Posts Tagged ‘opera di interesse culturale’

Discorsi ovvi ed elementari, perfino patetici che però, in quest’assurda confusione di massa, vanno ribaditi e custoditi preziosamente nella memoria in caso di personali derive da uomini di DAMS


26 May

Il terzo uomo

Sì, lo so, sono un uomo insopportabile. Talvolta vengo assalito anche dal feroce dubbio di non essere umano e di essere invece Jeff Bridges di Starman. A me sono imputabili notevole colpe, soprattutto di essere talmente coerente da rasentare l’idiozia più brada, di aver avuto un percorso esistenziale talmente strampalato e fuori dagli schemi da essere diventato paradossalmente lo schematismo fatto persona.

Sì, molta gente ragiona per frasi fatte e luoghi comuni, e parla di massa quando si sente incompresa, blandita, umiliata od offesa. Dovremmo sfatare anche questa cattiva, erronea concezione di massa. La massa siamo noi, è il prodotto delle individualità che fanno una società e decretano spesso il pensiero comune. Pensiero comune che, a mio avviso, è assai pericoloso perché annulla le soggettività e l’eterogeneo splendore delle diversità di ciascuno di noi.

Mi trovavo a dibattere sulla dicotomia fra vita agiata uguale piattezza e vita di stenti uguale vita illuminata.

Invero, questa semplicistica ripartizione fra bianco e nero, come sapete, non si addice a me, adoratore delle sfumature, ma son stato accusato di aver fatto questa netta, lapidaria distinzione da una donna che ha mal sopportato la mia da lei presunta radicalità.

Volevo solo dire che chi vive nel lusso sfrenato è più facile che si disinteressi del sociale e impari ad avere dimestichezza soltanto coi suoi piaceri personali. Ed è dunque lapalissiano che questa tipologia di persone diventi spesso insensibile, cinica, snob o altezzosamente giudichi con troppa fretta il prossimo. Senza preoccuparsi di volervi entrare in contatto perché, a priori, ha già sentenziato che la realtà di quella persona è una realtà che, non solo non capisce, ma lo stizzisce, infastidisce, persino innervosisce e se potesse, addirittura con la forza, vorrebbe zittirla.

D’altro canto solo le persone che hanno vissuto esperienze forti di un certo tipo, si son trovate “pericolanti” in stati psico-emotivi-economici-sociali assai bizzarri e particolari, e possono parlare con cognizione di causa di ciò che hanno sulla propria pelle esperito con dolore e dunque son arrivate anche a sublimare le sofferenze attraverso l’illuminazione. Che poi io conosco solo l’illuminazione dell’ENEL.

Credo che al di là di questa luce non ve ne siano altre. Quindi, la smettesse quell’altro imbecille del Dalai Lama a parlare da illuminato. Illuminato di che? A mangiare il riso e a far finta che non darebbe, se potesse, una botta a quel popò di culo di Jennifer Lopez?

Più chiaro di così? Parlo forse arabo? Ora, voglio dire che tutti i geni hanno vissuto delle sfortune o hanno avuto vite difficili? Se non difficili certamente peculiari o, perlomeno, il loro cervello e la loro anima hanno filtrato ogni esperienza attraverso un’ottica percettiva profonda, persone animate sempre e comunque dal desiderio e dalla curiosità di volerci vedere chiaro, di addentrarsi nei meandri delle proprie oscurità.

Orson Welles aveva tutto, tranne il “difetto” di essere grasso. Ma forse, a ogni risveglio, non era felice né appagato, e allora creava come meccanismo di difesa al suo malessere.

Ma che ne sapete voi che vivete agiati se non avete neanche assaggiato la stranezza della vostra stessa agiatezza? E vi annoiate manco foste la regina d’Inghilterra!

Che voglio dire? Non lo so. Adesso, barista, versami da bere. E che sia qualcosa di unico. Altrimenti non ti pago.

 

Ci sarebbe molto da ridire anche di questi pseudo-“esteti-cultori” di Cinema venuti fuori da quell’altro obbrobrio che è il DAMS, quest’acronimo-paccottiglia di discipline “artistiche”. Che già disciplinare l’Arte credo sia atrocemente osceno.

