Posts Tagged ‘Sergio Leone’

C’era una volta a Torino…


30 Dec

 

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Ieri, era il 29 Dicembre e Rai 3, come di consueto in questo periodo, in concomitanza con la fine dell’anno e l’approssimarsi vicinissimo dell’Epifania, ha trasmesso C’era una volta in America.

Stefano Falotico, il qui presente-assente, Bickle e Joker Marino, uomo rispuntato dalle tenebre per fortunati accadimenti miracolosi della sua mente che, dopo essere andata a letto presto, invero tardissimo da After Hours scorsesiano per molti anni, dopo essersi persa nei vicoli meandrici di amnesie storiche, dopo tanti eventi rovinosi, impazzimenti vari, ha riacquistato la luce, una luce tenue come il crepuscolo adamantino del suo Nosferatu passeggero in questo mondo bislacco ch’è il nostro.

Così, ho deciso di far visita a un mio amico di Torino, per una giornata e mezza di allegre rimpatriate.

Sono passati tanti anni dalla prima volta che lo incontrai e più volte ci siam rivisti, anche se di rado, negli ultimi tempi.

Così, quando la malinconia si fa così forte nel mio animo che ho bisogno d’incendiare i miei ombrosi umori in serate piacevolmente amicali, non perdo mai il treno.

Che, semmai, sosta anche alla splendida stazione di Milano. E il mio animo, in quel frangente in cui le ruote del treno stridono sui suoi binari e sospendono il loro cammino nella metropoli lombarda per eccellenza, si placa, vien colto da spasmi romantici e ripenso a quando, nel 2006, amoreggiavo con una ragazza che forse non amavo neppure. Un periodo seppellito nelle mie memorie. Con lei non andai d’accordo tantissimo ma mi piaceva baciarla.

Poi, finito che ho di rimembrare quell’amore bizzarro, ecco che chiudo gli occhi ma non dormo. E odo, a palpebre abbassate, il casino dei passeggeri. Il treno è pieno di gente e, sapete, io mi sento sempre a disagio in mezzo alla folla ciarliera e rumorosa. Fra bambini che piangono, cullati dalle loro madri appunto amorevoli, trogloditi che urlano al cellulare e nuove persone che salgono nel baccano generale.

E, come per magia, eccomi a Torino. Scendo piano, m’incammino verso l’atrio e incontro il mio amico che mi aspetta. Prendiamo il taxi, alloggio nel mio albergo, sento una donna strillare, inizialmente pensavo che ridesse sguaiatamente. Apro la porta della mia camera e colgo un’ombra fuggevole che, disperatamente odorante di lacrime, chissà perché scende le scale, l’uomo della reception cerca di chiederle che succede ma lei esce dall’hotel e, dalla terrazza, la scorgo furtivamente inoltrarsi nella sera già buia.

Chi è questa donna? Chi era? Mistero.

Stordito, indosso il mio giubbotto, chiudo delicatamente la porta, consegno le chiavi. E il mio amico è lì che mi aspetta. Mi porta in un locale molto accogliente, molto d’elite, raffinatissimo. Doveva essere solo un aperitivo ma alla fine ci vien servita una lauta cena. E il mio stomaco è ben sazio.

Girovaghiamo per questa periferia torinese, fra parchi illuminati fiocamente e gente che come noi passeggia o beve nei bar, dunque sostiamo a un pub.

Vien la notte, dormo. Mi sveglio prestissimo, è alba ma a Torino sembra ancora notte. Notte, notte, notte. Esco a prendermi un caffè. Pochissimi passanti e l’odore genuino di un inverno freddo ma al contempo mite.

Aspetto mezzogiorno, incontro nuovamente il mio amico. Pranziamo a un ottimo ristorante, ricordiamo assieme i film che Dario Argento ha girato a Torino. Profondo rossoNon ho sonnoLa terza madre.

Il mio amico li ricorda assai meglio di me. Inferno? No, è stato girato a Roma.

Suspiria all’estero. Altri giri, altre bellissime chiacchierate, un altro taxi. Il viaggio finisce.

Intanto mi arriva la recensione di un egregio direttore di una rivista letteraria importante.

Ve la faccio leggere in anteprima. Sono commosso, davvero, non so se merito queste parole.

Ho fatto tantissimi sbagli, tanto ho sbadigliato, tanto ho peccato, tanto sbaglierò ancora. Ma mi sento della vita ancora innamorato.

 

UN SAGGIO CRITICO SU STEFANO FALOTICO

 

