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Marlon Brando è Falotico


01 Oct

Al Pacino e i suoi “No” ad “Apocalypse Now”, “Die Hard”, “Star Wars”


04 Jun

He may be 73 now, and all his best-loved film performances are from the last century, but there’s no denying Al Pacino’s drawing power. He packed out the London Palladium last night for An Evening With Pacino – a curious one-off event in which he was interviewed by Emma Freud as clips from his best-known movies were shown, and genially answered questions from an adoring audience.

Most people left the theatre buzzing, seemingly happy they’d got their money’s worth. Not a negligible achievement, given that tickets ranged from £60 to £250. But for this event, which felt like a fan convention at times, Pacino was halfway home merely by having shown up.

In baggy all-black clothes, he ambled onstage and ran both hands through his hair all night as he talked. Emma Freud lobbed easy questions for Pacino to hit out of the park, and set the tone with her first comment: “Would it be all right if I said I wanted to lick your face?” Friendly grilling, then, rather than Freudian analysis.

Still, Pacino had interesting anecdotes. He’d enjoyed making Scarface (clearly the favourite film of many in the crowd), but found the Godfather trilogy “a long, awful, tiring story.” The studio was apparently poised to dump him from the first one, his first major film, in which he played Michael Corleone, because he seemed to be contributing little. Then director Francis Ford Coppola shuffled the shooting schedule, moving forward a scene in which Michael shoots rival mobsters in a restaurant. The studio suits saw the rushes and concluded Pacino was OK.

There were some decent revelations when he disclosed film roles he had turned down: Richard Gere’s in Pretty Woman (now that would have made it a different movie); Lenny (the role of Lenny Bruce went to Dustin Hoffman); Harrison Ford’s in Star Wars (“it was mine for the taking but I didn’t understand the script,” he quipped); and both Marlon Brando’s and Martin Sheen’s parts in Apocalypse Now.

The clips were exemplary: The Godfather and Scarface, of course, but also the great Dog Day Afternoon and his deliciously over-the-top crescendo of a monologue in Any Given Sunday, with Pacino as a football coach. We also saw a snatch of Scent of a Woman – far from his best movie, but the one that finally won him an Oscar for playing a blind, retired military officer. Asked by an audience member to say his character’s recurring phrase, Pacino obliged: “Whoo-yah.” The crowd went wild.

 

Still, they stayed politely attentive even when Pacino turned precious, discussing the theory of his craft and talking about an actor’s “instrument.” This was a crowd-pleasing evening, yet there was a cerebral edge to it: Pacino aired his grievances about why Americans find Shakespeare hard to get their heads around; he introduced a clip from his latest film, the art-house Wilde Salome, in which he stars with Jessica Chastain; and he concluded the night by reading an ee cummings poem and reciting part of Oscar Wilde’s The Ballad of Reading Gaol.

A few celebrities were sprinkled throughout the crowd: Paul O’Grady; singer Beverly Knight and Linda Henry from EastEnders, both looking smart – and, incongruously, ex-Spurs legend Ossie Ardiles. Also, inevitably, a gaggle of not-quite-recognisable D-listers, there primarily to flaunt themselves before photographers. For someone of Pacino’s stature, the list of invited guests should have been more impressive.

Still, an agreeable if eccentric evening. The thought occurred afterwards that Pacino’s performance was a subtle sleight of hand – giving the impression of sharing long-withheld secrets without revealing anything inadvertently. You can call him Al, but you don’t really know him at all.

Enrico Ghezzi su “Apocalypse Now”