Li vedi che, arrivano a 19 anni, al primo anno e l’unico film che sino ad allora hanno visto è stato Il gladiatore e altri finti capolavori di sorta, allora s’incantano come bambinelli dinanzi a Stanley Kubrick, perché fino a quel momento hanno frequentato il Classico, ove hanno imparato solo a considerarsi “superiori” sulla base del precetto assurdo, classista e fascista secondo il quale il Classico è la scuola superiore più formativa a livello umanistico, quando invero passavano i sabato sera in qualche pub a gozzovigliare e poi andando nelle multisale a sciropparsi un film strafigo con la figotta Cameron Diaz, e al primo fotogramma un po’ fuori dalla “norma” ecco che or gridano al miracolo.

Qualcuno dice loro che …E giustizia per tutti di Jewison è una grande pellicola. E loro credono a quest’idiozia, perché il loro maestro, uno più indottrinato di scemenze di loro che insegna in quella cattedra perché ha leccato il culo a qualche pezzo grosso dell’ateneo, ha detto proprio loro che è recitazione da Actor’s Studio ed è una cronaca quasi documentaristica del sistema penale americano. Bastasse questo per fare un grande film. Tutto è retorico, tronfio, prevedibile, un campionario di casi umani e legali da manualetto di Giurisprudenza dei nani, con una sceneggiatura didascalica e perfino Al Pacino è teatrale, e sappiamo benissimo noi che teatrale, quando si parla di Cinema, ha spesso una connotazione negativa, perché appartiene a quel tipo di recitazione declamatoria, caricata, innaturale e impostata.

Ma loro si laureano e ci tengono a dire a tutti che sanno cos’è un controcampo e poi scattano una foto da mettere su Instagram con gli effetti “ottici” delle orecchie delle gattine… possono pure farlo per “simpatia”, peccato che poi una scena in controcampo non sanno come si giri. E gira che ti rigira son solo dei paraculi.

Secondo voi quest’umanità di dementi può essere presa seriamente? Bambagia, pappardelle imparate a memoria, un selfie in compagnia della Nutella, una leccatina alla propria scemotta, un panino al Burger King, e vai…

Oggi sono tutti geni, non capiscono non solo gli altri ma nemmeno sé stessi, ma lanciano giudizi su tutto, dissacrano su questo e quello e poi si scandalizzano se uno dice loro che sono dei troioni.

Questo sono. Troioni di ovvietà scolastiche, di sciocchezze, di ampollose prese di posizione su ogni argomento quando non comprendono nemmeno la differenza fra Sergio Leone e Tarantino.

Parlano di equità sociali ma poi s’incazzano come belve feroci se uno se fa loro degli apprezzamenti ironici. E soprattutto, nonostante abbiano frequentato il DAMS, in cuor loro davvero credono che 2001 sia un film palloso. In fin dei conti, quella zoccola su Instagram ti manda nello spazio. Suvvia, no? Che c’è di male? Io l’ammetto che è una zoccola che tira, loro no perché le danno della zoccola che però glielo fa tirare più che a me.

Perché vogliono essere stimati per persone di cultura quando la cultura non sanno nemmeno cosa sia, gridano che Woody Allen è un genio per sentito dire e guai ad affermare il contrario altrimenti verrebbero derise ed esclusi dalle intellighenzie di questo par de palle, vogliono i soldi, vogliono questo e quello e vogliono arrivare, godersela, e poi pontificare come i rimbambiti di ottant’anni.

Una volta mi ricordo che parlai a uno…

– Sai, mi sa che andrò a vedere questo film di un certo Tarkovskij.

 

E lui rise di grana grossa, dicendomi:

– Ah ah ah. Ti rendi conto? Hai detto un CERTO Tarkovskij. Ah ah. Secondo te Tarkovskij è un CERTO? Ah ah ah.

– Che cazzo ridi, tonto babbeo di merda? Ora voglio chiederti per curiosità tu che cazzo di film hai visto di Tarkovskij?

– Non mi ricordo.

 

Ecco, non mi ricordo o non so. Questa fu la sua eterna, immutabile, fottuta risposta dinanzi alla sua arroganza. Parlava e si atteggiava da trombone ma era lui che non sapeva chi fosse Tarkovskij. Ma da qualche parte aveva letto che è un gigante. Ecco, da qualche parte, ma non ha mai appurato, non ha mai approfondito, non ha mai io credo neanche saputo guardare le stelle. Ma ride, giudica, giudica, giudica tranne sé stesso.
Sì, un CERTO. Perché ancora non lo conoscevo e quindi era un CERTO come poteva essere un qualunque passante della strada che solo se avevo voglia di conoscere potevo entrarvi in empatia.
Non fa una grinza.