L’inserto tutto-cultura PROMETEIA sarà un allegato costante del Faro Italiano, che nel 2019 sarà sottoposto a un’importante evoluzione. Nelle prossime edizioni di PROMETEIA appariranno i saggi critici sui libri di Stefano Falotico con riferimenti a tutte le pubblicazioni precedenti. In questo saggio, invece, mi soffermerò sull’Autore. La crisi che vive la lettura italiana (ma anche mondiale) è dovuta essenzialmente all’inconciliabilità fra lo scrittore e il lettore. Il lettore del XXI Secolo non è più quello del XX e, meno ancora, quello del XIX. La tradizione scolastica, che ha le sue radici in una specie di ripetitivo classicismo, si scontra, volenti o nolenti, con una trasformazione, che, posta in essere nel XX Secolo, ha trovato nel XXI il suo compimento. Ovviamente, molti scrittori, pervasi da un agone egotistico, non si rendono conto della nuova capacità di lettura e insistono in un canovaccio inestirpabile forse a causa di una cultura eccessivamente libresca. I grandi scrittori hanno trovato invece elementi “istruttivi” e “insegnanti” nella vita di tutti i giorni, nel quotidiano vivere, nell’analisi della società e delle sue evoluzioni culturali, economiche e di costume. Restare “classici” in questo contesto non avrebbe avuto come sfogo il lettore, ma una ristretta cerchia di amici “complimentosi” per “adeguarsi all’occasione”. Stefano Falotico si è posto il problema di come restare classici, senza “urtare” la suscettibilità del lettore. Ha dato vita così a una prosa complessa, attiva, interattiva, non dormiente, non assuefatta, non cantilenante, non ripetitiva, ma sempre fornitrice di soluzioni letterarie che, scatenando l’intimo sentimento, come forse era accaduto soltanto a Victor Hugo e Lev Tolstoj, ha “tradotto” in realtà pensante anche i lettori più indifferenti e sopiti. Lo ha fatto non solo attraverso la curiosità “linguistica” avveniristica, ma soprattutto a mezzo di una sequenza di contenuti che si susseguono in una “asfissiante devozione” al mondo. Se, in qualità di critico letterario (ma sono soprattutto autore di non indifferente livello), mi soffermo sul fenomeno Stefano Falotico, è perché il nostro soggetto letterario offre al divenire culturale soluzioni che dapprima non abbiamo rinvenuto neppure nei maggiori scrittori contemporanei. Stefano Falotico si è certamente posto il problema: Come “raggiungere” il cuore del lettore? Come “svegliare” la sua mente? Come evitare di essere scontatamente evolutivi? Come essere evolutivi e “classici”? I suoi libri narrano di “dame” e “cavalieri”, ma in questo costante divenire-trasformativo-interattivo non troveremo Torquato Tasso, Ludovico Ariosto e, ancor meno, Dante, Virgilio e Milton. Non troveremo il narratore romanzato. Non troveremo “scontati-inutili” castelli. Troveremo invece l’uomo pluridimensionale, l’amore per l’enigma-vita (Il Cavaliere di Londra – in una mia prossima recensione), lo snodarsi lungo le difficoltà della vita (Il Cavaliere di San Pietroburgo). Le avvisaglie della nuova filosofia linguistica si hanno già nel Cadavere di Dracula (che si pone come confine fra il vecchio dire e il nuovo dire). “La libertà e anche il libero arbitrio passano attraverso perigliosi cammini e ardui ostacoli. Anche la libidine e la lussuria per l’Autore passano attraverso la catarsi “profetica” di un’intima soffusa sofferenza (La mia lussuria si scaglierà terribile di veemenza arsa a vostra finta sapienza. – Il Cadavere di Dracula – Stefano Falotico), attraverso la paradossale lente di un epidiascopio, che, con le sue immagini alterate e “assurdamente iperboliche” ci offre una visione “esagerata e folle” della vita, perché, in fondo, la vita umana non è che “un mezzo” per perfezionarsi per pervenire a vite “diverse”, a mete da conquistare nell’evoluzione biologica, sociale e filosofica, che si dipana nell’incessante comporsi e scomporsi degli “elementi” – così nella mia recensione (già ampiamente pubblicata e inerente libro di riferimento). Stefano Falotico si è quindi posto il problema di come innovare, trasformare, essere “contenutistico”, concreto ed “emblematico”, non travolgendo totalmente i canoni classici della scrittura, ma adeguandoli e rielaborandoli con l’immissione di una straordinaria linfa vitale. Come riesce a ottenere questo? “Caratterizzando” i personaggi, facendoli “lievitare”, crescere, come un padre e una madre pazienti che intendono impartire la migliore educazione alla prole. La prole, nella fattispecie, si chiama libro, scrittura, passione per la crescita letteraria. Non allievo mai, Stefano Falotico è in realtà un appassionato “Maestro”. Ha l’ascia di chi colpisce e il cuore del bambino che rimane tale per tutta la vita. A lui piace “bere” nei suoi stessi libri, non per quel sentimento “draculiano” che, oberato dal peso del nome, si trasferisce nella realtà, ma perché fra incantesimi, “diavoli”, “estemporanee divinità” e uomini-dei, si dipana in lui la “tragedia” dell’umanità nel divenire e nell’essere sempre uguale o simile a se stessa. In questo modo Egli infligge una lezione morale e sottilmente satirica, se non palesemente ironica, agli “umani”. Costoro amano, odiano, non amano, non odiano, finiscono nella spirale dell’indifferenza, si “mediocrizzano”, risorgono dalle ceneri del proprio pensiero, si interrogano, si esaminano, sono contemporaneamente “allievi” e “maestri”: allievi teneri e “maestri d’ascia”. I personaggi di Stefano Falotico sono composti Cavalieri, ma anche uomini bizzarri, fedeli a se stessi e senza una reale fede universale (nel senso classico della parola). Sono esseri ribelli, che fuggono dalla realtà quotidiana, dalla “ripetitività”, dalla tristezza “comune”, dal lirismo della piaggeria e del finto altruismo, dalla pace senza costruzione, dal “senso del dovere”, ovvero da quell’inferno intimo che costringe l’uomo a fare sempre le stesse cose, non chiedendosi nemmeno perché e non domandandosi il perché del “mancato cambiamento”. Nei personaggi di Stefano Falotico la vita chiama a soccorso se stessa, esce dall’infantilismo letterario-creativo per “erompere” come petali in fiore. La sua prosa è fiore e taglione, magistrale rievocazione classica e distruzione del passato “inutile”, in una specie di “anti-religiosità”, che si perpetua in un moto uniformemente accelerato e in un bizzarro divenire. Se i suoi personaggi dovessero delinquere, lo farebbero conservando la loro compostezza, la coscienza di stare a fare sempre bene come nel “Kick-Boxing”. Essi sono incassatori e “canne al vento”. Sono deboli e forti. Sono cani che mordono e arpie feroci. Sono “angeli custodi” della tradizione e innovatori “implacabili”. Leggono in se stessi e fuggono da se stessi. Si ribellano a se stessi quando scoprono di essere “quotidiani”, “sensibili” alle solite cose e vicini allo scorrere delle ore, lo scorrere monotono come le parole che si susseguono con un nesso logico che non si identifica mai con l’evoluzione. Spesso gli scritti dell’Autore “cercano” la “soluzione” e non sembri strano che tale soluzione si identifichi con la tragedia. Sono Romeo da Villanova e dittatori solenni. Sono schiavi e “contumaci ribelli”. Sono condannati alla vita e condannati a morte. Tornano vincitori e si comportano da vittime “solenni”. Sono il futuro, il presente e il passato, con tutte le patologie che proprio il passato può trasmettere e che, pur tuttavia, trovano un organismo ribelle e una “pelle” così mutevole da essere “portatrice” di novità e trasformazioni perenni, tali da “vanificare” il passato medesimo. I personaggi di Stefano Falotico corrono, vanno, cercano, si dimensionano diversamente, in base ai casi e alle circostanze, ma mai in qualità di vittime reali, bensì di protagonisti, anche impavidi e caparbi. Essi sono la volontà che incide nella loro vita. Quando i casi della vita vogliono che essi tornino al loro quotidiano essere, scoprono in se stessi una sorta di ambiguità, di plurivalenza, di crudeltà, di crudezza e nel loro cuore rinvengono un “cruciforme” destino. Essi non si deprimono mai: lottano, escono allo scoperto, vincono e perdono, ma non sono mai realmente sconfitti. In loro si legge: desiderio, brama, moto variamente accelerato, ricerca della vastità del creato, in una specie di sublimazione che consente loro di uscire dal greto del fiume della vita per cercare un’onnipotenza personale, in un “irreligioso” silenzio. Essi troveranno siepi e alberi, aspre montagne e fiumi agitati, alte maree e ripidi camminamenti, tunnel e altipiani lussureggianti. Essi troveranno estati, primavere, autunni e inverni. Ma non si arrenderanno al destino o al fato. In loro la lotta è un “classico essere” e un “azzardato divenire”. Incontro, scontro, conversazione, avversità, devozione, “dialogismo”, biasimo, amore, “disamore”, dolore, costanza, “endemica malattia”, catastrofe, polimorfismo e fallimento si aggrovigliano in un “enclitico” divenire, che fa sì che un’azione priva di tono ne assuma uno, avvalendosi di un “precedente soggetto”. Tutto l’insieme diviene in Stefano Falotico “filosofia vitale” e “naturale disfacimento” in vista di successive “grandezze”. Grandezze che egli non identifica, ma che lascia intuire o supporre, perché è cosciente che sia un cattivo scrittore colui che fornisca soluzioni o che faccia di ogni argomento una “tematica” per riduttive conversazioni.