28 May

L’Apocalisse, adesso, è solo un film, più che mai un film, un film solo. Il fallimento di Coppola: aver prodotto in fondo un solo film, nient’altro che un film. I motivi per cui questo fallimento è entusiasmante sono gli stessi per cui l’impresa è fallita. 
Può esistere oggi un kolossal che non sia Terremoto o 007 o Guerre stellari o la stessa guerra del Vietnam trasmessa per anni alla televisione? Il coinvolgimento e la “disperazione” di Coppola nel girare il film sono più che mai comprensibili, sono affascinanti; e il film per questo piace (o non piace) prima di essere visto. Piace per l’ambizione, per la mania di realismo, per gli anni nelle Filippine: mi piace perché le decine di miliardi non impediscono al film di essere dilettantesco, personale, quasi da superottimista come “concezione complessiva”. Vediamo.
Dopo le interminabili riprese, Coppola si ritrova con giorni di materiale girato. Per giocare di più – e più elettronicamente – al montaggio, lo riversa in ampex, lo monta e lo rimonta senza mai giungere a una versione definitiva; fino alle due-tre versioni circolanti oggi, con finali differenti. È un segno ammirevolmente manifesto dell’ambiguità generalizzata su cui si fonda la “nuova Hollywood”, proprio in quanto il film di Coppola è atipico e mostra scopertamente le proprie contraddizioni. Un film che costa quanto un piano d’aiuti ai terremotati, che si promette smisurato, che utilizza risorse tecniche e sceniche straordinarie; e nello stesso tempo un film “privato”, e ancora una volta (per Coppola) quasi da clan familiare. Fare il film più costoso e industriale, e poi non saper concludere – letteralmente – la propria regia. Modernità di accorgersi, in qualche modo, di essere da meno del proprio film, di non poterlo decidere: perdere la scommessa, inventando il primo grande esempio di film “incompiuto”, il cui finale non conta. La chiusa, questo momento narrativo decisivo, questa “morte” che condiziona la struttura vitale di ogni prodotto che si narri, è qui letteralmente indifferente: nel finale si taglia la testa al toro, ma nessuno dei finali taglia la testa al toro.
Da un punto di vista classico, si vede bene cosa significa tutto questo: il film rischia di non esistere. Ed è proprio così: più avanzato dei Wenders, Duras, Rohmer, Coppola, perdendo tutte le sue scommesse (quella cultural-antropologica, quella goffamente umanistica, quella letteraria con Conrad), fa un film che non esiste, che si impone e incassa forse perché affascinante e gonfiato è il “racconto” del progetto e della realizzazione di esso. 
Personalmente, ho amato e difeso Apocalisse prima di vederlo. Vedendolo, non c’è quasi una scena che non deluda, rispetto al racconto che se ne poteva avere o immaginare prima. Eppure il film non delude, non può deludere. Appunto perché non esiste. Neanche come kolossal, si diceva. Chiunque abbia visto più di cinquanta film resta infatti colpito qui non tanto dall’esibizione (tipica dei kolossal), quanto dallo spreco che si manifesta in ogni minimo dettaglio. L’Attore ultrapagato compare solo alla fine, e dietro ogni immagine si avvertono le altre mille immagini e inquadrature che sono state girate e non scelte, si intuisce uno spreco enorme di lavoro, di pellicola, di tempo, di 70 mm eccetera. Anzi, “si sa” che è così: ma solo perché Coppola lo ha gridato ai quattro venti, lo ha urlato nelle conferenze stampa, non potendo mai fino in fondo sperare di mostrarlo nel film.
Quanti film ci sono nel cassetto di Coppola? Potrebbe vivere montando e rimontando un Apocalisse ogni due anni. E sarebbe più giusto. Ma Apocalisse è un film onesto e ingiusto. Mostra tutta la sua insensatezza, fino a far ridere. Rimane spietatamente solo Cinema. Ha la gratuità di ogni film, moltiplicata per ogni fotogramma. È un film ricco che sembra povero cineamatoriale. Un film di guerra intimista.

 

