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IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI: Video-recensione dal libro di Jürgen Müller e tutto ciò che aveste sempre immaginato impossibile su di me e invece vi ho mangiato vivi


30 Jul
SILENCE OF THE LAMBS, Jodie Foster, 1991

SILENCE OF THE LAMBS, Jodie Foster, 1991

Nel video dico che Ted Levine è morto. Come no?

Più morto di così, si muore.

Muore pure in Heat. Ah ah.

Ecco, recentemente, ho vinto un concorso letterario.

Contenente un mio racconto, intitolato Un angelico miracolo. Facente parte di una raccolta antologica edita dalla Historica Edizioni.

Ecco, voi conoscete le regole dell’editoria, giusto? Ebbene, il racconto da me contenuto in questo libro non è la versione originale da me inizialmente proposta.

Io ho uno stile barocco, dantesco, arcaico e forse aulico. Uno stile che poco si addice ai canoni commerciali di quest’odierna cultura impostata sul mercantilismo.

Dunque, quelli d’Historica, rimanendo comunque ottimamente impressionati dal mio testo, mi chiesero di approntare al testo stesso molte correzioni al fine di rendere più fruibile a tutti il mio racconto. Mi domandarono cioè una versione, diciamo, più giornalistica e intelligibile da chiunque.

Dopo circa due ore, mandai loro una versione più semplice. Quella da loro pubblicata.

Ma voglio qui farvi leggere la versione, appunto, oserei dire primordiale, pura. Da me partorita nella reminiscenza dei miei cangevoli stati emotivi che sorsero, o meglio, rinacquero allora. Nel tempo e nell’istante (de)fratturante nel quale risorsi. Nella fonte battesimale d’una sorgente luminosa, riarsa in me, m’abbeverai.

Sì, questo è il mio racconto. Ed è per questo che, pur riconoscendo che Gangs of New York non sia un capolavoro, ne sono indissolubilmente, affettivamente, visceralmente legato.

La mia vita è stata contrassegnata dalla stranezza più imponderabile.

Segnali della mia rinascenza s’intravidero dopo il servizio civile. Perché in quel luogo, a contatto nuovamente con la realtà giornaliera, già i ricordi, in me assopitisi e offuscatisi in cupi, malinconici, quasi manicomiali anni di letargo psicologico e pseudo-adulta incomprensione altrui, cominciarono a far scricchiolare la parete stagna delle mie emozioni per immemorabile tempo raffreddatesi e seppellitesi vive.

È quella che in psicanalisi viene chiamata rimozione. Qualcosa deve avermi turbato, qualcosa d’ancestrale, cosicché la mia adolescenza giammai esistette appieno. Vagò ermetica di notte in notte nel crepuscolo delle mie ansie divoranti e lunatiche. Bruciacchiando in estemporanee euforie che sparivano però in fretta.

Da cui la sublimazione. La sublimazione avviene quando, per allontanare appunto qualcosa che inconsciamente c’angoscia, si sposta il campo percettivo-emotivo spesso all’interno dell’introversione solitaria.

I meccanismi difensivi della mente per difendersi da qualcosa che la perturba possono essere di vario tipo. Ci si può ammalare di manie igieniche, di rituali compulsivi al fine di sigillare il tormento esistenziale in tutta una serie di strategie comportamentali atte a proteggere il proprio secret garden.

Ogni stato alterato di coscienza non è qualcosa che si studi a tavolino.

Cioè, non è che uno se ne sta bello seduto e pensa… oh, adesso impazzisco.

Si diviene folli o ci s’avvicina alla follia per tutta una serie incalcolabile di reazioni e fattori.

Il novanta per cento delle persone affette da qualche patologia, una volta contagiate dalla cosiddetta malattia mentale da loro stesse indirettamente eretta e sviluppata, eh già, non ne escono più.

Si dice anche che siamo tutti matti. Soltanto i matti più ingenui vengono però diagnosticati matti. Gli altri, i falsi sani, rimarranno matti sin in punto di morte, forse avranno perfino ottenuto gloria, fortuna e successo ma non avranno mai capito, così come d’altronde neanche coloro di cui si sono circondati lo capiscono e capirono, di essere solamente, totalmente fuori di testa.

Pensiamo a Hitler, uno dei più grandi psicopatici della storia.

Lui nemmeno in punto di morte comprese di essere un mostro. A tutt’oggi, i filonazisti non hanno capito, appunto, così come non lo compresero i suoi fedeli, i quali gli leccarono pure il culo smodatamente, di essere personaggi da internare.

Anzi, al contrario pensa(ro)no che siano le persone normali quelle da bruciare…

Ecco il racconto…

Un angelico miracolo durante la premiere di un film con DiCaprio

Salve,
mi presento.

Sono un uomo di trentotto anni e amo definirmi un menestrello pindarico, un funambolico poeta dell’immaginazione perché in me la fantasia più alata regna sovrana e incontrastata. Sebbene il mondo, con le sue trappole ricattatorie e le sue regole mendaci, abrasivamente spesso ci costringa a barricarci nella pigra, grigia alterigia e nell’osservanza dei superficiali valori sol improntati all’apparenza più edonistica.

No, io ostinatamente, coraggiosamente ancor inseguo, ghermisco e fortissimamente, irresistibilmente bramo quegli spazi materialmente intangibili ma vividi d’armonico splendore del cuore mio più incandescente, predatore dei più sentiti, personali e squillanti amori. Ove il magma candido dei miei sognanti nitori possa spandersi al di là dei tetri orizzonti miserabilmente angoscianti della vita che è sovente tanto abietta nella sua tetraggine più meschina e scevra d’ogni infuocante, marmoreo, vitalissimo ardore.

E ancor non mi rassegno a dar le dimissioni dalla mia sfrenata passione per la venustà leggiadra del mio innato romanticismo puro, invero, ahimè, da tanti cinici osteggiato.

Ora vi racconto un’incredibile storia accadutami anni fa. Non pretendo che crediate sia vera, appare a me stesso tanto fantomaticamente assurda che i miei stessi sensi ancor increduli e perplessi di oggi vorrebbero respingerla, ma poi puntualmente abdico all’inevitabile verità eccezionale che a me, in tutta la sua magniloquente potenza, fulgida e roboante come un bacio d’angelo bianchissimo sceso dal cielo a illuminarmi, mi si para dinanzi tutt’ora con ipnotico, inesorabile, magico furore.

Rimembro la mia adolescenza spesso così tanto funestata da patetici lamenti, da un perenne, esistenziale tormento che, nella sua agonizzante, schiacciante, opprimente tristizia, mi soggiogava in stati d’animo d’insopprimibile malinconia come se fossi un fantasma vagante in un animo che, un po’ masochista, scacciava ogni spontanea gioia e ogni più lieta, naturale letizia.

Sì, ero immensamente depresso, tanto da chiudermi nel più assoluto mutismo. E avevo soppresso ogni slancio fieramente vitalistico, imprigionandomi in un ectoplasmatico cuore mio emozionalmente asmatico.

Ma comunque vivevo, altresì, di poderose passioni, come quella fortunatamente ancor in me furente per il grande Cinema più splendente.

Così, di buona lena, abbandonando momentaneamente le mie melanconiche, addoloranti inerzie, mi diressi a Roma, per assistere alla prima del film Gangs of New York con protagonista Leonardo DiCaprio.

Era l’11 Gennaio del 2003, sì, una quindicina di anni fa. Ah, come scorre celermente il tempo quando, adesso che superate le tristezze di quel mio paralizzante, emotivo spazio-tempo tanto a me affliggente, qui felicemente ricordo con nostalgia commovente quell’attimo miracoloso tanto infinitamente suadente. Dopo tante ipocondrie strazianti, il vigoroso attimo indimenticabile più lucente.

Sì, perché me ne stavo lì tra la folla osannante il suo beniamino e all’improvviso avvertii un lancinante intorbidimento dei miei sensi, cosicché fui prossimo allo svenimento più stordente.

Sì, l’ultima volta che in vita mia davvero ero stato spensierato e felice, avvenne molti anni or sono, molto prima di quella premiere.

Sempre a Roma quando, a pochi mesi dalla mia tribolata adolescenza, mi trovai nella bellissima capitale in gita scolastica. Ah, che periodo stupendamente ridente.

Si giocava, si scherzava, nell’animo si danzava squillanti.

Mai più, da allora, mi ero sentito tanto euforico e baldanzoso, robustamente, sì, orgogliosamente, vividamente adolescente e placidamente festante e pimpante.

Mai da allora più sentii in me scorrere la forza della vita più magnificamente sfavillante.

Non so cosa esattamente a Roma, lì, in quell’istante mi accadde.

Per molto tempo fui sentimentalmente arido e cieco ma finalmente udii rimbombare nella mia anima, com’irradiata dall’alto da un’illuminazione soavemente ardente, un brivido piacevolissimamente terremotante.

E tremai, dapprima impaurito da quel devastante fulmine emotivo piovutomi dentro l’anima turbata e di colpo rinvigoritasi in modo tanto bruciante che il mio spento cuore trafisse a ciel sereno in maniera meravigliosamente a me luminescente e tonante, quindi rividi il mondo con enorme chiarezza stupefacente.

Ero di nuovo vivo e innamorato del mondo.

Sì, così come se durante quella gita scolastica qualcosa di nefasto e misteriosamente inquietante mi successe e inconsciamente m’indusse poi a esiliarmi e a vivere sempre strozzato nella cupa nerezza della depressione più lancinante ma quindi, nuovamente ritrovatomi a Roma, per strano, non pronosticabile e imperscrutabile, fatale e sbalorditivo scherzo del destino, proprio lì, riscoccò in me la memoria del tempo perduto, il fulgore dopo tanto patito e perfino compatito, auto-ingannevole dolore. E risi fra lo sgomento, il terrore e il mio riagguantato, per troppo tempo smarritosi, sconvolgente amore.

Secondo me questo è stato un miracolo. Chiamatelo tenero, dolce, inaspettato e inaudito calore!

Io credo davvero che lo sia stato.

Tutto qui.