 

Eliano Bellanova Direttore della Rivista Il Faro Italiano. Presidente dell’Araba Fenice Edizioni Magna Grecia

 

 

Dopo tutto ciò, potrei anche suicidarmi. Come Mishima.

Ho perso tanti amici, alcuni sono morti addirittura e non ho avuto il tempo di chiedere loro scusa.

La mia Deborah, il grande amore della mia vita, si chiama, lo sapete, Tiziana. E si è sposata. Ha anche dei figli.

Sono stato dappertutto nella mia vita. Con la fantasia e anche realmente.

Ma il viaggio non finisce qui.

No, non è ancora giunta la mia ora.

Ancora soffrirò, riderò, piangerò, mi emozionerò.

E dunque buon anno a tutti. A chi è ancora di questo mondo e a chi, dall’alto, non c’è più ma forse è orgoglioso di me.

 

 

di Stefano Falotico

Il Joker Marino, un personaggio da manicomio e anche da Kurt Russell di The Christmas Chronicles, coi suoi con(s)igli per gli acquisti di Natale


01 Dec

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Ebbene, fratelli, cantiamo?

Mettete su la musica. E tu, panzerotto di Steven Van Zandt, spingi con quella chitarra!

Dai, su. Alimentiamo la movida.

Questa vita è stata una corrida e io sono sia il torero che il toro scannato, sono McConaughey di Dallas Buyers Club e ho sconfitto ogni falsa diagnosi. Forza, rodete, son da rodeo! Erode, pigliatelo in quel posto! Dai, mettete quest’Erode sulla croce. Ha finito di calunniare. Cristo santo!

Ecco, ora che ci siamo dissanguati in un bel ballo da lupi, sediamoci. Perché ho da proporvi degli acquisti.

Ché poi saranno i miei. Tanto voi di Cinema e anche di donne non capite un cazzo.

Quindi è fiato sprecato e sarebbero soldi buttati via.

Ho due copie in Blu-ray di C’era una volta in America. Chi ne vuole una? Tu le vuoi tutte? No, allora farai una fine peggiore di Max e Noodles.

Di una me ne devo liberare. È ancora incartata. Sì, è dislessica. Tu, liberati della tua, tutta ingessata. La tua non la prendo manco se me la regali. Ché questa t’ammoscia. Ma mi manca quella della versione doppiata da Stefano De Sando e Luca Ward.

Ecco la mia letterina a riguardo:

caro Babbo Natale,

sotto l’albero voglio questo “Indimenticabili” per potermelo sparare e gustarmi ogni goliardata leoniana.

Vedi di non fare il cazzone e ficcami tutto nel caminetto. Sì, come Bob De Niro con Elizabeth McGovern. Un’irriconoscente. Lui per tutta la vita le ha dedicato cantici dei cantici e lei fa ha fatto, esigente, la cagna. Con questa bisogna essere erigenti! Basta con le poesie, tanto non apprezza la sensibilità. Vuol essere trattata da troia?

Quella scena è un po’ “spinta” ma, come diceva De Sica, quando ce vo’ ce co’. Aveva veramente rotto u cazz’.

Tanto l’avrebbe preso in culo comunque. Tutti in quel film lo prendono nel didietro. Tutti, senz’eccezione alcuna. Altro che quella boiata di A modo tuo di Ligabue. La deve finire questo bovaro di cantare sciocchezze.

Voglio anche il libro d’Ilaria Feole, edito dalla Gremese. Mah sì, ci può stare. Sì, secondo me Ilaria ci sta, eccome. Ah, non ci sta? E che deve fare di meglio? Scrivere altre recensioni? Se la godesse!

Poi i nuovi dizionari di Paolo Mereghetti e del Morandini.