Tant’è che la trama più affascinante resta quella delle fotografie dei nastri registrati che separano l’apparizione di Brando: ciò che avrebbe potuto essere girato con il budget della Conversazione. Tant’è che il film risulta anche tecnicamente “non montabile”, e Coppola ricorre sistematicamente alla dissolvenza, e alla sovraimpressione, dando già all’inizio la cifra finale di tutto il film, con la straordinaria serie di dissolvenze e sovrimpressioni triple (e più) accompagnate dalla non meno straordinaria This is the End dei Doors. E proprio vedendo La conversazione in televisione si capiscono – per associazione – altre due cose che concorrono alla modernità paradigmatica di Apocalisse. La gratuità formale televisiva, e la quasi totale dipendenza dal suono, dalla stereofonia, dal dolby, dalle dieci, cento, mille piste.
Senza Wagner, a orecchi chiusi, anche l’assalto degli elicotteri di Duvall alla baia del surf risulta piatto, girato così e così. Parecchi spettatori di “provincia” – senza 70 mm, ma soprattutto obbligati a un sonoro appiattito – sono rimasti poco interessati. E la trovata più geniale del film è la nave dei folli del rock, il trip alla radiolina in cui si trova immerso Martin Sheen.
Nel rollio continuo della barcaccia, si ritrova la musica degli stadi, degli appartamenti, delle discoteche, l’insoddisfazione Rolling, la cultura totalmente spezzettata ricomposta solo dalla radio-televisione. Per il resto, le decine di elicotteri inquadrati sono semmai l’implosione del concetto di kolossal. Il kolossal si autodistrugge con l’accumulazione di sé, dopo aver già distrutto tramite il catastrofico il genere “realtà” (del disastro; lo mostra in questi giorni la spaventosa facilità con cui ci si è abituati dall’oggi al domani all’ipotesi di guerre su vasta scala). Gli elicotteri non fanno più impressione di un drappello di cavalleggeri in un film di Ford. 
Di certo, l’ingenuità apocalittica di Coppola è la vera fine: è il Vietnam del Cinema, sconvolto in una serie di contraddizioni. Un kolossal da discoteca, da radio, da televisione, che mostra la linea d’ombra su cui si muove tutto il Cinema americano “di successo”: il quasi totale affidare alla forza (poco controllata) del sonoro, immagini sempre più lavorate e elaborate fotograficamente (luci, colori, valori plastici delle “cose” riprese) ma sempre meno curate e necessitate dal punto di vista compositivo e strutturale complessivo. È così nel film da “laboratorio” di Lucas e Spielberg, figuriamoci se poteva non esser così in mezzo alla giungla (ma Cimino?).
In questo tornare a essere pura realtà, proprio mentre si vuol fare del cinema quasi “maledetto” e da artista, è il fascino definitivo di Apocalisse, e il suo porsi come definizione catastrofica della modernità del Cinema d’oggi in perfetta opposizione col film-cardine degli anni settanta, il Barry Lyndon in cui Kubrick tenta di controllare gli stessi elementi che Coppola si limita a mettere in gioco. 
Per coerenza (gratuita forse, o se vogliamo, poco costosa), Coppola dovrebbe ora sul serio continuare a giocare. Ha già speso, in riprese e pubblicità. Ha già fatto l’uso più sensato che si può fare di un esercito e di una forza militare (farne un film). Dopo questa produzione geniale, potrebbe dar da montare le sue decine di ore di produzione a cinque, sei, otto registi diversi, far fare tanti altri film diversi e possibili e plausibili (con slogan vietnamitico: uno dieci mille apocalissi). Capire che non sono sue, come suo non è il finale. Compiere l’operazione ultima e definitiva, per un regista autore non scevro da ambizioni: offrirsi come repertorio, darsi da montare. 
Forse dentro ogni kolossal possono annidarsi tanti piccoli film: anche nei film più personali, anche in un Novecento di Bertolucci (che intanto fu l’occasione per i film di Giuseppe Bertolucci e di Amelio). Permettere a altri di aggirarsi tra gli sguardi e gli accadimenti che – spesso imprevisti – succedono sul set e si nascondono nelle immagini finché un altro montaggio non riannoda o inventa. Forse, sarebbe l’unico modo per superare le manie piccolo-borghesi (fino allo spreco superomistico) che si aggirano in tutto il Cinema americano di oggi. Coppola compreso. E insomma: amo le dieci apocalissi che si nascondono oltre la piccola Apocalisse coppoliana.

[Il Patologo, 3, 1981]

(Enrico Ghezzi, “Paura e desiderio”, Bologna, Bompiani editore, 1995, pp. 136 – 138)

Sky, canale 879, “10Libri” del mio Noir Nightmare


11 Feb

Tenete a mente, cari figlioli, codesto Uomo che striscia nel sociale e se ne dipana con beffarda ironia deniriana, nel soliloquio suo a modo, composto e gentleman, quindi starnazzante a t-ratti, piacevolmente magico nella classe non è acqua del gasato con fusione prossima per troppo voltaggio del cervello anima-to: 10Libri, Lunedì 11 Febbraio ore 19.30

Domani, quindi già oggi, miei fan, so che siete e sarete uniti in mia adorazione, come da pellegrinaggio alla mia dimora, ubicata in via Dracula n. Transilvania della selva che amò Silvia di Leopardi anche in giarrettiera con un amico del giaguaro Iago geloso, potrete ammirarmi nuovamente su Sky, come da promemoria sovrastante.

