Rocky Balboa, la leggenda

07 Sep

La leggenda…

Son tempi oscuri, v’alleviate nell’allevar ipocondrie stagne, che io fervidamente vinco nel combattimento nervoso d’un sollevamento pesi ingigantito a mio Cuore barbaro. L’appendo in pelle futile d’un anacronismo meticoloso, antico, figlio di boreali albe oggi eclissate dal vostro tedioso, avvelenante e “gioioso” sterile sesso mendace.
Abbindolati da lorde sconcezze esasperate, poltrite miei porci della “nuova” generazione, dimentica di sé e del fu leggendario. Dell’ascetico scisma originario alla Bellezza or qui da voi avvilita. Quando i titani arroventavan il vento e se ne “guaivano” sanguinanti teutonica rinomanza sull’issare dardi scolpiti a montagne immacolate. Ove la neve si scioglieva nei solfeggianti, acquosi occhi speranzosi, intrecciato io di granelli alla religiosa (in)fedeltà più assurta e assoluta per approdare ai piedi sdrucciolevoli di sorgenti mistiche dell’immenso detonarsi dentro. “Illusi” o vividi d’ansia leggiadra, lucentezza dorata in aurore gravide di preghiere al Dio lor più amato ché, fors’invenzione delle fantasie animistiche, li rinforzava in “addolciti” valori proprio trepidanti sangue!
Sì, che bello, si strangolavan in balli ludici, inneggiavan a Satana il bastardo, incapricciati dal vizio “furbo” di coloro che, d’impudenza carnale, troppo in fretta desiderarono marciar verso l’ingannevole “piacere”, o a un bugiardo Cristo immolati mordevano le notti acute dei lupi coraggiosi, nel poi brutto tradirli a raggirar se stessi nel “raggiante” sorriso mortifero di tal pauroso oggi essersi arresi d’adorazioni ancor più demoniache. Oggi, invece? Si “catturano” in sbavarsi “cortesie”, si prostrano a meschina “istantaneità” del “godersela” di “scaltrezza”, deruban le gote del prossimo e lo puniscono con “fervore” davvero di lor “onorificenze”.
Avere? Non han nulla.

E io, davanti a questo lor “divertimento”, sputo e picchio con più accidioso “cinismo”.
Perché sono romantico e rammento a tutti chi di essenza esigerò. Vicino a una panchina screziata che intreccio della mia sigaretta dal “grigior” plasmatico, vagabondo d’altra insonnia allegra. In Passione mia che vi svergina dalle orride vostre cene, di cera mascherata e colata di putridità orgiastica, son lo stronzo che infilza sghiacciante il tuo immondo star (s)contento. Odiami, d’insulti coprimi le “vergogne”, voglio agognar per la gogna e quindi sculacciami dopo avermi sfilato la “gonna”. Protrai offensivi attacchi e adira il tuo cazzo “robusto” nel conficcarmelo a tuo “adulto” gioco.
Poi, dopo che ti sarai cibato di sevizie, voglio pur viziarti con un leccalecca. Spoglio di me e a te “ateo”, mio “religioso” tanto “savio”. Sì, ti sanerò d’ogni mia fica ché mi piace giocar da “donna”, così come tu te n’avvinazzi e su un’altra da spupazzare “giocondo” quindi spruzzi d’anaconda. Salvifica è la mia vita, arrostiscimi e ingoierai l’odore del tuo vomitante sadismo. Ardo, aridi miei! E tu? Tu sei colui che “buono” giudica, impietoso castighi. Dunque, ai tuoi “umili” servigi, mi denudo in prostrazione. Prostituiscimi di tua salvezza. Di sal(i)va cura la mia indole selvatica, t’ordino d’assalirmi e salirai con me in Paradiso… lì, beccherai la Croce maestosa a te genuflessa.
Fesso!
Zampillo col mio cappellaccio, questa periferia odora ancor di fradicio bello, quel sapore oceanico che vien dai mari del Nord, ove l’America s’increspava lunare a mio battibeccar da “bullo”.
Invero, abito in un’altra città, non è Philadelphia ma l’incarnazione terrificante dello sterco di sanguisughe incrociate a spolparti su “decumane” mentalità immolanti motti nazisti. Dei più fraudolenti, diabolici nella “diplomazia” violenta, tagliata con le lor accette “sofisticate”, con la lametta dell’oratoria più affinata nell’ipocrisia di tal lor crasse caste. Mai son casti, amano “incastrare” per “incastonarti” nei loro perfidi giochetti da mosaico delle carni in scatola.
E il lor accanimento non ha mai tregua. T’etichettano e così “devi” vivere non azzardandoti neppur d’abbaiare.
Perché, se no, son guai. Rincaran carnali un maggior bruciarti caudini nella forca su indebolirti per loro “rafforzate” giostre dinanzi a tuo “incagnito spegnimento”. Se poi ululi, in crepitio tuo urlantissimo, ecco che adottan la tattica “stratega” della “ragnatela”. Prima attentano alla tua innocua incolumità con dosi sedative, non solo verbali, quindi “agguantano” la preda quando incattivita non si frena. Ragni, insomma, per telai… e trappole anche alle ambite “tope”. Ma io tanto lacero i miei muscoli, bicipiti d’olio lucido, quanto strappo! Questa è carrozzeria. Le mie donne vibran a corazze di carrozze principesche. E ne sono il Re! Amen, falliti da reami sciocchi.
Voi, loro non si dichiareranno mai colpevoli di reato né tantomeno arretreranno d’altre offese “velate”, dalla leguleia “ragione” coperte dietro abiti intonsi da bellimbusti, semmai “giornalisti” seduti nelle appollaiate, sgozzanti mucche di braciole e braccialetti per segrete segretarie “scrivanianti” col mezzo busto e totale bustarella. Le chiamano annunciatrici. Ah ah. La dicon tutta appena apron la boccuccia. E son anche analfabete delle novelle.
Evviva la carovana! Cavalchiamo!