Ho tutte le edizioni, Morandini è morto, Paolo è rimbecillito ma la collezione abbisogna di essere completata.

Ho già prenotato la versione restaurata di Eraserhead. Dunque, non sbatterti.

Vorrei però il Blu-ray nuovo di zecca di Grosso guaio a Chinatown.

Ah, soprattutto, toglimi dalle palle i mammalucchi e gli idioti.

Una volta per tutte.

Stanotte, non andrò a letto presto. Anche perché vi sono sempre andato tardi. Che noia la vita giornaliera dei poveri mortali. Io ululo!

Non sono una persona tanto normale. Vivaddio. Che ce ne facciamo dei tonti?

Sono stanco di regredire per compiacere le loro falsità zuccherose.

Voglio farmi crescere il barbone.

Dai, caro Kurt Russell, come diceva Abatantuono in Fantozzi contro tutti, fai ridere questa povera gente che non esce mai dal suo guscio.

Vedi di svegliarla un po’.

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di Stefano Falotico

 

Credo solo nell’amicizia come Noodles


12 Jun

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Arrivato nel bel mezzo del cammino della mia vita appena iniziata, ah ah, ho scoperto ancora una volta che l’unico sentimento vero è l’amicizia, l’unica cosa per cui valga la pena di vivere.

Lo dico con enorme rammarico, dispiacere e sentito cordoglio della mia anima abbattuta. Sì, stasera va così, e non posso fingere che non sia così.

Sempre delusioni. Io che mi apro anima e core, come si suol dire, e puntualmente arriva la pugnalata alle spalle, anzi, alle palle. Come dico io. Appena uno si rasserena e gioisce della letizia, che ne so, di un’infatuazione che, per quanto futile, ti aveva illuso in una momentanea serenità, ti stava irradiando le vene di nuove energie, ecco che arriva la batosta spietata e pungente, che ti graffia dentro e ti lascia come una merda.

Ve n’avevo già accennato, no? Come no? A me sembrava di sì. Io accenno sempre a me.

Era da tempo che un’attrice di Roma, una che ha girato una scena in Go Go Tales, mi corteggiava. In maniera decisamente anomala. Non pensate che sia Asia Argento perché non lo è. Era una comparsa, secondo me una comparsa ottima, insomma, molto bella.

Non so cosa l’abbia attratta del sottoscritto, e non so come abbia fatto a scoprirmi. Fatto sta che io le scrivevo in chat e lei non mi cagava, ma continuava a condividere i miei link.

Sì, un atteggiamento sospetto. Tanto da indurmi a pensare. Anche a penare. Ma questa che cazzo vuole? Il mio? Mah, non capisco. Che cosa sono tutti questi sotterfugi, queste mezze mosse, questi “like” patologici?

Vi vedevo della sottile morbosità nel suo comportamento. Tanto che alla fine le chiesi, sempre privatamente:

– Vedo che visualizzi i miei messaggi ma non rispondi. Dopo trenta secondi condividi la mia “roba”. A te pare normale tutto ciò?

– Sì, lo è. E dovresti capire…

– No, io non amo le mezze frasi. Insomma, c’è un interesse reale e sincero da parte tua o è una plateale presa per il culo?

– Macché. Tu sei paranoico. Ci mancherebbe altro che prendessi per il culo te. Tutt’altro. Condividiti…

 

Sul condividiti ebbi un attimo di spaesamento.

Al che, il giorno dopo questa qua condivide la mia recensione di Fuga da New York, con tanto di didascalia Sei un capolavoro!

– Il capolavoro era riferito al film, alla recensione o alla mia persona?

– Perché farsi di questi problemi? Capolavoro è capolavoro. Non può essere altro.

 

Altro attimo di frastornamento.

Dunque, in serata mi manda una foto poco equivocabile. Lei, sdraiata sul divano, mezza ignuda, con una banana a coprirle la zona “franca”.

E la scritta: va sbucciata.

A quel punto, mi costrinse a espormi. Sai, non vorrei tu mi avessi scambiato per un nullista come Jena Plissken. Sono più Mente, come Harry Dean Stanton. Abbastanza riservato, ma conosco questa giungla come le mie tasche. E sto nella mia biblioteca, lontano dai farabutti e dal casino del diavolo.

– Io pensavo fossi Il Duca.

– No, non sono nero.

– No, Il Duca Bianco.

– David Bowie?

– Sì, penso tu sia morto da un po’. Eppur la tua voce, quando la ascolto nei tuoi video, mi rende viva. E vorrei “vivacizzarti”. Renderti musicale… io ti darò il ritmo giusto…

 

Altro attimo di “trance”.

Quindi, finalmente mi scrive in chat:

– Sai, ripensandoci, Lenny Kravitz mi piace di più. Addio.

 

Tralasciano il fatto che Kravitz ha altre gatte da pelare, sì, credo che la vita vera sia quella dei bambini. Ed è per questo che in C’era una volta in America la combriccola è allegra finché non arrivano le donne.

Sono loro che rompono il cazzo.

Sì, la penso così.

 

 

di Stefano Falotico

Non perdonerò mai Mereghetti per C’era una volta in America… e altre discussioni di Cinema


25 Apr

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Ora, per i pochi che ancora non lo sapessero, il signor Paolo Mereghetti, facendo imbufalire chiunque e soprattutto Ferzan Ozpetek, ha scritto questo su C’era una volta in America.