Ecco, vedete, credo che a leggere di quest’esperienza senza averla vissuta, si può rimanere indifferenti. E questa breve storia può indubbiamente apparire perfino banale e sciocca. E, ripeto, mai e poi mai pretenderò che possiate prenderla seriamente.

Io so che stentiate a credermi. E, per certi versi, come potrei darvi certamente torto?

Vorrei farvi credere che un semplice viaggio a Roma abbia in un nanosecondo cancellato tanta mia vita affaticata e affranta?

E che davvero dal cielo io sia stato prodigiosamente illuminato da una radente, angelica grazia a infondermi la scintilla vitale per immemorabile tempo in me offuscatasi?

Non so. Io ripenso oggi a quest’episodio con lucidità e puntiglio estremamente raziocinante e non addivengo a nessuna scientifica, chiarificatrice spiegazione logica.

Come mai però, in quell’interminabile, martellante intervallo di tempo, nella mestizia più sconsolante mi ottenebrai e, oserei persino dire, un po’ ingenuamente vagai fra umori così rabbuianti e una coscienza mia mai davvero di vita scalpitante, soffocato da continue, imperterrite, emozionali intermittenze? E poi, in un istante incantato, rinacqui?

Sì perché da allora, dopo quella mia visita a Roma, il mio cuore si rinvigorì di ritrovata e forse dall’alto a me ancor concordata, armonia e interiore, florida bellezza?

Questa è la mia verità e di verità, assurde, grottesche, surreali e allucinanti è fatto il nostro mondo, pervaso com’è innatamente e dannatissimamente da profondissimi e arcani, irrisolti misteri divini insondabili e addirittura perturbanti, davvero inquietanti.

Si racconta anche che Roma non sia stata costruita in un giorno ma poi si trasformò in un prosperoso, immane impero, che poi soccombette dinanzi alla sua tragica caduta e che, dalle ceneri del suo tristissimo disfacimento, in gloria e folgorata da nuova luce risorse come il mio stesso umore rivitalizzato di riafferrata temerarietà del cuore.

Ci avete mai pensato? Si nasce, si muore e si rinasce ancora, inseguendo altre abbaglianti, calorose aurore, con riscaturito, sfrecciante ardore. Fra altri sofferti dolori ancora bloccati dai nostri stupidi o vigliacchi pudori.

E a questo miracolo non credo ci sia né mai potrà esserci una veritiera, innegabile, realistica spiegazione.

Perché questa è la vita nel suo incedere tanto esoterico e strambo e noi siamo stelle viaggianti in quest’altalenante, incerto ma affascinante spegnersi e riesplodere dei nostri rinnegati e ritrovati amori, persi magnificamente in tale insistente, battente, eterno essere, fin alla morte, senzienti e presenti.

Figli del nostro inesplorabile destino.

Ma ora… Un antico proverbio dice che non c’è mai due senza tre. Quindi, vi chiederete se da allora io sia ritornato a Roma.

Sì, son stato altre volte a Roma. Ma non è successo niente.

No, posso dirlo in tutta sfacciata franchezza, non è il tipo di città in cui vivrei, è storicamente importantissima, architettonicamente un capolavoro vivente, ma è troppo frenetica, cinetica, caotica e frastornante per un tipo come me.

Che or riama la vita ma allo stesso tempo ama anche la paciosa rilassatezza sanamente inquieta di un’esistenza che vive nel suo appartato, tranquillo, più discreto cogliermi in ogni silenzioso e poi sonante, interiore rumore.

 

Ora, il mio cambiamento di personalità non è avvenuto a quel tempo, era invero avvenuto prima.

Sì, era prima che non ero io. Perché mi negai per sopperire all’ansia della vita.

Io non sono mai stato escluso da nessuno. Anzi, fin dalla primissima infanzia, hanno fatto tutti a gara per stare in mia compagnia.

La mia consapevolezza creò una spaccatura vertiginosa fra il prima e il dopo.

Ora, vi è tutto chiaro o devo farvi un disegnino?

Detto ciò, Il silenzio degli innocenti è un grande film ma il materiale che affronta in due ore è troppo vasto e complesso affinché io possa definirlo un capolavoro.

Ad esempio, di Hannibal Lecter ci viene accennato solo il suo passato nel gioco speculare dei dialoghi fra lui e Clarice Starling ma tutto rimane molto in superficie.

Così come la figura di Buffalo Bill. È caratterizzata con troppa banalità. Tagliata, è il caso di dirlo, con l’accetta.

Cioè, secondo Demme e lo sceneggiatore Ted Dally, Buffalo ammazza le donne solo perché le desidera ma non può averle perché in cuor suo sogna proprio di essere una donna?

No, è una conclusione troppo sbrigativa e, appunto, commerciale. Così com’è commerciale il libro di Thomas Harris che ne è all’origine.

Pur riconoscendo l’immenso valore de Il silenzio degli innocenti, è stato involontariamente il progenitore di tutta una serie di pellicole dozzinali e orribili sui serial killer.

Concludo così…

Da svariati mesi, un mio hater su YouTube continua ad accennare robustamente al mio passato per andare sempre a sollecitare il mio trauma superato. Nel tentativo di cristallizzarmi nella malinconia meno reattiva.

Poiché è troppo vigliacco per ammettere che, contro di me, ha perso.

Dunque, provoca in maniera anonima per indurmi a reazioni scriteriate tali che lui possa ancora una volta dimostrare l’assunto del suo insanabile, terrificante disegno criminoso.

Adesso, finalmente ci siete arrivati?

Il mostro è lui.

Vedete, quasi sempre la criminologia e la psichiatra sono scienze esatte, checché se ne dica.

Dai film, abbiamo imparato che l’assassino torna sempre sul luogo del delitto per sincerarsi che il suo delitto sia stato perfetto.

È proprio questo suo vizio a smascherarlo. Dunque, traslando questa sua procedura mentale, era ovvio che prima o poi sarebbe tornato dal sottoscritto, sebbene in forma “invisibile”, per provocare ancora. Io e lui vedemmo Il silenzio degli innocenti per la prima volta assieme quando eravamo molto piccoli.

Io sono cresciuto, lui no.

Manhunter è un film superiore al Silenzio degli innocenti. È un film struggente e straziante.

Alla fine di questo film sentiamo la frase: ce l’hanno fatta quasi tutti.

Ora, che significa?

È materia pasoliniana, questa.

Dente di fata è un diverso, cioè la sua atimia gli ha impedito di vivere una vita cosiddetta normale.

Al che incontra il personaggio interpretato da Joan Allen. Anche lei è diversa. È cieca.

Sono due solitudini che s’incontrano, che si amano con dolcezza infinita.

Però, dobbiamo considerare ciò. Ecco, Dente di fata nel frattempo era diventato “matto”, al che scorge un attimo, un bagliore di luce attraverso l’amore disinteressato di una donna per certi versi simile a lui. Se n’infatua.

Ma è soltanto un fuggevole istante, un battito cardiaco subito infartuato dal ritorno potente dei suoi demoni dostoevskijani.

Un’illusione.

Stamattina, ad esempio, ero in macchina e ho ascoltato la speaker tessere le lodi della cantante Elodie, dicendo… ma avete visto quanto è diventata figa?

Ora, a me Elodie non piace né come cantante né come donna. Ma devo ammettere che ha subito una metamorfosi piuttosto sconvolgente. Agli esordi, era timidissima, impacciata, molto chiusa.

Al che, i produttori discografici devono averle detto:

– Elodie, guarda, la tua voce per la musica italiana e per i gusti medi va molto bene. Però, dobbiamo vendere. Tu devi diventare più figa e più sicura di te. La gente nota subito, a prima vista, se una persona è debole.

Devi cioè saperti vendere.

 

Torniamo dunque a Pasolini. Al solito, aveva ragione.

I genitori di oggi, di conseguenza la società attuale, non è vero che si preoccupino della vera educazione dei propri figli. Sono interessati soltanto che appaiano belli e forti. Cioè che siano delle merci.

Da questo plateale inganno nasce tutto il disagio a cui stiamo assistendo.

L’uomo, così come la donna, non sono nati per essere degli animali imborghesiti.

È la nostra anima che ci distingue dalle scimmie, il cui istinto predominante è il senso dell’animalità.

Ciò che la nostra società pare che stia trascurando. Saranno sempre di più, quindi, quelli che non ce la faranno. E si ammaleranno.

Tornando invece a me. L’ignoranza è cattiva consigliera. Dunque, se uno si “ammala”, gli altri pensano che stia facendo il furbo per non andare in guerra e lo definiscono pure coglione. Debbo ammettere che molti anni fa sbagliai. Non dovevo reagire alle provocazioni, facendomi del male. Dovevo fare come Al Pacino di Scent of a Woman quando il cognato scherza oltre il dovuto. Al, all’improvviso, pur essendo cieco, lo afferra per la carotide e lo sbatte contro il muro.

Chi sono oggi? Conan il barbaro mi fa un baffo.

Sì, oramai mi son indurito anche troppo. Potete scaricarmi addosso le peggiori offese, le più cruente reprimende e, anziché indebolirmi, diverrò sempre più forte, più veloce, più devastante.

Allora, il demente impunito persevera: ah ah, ti vedrei bene come Fantozzi e impiegato del catasto. Ah ah.

 

No, mi spiace deluderlo. Io sono un poeta. Gli farò pure schifo ma Fantozzi è suo padre che lo ha educato male.

Sono molto cattivo quando voglio.

Suvvia, andate a preparare il pranzo.

Ah ah.

Sì, ho attualmente un solo punto debole, la Kryptonite. Per forza sono o non criptico?

Ma che volete decriptare?

Ah ah.

Lo so, sono insopportabile. Mi pare ovvio. O no?

Ora, Superman è un personaggio della fantasia. Il Genius-Pop è reale.

Sì, sono anche assai solidale. Ogni sera vado a cenare assieme al Joker.

 

di Stefano Falotico

Il problema della CGI di THE IRISHMAN sarebbe da applicare tout-court a un mondo nato vecchio da ringiovanire! Dobbiamo sognare!