Colui, il sottoscritto, che ha abbattuto ogni sovrastruttura e, tramite percorsi traversi, ha invertito la rotta di chi rompeva le palle, disfando le loro uova nel paniere sol mangiando una buona ovalina, si esibirà ai vostri occhi di video biografico, memore di Brando mio fratello di latte e da cui mi separai, alla nascita Gesù, per riaccostarmene e conciliato da Straight di Lynch.

Prefazione che esula dal contesto, virando a Douglas Mike, figlio di Kirk, amante anche solo quando indossa la camicia da Notte coi piedi puzzolenti

Sì, Quando il passero “solitary man” di Michael Douglas è un cameriere da “Marino’s”, gli altri attori di Hollywood rimediano una figuraccia: scorriamone la lista. Oggi pomeriggio, in quel di Prato, assieme a mio cugino, abbiam “sbirciato” un film del 2009 con un Douglas (non) d’eccezione.
La storia d’un fanatico del Sesso, sempre leccato di pettinatura elegante su cravatta semislacciata nello “sguardo” pettorale che adocchia le ragazzine per lanciare il tranello del “Facciamolo sul tinello”.

C’era scritto “Commedia” nelle istruzioni, a entrambi è parso un melodramma gelido in zona autunnale. Con un Danny DeVito pelato m’ammogliato, ex pentito-cuoco anch’egli maniaco sessuale d’una giovinezza bitorzoluta e nella senilità ora bofonchiante il suo “tarchiatello” probabilmente anche di mezz’uccello, a calcolare le proporzioni fra la sua alopecia androgenetica e l’adipe dell’accappatoio a massaggiargli la “moquette” dell’averlo pavimentato. Nel bel mezzo del casino, compare Susan Sarandon “matura” di tettone scollacciate e il nerd che ha interpretato Mark Zuckerberg, il quale, fra l’altro, nelle poche scene del “copione” di rito, recita di merd’.

Il film è la storia di Ben Kalmen, imprenditore che non “fallisce” mai, soprattutto a letto, passandosele tutte dopo averle “girate” in auto, il settore per cui è “specializzato”.
Finisce in ospedale, causa infarto per troppe scopate, e d’allora “cazzeggia” di più, finendo su una panchina in cerca di un’altra piccioncina.

Non c’è molto da ridere, ma Michael Douglas ha una faccia da culo che non puoi scordare.

La classificona dei fighi 2013 è questa: riusciranno a batterlo?
O batteran la fiacca?

Fidatevi, se lavori alla Fiat, Berlusconi ti rende un cioccolatino omonimo, se lavori alla Ferrari, Briatore ti fotte perché ruberà il tuo testacoda nelle zoccole in cui sgomma rosso e panzone.

1) Waltz contro De Niro, scontro titanico agli Oscar. Due duri con gli occhiali a braccetto. Invero, si odiano. E, nel dietro le quinte, si meneranno.

 

2) Sylvester Stallone, il carisma rovente d’uno stagnante con gli occhiali “termici”.

 

 

3) Sharon Stone, oggi ha la sua età ammosciata di lato B, ma davanti è ancora da botta. Oh, Sharon, va detta, attizza sempre. Secondo me, attizzerà anche a novanta.

 

   

 

Serietà

Sono bello, che vuoi da me?

Ho il ciuffo come il pappagallo? Quindi, non ripetermi la solfa.

Ti faccio divertire? Allora non sei una Donna. Le donne con me ridono e basta. Forse, perché non so toccare le loro mestruazioni.

Applauso!


Dolci pupi, è arrivato colui che è avanti a tutti, non Avati ma si va.