 

 

di Stefano Falotico

Della libera visione del Cinema e della vita


10 Nov

ulf01

Allibito, noto che qualcuno spia il mio profilo Facebook e si è risentito che abbia scritto che ognuno, anche da “profano”, in un mondo libero e democratico, deve poter parlare di Cinema anche se non ha il pezzo di carta che “attesti” la sua “conoscenza” in materia. Come se il Cinema lo volessimo poi ridurre a tristi manualetti “pedagogici” e “istruttivi” su un’Arte maestosa che è la pura espressione della poetica di mille e più sguardi, un’Arte suprema che non conosce regole e non può essere ascritta a questi squallidi “indici” di “cultura”. Ove la parola cultura puzza di retrogrado accademismo, di sapientona, cattedratica scuola d’infanti così affamati di celluloide tanto da poi voler giocare alle bieche classificazioni, alle etichettature più didattiche. Come se il sapere consistesse davvero nell’elenco pedissequo di nozioncine teoriche inutili che con la bellezza, il sacrificio della pratica hanno poco a che vedere. E, peraltro, mi fa specie questo idealismo volgarmente sognatore che poco si cimenta con la realtà, ove realtà fa rima col sudore e il sangue dell’errare, dello sbattere la testa, del vivo e diretto confronto. Davvero certa gente, ah, povera illusa, crede che una laureetta al Dams possa dar loro l’accesso alla grandezza del Cinema, alle sue più pure, viscerali, eterogenee emozioni? Non è che, invece, come purtroppo accade in molti casi, coincide soltanto con una “gamma” informativa atta soltanto a istituzionalizzare il patrimonio sconfinato della cultura? Cultura non è una parola da vocabolario. Il vocabolario c’insegna straccamente che significa semplicemente “patrimonio” intellettuale, erudizione, che sa di vetusto e poco d’avanguardia, anche se poi annovera la “voce” esperienze spirituali. Ecco, è nell’anima della cultura che la cultura stessa si esprime, nella varietà della creazione, nel pindarico specchio immaginativo della fantasia più poetica, qualità superiori che non certo si apprendono da libretti noiosi e soporiferi. Ma io parlo al vento. Il Cinema l’ho amato nelle mie solitudini, quando diventava flusso cangevole e immensamente variegato delle emozioni fatte metafisica, quando i deliri in me regnavano sovrani e apprezzavo, così come ancor oggi eleggo in gloria, gente come Lynch che scardina(va) appunto le false regole di quest’Arte sinergica, lisergica e giammai scolasticamente letargica, per infondere cuore selvaggio alla natura affascinante del mio io imbizzarrito. Le strade perdute dell’infinitezza impalpabile, dello splendidamente seducente e ammaliante, trascendente e coloratamente onirico che si faceva cupezza, poi alata malinconia, quindi euforica vetustà. E il mio sguardo s’incendiava in questo lago di sogni però aderenti all’intima realtà che deflorava, “violentava”, esplorava. Oggi, invece, siamo ammorbati da gente che parla di Cinema come se fosse una fredda scienza, che gioca di voti e pagelle, che appiattisce il gusto nell’omologazione “culturale” che tanto mi spaventa.

La stessa gente che fraintende il senso della vita e dà alla vita un senso distorto, fatto di gerarchie, ove le persone sono numerini, in cui enumera il suo “sapere” attraverso sciocche, false credenziali.

Poi, tutti “sognano” e si divertono. Non si capisce cosa intendano per divertimento. Che per molti deficienti significa adeguarsi a un gruppo di stolti come loro, a un “credo” spesso ingenuamente giovanilistico, nell’accezione più patetica del termine, fatto di prese per il culo, sberleffi, provocazioni “imbevute” di chiacchiere da donnette e uscitelle nel pub a sfogar la noia di vite che, semmai, vanno al cinema e non capiscono un cazzo di quello che vedono, perché non sono senzienti del loro sincero inconscio, e si fuorviano e condizionano a vicenda in questo “termosifone” sempre mosciamente moderato, politicamente corretto, orrendamente “sano”.

La solita domanda che tutti mi fanno. Ma lei esattamente, con precisione, cosa vuole dalla vita? Se lo sapessi con “esattezza”, non continuerei a vivere.

di Stefano Falotico

Genius-Pop

Just another WordPress site (il mio sito cinematograficamente geniale)