27 Jul

de niro the irishman

gangsfalotico

Cap. 1: che storia che sta diventando The Irishman

Eh sì, forse stavolta Martin Scorsese ha commesso il primo, vero passo falso, inaspettato da lui stesso, della sua carriera.

O meglio, non equivocatemi. Non voglio certamente affermare che The Irishman sarà un’opera sbagliata oppure un capolavoro imperfetto come Gangs of New York. Film verso il quale si nutrirono aspettative smodate, film del quale personalmente seguii ogni passo, anche il più microscopico o gossiparo, della lavorazione, pellicola per cui si scatenò un hype esagerato pari forse a quelle che oggi serbiamo, appunto, per The Irishman.

Gangs og New York, un film però sgangherato. Forse perfino sgarrupato, scalognato, addirittura scalcagnato. Con un incipit e un prologo piuttosto sensazionali, con un Daniel Day-Lewis grandguignolesco, monumentale sebbene a tratti caricaturale nella sua recitazione un po’ caricata da chi, dopo il suo auto-esilio da ciabattino fiorentino, si pavoneggiò eccessivamente del suo comeback, interpretando il suo villain con troppa baffuta arroganza e qualche birignao inopportuno e fastidioso.

Un film sorretto dalla fotografia del grande Michael Ballhaus e tenuto magistralmente in piedi dalle maestose scenografie di Dante Ferretti. Ricreate a Cinecittà dopo che De Niro, inizialmente designato per il ruolo andato poi a Day-Lewis, vide il suo sogno andare in frantumi.

Sì, conoscete la storia? De Niro, in concomitanza con l’allora ancora potente Weinstein, prima dunque della caduta rovinosa di quest’ultimo, sognò di realizzare un mega-studio a New York. Ove si sarebbero svolte le riprese proprio di Gangs of New York.

Ma il sindaco Rudolph Giuliani, dopo aver ripulito Hell’s Kitchen, smantellò pure ogni speranza di Bob, tarpandogli le ali. All’inizio, Giuliani gli concesse il suo nullaosta, quindi all’improvviso cambiò idea e mandò in fumo ogni sogno deniriano di gloria. A suo avviso, infatti, una volta eretto questo fantomatico, tutt’ora fantasmatico, ah ah, studio cinematografico di proporzioni faraoniche, le mappe topografiche della Big Apple sarebbero state macchiate, ah ah, da una sbavatura di colore nero come il carbone.

Sì, non sto scherzando. Giuliani fu convinto che i tetti neri dei caseggiati degli studios dello studio stesso avrebbero deturpato il quadro geografico dell’insieme.

Perciò, Scorsese optò in extremis per Cinecittà, chiedendo a Ferretti di ricostruire la Nuova York, descritta nel libro di Herbert Asbury da cui trasse il suo film, alla periferia di Roma, a pochi passi peraltro dagli studi televisivi di Mediaset che ospitarono in quel periodo la prima edizione del Grande Fratello.

Infatti, quando vidi la prima edizione del Grande Fratello, la prima e ultima da me vista, temetti che Cristina Pleviani (la vincitrice), durante i suoi amplessi con Pietro Taricone (pace all’anima sua…), sarebbe stata interrotta sul più bello, cioè nel momento topa, no, topico del sopraggiunto, prossimissimo orgasmo, dai rumori tonanti dei fuochi artificiali della festa notturna di Gangs of New York nella quale Day-Lewis, come sapete, cammina come un porco, tutto tronfio e a testa alta, gigioneggiando cazzuto.

Non sto schizzando, no, scherzando. Potete controllare su Wikipedia. Vedrete che tutto coinciderà. La prima edizione del Grande Fratello si tenne durante i ciak di Gangs of New York.

Invece, nonostante la Plevani, all’esplodere… dei fuochi pirotecnici, spaventatasene, si scostò dal sesso scalmanato di Pietro, Taricone non desiderò affatto il coitus interruptus e deflagrò ugualmente da vero Guerriero indomito e infermabile.

Che uomo incandescente, un lavico fiume in pene, no, piena…

Sì, mi dispiacque molto per la morte di Pietro. Fra l’altro, io avrei dovuto chiamarmi come lui.

Sì, conoscete la tradizione meridionale dei nomi, no?

Cioè quella secondo cui al primogenito si dà il nome del padre di suo padre, ovvero di suo nonno paterno?

I miei genitori, originari della Lucania, però non amarono né amano ancora oggi il nome Pietro e scelsero perciò Stefano. Discostandosi dalle regole auree del casato araldico, diciamo. Mio nonno s’infervorò, di rabbia s’infuocò e per molti mesi non rivolse parola ai miei genitori. Sfogando i suoi peggiori istinti bollenti su mia nonna. Mio nonno, il quale ora sta lassù, deve ringraziare i miei genitori se in quei giorni scopò mia nonna come dio comanda. Ah ah.

Sì, mio padre e mio zio deve averli partoriti durante una delle sue crisi incazzate-toste.

I miei genitori, comunque, per tranquillizzarlo e farlo contento, mi affibbiarono un secondo nome fittizio, diciamo, ah ah, all’anagrafe, cioè Piero.

Cosa? Sì, Piero anziché Pietro. Doppia presa per il culo e mio nonno, a quel punto, esaurite le cartucce sessuali, volle vendicarsi alla stessa maniera di DiCaprio/Amsterdam.

Urlando e minacciando, coi coltelli di cucina, ritorsioni punitive:

– Ma che razza di nome è Amsterdam? No, scusate, Piero! Ucciderò il nascituro!

 

Invero, nella notte della mia nascita, si schierò in prima linea con tanto di fazzoletto in mano e un cardiologo che gli misurò i battiti ventricolari andati su di giri per via della commozione emozionale.

Ah ah.

Sì, alla prima edizione del Grande Fratello, fratelli e sorelle, consanguinei e non, sanguinari o mangiatori del sanguinaccio, partecipò anche un uomo verace e vesuviano di Napoli. In realtà di Siracusa. Vicina all’Etna.

Vale a dire il tuttora imbattuto peso massimo di una delle maggiori stronzate della Storia e della Letteratura mondiale a tiramento di culo, il leggendario Salvatore “Salvo” Veneziano.

Colui che ebbe l’ardire di dire che Dante Alighieri non era morto perché l’aveva visto pochi giorni prima a Forum. Sì, scambiò Dante per Sante Licheri.

Un’ignoranza paragonabile a quella di Rocco Casalino. Uomo d’indubbia protervia e inconsapevolezza dei suoi limiti che all’epoca criticò aspramente Cecchi Paone e ora invece fa il pavone per i 5 Stelle.

Sì, Rocco è adesso il nuovo conduttore di Io sto con la natura, non lo sapevate? Ah ah.

Paone invece, da accademico giornalista di format storico-geografici di spicco, fu scelto per partecipare a una recente edizione de L’isola dei famosi.

Sì, Paone coltivò imperituramente il sogno di diventare l’Indiana Jones italiano ma, sinceramente, malgrado la sua preparazione e la sua acculturazione rilevante, non ha mai avuto né avrà oggettivamente la carismatica statura dell’Harrison Ford meraviglioso che fu.

Ecco, torniamo a The Irishman, nuovamente. Non perdiamoci in avventure nostalgiche, non smarriamoci in ricordi adolescenziali da Spielberg.

Sì, non vedremo The Irishman nemmeno a Venezia.

Quindi, c’è qualcosa che non va, anzi, non sta andando per il verso giusto.

D’altronde, al momento abbiamo solo potuto visionarne un trailer che invero trailer non è, dato che non si vede niente. Al massimo, abbiamo scorto una pallottola che gira come i coglioni che vi faccio girare io quando me la tiro da De Niro e Al Pacino e le voci off dei due mostri sacri appena menzionativi.

Eh già, a quanto pare, gli effetti speciali per ringiovanire gli attori sono poco convincenti.

Vanno rifatti daccapo.

Il film non è ancora incredibilmente pronto. I costi stanno lievitando a dismisura.

I tecnici del reparto effettistico non sono riusciti, appunto, a generare degli special effects efficaci e degni di nota.

Non è però, in fin dei conti, un grosso problema. Suvvia!

Si dovrebbero, secondo me, affidare al sottoscritto. Il quale calzerebbe a pennello nei panni di Frank Sheeran/De Niro da giovane. Assegnandomi anche i ruoli giovanili di Pacino e Pesci.

Sì, sono più camaleonte di De Niro, fuori dal tempo come Marcel Proust, a mio avviso il tempo non esiste.

Per me ieri è oggi e domani è ieri.

Io ricordo tutto, so portare il mio stato mentale indietro nella mia memoria storica, oserei dire antologica e mitologica. Forse a volte stolta ma soprattutto stoica.

Voi invece (vi) raccontate molte balle. Fate i fighi ma siete appassiti, appunto, da tempo immemorabile.

Disconoscete anche il vostro passato. Il passato personale non va mai sconfessato. È in virtù dei traumi e delle ferite patite che ci si fa uomini e non Butcher…

Per esempio, quel tipo lì, già di una certa età, ancora mente alla sua famiglia in merito ai suoi attuali meriti. Perché invece non racconta loro chi era, chi fu? Non ci sarebbe niente di male. Non bisogna giammai vergognarsi delle proprie umane debolezze, anzi, bisogna (ri)guardarle con lucidità e oculatezza.

Sì, lo sa suo figlio che, prima di fare l’intellettuale del cazzo, fu un alcolizzato cronico e lo salvò la moglie dalla perdizione infernale, iscrivendolo a una magistrale scuola serale?

Ecco, la verità è importante. Non bisogna insabbiarla e accanirsi in guerre fratricide. Altrimenti ci si scanna come in Gangs of New York.

Io, in questa mia chiesa sconsacrata innumerevoli volte, mi pento e mi dolgo dei miei errori. A mia discolpa posso solo dire che furono errori di distrazione, di gioventù. Dunque, finitela di farmene una colpa.