Leone, che da tredici anni pensava a questo film, l’ultimo che poté dirigere, intendeva celebrare da europeo l’immaginario del cinema classico americano, approdando a un finale cupio dissolvi carico di malinconia per i sogni perduti. Ma lo sforzo di sei sceneggiatori non ha prodotto un solo personaggio coerente, e la durata spropositata non basta a evitare buchi nel racconto. Come sempre, a Leone riesce bene la trasfigurazione lirica del triviale: rende epica una mano che mescola lo zucchero in una tazzina, e struggente il ricordo di uno stupro tanto gratuito quanto repellente. Ma lo stile non basta: c’è troppo autocompiacimento oltre a un’aridità di sentimento che lascia perplessi in un film che vorrebbe essere anche una grande elegia romantica…

Inizialmente, aveva assegnato due misere stellette al film, poi per far contenti quelli che si erano arrabbiati ecco che li ha appunto “accontentati”, aggiungendo una mezza stelletta. Ma su questo film di Leone, come in generale su tutto Leone, non essendogli mai garbato molto, Mereghetti è intransigente, come si suol dire. E “raccatterete” un video sul Tubo nel quale, in compagnia del trombone compianto Umberto Eco, autore di un solo capolavoro, Il nome della rosa, e invece ammorbatore latinista di semiologie discutibili, alla domanda perché proprio non gli vada giù Once Upon a Time in America, Mereghetti, senza battere ciglio, con gamba accavallata da lord inglese, continua indefesso a “lordare” il film, definendolo irritante, raccapricciante, disgustoso e volgarissimo. A prescindere dal fatto che tratti malissimo le donne. Poi, stizzito, annoiato, chiosa con un… no, non è un grande film… e bellamente se ne frega altamente.

Sarebbe da prendere a sberle ma oramai lo conosciamo. Ha devastato The Hateful Eight del Tarantino, essendo leoniano e, a parte per i primi tre suoi film, che considera geniali e sinceri, non lo digerisce moltissimo. E gli affibbia, ben che gli vada, due stellette e mezzo “di stima” per non far infuriare nessuno.

Il Mad Max con Tom Hardy lo considera un giochetto da Playstation, e via dicendo. E stupisce che metta sullo stesso piano uno come Virzì, apprezzabile certo, ma suvvia non esageriamo, assegnando “capolavoro assoluto” a Ovosodo, in una disamina campata per aria che grida vendetta, e invece ritenga “invalidi” e imbecilli quasi tutti i film di von Trier. Quasi tutti, perché talvolta si ricrede e dà pure dei lodabili voti.

Ma spazientisce la sua mania burocratica di classificare chicchessia con una prosopopea agghiacciante che lascia esterrefatti. Nell’ultima edizione però, forse dopo aver attentamente visto il film di Noah Baumbach sul grande Brian, ha compreso che De Palma è un genio e non un patetico imitatore di Hitchcock, come lui sempre l’aveva ritenuto, allora ingigantisce le stellette e sostiene che Vestito per uccidereBlowUp e Scarface siano opere magnifiche, titaniche.

Ora, avrete capito bene che Mereghetti è uno della vecchia scuola, molto classico e a tutto ciò che gli “puzza” di post-moderno oppone una certa resistenza difficile da curare. Mereghetti non rinsavirà mai, su certi registi è ottuso come una capra, e non vuol sentir ragioni, sbuffando con aplomb da stronzo insostenibile.

Al che, oggi pomeriggio ho avuto una discussione piacevolissima con un amico su Facebook, anche lui fanatico sfegatato di De Niro.

Ora, abbiamo concordato che De Niro abbia sbagliato tantissimi film, fra i tantissimi che invece ha immensamente azzeccato. Fra i bruttissimi abbiamo messo Non siamo angeliremake scialbo di una pellicola con Bogart a cui poco è valsa la regia di Neil Jordan, praticamente invisibile, e neppure il banale script di un David Mamet al minimo storico. Ritengo che sia la più brutta interpretazione di De Niro in assoluto, molto peggio delle sue prove “alimentari” degli ultimi quindici anni. È un’insopportabile smorfia continua tanto che ti viene il dubbio che in quell’anno De Niro forse soffrisse di ebefrenia. Non è simpatico, non fa ridere neanche le vecchiette, e drammaticamente è osceno. Una performance vergognosa!

Poi, tralasciando alcune pellicole dell’inizio che giustamente sono introvabili, come SwopI maledetti figli dei fiori e La gang che non sapeva sparare (complimenti comunque per la traduzione, assurda e quindi meritevole di menzione), e forse basta, perché invece Il clan dei Barker di Roger Corman, i primi De Palma, appunto, e Batte il tamburo lentamente sono pellicole molto più che decorose, abbiamo annoverato i De Niro sottovalutati. Primo fra tutti il bellissimo Jacknife. Poi i nostri film “simpatia”, film obiettivamente bruttarelli, per usare un eufemismo, ma che personalmente hanno il nostro perché. Primo fra tutti Capodanno a New York, cinepanettone mielosissimo e zuccherosissimo con Bon Jovi che, anziché scoparsi Sofia Vergara, sceglie Katherine Heigl, ipocrisia raggelante per la quale non basterebbe che Bongiovanni ci cantasse a palla Livin’ on a Prayer per farci credere che fra una gnoccona alla Esperanza Gomez e una figa di legno alla Heigl, scelga appunto la Heigl. Ma per piacere, Bon! Dai dai. La Heigl è “buona”, non voglio dire il contrario, ma Bon, lo sai, sei uno che vuole una più bona. Sì sì. Me lo dice la tua faccia da culo.

A me piace anche il lynchiano Motel, detto anche Bag Man, soprattutto perché c’è un’attrice che attrice non è che mai più si è vista se non nella tv via cavo del Texas o a giocar di “sombrero” con qualche cowboy messicano nelle pampas delle sue cosce solari… tale Rebecca Da Costa, una che pur di farle un massaggino… saresti disposto a spaccarti una costola.

In questo film c’è un John Cusack bollito che vale il prezzo della stronzata.

Ora, torniamo a Mereghetti. Non ha capito un cazzo del capolavoro del Leone. Cosa pretendeva da un film su gangster bavosi e stronzi? È logico che siano volgari, sporchi e cattivi, è un inno malinconico su maschi rimasti sempre bambini, ed è per questo che la filosofia che lo sottende è misogina. E poi… anche Quei bravi ragazzi e Il padrino hanno scene repellenti e “volgari” ma, così com’è giusto che sia, li considera capolavori.

Ma Leone che gli ha fatto? Eh sì, cari lupi, ieri Paolo ha tifato per il Liverpool, da vero dandy del cazzo.

