. Fra quelle merdose “onde”, io sondo quando non ho sonno, lor declaman che sanno ma io vi dico che chi seppe non è da presepio ma Uomo col bastone come il padre del Cristo, cioè Giuseppe.
Uno che fu più vergine di Madonna, la Ciccone. Anche se, da alcune versioni della Bibbia, ho appreso che pare fosse corteggiato dall’asinello, nel “dietro le quinte” della più “grande storia mai raccontata”. Oggi, tali scandali van di moda. Se Giuseppe fu il padre putativo di Gesù, in Parlamento van a puttane e basta. Con tanto di “vestito bianco” della Carfagna, una che, ogni Notte, ha un bue “indiscreto” sotto le coperte e poi, alla Luce del Giorno…, copre gli altarini sopra uno sgabello. Eh sì, una finta cammella a cui io, Re Mago di nome Gaspare, regalerò solo codesto “oro” senz’oratoria: “Ove c’è una casa d’incenso, ci son molti scheletri nell’armadio da incendiare, perché l’unica mirra è l’onesto che non ha mire dietro martiri altrui, cagionati da troppe ville al mare”.

Poi, torno dentro, e penso al grande Robert De Niro, pupillo di Scorsese e soprattutto sue pupille di Sguardo dostoevskijano.
Chi critica Paul Schrader, vada a mietere appunto le granate, è un guerrafondaio. Non come Gaspare, ma come il “Diavolo” Gasparri. Egli le spara ma poi manderebbe La Russa Ignazio in Russia? No, la loro è una guerra capitalistica “fredda”. Altro che “comunicazioni”. Van intercettati, e li scomunicherò!

Quindi, meglio il Bob ch’è l’immortale Travis Bickle. Uno in mezzo ai cannibali. Che sciacalli! Scorrazza tutti e lo ficca… ai papponi. I “grandi uomini” gli scoreggiano in faccia, definendolo un “fallito”. Lui, falotichescamente, tira fuori la “pistola” di forma fallica e, in sfianca quest’Italia che pen(s)a solo a fotterla nei fianchi. Travis se ne sbatte.
Battone, ecco il “bestione”.

Chi non ama Scorsese, merita una scamorza. Io direi di più: va “smorzato”.

Subito, del “Beccati questo!”.

Firmato il Genius

(Stefano Falotico)

  1.  Il petroliere (2007)
  2.  Taxi Driver (1976)
  3. The Walker (2007)
  4.  Serpico (1973)

“Toro scatenato” – Recensione


22 Oct

There Will Be Blood nel Cuore tumefatto d’un “cavallo matto” del Bronx

Raging Bull, ringhia la pelle muscolosa d’un peso medio distrutto nell’ambizione picchiatrice alle sue cicatrici, d’avvolger di guantoni “cuciti” nell’Everlast e negli elastici d’allenamenti su corde “tese” della sua anima ferita di “grinze”, tentacolar “brulicare” e “bucarsi” d’incosciente autodistruzione, saltellarci dentro a deflagrar la “crema” mai acchetata di rabbie incontrollabili.
Pulsanti, lì ad ammorbidirsi, a innamorarsi per una Donna peccaminosa, per un Angelo “pruriginoso” e poi immolato-molle in caduta libera, ancora, franando-frantumandosi nei vecchi vizi, nelle spirali della “crocifissione” da Cristo ambiguo, nel morsicare le sue stesse spine, a “rosarle” di vividi colpi furenti, scheggianti, sfreccianti nei “frontali” duri, imbattibili, scagliati con una vigoria “impressionata” dal turgido disintegrare i nemici, la famiglia, il fratello e gli amici.

Scalpitio di “scarpette” davvero rosse da gladiatore fra i leoni, frattura all’irrequieto nerbo mai saldo, mai “sanato”. Che anzi rinsavisce d’illusioni proprio nelle effimere glorie di vittorie sempre avvelenate da un turbamento che raschia borderline, nei collassi emotivi, nel colpo-corpo che cambia “colore”, ch’è spasmo d’emozioni “pericolose”, turbolenza come un aereo d’aviator martire-Martin, d’un calvario reiterato, “stirato” nell’asciutto d’un fisico perfetto ma già guastato, marcio apparendo “macho“.

Macigni come pugni all’anima. Cigno traslucido nel B/N d’un Michael Chapman che poi squarcia di flashback “tridimensionali”, mescendo la nitidezza “alcolica” della fotografia, “satura” di nerezze e perverso grigiore, nelle brillantezze estemporanee d’avidi arcobaleni. Alterando l’incubo del Sogno americano di Jake LaMotta, il Toro…

Uno dei film più importanti della Storia del Cinema, il “tema” della boxe è un affascinante (pre)testo per “intestardirsi” sulle “religiose-maniacali” ossessioni scorsesiane-schraderiane:

vuoto, ostacoli insuperabili, montagne sudate da valicare, cime sublimi di s(ucc)esso, inevitabili eccessi, le solite umane fragilità ad avvinghiarti di nuovo nel fango, ad arrotolar l’addome nel fegato “pusillanime” o forse coraggiosissimo da “commedia” tragica, teatrini di specchi “onesti” a mascherare o a svelare chi sei davvero. Il monologo dell'”You talkin’ to me?” di “variazione” su Marlon Brando di Fronte del Porto.
Analisi e “autopsia” impietosa di Jake, di jet lag fusi, del refuso all’errore e all’orrore che non eri, sei diventanto ma (non) ci stai.

Primo sacrosanto Oscar a De Niro, spaventoso camaleontismo che sarà un modello “base” per ogni altra trasformazione mimetica d’ogni fighter alla Christian Bale, magro, poi lacerato, poi “grosso”, poi Batman e poi notturno senza sonno. Solo per appaiarlo a un altro fenomeno eclatante e “senza (s)prezzo”.

Scorsese su “commissione” di Robert, l’amico che con questo capolavoro lo salvò dalla morte “imminente”. Sì, Robert lesse la biografia di Jake, voleva farci un film “sopra”. Ma Martin non sta proprio bene, sofferente d’asma e dipendente dalla cocaina. Robert vuol tirarlo su.
Martin è dubbioso, poi accetta la sfida, convinto però che sarà la sua ultima regia.

Una regia che attinge da Rashomon, dunque da Kurosawa, perché il “materiale” di partenza, originariamente, “esplodeva” in Akira.
Toro scatenato doveva, secondo le iniziali intenzioni, essere una versione con tante analoghe “versioni” del racconto, intreccio a “spezzettarsi”.
Invece, si preferisce poi una “linearità” forse ancora più “concentrica”, ove tutto (non) si chiude, appunto. Anzi, la faccia e la pancia di Jake necessiteranno d’altri “punti”, è rotto peggio che nella prima (s)Cena. Suture…

Gli incontri sono (s)truccati, “ritoccati” dal montaggio di Thelma Schoonmaker sui montanti d’un De Niro dai bicipiti atletici, scattanti, iperreali, accelerati, “ralenti-ati”, intontiti, erotti ed eruttivi.
Nervosi, allucinanti.

Come dico io, un film che (di)strugge.

(Stefano Falotico)

 

 

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