Evviva la saliva di te, mia damigella, slinguazza tutto e pagami anche da bere.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Superman (1978)
    Credo nella teoria di Bill/Keith Carradine. Sono costretto a far lo scemo, altrimenti la gente avrebbe paura di uno che scriveva già da Dio a tre anni.
  2. Iron Man 3 (2013)
    Fuoco e fiamme! Ecco il vendicatore cazzuto!
  3. RoboCop (2013)
    Il primo di Verhoeven non si può battere.Ma lo vedremo. La vedremo, uomini .

    Io mi rifaccio.

  4. Mamma, ho perso l’aereo (1990)
    Come riesca costui, cioè me, a fregare tutti, è un mistero irrisolto che psichiatri, gente dabbene, e invero ladruncola, tenta vanamente di spiegare razionalmente.In poche parole, provarono a sgraffignare la mia anima, ma la passione per Humphrey Bogart è stampata in me.

    Con metodico aplomb, inculo chiunque solo alzando le arcate sopraccigliari.

    Sono un genio che sta zitto, eppur spara.

Obama ha vinto, con annessa legalizzazione delle droghe “cannabis”-libere


07 Nov

Obama, il genio della lampada. Infatti, è “abbronzato

Sì, l’America è “evoluta”. Oltre alla rielezione del Barack, che pare abbia festeggiato di baldorie con una “baldracca”, è stata approvata una “legge” sullo “spaccio” (militaresco delle caserme non da naja ma di ninna nanna alla Neffa... con la “signorina“).

Nello Stato colorito del Colorado, non vige il puritanesimo “in voga” delle maggioranze americane. Basta con le “varichine”, adesso tutti potran “darci” di “bianchetto”. Per la “felicità” di Nick NolteCape Fear…

Sì, Obama l’invincibile è salito di nuovo al “trono”.
Anche se, da fascicolo nascosto della CIA, pare che (come da previsione “profetica”…) Falotico sia il vero Presidente.
La maschera “al mascara” del “negro” è una copertura per celare gli “scheletri” nell’armadietto della Casa Bianca, appunto.
Ove, come già rammemorai, Clinton “spompinò” su (e giù…) Monica per lo scandaletto poi “confessato” in diretta “orale”.
Dunque non processato perché “sincero”. Da “integro” che “la” disse tutta…

Poi, avemmo Bush, che fu bersagliato di barzellette da carabinieri per l'”acronimo” di tal operation desert storm, “Bisogna uccidere Saddam Hussein”.

In Italia, van “di moda” le canzoni del Palma Giuliano. Dopo le sue cover dei “successi” tristarelli del musicarello che fu, adesso tal ritornello “esaltante”:

Sto lontano dallo stress,
fumo un po’ e dopo gioco a Pes,
Pato, Mexès,
Messi, Valdés,
fumo un po’ e dopo gioco a Pes,
accendo e dico: Ooooh Yesss,
fumo un po’ e dopo gioco a Pes!
se mi riprendo ooh ooh ooh yes,
fumo un po’ e dopo gioco a Pes!

Ecco, dinanzi a questo “sculettamento”, accendo il mio uccello e “spingo”.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Apocalypse Now (1979)
  2. Il Presidente. Una storia d’amore (1995)
  3. L’allenatore nel pallone (1984)

“Apocalypse Now” – Recensione


25 Oct

Apocalypse Now

Agli albori “boreali” delle isole perdute

 

Epoca avveniristica, di stramberie folli, ove un “manipolo” di uomini, non assoldati al Sistema, si riuniva e imbastiva “schegge” violente all’anima, nel “nubifragio” irto e inerpicatissimo di lor “meteora” rifrangente delle rabbie, nel grido arso di pelle loro “squamata”, squali verecondi nella pulsione avanguardistica di chi non combatteva in trincea. Semmai sdraiato a letto, già “sradicato” dentro, un Coppola di titanica ambizione, che scoccò famelico in piedi, azzannando il pacato crepuscolo d’anni 70 addolorati dagli sfregi “irrimarginabili” della guerra in Vietnam.

Un anno dopo Il cacciatore, un Cimino universale che, greve e cinereissimo, incendiante e “ossidrico” d’ossidati cuori bruciati, “sdilinquì” laconico nella magniloquenza emozionale d’un capolavoro innervato e spezzato nelle già fragili ossa di romantici sognatori uomini estirpati proprio dall’insanabile stirpe delle belligeranze “ludiche” di un’America scellerata che diede fuoco alla vena lucente delle loro temerarie, limpide e immacolate coscienze. Purezza estinta nella brace dei carnefici a spegnerli e dissanguarli, spellarli e indelebilmente graffiarli nell’amore (in)tagliato del macello armato a cuori per sempre infranti.