Come dice il grande Al Pacino di Scent of a Woman…

Entrando qua dentro ho sentito queste parole: “la culla della leadership”. Be’, quando il supporto si rompe, cade a pezzi la culla e qua è già caduta, è già caduta! Fabbricanti di uomini, creatori di leader state attenti al genere di leader che producete qua. Io non so se il silenzio di Charlie in questa sede sia giusto o sbagliato. Io non sono né giudice né giurato ma vi dico una cosa. Quest’uomo non venderà mai nessuno per comprarsi un futuro.

E questa amici miei si chiama onestà. Si chiama coraggio. E cioè quelle cose di cui un leader dovrebbe essere fatto. Io mi sono trovato spesso ad un bivio nella mia vita. Io ho sempre saputo qual era la direzione giusta. Senza incertezze sapevo qual era. Ma non l’ho mai presa. Mai. E sapete perché? Era troppo duro imboccarla. Questo succede a Charlie. È arrivato ad un bivio. E da solo ha scelto una strada. Ed è quella giusta. È una strada fatta di principi. Che formano il carattere. Lasciatelo continuare per il suo viaggio. Voi adesso avete il futuro di questo ragazzo nelle vostre mani! È un futuro prezioso. Potete credermi. Non lo distruggete. Proteggetelo. Abbracciatelo. È una cosa di cui un giorno ne andrete fieri. Molto fieri.

 

Io non compro la mia dignità, leccando. Se vi sto antipatico, almeno abbiate appunto la dignità di deporre le armi e di non continuare in assurde rivalità cretine da bambini.

Se voleste invece aiutarmi nei miei sogni, ecco un esempio che ho da offrirvi.

Cercate la campagna crowfunding de La leggenda dei lucenti temerari.

Vincere?

E allora vinceremo!

Lasciando stare i fascismi e tutte le puttanate varie. Le prese di posizione e le stupide, ottuse prese per il culo.

Le riprese di Gangs of New York: 18 Settembre 2000 – 12 Aprile 2001.

Grande Fratello prima edizione: 14 Settembre – 21 Dicembre 2000.

 

Cap. 2: la Storia non vi ha insegnato allora nulla? Prendetela come viene…

Come puntualizzò Pasolini, la Storia è sempre la stessa. Vive di recrudescenze, interminabilmente per i giovani si presentano gli stessi problemi degli insanabili, annali, secolari, millennari(stici) conflitti generazionali. Dunque, se negli anni trenta, la gente combatté per la fame, vivendo di stenti, dunque a stento, ossessionata pressoché dalla sola preoccupazione della sopravvivenza, uscita dalla Prima Guerra Mondiale, desiderò solamente un po’ di requie, svagandosi con Stanlio e Ollio e l’allegria che esorcizzò lo spauracchio delle battaglie infernali da cui si salvò miracolosamente, arrivò poi però Hitler, nacque il nazismo, pullularono le teorie scioviniste, in Italia avemmo il fascismo, scoppiò di nuovo insomma un gran casino.

Fu tutta una Resistenza e ancora una volta la giustizia trionfò nonostante le perdite incalcolabili e immani.

Nuovamente, la gente si rimboccò le maniche, invase le strade, festeggiando la libertà. Tutte le persone, uomini e donne si abbracciarono, scopando come bestie selvagge per tutta la calorosa notte di balli e canti, forse anche di qualcuno rimasto solo come un cane nell’alzare comunque alla luna il calice. Ringraziando iddio d’essersi appunto salvato.

Ecco, The Irishman è un film di Netflix.

Lo streaming già esisteva, i film piratati da una vita oramai imperversavano sul web. Sì, certo, ma Netflix ha dato compiutezza al marasma generale, divenendo produttrice in prima linea d’un concettuale, nuovo, avanguardistico modo di guardare (al) Cinema.

Sono tanti quelli che ancora, ostinatamente, fervidi passatisti e nostalgici di un’era oramai, nel bene o nel male, non spetta a me giudicare, scomparsa, sepolta viva dalla Settima Arte sullo schermo del pc, non vogliono arrendersi né darla vinta a Netflix.

Dunque, abbiamo due fazioni di cinefili che si stanno fronteggiando a muso duro. Come detto, quelli di una generazione, poco più grande della mia, sono decisamente convinti che il Cinema, nella sua accezione migliore del termine, vada gustato in sala, ovvero costoro sono i denigratori di Netflix.

Guidati dal Priest Vallon/Liam Neeson, difensore chiesastico della tradizione.

Turbati oltremodo da questa piattaforma che ha stravolto e coinvolto perfino registi importantissimi come il suddetto Scorsese.

Il quale, alla pari del suo Andrew Garfield di Silence, abiurò dinanzi alla legge laicamente spietata del commercio… O forse invece, come spiegherò e disaminerò nelle righe seguenti, fu già invece illuminato e agnostico come Cronenberg.

Sì, io sono pro Netflix. Non si era capito?

Sono William Cutting?

No, ma credo che, come tutte le invenzioni, non vada demonizzata.

Scusate, non è colpa di Enrico Fermi se furono scagliate le bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki.

Lo stesso discorso è applicabile a Netflix.

Tutto ciò che è innovazione m’affascina.

Guardiamoci in faccia.

Ero prima in macchina. E ho ascoltato un filosofo che ha analizzato la situazione sociale-economico-antropologica odierna, scoprendo l’acqua calda. Ah ah. Eh sì.

Ha sciorinato un campionario di banalità dette assai meglio da Cronenberg e da Black Mirror.

Cioè, per farla breve, ha detto che in un futuro non tanto lontano saremo così tecnologizzati da diventare uomini-macchine.

Eh, il dottorino laureato a Padova ha fatto, come si suol dire, la scoperta dell’America.

Io lo dico da una vita. Su per giù da quando avevo tredici anni. In effetti, da allora quasi tutti mi scambiarono per pazzo.

A tutt’oggi, mi urlano in faccia: ma ce l’hai una vita tua? Come fai a vivere se non vivi le cose realmente?

Poveri idioti, voi sapete ben poco della mia vita, dei meandrici corridoi delle mie paure, dei tunnel neuronali delle mie emozioni ancestrali, etiche e anche etniche. Non sapete nulla nemmeno di quel che patii sebbene mi compatiate.

Credo che abbiate di me frainteso tutto. Dandomi dello schizofrenico, del fobico sociale, dell’impresentabile cacasotto irrimediabile, dell’irrecuperabile uomo che vive di sogni irreali.

Ovviamente, io sono il sognatore fattosi Videodrome, il disagiato Stephen Lack di Scanners, l’eXistenZ (non) vivente giammai marcescente che impeccabilmente risulta sempre sano/a di mente malgrado tutte le vostre psicanalisi da quattro soldi sul sottoscritto da A Dangerous Method.

Voi non siete né Freud né Jung. Ecco, se foste Keira Knightley, potrei darvi retta. Anche darvelo nel retto. Keira è bona!

Voi non siete buoni. Siete degli ipocriti.

Vivete di patti d’onore da russi come ne La promessa dell’assassino, non cambiate mai punto di vista sulle cose, nemmeno sulle cosce. Il vostro è un Naked Lunch di stronzate, una Cosmopolis di seghe mentali.

Siete fastidiosi come La mosca, Inseparabili dalle vostre certezze bacate. Come in Crash, siete “bucati” e spaccati.

Però, la vostra Zona morta non è veggente come Christopher Walken. Anzi, più passa il tempo e più diventate come l’omicida del film appena citatovi.

Vi nascondete e rinnegate ogni vostro atto criminoso. Io, come Cristo, no, come Chris, conosco il vostro Demone sotto la pelle.

Sì, parimenti a Cronenberg, non sbaglio mai. Se dico che uno è pazzo, lo è.

Per esempio, da qualche mese a questa parte, s’è rifatto vivo un demente che continua anonimamente a darmi patenti da Spider.

Definisce inoltre le mie critiche e le mie recensioni cinematografiche assai scontate, apostrofandomi con epiteti sconcertanti. Dipingendomi come vecchio e polveroso.

Polveroso? Basta portare la giacca da un’ottima lavandaia e la ripulirà da ogni acaro, miei cari.

Farete la fine di Icaro.

Mah, essere vecchi a 39 anni è un’impresa da M. Butterfly. Cioè, è troppo presto per cristallizzarsi perfino nella sessualità. Oggi può piacerti Cristina Quaranta, domani pure.

Se a te piace John Lone, sarai Jeremy Irons di Lolita. Che cazzo devo dirti? Hai dei gusti un po’, diciamo, perversi.

Ma non sono un moralista. Basta che non inculi me e io continuerò ad affermare che Julianne Moore di Maps to the Stars è una figona.

Io sono un tipo particolare.

Per molto tempo, fui scambiato per Evan Bird. Ragazzo prodigio talmente invidiato che tutti lo spinsero a gesti osceni.

Al che entrai in rehab da curatori dell’anima come John Cusack. A differenza del film, però, Cusack non era mio padre.

Insomma, una tragedia, ah ah.

Cusack combinò danni al figlio più di Barry Lindon, figurarsi coi figli degli altri quanti danni avrebbe potuto combinare.

Sì, infatti incontrai molti santoni-psichiatri, demagogici e stronzi. Che vollero spingermi a tirar fuori le palle. Sì, dei Lee Ermey di Full Metal Jacket.

Ragazzi, non fatevi istruire da questi qui.

Questi spegneranno ogni vostra savia fantasia da Eyes Wide Shut. Vi riempiranno di psicofarmaci e ingrasserete più di Vincent D’Onofrio.

Questi psichiatri sono delle palle di lardo…

Vi racconto questa…

Nel 2006, così come avrete visto in uno dei miei recenti video inseriti su YouTube, lo infilai spesso a quella che era la mia ragazza. Che poi… già l’espressione “mia ragazza” m’è sempre stata sul cazzo.

Che cos’è una proprietà privata, un oggetto, una lavastoviglie?

Comunque, fra il dire e il fare, una sera riguardammo assieme il sopraccitato film di Kubrick.

Finita la visione, lei mi guardò negli occhi:

– Che dobbiamo fare, ora? Scopare? – le chiesi io.

– No, stasera non ho voglia. Piuttosto, devo confidarti, alla maniera della Kidman, una mia fantasia erotica su un ragazzo che non sei tu. Posso riferirtela?

