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La figura del “gran pagliaccio” nel Cinema: strambi parallelismi da Joker a Sean Penn/Cheyenne, alias Robert Smith, certamente non amante, come Jack Nicholson, di Amber Smith…


01 Jan

sean penn cheyenne

La figura del clown è ricorrente nella mia vita spesso controcorrente. Anzi, quasi sempre “in barca a vela contromano”, citando il titolo di un film con Valerio Mastandrea.

Ovviamente, ho ascendenze deniriane, affiliate a the greatest actor alive, ovvero Bob De Niro.

Nel mio prossimo libro, intitolato Bologna insanguinata, romanzo atipico, folle, violento e al contempo satirico-goliardico del quale io e il mio editor abbiamo da pochissimo terminato il complesso lavoro di correzione bozza, non ho risparmiato colpi bassi nei riguardi di alcun personaggio realmente esistente, vissuto o defunto, del capoluogo emiliano in cui i suoi cittadini vanno fieri delle loro natie, per l’appunto, origini felsinee.

In particolar modo, c’è un personaggio su cui m’accanisco in modo impietoso e severo a mo’ di De Niro di Toro scatenato, sadomasochista nato.

Ovvero, che ve lo dico fare, due più due fa quattro e la matematica non è un’opinione. Neppure la psichiatria. Dunque, mi pare ovvio che in tal “caso” io alluda non poco a me stesso quando in tale libro maledetto mi riferisco a una persona, nata all’ospedale Sant’Orsola nel giorno 13 Settembre del 1979, che spesso mi spaventa vedere riflessa allo specchio, vale a dire il sottoscritto.

Poiché, a differenza delle persone cieche e ipocrite, resipiscenti e poco reminiscenti nei confronti della loro anima passata ed assente, presente o solo evanescente, deficiente o da tempo immemorabile senescente, in quanto si ritengono cresciute sanamente, ah, che orrore, so specchiarmi nelle viscere ventricolari del mio profondo cuore e, a costo di sanguinare di lacrime amare o solo catartiche, a costo di soffrire come un cane picchiato a morte, so estrapolarvi flussi mnemonici profumati di pulsante, rimembrante, vivo ardore.

Al che, ricordo tutto con impressionante lucidità come se fossi ancora un infante, semmai pure in fasce.

Allattato al seno di madre vita o di mia mamma, generato e non creato poiché mai davvero nato, resuscitato così come dicono le Scritture, quindi asceso nel Paradiso del mio amarcord pindarico che probabilmente si sposa con l’infernale idillio del mio tempo ritrovato, ancora addolorato, nuovamente malinconico, domani forse infernalmente pietrificato in un’euforia idiota… immacolata.

Le mie sono soltanto futili, per niente utili, opinioni… da Heinrich Theodor Böll.

Fuggevoli, incorporee, soprattutto innocue eppur da molti psicologi, no, psicopatici Pennywise semi-pedofili o bulli, eh sì, reputate addirittura pericolose.

Ricordo Il posto delle fragole del mio stesso essere stato un allucinato fantasma bergmaniano, essendomi ammalato di ogni patologia mentale (non) data per assodata. Sì, fui affetto da fobia sociale, da depressione bipolare, da disturbi ossessivo-compulsivi che, per fortuna mia e altrui, non degenerarono mai in follia assassina da Matt Dillon de La casa di Jack, inoltre fui afflitto da ipocondria bestiale, insomma da scarsa sanità mentale associata, altresì, ad essere Mr. Sophistication contro ogni falso buonista e ogni ignobile sofista.

Ho sempre sofferto perché già a tredici anni non ero amante delle ragazzine che andavano matte per Claudio Baglioni. Poi, “crescendo”, queste ragazze sarebbero impazzite per Raoul Bova.

Di mio, posso dire che vidi il film Piccolo grande amore perché vi notai non poco Barbara Snellenburg.

Alcune di queste ragazze, già formose come Barbara a soli sedici anni, furono (uni)formate in scuole per future segretarie comunali, frequentando istituti tecnici commerciali come il Rosa Luxemburg.

Cavolo, che peccato. Abbiamo perso tante potenziali Victoria Silvstedt e modelle da Victoria’s Secret in quanto i genitori di codeste le vollero solo sistemate, cioè frustrate, mal stipendiate, persino maritate con vigliacchi uomini che non le meritavano. Questi uomini denominano le donne di malaffare as vigliacche…

E ho detto tutto…

Sì, tutti uomini che un tempo avranno adorato Alessia Merz e ora, a quarant’anni, anziché essere depressi cronici come il cantante dei Cure, guardano alla tv Michelle Hunziker e, in silenzio, cantano lei… sei un mito, sei un mito per me…

Ecco, secondo voi feci bene a estraniarmi dai miei coetanei e vivere d’empatia con “lo straniero” Travis?

Be’, sono sempre stato un tipo da Albert Camus, non tanto da Kamut.

In Bologna insanguinata, sono rispu(n)tate le mie memorie del sottosuolo da Idiót dostoevskijano.

So solo che quasi tutti gli italiani non sanno esattamente pronunciare savant…

E dire che molti di essi sono laureati a pieni voti e si vantano di essere ammogliati a donne fisicamente da centodieci e lode.

Anche lorde…

Sì, ebbi una vita da lord, da principe della risata alla Totò. Sostenitore del motto la felicità non esiste, nessuno è niente, non siamo niente nessuno.

Uomo pirandelliano, maschera tragicomica in mezzo a tanti tonti… Antonio.

Alla pari di Chaplin, detto Charlot, sono Il monello che sbugiarda ogni ipocrisia ma non lo faccio apposta.

A mo’ di Sean Penn di This Must Be the Place, sono forse L’uomo in più sempre di Sorrentino oppure L’uomo che ride.

In mezzo a miserabili da Hugo Cabret, no, da Victor Hugo, mi piace essere “orfano di madre” e “aborto” à la Arthur Rimbaud.

Forse sono soltanto L’uomo che guarda di Tinto Brass. Non lo so, fate voi. Voi sapete tutto.

Sì, sapete tutto della vita. Certamente non di me.

Qualcosa mi ha disturbato…

Ecco, molti “adulti” pensano che E.T. e Hook siano i film più infantili di Steven Spielberg.

Infatti sono i più belli.

Lasciate perdere Schindler’s List…

 

di Stefano Falotico

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