La versione della “sporcizia”, secondo un maestoso Coppola, a dilaniar se stesso e noi negli incubi allucinanti, avvinghianti dell’anfratto mostruoso, “a occhi aperti”, a sventrar il ventre della Notte, spruzzandola d’una orrida avventura lisergica e insuperbita nella “benzina” drogata, visceralmente agghiacciante, da brividi a pelle, Francis-“Storaro-saturo” immerso nei neri splendori d’una giungla “incontaminata”, a passo “tenero” e tenebroso fra le min(ier)e del lungimirante, allarmante Conrad grandioso d’esoterico ammonirci, con “irriguardosa” profezia, dalle imminenti, millenaristiche rivelazioni. Dell’animal “uomo” raschiato nei suoi floridi teschi alle incandescenze, ladro del tesoro alla Bellezza e alla primordiale, innocente Natura, incenerita di polvere da sparo, dalle esplosioni irredente e radenti dei pagani sacrifizi carnali, immolato all’inarrestabilità spaventosa della folle onnipotenza. Aberrazione da vasi di Pandora “sparpagliati” di detonazione da Pianeta delle scimmie.
Sulla “riva” dell’orrore già end della distruzione “atomica”.

Sì, proprio il nichilismo disilluso del Mito, dell’immane Jim Morrison a “inaugurare” il massacro.

Un piano sequenza lento come lo scalpitio del terrore che c’infiammerà chirurgico, virale nei bagliori di scure nostre iridi fulminate e turbate a librar fetali e letali, micidiali e assassine sul lavico, battesimale “ralenti” dinamitardo del viaggio.
Quindi, le pale afose d’un ventilatore “abbrustolito” nella panoramica ossessiva, ritmicamente distrutt(iv)a d’un Martin Sheen ubriaco, attorcigliato di “liane” veggenti, spasmo ferale dei veleni. Iniettato dalle tenaglie. “Unghie” a roderlo, a spolparlo.
Una semplice “mission”, rintracciare un disertore eremita. Che vive forse ai confini dell’immaginazione.
Un metafisico abisso “interminabile” nelle “virilità” già morse, già morte. Fantasmi e apparizioni cristologiche, il dado tratto della Bestia.

Marlon Brando giganteggia lassù,  non dominabile, oltre il surf, oltre il fiume…
La divina “resurrezione” delle voragini.

(Stefano Falotico)

 

 

 

Tre libri che dovreste leggere prima della profezia di Maya Hills


29 Jul

 

Sì, quella civiltà fu “apocalyptica“, quasi quanto un Coppola leggendario, che impiegò degli anni per smaltire l’insormontabile fatica d’un capolavoro assoluto, ma “lavoraccio” durato interminabili mesi e un culo pazzesco di “riprese”, anche in senso lato.
Fidatevi, meglio la “caramellina” balsamica di “Lei”, piuttosto che l’eucalipto(lo).

Poiché, “salin” salendo, Lei va sempre più piluccando “captandolo” al Capitano…
La “famosa” capitaneria di “porco”

 

Nella mia libreria, scorro libri che l’umano medio, con alluce “di traverso”, non leggerà mai.
Da qui, la mia acuita genialità che spazia da un film dei Marx, dal Mars “scioglievolissimo” per amplessi al Twix, da un Wahlberg Mark a un “marcamento a zona”, senza “marchette”, a una Donna di nome “Marcantonia“, “composto” alla Marlon Brando di Marcella + Antonio, uomo “tutto d’un pezzo”:
Sì, “pezzato”.

 

La mia professione è di attraversare frontiere. Quelle strisce di terra di nessuno fra due posti di controllo sembrano sempre zone piene di promesse: la possibilità di nuove vite, nuovi profumi, nuovi affetti. Ma al tempo stesso scatenano in me un disagio che non riesco a reprimere. Mentre i doganieri rovistano fra le mie valigie, sento che tentato di aprire la mia mente, alla ricerca di un contrabbando di sogni e di memorie proibite. Però c’è anche uno strano piacere nell’essere messo a nudo, e questo è ciò che può aver fatto di me un turista di professione. Mi guadagno da vivere scrivendo dei miei viaggi, ma mi rendo conto che questo è poco più di un travestimento. In realtà i miei bagagli non sono quasi mai chiusi a chiave, come se non vedessero l’ora di essere aperti.