– Ah, ormai, anche se non m’hai spiegato di che si tratta e di chi si tratti, m’hai detto platealmente che hai una fantasia su un altro. L’hai detto pure a voce alta. L’ha sentito/a anche il vicino. Ottimo, che tatto, che sensibilità, cazzo.

Vai, spara.

– Ecco, la fantasia è questa. In realtà, è una fantasia realistica, diciamo molto corposa.

– Cioè? Vieni al sodo.

– L’altro è già esistito in maniera molto tangibile e senziente.

– Detta come va detta, m’hai messo le corna.

– Un po’ sì. Ma non del tutto.

– Specifica non del tutto…

– Abbiamo fatto l’amore, sì, non lo nego. Vorrei però spingermi con lui oltre… Secondo te, è una fantasia lecita?

 

Ecco, come la presi?

A schiaffi, ecco come la presi. Ah ah.

 

Ve ne racconto un’altra…

Nel 2004 invece stavo con una di Trieste di nome Roberta.

Dal nulla, mi capitò a tiro… una di Roma. Era una scrittrice.

Chiese d’incontrarmi perché, dopo aver letto un mio libro, voleva darmi una mano…

Diciamo qualcosa in più.

C’incontrammo, andai a prenderla alla stazione.

La feci entrare… in macchina. Lei, dopo tre minuti, mi saltò addosso. Anzi, s’avventò prima sul mio collo, poi cominciò a infilare la sua lingua dentro la mia bocca.

Dopo un minuto abbondante, mi sputò in faccia.

– Be’? Non hai nessuna reazione? Non sei cresciuto! Fottiti! Dio mio? Perché Roberta sì e io no? Sei una merda!

 

Sì, da quel momento per lei tragico, lei cominciò a calunniarmi con Roberta. Non so come fece ma riuscì a impossessarsi del suo numero di cellulare:

– Roberta, lascialo. Io e Stefano l’altra notte ci abbiamo dato di brutto. Lui ti ha tradito! Lui va con tutte!

 

Intimai codesta mentecatta infima di smetterla:

– No, non puoi mettermi a tacere!

– Perché vai da Roberta a diffamarmi?

– Lo farò finché tu non mi farai. Ecco, facciamo così. Salirò di nuovo a Bologna. Faremo quello che devo fare con te. Poi starò zitta e dirò a Roberta che io e te non è vero che abbiamo scopato. Affare fatto?

 

Sì, guardate, amici, è un mondo che vuole fotterti sempre.

Scorsese è l’unico al momento che non m’ha mai tradito.

In un modo o nell’altro, ce la farà!

 

 

 

di Stefano Falotico

 

dante ferretti

Pupi Avati vuole Al Pacino per il suo film su Boccaccio. Ma continuasse piuttosto a lavorare col cuore grande delle sue ragazze sboccate


29 May

Carlo+Vanzina+Funeral+In+Rome+1fKf2CBjpCdlDico, scherziamo? Avete letto su Il Corriere di Bologna?

Pupi Avati, uno che da almeno tremila anni non gira un film degno di chiamarsi film, bensì semi-fiction con ochette come Micaela Ramazzotti, ha affermato che è in serie trattative con Al Pacino affinché uno dei più grandi attori della storia del Cinema, cioè Al medesimo, possa accettare di lavorare con lui per un biopic storico, immedesimandosi in Boccaccio.

Co-interpreti Johnny Dorelli e Neri Marcorè.

In tale presunto pseudo-film da sagra di Budrio, famosa città dell’entroterra bolognese, Boccaccio sarà accompagnato nel suo girone infernale d’una vita tormentata nientepopodimeno che da Dante Alighieri.

Ah sì? E Dante chi sarà? Dorelli con Gloria Guida nella parte di Beatrice che fra un Decameron e un trombone oramai andato recita la parte della signora vecchietta che ancora scoscia come ne La liceale seduce i professori da fenicottero femminile che arrostiva negli anni settanta tutti i maschi più polli?

Cribbio, Chichibio e la gru!

Oppure l’Alighieri sarà Marcorè? Che, visto che Beatrice non gliela dà nemmeno se si mette a imitare appunto pure Al Pacino, si dà allora a una seconda notte di nozze, prendendola a ridere come Albanese e guardando un vecchio programma di Pippo Baudo con Katia Ricciarelli che canta di gola profonda peggio di sua moglie. La quale, nel frattempo, non con Antonio Albanese, bensì con un senegalese, urla di piacere nell’altra stanza da soprano e sottosopra, soprattutto, con Alessandro Haber, celeberrimo p… che si crede Bukowski.

Non prendertela, Alessandro, diciamo che le donne come Lucia Lavia t’inducono a recitare in maniera troppo realistica.

Bukowski, nonostante fosse un donnaiolo incallito, non si è sputtanato mai. Alessandro invece si è prostituito di brutto, cinematograficamente, partecipando perfino a I laureati di Pieraccioni.

Che pagliaccione.

No, dico, parliamone.

Comunque, il prossimo 22 Agosto, Pupone Avati uscirà nei nostri cinema con Il signor diavolo. Che, almeno a giudicare dal primissimo trailer, pare un horror grottesco migliore di The Devil’s Advocate.

Film quest’ultimo assai sopravvalutato. Oh, ci siamo capiti, Pupi. Vedi che quando lasci stare i tuoi ricordi patetici, le tue nostalgie da Francis Ford Coppola dei poveri, riesci semmai ancora a graffiare e inquietare come un tempo? Sei un arcano incantatore…

Sì, Pupi, vogliamo mettere Rusty il selvaggio e Peggy Sue si è sposata con le tue bazzecole come Dichiarazioni d’amore?

Lascia stare alla tua età Marcel Proust immerso nella Bologna dei tortellini e delle lasagne al ragù à la Abatantuono nella Stazione Centrale del suddetto nostro capoluogo emiliano da Gli amici del bar Margherita.

Vedi che sei riuscito a far rinascere Andrea Roncato/Margheritoni di Mezzo destro mezzo sinistro – 2 calciatori senza pallone?

Ma per piacere lascia stare Al Pacino, a proposito di Coppola…

Sì, io sono l’Al Pacino italiano. Come Al non ho mai davvero istituzionalizzato la mia cultura scespiriana.

Anzi, per la mia indole da Matt Dillon, appunto, di Rusty il selvaggio, ci furono momenti nella vita in cui diventai uno schizofrenico irreversibile come Al de Lo spaventapasseri.

Soffrii addirittura di deliri d’onnipotenza come Tony Montana di Scarface.

Ebbi pure molti dubbi sulla mia eterosessualità come Al di Cruising. Poi, grazie a un sito d’incontri, incontrai appunto una come Ellen Barkin di Seduzione pericolosa e lei toccò con mano che, appena odorai il suo Scent of a Woman, provammo entrambi un forte heat.

Di mio, sono come Pacino.

Gli unici due uomini al mondo capaci di recitare monologhi lunghissimi senza avere la cattedra alla Bocconi.

Ma nella vita si sono trovati meglio gli uomini boccacceschi, cioè solo triviali e porcelleschi che aprono bocca senza sapere quello che dicono e le donne sboccate che amano essere imboccate e soprattutto adorano i bo… ni.

Sì, i bovini, che avevate capito? Sì, i bovari come Ligabue… certe donne brillano…

Mica i grandi attori come Al Pacino.

Firmato Stefano Falotico, alias Joker Marino.Al+Pacino+American+Icon+Awards+Red+Carpet+bj95klpj85pl

Sfoderate il ROCKET MAN in ognuno di voi


18 May

Elton+John+Rocketman+Cannes+Gala+Party+Arrivals+cxMXU5L_4i1l

Sì, ha avuto davvero grande successo questo biopic di Dexter Fletcher al Festival di Cannes.

Dedicato a uno degli uomini che più stimo sulla faccia della terra. Questo clown stupendo di nome Elton John.

Io sono eterosessuale e lui, come voi tutti sapete, è omosex. Ma che volete che me ne freghi dei suoi gusti sessuali?

Elton è a mio avviso un genio. Uno degli artisti più poliedrici, camaleontici, divertenti e romantici della storia.

Uno che per la sua diversità, appunto, deve aver sofferto come un animale. Emarginato da tutti, preso per il culo (non in quel senso, eh eh) a morte dai suoi compagni di scuola. Ripudiato perfino dai suoi genitori. Bistrattato, etichettato, stigmatizzato, marchiato.

Ma che cuore, che forza di volontà! E lui si è magicamente ribellato!

Un uomo distrutto che poi, come un pavone, rinacque coloratamente malinconico e pindarico. Tutto il suo dolore, tutte le sue gioie represse, tutta la sua vitalità da segregato vivo, vulcanicamente esplosero e, in un battibaleno, divenne Rocket Man o Rocketman tutto attaccato come il titolo originale di questa pellicola fantasiosamente, mi dite, voi da Cannes che in anteprima l’avete vista, magnifica. Fantasmagorica.

Elton è uno dei più grandi. Da tanto tempo, sinceramente, non fa più canzoni come una volta.

Ma che uomo!

And I think it’s gonna be a long long time

Till touch down brings me round again to find

I’m not the man they think I am at home

Oh no no no I’m a rocket man

Rocket man burning out his fuse up here alone

 

Detto ciò, dopo questi doverosi complimenti a John, ammazza che figa questa qui che ho adocchiato ieri pomeriggio mentre viaggiavo in macchina.

Ah sì, era una giornata piovosa, uggiosa. Che ho cercato di rendere subito solare e calorosa.
Eh sì, mi son fermato e abbiamo, diciamo, confabulato.

Si parte dai convenevoli, tira forte il vento e non solo quello, lei è da svenimento, che portamento.

E, svenevolmente, sentendo la mia voce lei è impazzita. Mi ha detto che la mia voce è da manicomio, in senso positivo, è rimasta incantata.

Sapete, da cosa nasce coscia. Come dico io.