Paolo odia le caciare ma va matto per Ferie d’agosto, disgusta i western all’amatriciana ma se la signora Ferilli Sabrina gli mostrasse la topona non credo sarebbe così “duro”. O forse sarebbe durissimo?

Ah ah. Sì, vivaddio la “trivialità” sana, altrimenti si è già in fin di vita e si rimembra solo dolcemente il passato, specchiandosi come Noodles su Yesterday dei Beatles. Almeno, questa scena, Paolo l’ha capita?

 

di Stefano Falotico

 

 

Bon Jovi

 

Morì Darlanne Fluegel di C’era una volta in America e domani sera, ai Golden Globe, tifo De Niro!


06 Jan

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Eh sì, la cara Darlanne io la conosco bene. So che a molti il suo nome non dice e non disse nulla, ma io conosco il Cinema meglio delle tasche di Zio Paperone e le sue poche ma ottime interpretazioni, il suo viso sottile e nevrotico, la sua femminilità quasi “virile” son cos(c)e che mai scorderò. È morta a solo 64 anni, per l’Alzheimer, una forma precoce di Alzheimer che le diagnosticarono già negli anni novanta, quando di anni ne aveva decisamente meno, e che l’ha debilitata parecchio, tanto da far sì che se ne andasse angelicamente evanescente eppur in modo commovente. Invero, la notizia ufficiale è stata diramata solo un paio di giorni fa, ma era già deceduta lo scorso 15 Dicembre. Poi, i parenti hanno dato il triste, inevitabile annuncio. Ho letto che il suo ruolo più famoso è quello della femme fatale fidanzata del personaggio di De Niro in C’era una volta in America. Invero, questa è la versione “politicamente corretta”. Perché, se non ricordo male, e come potrei, nel film diventa la fidanzata di James Woods, e da De Niro invece viene “brutalizzata” quando lui e la sua combriccola di gangster rapinano il negozio di gioielli. Ah no, era Tuesday Weld. Scusate. Su questo film appunto memorabile, epocale, ne son state dette tante. E se Mereghetti è convinto che, nonostante tutto, non sia quel capolavoro assoluto che tutti dicono, perché a suo avviso è troppo “triviale” e, paradossalmente, non riesce a essere un’elegia romantica riuscita per la sua aridità (?) di sentimenti, per la secchezza irrisolta della psicologia dei suoi protagonisti, a tutt’oggi la definizione più pertinente è quella del compianto Morandini, perché Once Upon a Time in America è esattamente, splendidamente riassumibile nelle sue testuali parole: il presente non esiste: è una sfilata di fantasmi nello spazio incantato della memoria. Alle sconnessioni temporali corrispondono le dilatazioni dello spazio: con sapienti incastri tra esterni autentici ed esterni ricostruiti in teatro, Leone accompagna lo spettatore in un viaggio attraverso l’America metropolitana (e la storia del cinema su quell’America) che è reale e favoloso, archeologico e rituale. Sono spazi dilatati e trasfigurati dalla cinepresa; spazi anche sonori e musicali, riempiti dalla musica di E. Morricone e da motivi famosi: “Amapola”, “Summertime”, “Night and Day”, “Yesterday”. È un film di morte, iniquità, violenza, piombo, sangue, paura, amicizia virile, tradimenti. E di sesso. In questa fiaba di maschi violenti le donne sono maltrattate; la pulsione sessuale è legata all’analità, alla golosità, alla morte, soprattutto alla violenza. È l’America vista come un mondo di bambini. Piccolo gangster senza gloria, Noodles diventa vero protagonista nell’epilogo quando si rifiuta di uccidere l’ex amico Max. Soltanto allora, ormai vecchio, è diventato uomo.

Sì, è un film “sporco”, volgare, proustiano, misogino, irruento, immenso, e poco c’importa se De Niro/Noodles sia un uomo rozzo, pieno di contraddizioni, violento, carnale e poi eccezionalmente metafisico e, nel finale, purissimo e ambiguo. Proprio in quest’ambiguità consiste il fascino senza tempo di un masterpiece inscalfibile e titanico.

Ma, tornando alla Fluegel, io la ricorderò certamente anche per un altro capolavoro, il feroce Vivere e morire a Los Angeles di Friedkin, anche in quel caso nei panni di una bella pupa contesa dai due protagonisti.

Ed è stata anche la donna di Stallone in Sorvegliato speciale. La donna innamorata che rischia di essere violentata (un’altra volta!?) dalle guardie carcerarie aguzzine e che sosterrà da lontano, moralmente, quel Sylvester ingiustissimamente vessato e angariato dal tremendo, sadico Sutherland. Non un grande film, a dir il vero, ma Darlanne, sebbene compaia poco, è una presenza forte e di valore.

Ora, invece andiamo a parare nuovamente su De Niro. Domani è il favorito ai Golden Globe per la sua interpretazione di Bernie Madoff in Wizard of Lies. Una prova egregia, quieta, compassata ma al contempo carismatica e potente. Anche se, a ben vedere, chi meriterebbe davvero è il magnifico Kyle MacLachlan di Twin Peaks. Fra i due litiganti i “terzi” potrebbero fregarli, cioè Jude Law di The Young Pope ed Ewan McGregor di Fargo.

Di mio, sono un joker spesso malinconico, un’incarnazione del male, no, Mare dentro… e sono il globo d’oro delle mie emozioni dorate. Insomma, a-doratemi.

Non mi mostro molto in giro ma dovrebbero farmi santo, perché sono il più sano. Anche se spesso mento di lungo naso ma dico la verità incontrovertibile, e sono dunque sia mentitore che dei mie fan amabile mentore, ho una gran mente.

