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“La cosa”, recensioniamolo…


04 Jul

 

Gelatine d’Antartide viscida

 

Caposaldo del fanta-horror, ecco il prequel de La cosa, incursione transgenere che definirei “gelatinosa”, ibernata in tese cacce claustrofobiche nella suspense di respiri angoscianti ma palpitantemente, per noi smaliziati, alquanto noiosi in quanto, dopo multiple visioni “specialistiche” da cinefili oramai freddi e calcolatori, siam “teporizzati” in emozioni già (pre)viste e desuetamente rispettate con puntiglio cronologico del colpo di scena “comandato”, atteso e piazzato con qualche “scarto” di variabili non disattese.

 

Trama ridotta a una lastra di ghiaccio dalla misterica presenza di forma “aliena”, o forse anomala, per i soliti esperimenti da laboratorio di ricercatori “eremiti” fra polari battiti cardiaci del “romanticismo” scientifico fuori dal Mondo e dall’epoca odierna.

“Russi” installati su una base lastricata di cellule “impazzite”, o meglio clonate nella mutazione “assorbente” di un non ben identificato “oggetto” vivo e vegeto di tentacolare famelicità carnivora.

 

No, non può rivaleggiare col modello e antesignano dell’82 firmato John, ma emana una strana sensazione di morte lungo la schiena, “cutaneamente” rabbrividita dall’aria condizionata di cinema rinfrescati dal caldo estivo battente e turgido.

 

L’eroina è carina, modellata su estetiche canoniche d’una Bellezza che non turba ma stuzzica, soffice d’occhi azzurri intonati alle sintonie raggelanti di lacere abrasioni brucianti ad “appiccarsi” al mostro “(non) infiammabile”, che si rigenera come un T-1000/Robert Patrick del … giorno del giudizio di James Cameron.

Ed è proprio Cameron che fa capolino, più che il Re John.

Il finale ribalta The Abyss e lo cita platealmente in una caleidoscopia celeste ove, stavolta, la nave è il covo d’una serpentesca creatura di “fetale” rifugio, sotterraneamente colonico, nel “matriarcato” dell'”amazzone ibrida” di “femminea” voracità. Ignoto spazio profondo d’artigli extremely dangerous e letali, sceso e approdato sul nostro Pianeta da predatore vibrante di sue spire divoratrici.

 

Il duro Edgerton è il sopravvisuto, alive sino alla rivelazione finale ambigua.

 

Il contagio s’è annidato nei titoli di coda, ove i crediti son inframmezzati da una “perturbazione” ansiogena d’immediato monito catastrofico.

 

(Stefano Falotico)

 

 

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