Al Pacino di Scent of a Woman, ben conscio degli errori da lui commessi in gioventù, disse a Chris O’Donnell, O’Donnell, un bel ragazzo che doveva solo divertirsi con tante belle donne, ah ah, prima di diventare non cieco come il suo colonnello, bensì come gli adulti ipocriti, più che altro miopi e col paraocchi, ecco, disse che una volta che lo studente Chris si fosse sistemato, avesse trovato un lavoro e avesse campato, tirando a campare, la sua vita non sarebbe stata affatto migliore. Forse economicamente ma avrebbe perso la sua soul, la sua anima. Disse proprio… sarà bella che finita.

Mentre Pier Paolo Pasolini, in un suo scritto memorabile, rivelò un’altra atroce verità, cioè questa:

In realtà lo schema delle crisi giovanili è sempre identico: si ricostruisce a ogni generazione. I ragazzi e i giovani sono in generale degli esseri adorabili, pieni di quella sostanza vergine dell’uomo che è la speranza, la buona volontà: mentre gli adulti sono in generale degli imbecilli, resi vili e ipocriti (alienati) dalle istituzioni sociali in cui, crescendo, sono venuti a poco a poco incastrandosi.

Mi esprimo un po’ coloritamente, lo so: ma purtroppo il giudizio che si può dare di una società come la nostra, è più o meno coloritamente, questo. Voi giovani avete un unico dovere: quello di razionalizzare il senso di imbecillità che vi danno i grandi, con le loro solenni Ipocrisie, le loro decrepite e faziose istituzioni.

Purtroppo invece l’enorme maggioranza di voi finisce col capitolare appena l’ingranaggio delle necessità economiche l’incastra, lo fa suo, l’aliena. A tutto ciò si sfugge solo attraverso una esercitazione puntigliosa e implacabile dell’intelligenza, dello spirito critico. Altro non saprei consigliare ai giovani. E sarebbe una ben noiosa litania, la mia.

Sì, la vita non è lavorare e fingere buonismi per farsi accettare dal mondo cosiddetto adulto. Questa non è maturità.

Io amo gli artisti, i folli, i visionari, i creativi, non gli pseudo-adulti con le loro mentalità fasciste, razziste, sessiste e soprattutto cretine.

Sì, come il leggendario Elton, io sono Rocketman.

E stavolta non verrà più nessuno a casa mia a darmi ordini.

Come dice Al Pacino, sono io che do ordini a voi.

Questa è la teoria del fancazzismo?

No, è la vita migliore.

Quella allegra, vogliosa, capricciosa, inquieta, colorata.

Come quella di Elton, un’aquila reale, un pavoncello, uno stronzetto, un’araba fenice.

Mica come voi, infelici. E merde.

 

di Stefano Falotico

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Scarface di De Palma è un capolavoro forse più dell’originale anche se Frusciante non è d’accordo


05 May

In tarda serata di sabato, s’è scatenata una faida cinefila.

Federico Frusciantone ha, come di consueto, inserito nella sua bacheca il trailer del suo film del giorno. In tal caso, Scarface di Brian De Palma.

Non starò qui a farvi tutto il reportage dei vari e svariati commenti che gli sono arrivati di lì a poco.

Fra cui la mia opinione secca, oserei dire abrasiva.

Ecco due screenshot che attestano il mio intervento chirurgico, da meticoloso operatore sanitario delle inesattezze oserei dire slabbrate.

Federico, in buona fede, ha asserito, come potete leggere, che Scarface, appunto, di De Palma sia un ottimo film ma il vero capolavoro rimane, a suo avviso, l’originale di Howard Hawks con Paul Muni.

È la quarta volta che sono totalmente in disaccordo con lui.

Ecco le tre volte precedenti su film per cui abbiamo avuto e abbiamo pareri discordanti.

The Ward di Carpenter, che lui considera un filmone, secondo me è un filmetto. L’ho pure scritto nel mio saggio monografico John Carpenter – Prince of Darkness. E non rinnego una sola parola da me vergata in questo libro che dovreste quanto prima acquistare, collezionare e spolverare un giorno sì e un giorno no, rispolverando soprattutto Il signore del male, appunto, come da (sotto)titolo in originale di tal intarsiata mia opera molto calibrata, ponderata, oggettiva e giammai agiografica.

Sì, Il signore del male è la vetta spropositata, inarrivabile di John.

Autore indubbiamente di opere mastodontiche che conoscerete meglio di me, anche se ne dubito, poiché io conosco il Cinema meglio di voi, ah ah, che qui però ha proprio toccato la perfezione oserei dire più sibillina, certosina, adamantina!

Se lo reputate un horror alquanto noioso, vi prescrivo subito una colazione a base di pancetta affumicata indigesta, simile a quella fatta da quegli obbrobriosi, ingrati critici da quattro soldi degli Stati Uniti, malati di panza e di putrescenze gastrointestinali vomitevoli propagatesi nelle loro tastiere, i quali continuano ostinatamente a non comprenderne la grandezza impari.

Critici americani, se continuate così, vi trasformerete come la donna scarnificata nel finale de Il signore del male e la Bestia vi possederà come ne L’esorcista.

Vi rendete conto? Di questo ne siete coscienti, poveri panzerotti da Malibù delle vostre idiozie sesquipedali sparate insipientemente in merito a quest’intoccabile, venerabile, eccelso e iper-mirabile masterpiece assoluto del maestro nostro travolgente?

Già l’idea secondo cui dio e il diavolo siano la stessa creatura è qualcosa di geniale. Poi che classe, che finitura nelle inquadrature, che atmosfera fuori da ogni spazio-tempo, parliamo della stessa metafisica di cui discetta il grande Victor Wong in tale pellicola al di là di ogni cinematografica scienza esegetica.

Detto ciò, mi spiace per John e per Frusciante, The Ward è un film decisamente minore.

Quindi, Mission e Donnie Brasco sono due film strepitosi. Retorici quanto volete, certo, ma è manierismo di altissima scuola.

A Federico non piacciono molto. A me sì. E anche parecchio.

Dunque, arriviamo alla questione Scarface.

Io sono mereghettiano, nel bene o nel male. Paolo Mereghetti ha detto e scritto molteplici scemenze nel suo biblico Dizionario dei film. E la sua idiosincrasia nei riguardi di Sergio Leone è inesorabilmente oggetto di studio psichiatrico.

Acclarato questo, su Il signore del male la pensa esattamente come me. E nell’ultima edizione del suo tomo ha portato a quattro stellette, cioè al massimo, la sua valutazione critica a riguardo.

Stesso discorso dicasi per Scarface.

Prima gli aveva assegnato tre stellette. Ora è arrivato a dargliene 4 piene. Quasi con lode.

Le stesse che ha dato ovviamente all’originale.

Scarface è un film cresciuto col tempo e non è un remake nel senso più stretto e letterale del termine.

È semmai un rifacimento dell’idea originale a misura e mistura grandiosa della poetica eccessiva di De Palma.

Con un Pacino d’antologia.

Un film talmente volgare, nel senso migliore della parola, da divenire colossale.

Fabrizio Corona ha sempre sostenuto che Tony Montana è il suo idolo e che lui stesso avrebbe voluto di Scarface realizzarne un remake. Il signor Corona di questo film credo che abbia capito ben poco. Ha semplicemente, solamente compreso le stesse coroncine e catenine d’oro, gli anelloni al dito di Montana/Pacino che lui orribilmente indossa ma non possiede la cultura introspettiva per potersi nemmeno avvicinare a un film così.

Sì, caro Fabrizio, so che con le donne ti comporti alla stessa maniera di Tony. Vai, a bordo piscina, dalla tua bella fighella ignorantona e, come se lei fosse Michelle Pfeiffer, donna invece molto raffinata, parimenti ad Al Pacino le dici platealmente, senza filtri: voglio scoparti.

Senza se e senza ma.

Lei, come Michelle in questo film, accetta. Perché hai gli stessi soldi di Tony.

Ma adesso, a parte gli scherzi, davvero Fabrizio, bello di mamma, credi di valere soltanto l’unghia del mignolo anellato di Pacino? Stiamo parlando di un padrino vero, di un Corleone molto Carlito. Del futuro Jimmy Hoffa di The Irishman. Di uno che conosce Shakespeare a memoria. Di un puro uomo Scent of a Woman. Mica di un discotecaro imbrillantinato che, oltre a non conoscere la dizione, non sa neanche parlare in italiano accettabile. E recita pure male la parte della vittima.

Detto ciò, Scarface è un capolavoro immane. Come diceva il giudice Sante Licheri di Forum, la seduta è tolta. Se Corona non ci sta, dategli altri tre mesi di lavori socialmente utili. Se Frusciante rimarrà invece della sua idea, ci sta.

Scarface, al di là della magnificenza kitsch, varrebbe anche solo per due frasi mitologiche:

Elvira è sempre in ritardo: passa metà della sua vita a vestirsi e l’altra metà a spogliarsi.

Se avessi preso la strada del prete, di sicuro sarei diventato papa!!!

Ma non c’è mai due senza tre.

Ed ecco la frase a 4 stellette: io dico sempre la verità, anche quando dico le bugie.

Su Scarface però sono sincero, si tratta di una bomba fenomenale quasi quanto quello che ho in mezzo alle gambe.

scarfacescarface 2 di Stefano Falotico

 

 

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Compagni di scuola, anche di suola, adesso parlo io, come il grande Al Pacino di Scent of a Woman


24 Mar

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Sì, la mia vita è stata proprio un Ritorno al futuro, un viavai di smemoratezze, di amnesie, d’ipocondrie, di melanconie, di lascivie, di ragazze con lo sci che facevano lo slalom gigante attorno ai miei ormoni nevosi, spesso nervosi, irrequieti e ghiacciati.

Di pattinatrici che ho amato, spesso da solo, alla follia. Ah, che onanismi deliziosi. Ad esempio, la prima volta che vidi Ronin col grande Robert De Niro (e poi sul Bob, ah ah, ci torneremo sopra, con tanto di giubbotto di pelle per resistere al freddo polare di questa mia depressione invernale, oh oh), persi le rotelle.