Si reggon a vicenda, tra una ruffianeria, una leccata di culo “invisibile”, qualche “cortese” baciamano per ingraziarsi le grazie della pupa dal fondoschiena più spalmabile… di plagio e pipe, nei piallarti sui lineamenti disossati d’una maschera che decretan debba piangere e lagrimarsi dentro in “superfluo” lor godere ingordo che tu sia “guastato e lordo”, sciupato, corroso e nell’intimo dissolto. Ma i dissoluti son loro. Che lord… che lor signori(e).
Li conosco tuttavia, ebbi come tanti la sfortuna d’incontrar questi (rac)conti capziosi lungo il cammino mio mai da ozioso.
Gente “dabbene”, abituata a recider in fretta, di “fin(ale)” filetto, una coscienza se non allineata al borghese “istituzionalizzarsi” da ludri divoratori dell’affarismo più “vincente”. Sono proprio “lucenti”, s’affiancano di donn(acc)e statuarie, che han “conquistato” con il più “sano allungamento” dell’intelletto “perspicace”. Meglio la mia linea. Borderline vs tal bordello. Ho pochi dollari, miei cari(ni). Ma il canino è il tuo cannolo più canna fumaria a te che vendi fumo e anche arrosto. Troppa carne al fuoco. Quindi, vai essiccato. Son ricco dentro, tu arricchisci lei di ricotta.
Sì, lo spiccato portafogli nello “struscio” feudale, poco fedele, analmente al “miel’” di gioiellini da veri “damerini”. Che roman(tic)i…  identici a me, non c’è che dire. Tutte le cosciotte di polle addentano. Da bagnar con “tocchi prelibati”. Ardendole al dentino. Cotte… ammaliate…, servite a puntino del piccantone.
Ognun di questi “grandi uomini” ne ha “una” di cui vantarsi, un fregio di cotanto “arrivare”. Vengano, vengano… il circo è servito di “tavola calda”.
Sì, poi leggi proprio sui giornali che le han sfregiate e una lei chiede il risarcimento delle borse, non solo sotto gli occhi. Borsa di (lacrime da) coccodrillo. Volevi il riccone? E ora non arricciarti la pelle stirata del lifting…
I “cazzi” di oggi son maneschi, si ciban di “sesso” sobrio come i piedi sadomaso del caprin Mefistofele.
Hanno visi bianchi m’arrossiscono davanti a chi dice lor la verità. Eppur è sempre rosso il “peperone” per quella da “sbiancare”… ne son “maestri”. Tutte le indiane van ad accaparrarsi, vacanzina esotica per erotismo venezuelano, quindi mulatta di latticino italiano che poi razzista è sempre fermo al nazismo. Si sposa con la bianca, la tradisce a patto lateranense quando apre le gambe con la messicana. Famosa pizza di salsiccia al calzone.
S’augurano il tuo capitombolo e voglion spedirti nella tomb(ol)a, gridando “Vittoria, Bingo! Abbiam beccato un altro Bongo e sfruttato un’altra bona, alla faccia del bonaccione, enorme coglionazzo e scimmietta d’olezzi!’!”.
Non si fan ribrezzo? Meglio la mia zazzera ché al muoversi delle brezze si sbraccia. Corre a perdifiato, s’allena di metallo.
Ecco, talvolta capita appunto che qualcuno, nonostante la lor diffamazione, la lordante “fame” appetitosissima, nonostante il loro orco di urlo “A me tutto, a te il lupo spelacchiato”, qualcheduno non lo “calmi” facilmente.