Questa è “musica” per le mie orecchie “visivo-emozionali”, un ballo per rinfrescar i neuroni, insomma un Ballard d’annata, meglio dell'”ottima” d’un Ridley Scott poco fantascientifico ma di Cotillard già da “sbaciucchiar” tutta.
Sì, nella “botte piccola” c’è il vino di “botta!”. Pienissima!
Marion eccita i “maroni”.

Ecco cosa succede quando un Uomo, “pulcino” come me, scavalcò la linea d’ombra.
Che Lei ti chiarì il dubbio fra le mutande.

Sì, la mia casa è una biblioteca babilonese, trovate romanzi “inaspettati”, e il mio cervello, sconvolto da quest’ipertrofia, si sta “surriscaldando” in mezzo a “signore” che amano la mia “raffinatezza”.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Apocalypse Now (1979)
    C’è anche un’altra versione con Tim Roth e John Malkovich.
    Il problema è che il film non sarebbe poi neanche male ma, in confronto a cotanto ben di Dio, ci pare uno spazz(ol)ino.
  2. Un’ottima annata (2006)
    Eh ci credo, quando un Russell incontra una “rossa” così, la faccia d’angioletto diventa “dannatissima”.
  3. Strange Days (1995)
    Dite a Battiato che, paragonato a me, la sua musica è da “educatore”.
  4. Apocalypto (2006)
    Quando Mel Gibson comprese di essere un alcolista, tornò indietro nel Tempo delle “scimmie”.
    Distopico.
  5. L’attimo fuggente (1989)
    Sì, ma ci vuole anche l’istante “ficcante”.

Turbulenze…


20 May

Mamma mia, aiuto!

Quando la Terra trema, anche Falotico si “scuote” dal torpore, nella Notte ampiamente inoltrata, il suo letto, “morbidamente”, sussultò, ma non per le “molle” dell’amplesso, ma d’un cataclisma ben più “virile”.
Se la vita non si smuove, ci pensa la Natura a darti una scossa...

Stamattina, alle 4.04 (la famosa “doppia ora” in cui esprimere il “desiderio”) quasi in punto, i primi segnali della catastrofe imminente predetta dai Maya, si son abbattuti sulle Torri davvero “oscillanti” d’una Bologna sotto “elettroshock“.

Come documentato subito dalle agenzie giornalistiche e dai canali d’informazione nazionale, una spaventosa “onda” di terremoto ha risvegliato la città, mentre se “la” stava dormendo “ronfantissima”.
Qualcuno, forse, dopo i balordi del Sabato sera, era ancor lì “intrattenuto” in gioie sessuali, quando il coitus è stato interruptus da un'”eruzione” ben più orgasmica del magma “in calore”.

Sì, forse meglio riderci sopra, sebbene ci sia poco da ridere.

Giornate, quantomai, terrificanti.
Ieri, un agghiacciante attentato a Brindisi.
Oggi, almeno 5 morti e 50 feriti qui in Emilia,

Una magnitudo davvero “magniloquente”, percepita di gran voce.
Più che altro di urla spaventate, in zona 5.9 Richter nel “decibel” delle vecchie terrorizzate.

Tre operai uccisi, palazzine crollate, un’ultracentenaria abbracciata all’Uomo con la “falce”, che tremò anche Lui nella morsa che sfuggì nelle sue gambe traballanti, impaurite, “sbiancate”.
Un’altra bolognese di 37 anni, trafitta dal malore dello spavento.

Sì, una “paura del 32”, come dicono gli emiliani, anche perché era dal 1300 che, qui, zona poco sismica, sebben appenninica, la città non avvertiva “muoversi sotto i piedi”.