Sì, la testa andò a farsi fottere. Anche qualcos’altro. Scusate, l’avete presente? Katarina Witt che pattina sulle note di Andrea Bocelli. Bellissima, donna magnifica, dalle forme perfette. Scivolava dolcemente e basculante come una soave musica melodiosa all’interno dei miei turbamenti adolescenziali, raschiandomi il cuore. E invogliando il mio saliscendi ardente.

Che donna stupenda. Cominciai a prendere informazioni su Katarina. Sì, la sognavo di notte, non prendevo sonno, immaginandola caldissima, avvolta nella valanga del mio uomo non tanto roccioso, bensì friabilissimo. Sì, con lei avrei acceso un falò in uno chalet accogliente…

Togliendole delicatamente lo scialle nell’odorarle i feromoni delle sue profumatissime ascelle.

Katarina, all’epoca, era veramente la donna più sexy del mondo.

Sì, debbo ammettere che anche Carolina Kostner non scherzava. No, anche lei m’innervava e volevo innevarla…

Sì, avere con lei un amore selvaggio come quello di Kevin Costner in Balla coi lupi con la sua indiana.

Invece, sempre solo, afflitto da una grave malinconia incurabile, leccavo… solamente il gelato Indianino e tutti mi chiamavano Stefanino. Eppur la penna, come dicono qui a Bologna, a proposito di quella, mi attizzava.

La mia depressione fu enormemente fraintesa. E, anziché essere accettata, venne apertamente derisa. Io nella follia svenni e per niente venni!

E fui scambiato per Forrest Gump con tanto di piuma d’una vita persa fra le nuvole così come nella famosa scena d’apertura e di chiusura dell’omonimo film di Robert Zemeckis su musica triste ma speranzosa del mitico Alan Sorrenti. No, questo è quello di Figli delle stelle.

Volevo dire Alan Silvestri.

Sì, sognavo con Katarina e Carolina amori rupestri, oserei dire campestri da vivace capriolo, sì, ove potessi morbidamente scivolar fra le collinette delle loro maestose rotondità svettanti come le più alte montagne, per scalare ogni parete liscia dei loro corpi granitici e giocar anche di capriole. Arrampicandomi in ogni cavità, in ogni loro aiuola…

No, non feci mai il “bagnoschiuma” con Katarina, nemmeno con Carolina e mi consolavo, mica tanto, massaggiandomi le scapole da vero scapolo col pino silvestre.

Ah, e dire che ci fu un tempo in cui ero uno Stallone. Proprio come Sylvester. Poi, rimasi solo pure nella notte di San Silvestro.

Il mio primo amore, come detto, si chiamava Tiziana, ribattezzata da tutti Titti.

A proposito di gatte e, appunto, Gatto Silvestro, non riuscivo mai ad acchiapparla, con lei fu soltanto uno stupendo amore platonico. Fu solo un’inchiappettata… Diciamocela!

Uno struggimento, oserei dire, daltonico. La pensavo e penavo. Non capendo più niente. Sì, ne risentì la vista. Da quella delusione d’amore immane, non mi ripresi mai più. Fidatevi.

Tiziana era un angelo biondo. Come Philip K. Dick, sublimai la realtà amara, mangiando spaghetti alla marinara, sì, marinai tutto e mi diedi a una vita rustica e favolistica.

Cybill Shepherd di Taxi Driver e Penelope Ann Miller di Carlito’s Way mi parevano Tiziana. E idealizzai il mio amore fantascientifico, credendomi rispettivamente Robert De Niro e Al Pacino.

Ma da Tiziana ottenni solo compassionevoli bacini. Ah, però aveva un gran culo, che bacino!

Peraltro, pure a questi machi andò malissimo. Travis Bickle/De Niro, in un impeto del suo “orgasmizzarsi” schietto, senza peli sulla lingua, portò da “bestia” la bella a vedere un porno.

Lei, troppo sofisticata e piena di sovrastrutture, anziché venir… emozionata da un uomo tanto puro, lo mandò a fanculo.

Alla fine, dopo la missione salvifica di Travis, eh sì, lei gli avrebbe dato eccome la figa. Aspettava solo che lui si lanciasse, finalmente. Che s’infiammasse…

Ma Travis era proprio schizofrenico.

Lui le disse: – Lei non mi deve niente.

 

E si perse in un’altra notte in bianco fra le luci fluorescenti di Michael Chapman.

In Carlito… invece, quel Brigante di Charlie non aveva avuto problemi di quella topa, no, di quel tipo. Prima che lo sbattessero in carcere, si era eccome sbattuto quella gnoccona di Penelope come Ulisse prima che la sua vita andasse lontano dalla sua Troia. E, una volta uscito, le entrò ancora.

Alla fine, vorrebbero entrambi felicemente convolare e virare verso una meta idilliaca. Ma il destino bastardo aspettò Carlito e lui fu ammazzato per colpa di un traditore.

Così, anche lui perse un’altra volta il treno.

Voglio però, dopo tanti patimenti e tristizie, rassicurare voi tutti e augurarvi davvero, dal più profondo del cuore, una vita piena di gioie e calore.

Sì, miei ex compagni di scuola, vi ricordate l’omonimo film di Carlo Verdone?

In questo film sono tutti diventati tristi, patetici, passatisti. Tutti più brutti, soprattutto nell’anima. Alcuni, come Massimo Ghini, si son corrotti, altri la prendono alla Amici miei, combinando ancora porcate e zingarate, altri forse si son ridotti a guardare Zingaretti de Il commissario Montalbano, sognando la sua donna, attrice pessima ma altra femmina infinita, Luisa Ranieri. Che dio ti benedica. Che figa!

Evviva il pino silvestre. Ma anche Pino Daniele!

Luisa, così liscia, con cui esserle liso, una che non dovrebbe aprire bocca… È una donna dalle gambe mozzafiato ma, per piacere, non recitasse più. Aprisse quelle, appunto, paradiso ove ogni uomo vorrebbe salire… un’ascensione come l’ascensore che fa su e giù, poi pigia… alt, ah, Carol Alt, fatemi riprendere fiato.

Katarina, Carolina, Carol, donne per cui anche l’ex Wojtyła Karol avrebbe perso la fede…

Ecco, io ne vidi davvero delle brutte. Fui preda di manie suicide, crisi allucinanti, sofferenze psicologiche che non garantisco nemmeno al mio peggior nemico.

Anzi, a essere sincero, in quel periodo non ne vidi… proprio.

Ma, come sostiene la mia ex amica, Silvia, e non è quella di Leopardi, bensì onestamente un’altra donna bella da morire, ero il più bravo di tutti.

Sapete qual è la cosa più tragicomica di questa storia tanto strana che è stata la mia vita?

Sono ancora il più bravo. E sono persino, quando voglio, più in gamba e carismatico di Robert De Niro.

Anche di Al Pacino. AH AH.

E allora perché tanti anni fa mi dovettero fermare?

Perché, all’ennesima provocazione fuori luogo, ebbi una reazione simile a questa. Soltanto mille volte più potente.

Ma ora avete finito di fare i potenti, no, prepotenti! Poveri stronzi deficienti!

Di mio, cazzeggio e cammino, tirandomela…

E, come Checco Zalone, altro che pazzo e cieco. Come dice Checco, io ci vedo perfettamente…

Siete voi che non vedete un cazzo. Per forza, a forza di effeminarvi, siete diventati pure delle lesbiche.

E non tanto puri.

Be’, prepariamo questo purè.

 

 

di Stefano Falotico

I più grandi registi viventi sono anche dei filosofi, Cronenberg docet, post alla Tarantino


17 Mar

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C’è un film che, come un fulmine a ciel sereno, per l’ennesima volta mi ha stupefatto, rivedendolo.

Scanners. Era da un’infinità di tempo che non lo vedevo. E mi ha scioccato nuovamente.

Non tanto per la celeberrima scena dell’esplosione del cranio. Che, a esservi sinceri, quando la vidi a 15 anni o giù di lì, oh, non mi fece dormire la notte. Alla sua prima visione, dapprima rimasi agghiacciato, tumefatto appunto nel cervello. Spappolato e pietrificato. Mi lasciò di sasso.

È una delle scene più violente di sempre. D’una cattiveria inaudita.

Michael Ironside, nel suddetto film è Darryl Revok. Uno psicopatico a piede libero. Più volte internato ma che è sempre riuscito a farla franca per via dei suoi telepatici poteri paranormali.

Insomma, un fuori di testa assai pericoloso.

E alla fine del film capiamo che lui e il personaggio interpretato dal dolente, “poveretto” Stephen Lack sono fratelli.

Figli di un padre degenerato che, sino a quell’istante, ci era stato presentato come uno psichiatra filantropo. Che voleva alleviare le sofferenze e i disagi clamorosi di Lack.

Invero, costui scopriamo ch’è una sorta di Dottor Frankenstein e i suoi due figli, tanto anomali e anormali quanto potentissimi, sono stati originati da un involontario esperimento scientifico di natura scellerata.

Come per tutti i grandi film e le opere magne, nell’analizzare il valore capitale di questo film mastodontico, possiamo adottare varie chiavi interpretative. E tutte impeccabilmente funzionano.

Potremmo prenderlo per un thriller pieno di suspense perfino con scene rocambolesche d’inseguimenti in macchina. E avrebbe il suo grande perché.

Oppure, elevando un po’ la nostra esegetica, possiamo scandagliarlo scena per scena e addivenire che si tratta, così come succede spesso per i capolavori, categoria alla quale Scanners appartiene di diritto, inconfutabilmente, di un film profondamente metaforico.

Sul potere della mente, sul condizionamento, sulla forza persuasiva della supremazia ideologica. Eh sì.

Chi vince, in questa società, non è tanto quello più forte fisicamente, questo film è un chiaro, incontrovertibile schiaffo in faccia all’edonismo. Una monumentale ode all’Inland Empire.

Il fisico si può rompere, può venire danneggiato ma, con un po’ di robusto, energico allenamento, con sana abnegazione e un doveroso trattamento, con un pizzico di riabilitazione eseguita a regola d’arte, ecco che dei patimenti corporei, amico, non più ne risenti. E non più ti lamenti.