Perde alla prima, alla seconda tremenda anche, poi aspetta il gancio sinistro.

Che vale il prezzo.

Rifilato “volgarmente” ai pezzoni di stronzi “eleganti”. Sì, glorifico l’elegia del mio cazzo, eletto. Pensavano di (dis)farsene in quattro e quattrocchi… ah ah, questi da “ottovolante” e “oculate” catene… non avevan previsto il montante. Sì, qualcuno spezza la di montaggio catena.
Ecco lo scatenato.

Sì, da sempre e fin dalla nascita ho vissuto nel pedissequo fottermene. Integralmente e integro, coi “valori” del mio fregar tutti in libertà quasi “scandalosa”. La mia libreria pesa di Cultura pura e valgo molte li(bb)re.
I miei genitori mi han sempre permesso che mi crogiolassi nel vuoto da giocosamente “ammorbidirmelo”, stuzzicar il mio pelo pubico riccio e vispo. Senza mimose, facili innamoramenti e morbidezze da tenerezza. Sono un duro. Remoto dalle ammorbanti risa lontane anni Luce del birbante tristarello e delle puttane a briglia sciolta. Orsacchiotto!
Fate pure… a rissa per il purè di “patate” e datemi del poveretto. Attento che non recida i tuoi (l)etti. Vai sempre a tette, ecco lo smottamento tettonico.
Così, in campestre virtù ghiotta di mio saccheggiar anche un sacco da prender a schiaffi, sfacciato passeggio e mai a bada sbaraglio. Ché i bavagli cuciranno la bocca di tua sorella, “laureata” al cucinotto con un segugio che l’annusa in sudori dei profumini come il manzo a suo maialino. Che femmin(e)a culinaria. Lei lo chiama marito, io la chiamo una che guarnisce la “panna” d’altrui maritozzi. Eh sì, più il suo nuovo amante è tozzo e più beve la “tazzina”. Che zuccherino!
Da serva che terga, da sfruttatore a cui l’erge. “Donna che tutti… li legge. Soprattutto li sorregge.
A cul di “acculturata”. Con tanto di “confetture” e buona marmellata. Lettura smielata, melina “smaltata”.
Devo svuotarmi le palle e liberarmi da queste “apparecchiate” e antiquate. Vanno “liquidate”. Di mio smaltimento e cioè di “mattarello” ammattite. La mia “matita” mata e Mal farà, mia Mafalda. Mi darai del malfattore, meglio dei peni dell’animal fattoria. Preferisco il fango, ove gl’idioti di spranghe gemon dopo che li buttai nella pozzanghera. Non son del mio O-rango Tango. Anche perché ho sempre odiato le ballerine.

Mi chiamano il buttafuori, meglio di te, (cer)bottana! Da me, avrete solo che “botte”.

Sì, credo che la società si sia involgarita e tentenna confusa. Ma, di mio, professo il libero arbitr(i)o, innalzando il “ramoscello” delle mie palle dure “fischiettanti”, a differenza di queste torri cittadine, oscillanti fra omosessualità latenti dello sbaciucchiarsi limitrofe, zoofile e finto-filantropiche per tropicali figate squallide, uno svettar di restauri “screpolanti” come le labbra d’una meretrice  da vettovaglie e cianfrusaglie depressive su alcolizzata che sogna erculee aste perpendicolari nel suo ano sempre annualmente, di chirurgia “plastica”, gonfiato con “curia”. Lei crede nelle “Chiesa”, ne chiede di “grazie” e ficca la manina nell’acqua benedetta, salvo scosciar in scrosciante quando dita altrui l’innaffiano di maledetto imbastardirla su e sotto lei bestemmiante gli orgasmi più cattolicamente immorali. Al Diavolo tutti e tutte quante!
Sì, viviamo in un Mondo pseudo cattolico, fra cristiani ortodossi spo(s)sati che se la fan addosso “in mezzo” alle timorate anche quando codeste galline da coccodè “riveriscono” i cocchi d’inchini non tanto castigati, ostie non tanto austere e le solite sceme diplomate alle magistrali, a cui rifilerei la “dotta” saggezza dello scibile più a lor “educativo” di sibilo, cioè il serpente alato quando vorrebbero insegnarmi dove infilzarle, fra uno stretto di Gibilterra, un circumnavigarle in sdraiato inaridirle del mio deserto affettivo e la lavagna di lor gastrite da lavand(ai)e.
Sì, le disprezzo, in quanto misogino a pieno fare sì che penino, scevro da regimi, regine, bacetti e coperto di ruggine ché son adombrato d’un “brioso” oscurarlo nervoso. Come lo Yeti, me lo dormo sulla montagna e, se ricevo visite sgradite dagli sciatori noiosi, li travolgo col mio colorito “pallido” all’aglio, dolcissimo di profumo “vaniglia” d’una valanga e il mio vergarli di pene mostruoso come il vampiro transilvanico.
Quando tiro fuori la lingua, contemporaneamente la Donna graffia di unghie. E io lo allungo. Che lupo.