The Young Pope Darlanne Fluegel

 

di Stefano Falotico

C’era una volta nella mia anima, il godimento della libertà


21 Oct

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Ogni uomo anela (al)la libertà eppur essa vien sempre messa in discussione da loschi personaggi che nel nostro (in)cedere incrociamo. Le dita, per non patire le (s)fighe da essi trasmessici, incroceremo sempre, “turlupinandoli” col nostro ingegno e le innate genialità che Dio ci concesse per grazia dei nostri t(r)atti somatici datici in non remissione dei peccati. Poiché, peccando, ci sentiamo più umani, liberi da giudizi coercitivi delle nostre individualità e restii ad adattarci al comune volgo che la fantasia non sa far volare e forse, nevvero, non ha mai saputo ove abita. Nel mio abitacolo, in macchina, mi rendo “gobbo” e faccio perdere il divenir loro macchine mentre, non robotizzato da quest’umanità “efficiente”, molto sulla deficienza, non mi sottometto alla catena di montaggio, ché i montati lasciai vincersi a divenir loro macchine mentre navigo internauta nei miei Mi piace, a piacer mio e mi faccia(n) il piacere se incontro qualcuno che non ama i pacieri. Talvolta, per via dei miei camaleontismi ingrassanti alla De Niro, uso la panciera e ascolto l’ex cantante Gatto Panceri, spegnendo la mia cicca, cioè il mio cervello bruciato, nel posacenere di colui che “adotta” il dopobarba solo dopo aver fatto mix col suo ero(t)ismo d’annata, dunque da uomo che non azzecca mai un an(n)o giusto. Eppur l’uccello mio si muove, “scodinzolando” con “ebetudine” che sa i cazzi suoi. Tu fatti i tuoi e io mi faccio gli affari tuoi, rubandoti oltre alla donna anche il dondolo. Nano che conosceva Dottolo, cioè me.
Ricordate: nella foll(i)a totale, il Genius sa.

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di Stefano Falotico

Clint Eastwood è Dio, io sono grande quanto lui, lui è grande quanto me


20 Sep

Gran Torino

Come in Gran Torino, me ne sto appollaiato nell’uscio di casa, sputando sentenze, in memoria del Van Cleef/Sentenza. Borbotto, rimugino come Jep Gambardella de La grande bellezza e sto attento che i teppisti bulli, presto non tanto “belli”, non abusino delle verginità delle culture diverse, ché l’Oriente è “(fu)Cina” di contemplativa estasi e non dovete turbarla col vostro Cinema tamarro di spari, botte, bottarelle, puttane e zoccole di “sorca”. Non “traviate”, troioni, i giapponesini con gli occhi a mandorla, non infangate le lor purezze con le vostre visioni “vincenti” d’arrampicatori occidentali del vostro west d’eccidi indiani, non torchiateli, altrimenti divento un torello. Sì, non fatemi imbufalire, ragazzetti mocciosi con le vostre sciocchine “lecca-lecca” che adorano succhiarvi l’uccellino mentre, oltre allo “sfilatino”, la manina infilano affinché possan esser stantuffate nel già lor lercio buchino. Questo schifo, nei drivein, si protrae “duro” ogni an(n)o. E io lo aborro! Sì, sono il fratello di Palahniuk, cari babb(e)i casa e chiesa delle ipocrisie e della patina dolciastra con cui avete inculato il mondo di balle e poca realistica poesia. L’avete insudiciato di regole manichee e qui, io vi dico, che se la vendetta non appartiene alla vostra cultura è solo perché vostra figlia non è mai stata stuprata, lo sapeva l’Indio, a cui glielo facemmo di Per qualche dollaro in più.

Ad esempio, ieri ho incrociato uno di questi esaltati giovincelli sbarbati che fan tanto i “fighi” quand’invero giocan ancora con le Barbie. Ecco, a costui, ho posto una domanda, e lui, come volevasi dimostrare, m’ha risposto “tosto” in tal mo(n)do:

– Se ti ammazzassero la tua fighella, ti vendicheresti?

– Sarei, sì, molto arrabbiato ma, col tempo, perdonerei perché non credo che la vendetta porti a qualcosa. Nessuna legge del Taglione mi porterebbe, comunque, a risarcire il danno. Accetterei, seppur a fatica, l’ingiustizia e al male patito non aggiungerei la mia ira.

– Ah sì? Tu perdoneresti? Ecco, ti offro un caffè.
Al che, entrammo in un bar “malfamato”, uno di quei posti dove potrete trovare una bagascia al p(r)ezzo d’un bacio “macchiato-caldo” al cappuccino e scontrino fiscale della sua baldracca-matrona.

Questo “intellettuale della minchia” bevve il caffè ma io gliene offrii un altro, cioè ordinai per me un “parimenti” caffè e, bollente, glielo versai in faccia.

Lui, dapprima, si scottò, quindi infuriato si scaldò.

– Ti spacco! Io ti spacco, figlio di una grandissima putaaa…

E io, scoreggiandoli con estrema, indubbia ironia elegante: – Vedi che, se provocato alla temperatura giusta, diventi anche tu Cattivo? Rispetta Eli Wallach e non raccontare stronzate. Tu sei uno di quei “palle-mosce” che si vendicherebbe anche se soltanto avessero “tosato” la tua bambolina. Quindi, cretino, ora ti offro un Cremino. Poi, se non l’avrai digerita/o, ti cago nel cesso.
L’intellettuale “tu mi stufi” mi denunciò ma, mi “dispiace” per lui, deve aspettare almeno tre decadi prima che io venga processato per tal “caso”. Prima, ho altre pratiche per le quali, da questa società fascista, sono condannato.

1) Ho rubato un “pollo” semi-frocio a una gallina frigida della piccola borghesia e, anziché (s)fotterlo, gli ho cucinato un roastbeef. Lui m’ha querelato perché non è stato cotto al punto giusto.

2) Una che fa sempre fitness m’ha “denunziato” perché ho scritto sul suo diario Facebook che la dovrebbe smettere di mostrare i suoi muscoli per attirarsi le simpatie del “mascolino” muscolo “tirato”.

3) Mi son beccato dell’impotente da un leccaculo della casta “ricca”, e gli ho reciso il pisello, cucinandomelo con pasta e lenticchie. Lui adesso non rivuole indietro il pisello ma pretende che gli serva, su un piatto d’argento, il mio cetriolo. Al suo avvocato, ho offerto, per patteggiare, sì, questione di “piatti”, un’insalata con l’acciuga di sua moglie.