Se invece sei un demente, la vedo molto dura, sai? Non saprai ove ti colpiscono, oscurato dalle tue distorsioni e, se per un attimo di chiarezza illuminante, ti ribellerai, scalciando, ti sederanno.

Sì, senza la mente, hai voglia tu ad aver il fisicone ardente. E per mente non intendo essere laureati in Fisica. Mens sana in corpore sano dicevano gli antichi. Anche se poi non ho mai capito perché quella civiltà, tanto tosta a parole e a filosofia apparentemente imbattibile, sia stata soppiantata dalla nostra, oramai improntata al culto di qualcosa che è l’antitesi di Qualcuno volò sul nido del cuculo, detta sinceramente.

Una società ove ogni valore è stato distrutto, destrutturato, fatto saltare in aria.

E, chi resiste nella nostra società… be’, dice lui che sta resistendo. Invero, la sua esistenza è già fritta. E questo ve lo dico io. Dai, donna, dammi quella frittella. Eh eh.

Senti quello. Continua a dire a tutti che lui se ne fotte. Infatti, è in manicomio.

Sì, stiamo tutti male. Siamo malconci nell’animo nonostante le belle acconciature, è inutile, e questa è una mia frase cult, andare da un ottimo parrucchiere se poi si rimane dei parrucconi.

Cosa? Cosa? Hai letto bene. Ripetiamo, è inutile andare da un ottimo parrucchiere se poi si rimane dei parrucconi. E aggiungo, peraltro, è insulso portare il parrucchino se si gioca nella vita alla evviva il parroco.

In maniera cioè approssimativa, della serie… ma sì, pigliamola a calci. Dove va… va. Basta che vada al tiro a segno. Sì, è lì che finirà se continuerete a fare i cecchini delle vite altrui.

Come sosteneva Martin Scorsese in The Departed, ah, non ci sono molte strade. Puoi diventare criminale e usi la pistola, oppure entrare in polizia e far pulizia dei criminali col silenziatore.

Oppure, fare una vita anonima e spararti nel cuore. Perché diverrai grigio, perbenista. E, invecchiando, non potendo contrastare le giovinezze che ti appariranno troppo strane e non allineate, diventerai un noiosissimo omone polemico, retorico e barboso. E ce l’avrai con tutti. Scandagliandoti contro le donne, accusandole di essere delle poco di buono, desiderando soprattutto che le menti geniali si adattino a una visione oscenamente moderata, quindi frenandole nei loro vivi ardori più fantasticamente creativi.

Insomma, comincerai a ragionare come un cretino, un puntiglioso uomo schizzinoso.

Ah, che bella vita si prospetta. La vita è sempre un colpo in pancia. Oppure, se incontri un poliziotto “caritatevole”, un pugno in faccia e basta.

Come diceva Totò… in galera ti mando. Ed è lì che avrei sbattuto Ironside. Ma pure Iron Man. Ma sì, questo Iron Man, non ho capito, è ricchissimo, fortissimo, indistruttibile, figo da morire e dobbiamo eleggerlo pire supereroe? Ma è una discriminazione classista mai vista. È una vergogna che urla vendetta, Cristo!

E che c… o. Sì, Iron Man non è un pacifista, nemmeno un edonista. Non lo può sconfiggere il più devastante comunismo. Manco i nazisti. Eh no. Come fai a bruciarlo? Ha la corazza d’alluminio, acciaio Inox. Come le pentole di mia nonna. Sì, lei è morta, le pentole no. Anzi, puoi alzare ancora la temperatura e diventano abbronzate.

Sì, fra Oliver e Sharon Stone, scusate, io piglio Sharon. È un’attrice che, a parte Casinò, fa vomitare. Per il resto è tuttora molto buona. Sì, sì, sì. E, se proprio devo sputtanare tre ore della mia vita, almeno è meglio passarle con Sharon, piuttosto che ammosciarsi con Alexander. Come no?

Se ti dico che è così, abbi fede… sì, dopo essere stato con Sharon, ti viene un vocione che manco Jim Morrison e si apriranno The Doors del paradiso.

Almeno la Sharon di venti anni fa. Gran donna.

E qui sono Pacino di Scent of a Woman. Ah ah.

Ma abbiamo perso troppo tempo con gente che non merita. Passiamo a gente che può davvero darci qualcosa. Sì, Sharon può dare molto, eppure anche questi non scherzano.

Cronenberg è un genio. La sua filmografia è impressionante. Lynch anche.

Tu? Insomma, non tanto.E questo è quanto.

Io chi e che sono? Uno come tanti. Non sono Tarantino ma non sono nemmeno quel cesso lì, Costantino.

 

 

di Stefano Falotico

 

Quando litigo con Amy Adams, divento Marlon Brando e Al Pacino, super video


03 Mar

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Sì, sono sposato ad Amy Adams. Non lo sapete? Insomma, mi avevate preso per anni per uno della Famiglia Addams e invece guarda un po’ con che pezzo di figa esagerata mi sono maritato.

Sì, ma non pensate che Amy sia poi tutto questo spasso.

Ieri, ad esempio, stavo riguardando il mio libro in inglese su Carpenter. Saranno state le undici di sera.

Al che lei, dopo essersi smanettata da sola, bruciando a letto di preliminari da chi fa da sé fa per tre, ha bussato violentemente alla porta del mio studio, provocandomi a man bassa, appunto.

– Hai finito? Sono lì da due ore con le mani in mano… sai, stasera avrei un certo languorino e vorrei che tu mi fossi fighter. Avvinghiami, picchiami pure, sculacciami. Lascia stare questa traduzione pesante, siimi pressante. Ti do solo altri cinque minuti. Intanto, mi svesto. Ti sta entrando, a forza di amare Carpenter, troppa fog nel cervello e, se non ti dai una mossa, mi sa che mi scoperò Lo Pan… insomma, o mi sbatti presto con foga oppure rimarrò sempre una donna alla finestra. Razza di paralitico James Stewart. La verità è che sei solo un guardone come Hitchcock!

– Va bene, accetto le offese e i tuoi improperi. Ti perdono. Mi sto elevando nella metafisica di John. Scusami, cara. Fra cinque minuti non posso, però. Mi mancano ancora venti pagine e devo farle adesso. Per fare te, posso aspettare. Verso mezzanotte, direi che avrò finito e potrò leccartela se dio vuole.

– Nooo! – urlò la Adams, inferocita da questo chiederle di aspettare… – Non posso aspettare cinque minuti di più. Non ti sopporto davvero. Sei una merda! Che vuoi che mi faccia suora come ne Il dubbio? Farabutto. E sai che ti dico? Sì, te lo dico. Fottiti! Ieri sera, quando tu non c’eri, mi sono scopata Christian Bale. È un trasformista-camaleontico. Ha cambiato posizione, sì, tutte le posizioni ogni tre secondi e io ho perso dei chili mentre lui ingrassava, no, lo ingrossavo a tutto gas. Quindi, fallito, prenditi i tuoi libri e ficcateli dove dico io.

 

E a questo punto partì lo show.

Fra il Pacino iper-geloso di Scarface, il De Niro di Toro scatenato, Marlon Brando di Un tram che si chiama desiderio, perfino Sgarbi con le sue “invettive” storiche, poco artistiche…

Ecco la scenetta!

La povera Amy, annichilita, stordita, sconvolta da quest’attacco maschilista sfrontato, dalla mia ira folle da Joaquin Phoenix di The Master, capì che gli alieni di Arrival sono meglio degli uomini.

Gli uomini e le donne sono soltanto Animali notturni abbastanza schifosi, litigiosi, perniciosi e permalosi.

Insomma, meglio il Falotico.

Uno che delle vostre crisi da gelosi, da uomini ingordi, da donne golose, preferisce la sua pelle rosa e intonsa.

Un uomo che, per avere il coraggio di compiere una scelta così radicale, fuori giustamente dal normale, deve avere du’ palle che farebbero impazzire Amy Adams anche solo ad annusarle da lontano.

E invece vaffanculo! Bagascia, baldracca!

Un uomo in canottiera, nera, dal carisma brandiano.

 

di Stefano Falotico

And the Oscar goes to… la mia disamina sulle nominaton con tanto di video da Academy Award, care belle statuine


22 Jan

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Sì, avete presente quest’edizione degli Oscar? Vinse, come potete vedere, Al Pacino.

Io invece incarno, e chi sa la mia storia ne conosce il motivo, sia Pacino di Scent of a Woman che tutti gli altri quattro candidati. Sono uno Charlot “monello” forse rivoluzionario come Malcolm X, ché ho ribaltato ogni certezza, sono un Rea sessualmente ambiguo e naturalmente, ovviamente William Munny.

Beccatevi questa. Ora, diciamocela chiaramente. Ma chi è in fondo De Niro?

C’è una sola cosa che mi differenzia da De Niro. Non ho ancora incontrato uno Scorsese che possa valorizzarmi e non ho i soldi di Bob. Che ha prodotto Bohemian Rhapsody. Se avessi i suoi soldi, certamente avrei prodotto un film decisamente più bello.

E ho detto tutto. Secondo me, diciamocela, con un po’ d’impegno, posso sfoderare una voce migliore di Freddie Mercury.

Come “pazzia”, sì, batto alla grande quel van Gogh. Un’espressionista geniale? Be’, io sono un equilibrista magistrale. Sarei dovuto morire vent’anni fa e invece continuo a essere molto realista nonostante mi si prospetti un futuro, diciamocelo, non ricchissimo. Poteva andarmi peggio. Molti della mia età, oramai alla frutta, dipingono le loro nature morte in selfie artistici quanto Moana Pozzi. Ingrasso e dimagrisco meglio di Christian Bale, sono una star is born più affascinante di Bradley Cooper e talvolta mi comporto da cafone come Viggo Mortensen.

Ma comunque stiamo parlando di un talento straordinario. Mica di un gonzo che passa le sue giornate a pensare come rimediare il pelo di figa della fruttivendola.

Qui viaggiamo su altri e alti livelli concettuali della realtà. Nessuna bassa animalità, tutto un altro pianeta.

Tutta un’altra Inland Empire.

Sì, non sono tanto normale.

Per fortuna.

 

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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