Credo negli scenari apocalittici e attendo con ansia il primo bombardamento per la tanto “sospirata”, dai che deve avvenire come da Nostradamus…, Terza Guerra Mondiale. Già me lo vedo il Presidente nero assediato dai siriani con la salma di Fidel Castro che si scopa, semi-infartuante, una cubana brasileggiante.

Sono Rocky. E attento a non disturbarmi. Ai lavoratori di questa pigra società “produttiva”, offro un simpatico “Fottetevi” e un sano pugno quando si sganasciano. Ecco il mio “pimpante”. Ai poppanti un bel calcio (ar)rotante.

Per il resto, mi collego a un sito lietamente porno e lievita il mio “tiramisù” sui seni su(p)ini dalle ciliegine rosee e pellerossa con le mulatte nell’intercontinentale e “agguerrito” denudarmi come Dio comanda.
Non sono un moralista. Prediligo un culo “virtuale” ai delinquenti “re(g)ali”.
E non cambierò mai. Neppure la “mano”. Di solito uso la destra per “incendiarlo”. Il “sinistro” lo tengo per dartele. Si chiama colpo “gobbo”, mancino.

Sì, me ne sbatto della religione. Adoro il catechismo di lei quando si china, ubbidisce e i miei moniti s’erigono appunto d’erezione come un monolito “inespressivo” eppur di marmo. Vi servirà di lezione? Voi conoscete un cazzo che abbia più di una smorfia? Sì, è vero, dimenticavo…
Pare che tutte le madri ne posseggano uno nell’armadio. Ha delle “emoticon” con appiccicati dei cuoricini  sulla “faccina” da usare con cautela e “prevenzione” durante i momenti di pausa del marito. Cioè sempre, visto l’andazzo. Lui va a zoccole, poi scopre che il casino coniugale è gestito dalla consorte coi clienti marsupiali, una matrona davvero Mater, da cui il film La milf si fa il figlio tosto di pietra a Matera poi sassi testicolanti con le pere di Bari, “capodopera” a base d’incesti, di “tiri” da tre nel “canestro” venuto… col buco, di zuccheroni filati nel carnascialesco carnevale che la lancia così come va, in vacca per tal corteo funebre di carri mascherati. A quello di Napoli, preferisco il “veneziano”, gondoliere “anonimo” su remar d’ambiguità tremante come in Eyes Wide Shut. Potrebbe essere stato l’amico migliore, il dottore, il marinaio o semplicemente una lesbica nella fantasia non del tutto confessata. Oppur la comare coi suoi lutti. La comare cova, conosce le alcolve. Anche Hulk Hogan del terzo Rocky.

Di mio, voglio leccare le gambe di Naomi Watts, più principessa di Lady Diana, e issarle il mio “Empire State Building”, in maniera inland della Mulholland Drive più delirante al King Kong versione Lynch. Film che David mi regalò in totale “riservatezza”. Una copia ce l’ha lui, l’altra l’ho data da “mangiare” al mio cagnolino. Vive con me nel camioncino. Siamo entrambi dei campioncini.
Un boxer che macina la celluloide sul suo uccellone, uno schiacciasassi che scaraventa al “tappeto” Naomi e vien rotto nella mascella. Eppur nell’angolo la sgolante Naomi fu “sgolatissima”. Una gattona pericolosa.

Sì, sono un macigno in compagnia del mio mastino. Mastico senza mastici delle dottrine sociali, qualche volta mi do, come detto e (non) dat(tter)o all’onanismo, spesso son “schizzato”.
Divengo e, venendo, le sventolo.

E m’incazzerò oggi e domani. Dopo l’altra, un altro…
Io penso al futuro, tu non ce l’hai… te l’ho tagliato io.

Ciao panzone. Vai dal prete e fatti dare l’estrema unzion’. Ti servirà per scendere meglio all’Inferno.
Avrai l’attenuante da “garante”. Vedi? Tu non vedevi oltre le apparenze per via della tua bacata mentalità, e presto sarai in panc(h)i(n)a bucato. Anche un po’ più “in basso”. Ecco il “dotato”.

Sfinisco te, finendoti così, si definisce… del Taglione.
Piaciuta la cazzata? Datti a cose serie. Devi aggiustare il tuo cazzetto. Ma non ti dirò dove lo misi.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

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