Posts Tagged ‘rinascenza’

Burbanza inquisitoria, requisitorie, la retorica, le oche, il superomismo e le indagini aleatorie


23 May

Prove tecniche di trasmissione? No, di copertina.

J’Accuse, atto accusatorio ineludibile della mia ricerca di giustizia inestinguibile.

Bologna HARD BOILED & l’amore ai tempi del Covid, miei prodi.

Chi mi ama così come sono non mi persegua ma mi segua. Chi necessita di biglietti di giustificazioni, eh già, soffre d’indisposizione genetica.

Io insisto e, imperterrito, la mia strada perseguo, inseguo.

(In)Seguitemi, ah ah!

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di Stefano Falotico

 

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JOKER di TODD PHILLIPS con JOAQUIN PHOENIX – Dal 6 Febbraio di nuovo al cinema e in Blu-ray & Dvd, mamma mia che rinascenza questo Falò!


06 Feb

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Sì, sono indubbiamente un personaggio rinascimentale. Se abitassi nella Firenze degli artisti cullati dal mecenate Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, sarei già celebrato come Leonardo Da Vinci.

Sì, più che altro come Paolo Bonacelli di Non ci resta che piangere. Ah ah.

Sì, come Massimo Troisi e Roberto Benigni del succitato film, credetti che avrei avuto una vita modesta, cioè bella che già fritta, invece finii a Frittole nel quasi 1500 del mio essermi rinnovato e, di colpo, ringiovanito come se avessi attraversato uno Stargate quadridimensionale.

Sì, la mia mente da James Spader, più che altro da ex Spider di Cronenberg, uh uh, mi permette questo ed altro. Di essere, cioè, l’incarnazione del Tempo ritrovato di Proust e di guidare una macchina su giubbotto di Drive alla Ryan Gosling futurista più di Miami Vice.

Sì, patii calvari interminabili, mi stressai talmente tanto da diventare perfino quasi calvo.

Ma non ne feci una tragicommedia come La cantatrice calva di Eugène Ionesco. Poiché, essendo per natura autoironico, essere falotico, quindi stravagante e burlesco, trasformai il mio Aspettando Godot, più che altro finalmente di godermela, ah, questa vita puttana che tutti noi fotte e che, lungo il cammino, presentò, presenta e ancora presenterà molte dure fregature, in una filosofia esistenziale mai come oggi così sicura.

Sì, da circa un anno a questa parte, dopo essermi inabissato nelle notti più melanconiche, diciamocela, tragicomiche e quasi da manicomio, mi ributtai nella mischia. Io sono un fan pure dell’ex pornostar Brooks Mischa.

Sì, il mio fu un culo pazzesco migliore di quello di Mischa. Più che altro di (s)figa mai vista. Ah ah.

Sin dalla prima adolescenza, professandomi io un uomo amante di Taxi Driver, estraniandomi dal troiaio generale dei miei coetanei straniti, drogati, frivoli e certamente dementi, fui scambiato per un disadattato alla Travis Bickle e per un mammone col complesso di Edipo come Rupert Pupkin di Re per una notte.

Ma rinacqui come O’ Sole mio. Ah ah.

Sì, dopo tanto tempo da God’s lonely man, cioè da uomo solo e poco solare, più che altro da metafisico come Solaris, anziché arrendermi e cantare a vita Uomini soli dei Pooh, decisi di diventare un dio delle città e dell’immensità. Ah ah.

Portando la mente a un livello superiore della realtà. Ih ih.

Sì, da Principe della notte della mia Gotham City del cazzo, dopo aver scarrozzato tanti pagliacci per anni in lungo e in largo per Bologna ed essere stato preso per un mezzo handicappato, disgraziato, super sfigato tutto scassato e pure rompi-cazzo, durante un viaggio a Roma, avvenuto nei primi mesi del 2003, compresi dall’alto dei cieli di essere un illuminato.

Rivissi, ritornando a Roma, in pochissimi istanti quei gaudi amorosi della mia giovinezza smarritasi nella tetraggine più tenebrosa.

Improvvisamente, come Bradley Cooper di Limitless, riacquisii la vista e anche, di conseguenza, la vita.

Chi mi frequentò, non credendo al mio mutamento tanto repentino quanto incredibile, quando io provai a spiegare quello che successe e cosa provai, mi diede ancora di più del cretino e del provato. Ah ah.

Ancora qualcuno mi tormenta e, come un gufo, intimamente gode col suo pipistrello, sperando che io mi lamenti in mezzo a tante altre tormente, no, a miei atavici tormenti.

Ah, questo è solo un teppistello, un coglioncello a cui avrei da raccontarne davanti a un bicchiere di vino per confrontarmi con lui in merito ai nostri stupidi, reciproci duelli.

Gli narrerei di come mi sverginai ma lui, ottuso, ancora una volta non mi crederebbe e, se gli dicessi di chi mi oggi mi corteggia, di maggiore gelosia nel suo animo invidioso a morte, eh sì, creperebbe.

Oppure, piacevolmente sconvolto, assieme a me riderebbe a crepapelle.

Poiché That’s Life e la vita, fratelli della congrega, è ancora purtroppo lunga.

Lo prenderemo in quel posto numerosissime altre volte, avverranno altre svolte e c’illumineremo di nuovo come una lampadina di Alessandro Volta. Lo daremo a chi ce la dà ma l’importante è che come dice James Woods (o fu De Niro?) in C’era una volta in Americanoi siamo come il destino, chi va a star bene e chi va a prenderselo nel culo!

Sì, non so quante volte morii in vita mia. Quando pensai che fosse finita, cazzo, almeno mi sarei messo l’anima in pace, dio mi bussò a tarda notte e mi ricordò di essere lui.