 

Gli altri casi non starò a citarveli, sono cos(c)e che si risolveranno con delle sane sberle.

 

(Im)morale della storia: non sputate nel piatto in cui mangiate, perché io sputo prima di te. Infatti, “valgo” uno spu(n)t(in)o.

 

di Stefano Falotico

Robert De Niro mangia i bucatini e gli gnocchi alla romana


07 Sep

Anche i miti(ci) della Cinematografia mondiale mangiano ruminando e, come dicono a Roma, ciancicando!

Mi piacciono Colin Farrell, Sergio Leone, Clint Eastwood: sono tamarro e/o frocio? No, mi piace anche Enrique Iglesias


04 Aug

Iglesias El Perdon

Una nuova filosofia perbenista si sta impossessando delle vostre anime timorose e castigate. La borghese visione flaccida della vi(s)ta, un po’ alla Paolo Mereghetti, il quale, a suo (ar)dire, parzial-mente stronca, come s(appiam)o, sia C’era una volta il West che… in America. E “irride” con boria alla Indio i gira(ment)i del mitico Sergio, secondo lui a volte macchinosi nelle scene di raccordo. Son (s)cene di cor(t)e(ggiamento)! Ma quale retorica, in quei panorami grandangolari v’è la perfezione modulata d’un Leone che ama con passione. Si chiama romantic(ism)o, così come il bel, “sciupato” Ray Velcoro/Colin Farrell, nel penultimo episodio di True Detective 2, non resiste al fascino “traumatico” della McAdams e comincia a “darci”… un (as)saggio, sbaciucchiandola in punta, “impunito”, di lingua, dopo qualche piedino… nel “succhiotto” a pelo, a pelle, dopo aver aspettato tutta la sera, no, la serie, di “che du’ palle, ora dammela”.

Nessun(a) El Per(d)ón… anzi, come un maschile Madonna mia quanto sei bona di reminiscenza allaCiccone su format(o) Sean Penn “al bacio”, all’amatriciana con molto vinello di sua Evita, e non (si) e-vira… “Vibra”…

Sotto la Luna, mentre il compagno muore trafitto in pancia da un killer che spezza ogni Splendore nell’erba… più cattivo del Volonté nostro di Per qualche dollaro in più…

E questo è sentir…

 

di Stefano Falotico

Ogni Stalker ha il suo Leone


17 Sep

Stalking, atti persecutori di una società ipocrita che, stavolta, ha incontrato un uomo più grande della piccola borghesia “probatoria” del (mis)fatto

Oggi, va di moda questo “termine”, cioè la caccia alla preda, quella serie di comportamenti reiterati, per di più “operati” da un “ignoto”, notissimo invece alla “vittima” accusante il “carnefice”, che lederebbero l’incolumità altrui, “minacciandola” con “dosaggi” spesso “dilazionati” e (s)canditi, al fine… d’indurre il “malcapitato”, preso di “mira”, a un profondo malessere psichico, a un’alterazione nevrotica tale da esasperarlo, a “condurlo” out of control, atteggiamenti tanto “minatori” da fargli… perder la brocca, come si suol dire, da “crocifiggerlo”, bestemmiante il “maledetto fantasma” che, a sua detta, lo “perseguiterebbe”.

Ora, perché quest’uso mio “fastidioso” delle virgolette? È abusiva la scrittura “tormentata” dall’integrità della propria espressività messa a dura prova da persone ottuse?

Cioè? Che voglio dire con questa domanda non retorica ma criptica? Da “tombale?”. Tale mio “ermetismo” sottende a una subliminale comunicazione di servizio?

No, di sevizie rovesciate ove, finalmente, gli accusatori saranno smascherati per aver loro stessi (in)teso male la trappola e, non avendo confessato a tempo debito il torto gravissimo commesso, sperano pateticamente, con tali mezzucci controproducenti, di seppellire ancora l’atroce, disturbantissima, imperdonabile verità. Infatti, specchiandosi, nelle lor budella, da ex bulli, “(r)odon” or (era ora!) il suono della coscienza sempre più (s)montante, urlando orridi come il mostro de “Il gatto nero” di Poe. Colui che all’inizio si sentì “protetto” con la polizia, giunta in sua “amorevole” dimora per chiedere informazioni in merito a un osceno “omicidio”, da codesto vile “sepolto”, ma poi, in preda a violenti, irreprimibili attacchi di panico del suo “scheletro” già morto nell’“armadio” da “forte” cagasotto, crollando a pezzi, teneramente lo stes(s)o, eh eh, si sciolse dinanzi alla sua inferta atrocità.

Anni fa, fui tormentato da una serie di persone poco rispettose delle mie scelte elevate di vita. Le quali, dopo avermi gridato “a modo” un “Levati!”, “anonimamente” mi “cacciarono” sul net. Coprendomi di (ver)gogne.

Ingenerando nel sottoscritto un terribile “disagio” tale da “costringere” le istituzioni a prendere delle mi(su)re “cautelative”.

Dopo tale “infermità” e dopo tal obbrobrioso, raccapricciante, ingiust(ificat)o stato di fermo, le dimissioni decretarono la giusta libertà.

Ma qualcuno ancora non ci sta. E persevera per volermelo cacciar nel sedere. Tutto qua e la storia non finirà purtroppo, per lui, qui. Caro baccalà, sei stato beccato.

Già, tale idiota denuncia a tutt’andar ad auto-prenderselo nel cu(cu)l’ perché avrà forse ricevuto qualche “mi(na)ccia” ten(d)ente a far emergere quel che, sbrigativamente, lui tacciò e tacque con l’accetta e l’aceto.

Piccolo particolare sfuggitogli… però, ahia, stavolta, c’è un’altra denuncia per violazione di “acconto”.

E i conti stavolta torneranno al nostro Indio?

Genius-Pop

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