Domenica notte, Joaquin Phoenix vincerà l’Oscar.

Entrerà nel mito. Come Brando Lee de Il corvo, come Marlon Brando di Fronte del porto, come Robert De Niro di Toro scatenato e forse come qualcun altro…

 

di Stefano Falotico

Indietro nel tempo, DOPO LA MORTE e oltre, prima della nostra (ri)nascita


07 Jul

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Indietro nel tempo

Bagliori intermittenti ed emozioni fuggevoli di un me che parve svanito, e or riluccica estasiato, bramoso di baciar il mondo nel suo ventre e mordere gli ardori che volarono via, immolandomi alla bellezza e a un’alta felicità sovrana, scevra dal dolore e riscaturita laddove pensai che l’avessi persa. Oh, vita perduta, anche in me temuta, ribatti scalpitante e rivivi in ipnotico ballo della mia anima festante, leggiadramente ancor amante, lucida come il più pregiato diamante, dissanguata e spolpata, adesso a fonti battesimali di me restaurato rinnovata.

Per tutto questo tempo, oh sì, scomparve l’estasi, il brio della leggerezza del vivere tramutò in mugugnante apatia, in borbottii melanconici di torpori glaciali si bloccò il mio cuore rattristato, e vanamente inseguii la felicità, perdendo il senno nella brace di sogni arsi, che si stan ridestando nella lor potenza però ancor fugace. Rinascenza, ricoglimi splendente ove d’anima poco suadente perii disamorato in languore ardente. Abbagliami di nuovo, vita, e suda con me in passioni che brucino di verità e soffice manto prelibato d’un tempo adesso sorpassato, nei suoi strazi scuoiato e così spossato. Qui or righermito in abbacinante, gaudente abbraccio.

Non so se mi crederete, ma questa è la mia storia, una delle tante che colorano il mondo anche quando vieni posseduto dal più spettrale grigiore, e moristi illanguidito nella nera vacuità dello stesso tempo tuo rimuginato, combattuto, dalla tua anima osteggiato, vilipeso perché t’arenasti ai più vili spregi, e sfregiato viaggiasti avvolto da fantasie vivide ma sempre inumidite nel loro bagliore dalla pioggia del tuo umore ruvido.

Ricordo che ero giovane, quasi bambino, appena adolescente, o soltanto sfiorato da quei dubbi acerbissimi di quando la vita appena nasce in nuovi passi evolutivi. Che ne so… avrò avuto quattordici anni.

E di colpo, come tramortito da troppa bellezza, troppo preso dalla mia anima freneticamente vogliosa di vita, paradossalmente la vita stessa respinsi, e abbandonai tutto, cullando le mie noie e le mie gioie in entropico far sì che veleggiassero nel mare dei sogni, dell’immaginazione più linda e anche notturna. Nel tepore segreto del mio giardino mentale, della mia anima rapace.

Forse, fui un figlio della notte, un’anima inquieta che scivolò dove la Luna sposava il buio, immergendomi nella sua carezza seducente, come mano di donna leggera ad accudire il mio lungo sonno o sogni pulsanti di furore. Di vita apparentemente rinnegata eppur così in me allucinatamente, splendidamente sprofondata… in un finto, faceto o profetico letargo illuminante.

Come se quel chiudermi, o forse rifuggire una realtà che m’appariva opaca, attutisse un mal di vivere perenne, nell’estasiante contemplazione gioivo, sbiadendo vellutato in un boato luminescente di fiorite, perlacee emozioni.

E riverberarmi nella candidezza più melodica del cuore, lontano dal frastuono, dal cicaleccio ciarliero, dal sesso e dalla carnalità animalesca, m’illuminava sereno e quieto. Lontano e distante, eppur vivo e presente.

Una purezza, così la definiscono, incendiante, uno stato quasi amniotico di sofisticatezza, un pianto strozzato, un grido lucido inghiottito dalle notti, bramose del mio cuore, ardimentose nello sciogliersi apparentemente immote in tanto sobrio lindore.

Come una spaccatura, in questa fratturante trappola ch’è la vita che, nel suo farsi, dirompente ti spacca in tanti pezzi, che afferrai in un piacevole, sì, delirar vorace delle mie taciute ansie, soggiacendo di gaudio e di letizia scalpitante in quella tempesta emotiva ch’era l’inizio dell’adolescenza fugace. Remoto, in una zona crepuscolare, in cui il tempo s’era fermato, addolcito nelle mie tempie e, inabissandomi con tutta la forza delle mie straziate viscere, sprofondandovi come ibernato, specchiato nel buio vivace, in una dimensione raggelante eppur così bruciante, vissi dischiuso nella tenebra ermetica della cauta pacatezza, degli anni murati vivi dall’eternità senza spazio del mio girovagarvi felice, poi triste, rotto, abbagliato da sogni lucenti, da avventure lontane dalla carnascialesca realtà così ricattatoria, mendace e borghese. Figlio delle mie stelle, di astrusa scelta, incomprensibile agli occhi altrui, così sciacalli e malati dell’ingordigia del voler saper chi sei, avvoltolato nell’astro nascente dell’inquietudine mansueta, perché v’è spasmodica tenerezza friabile, fragilissima, nel recludersi in qualcosa d’incantato e mistico.

E così tutto iniziò e pian piano nel mio mondo mi rifugiai…

Insomma, di me si può dire tutto, mi si può apertamente disprezzarmi e deridermi ma è oggettivamente insindacabile che ci troviamo dirimpetto a un uomo che non è tanto normale.

 

di Stefano Falotico

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