Abito al quarto piano.
Le possibilità furono due: buttare il materasso fuori dal balcone, e lanciarsi nel “vuoto” senza paracadute, sperando che, intanto, il terremoto non spostasse l'”atterraggio”, oppure una veloce corsa, in pigiama, sin giù ad arrivare nel cortile.
Ma poi, gli altri condomini, già raggruppati là sotto, avrebbero visto la mia “dote” farselo nelle mutande.
Questo, avrebbe pregiudicato la possibilità, tutt’ora “in poga”, di “ballare” con quella del settimo, gran figa.

Che fifa!

Optai, con “calma”, per una sigaretta, aspettando che, (im)mobile, si placasse.
Dopo una mezz’ora di “riflessione”, un caffè “freddissimo”, e la mia vicina ricoverata dall’ambulanza che gridò “Dio c’ha punito per i nostri peccati, la furia s’è fatta sentire…!”, tornai, tranquillissimo a letto, e sognai l’Apocalisse:

… voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1.  Fuga da Los Angeles (1996)
  2.  Turbulence. La paura è nell’aria (1997)
  3. Terremoto (1974)
  4.  Draquila. L’Italia che trema (2010)
  5. Tra Amburgo e Haiti (1940)
  6. Battaglia per la Terra 3D (2007)
  7.  Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre (1979)
    “Terronissimo”. I famosi Risvegli con De Niro…

 

Scudo…


07 May

 

“Zebrato”, forse il solito bianco & nero senza “sfumature”

Ultimi rintocchi “balistici” del solito campionato, tra una folla urlante, incitata ad animaleschi tifi “maschi”, una cafonissima scaramuccia fra un portiere senza saudade, uno “zingaro” stizzito ma “intirizzito”, un Milan intristito, un Moratti “tristarello” nonostante la quaterna, uno Stramaccioni che si “straccia” di gioia, una Juventus imbattuta per un olè tricolore che si farà, ancor, beffe della “OLA” (“rifondazione” sudista-ambientalista di gente mai ambientatasi al Nord, “lucana-amara”), per Agnelli “leone” con classe “parrucchina” da Conte…

Sì, lo scudetto è andato alla Juve, tutta Torino esulta, dopo anni di predominio “milanese” che “la” impanò come la cotoletta, blandendo il blason bianconerissimo come dei deformi del Cottolengo (non son denigratorio nei confronti dei “poveri” offesi e saccheggiati, affatto…, non “distorcetemi”), e, alla corte “nepostista”, “dispotica” del patron della Fiat, tutti s’assiepano “in preghiera” euforica, elettrizzati in una magica Notte di festeggiamenti e “bagordi”.

Sì, il “grande” Júlio César Soares Espíndola fa la linguaccia a Ibra(himovic) prima del rigore della “speranza”, Ibra ammicca “affettuoso”, insacca senza batter ciglio ma, poi, infantile, si volta verso il suo provocatore “sboccato” e “gesticola”, “labi(a)lmente”, una sfottitura parimenti cretina.

A dimostrazione, “insigne”, che il Mondo non cambierà mai.

Sempre (ig)nobilissimo…

La gente, osanna “smutandati” ricconi sguaiati che giocan “di palle”, che “attributi”, davvero, complimenti, inveisce sulle lauree “rubate” ma poi frega il vicino di casa “strofinandogli” la dignità nei litigi condominiali, ove asserirà che l’amministratore è “lui”, e ha diritto, di vita e di morte, non solo sulla topa della moglie dell’operaio ma anche sulle topaie della cantina.

Ove, brinda di vino, “avvinazzato” nella sua “birraiola” contentezza.

Allegria!

Benvenuti in Italia, inarrestabile “stivalone” di mediocrità, ove tutti si spaccian per profeti, e, poi, se rinfacci la verità, li “infastidisci” e ti spiaccicano.

Sì, come dice Beppe Bergomi…, spaccan in due la difesa (immunitaria).

E, allora, gli psichiatri vanno a ruba, sedazioni e diagnosi, disoccupati (mal)trattati da “matti” perché ebbero il coraggio, vero, di “sbatterlo” tutto.

Non si arrenderanno a quattro figli di quello sciroccato, impotente di Freud.

Promozioni regalate agli ebetucci “adatti” ove gli insegnanti “impartiscon” novelle imboccate, ma “boccian” e temon il ragazzo “boccaccesco” che ha vivacità e gioia ero(t)ica.

E, non è, facilmente, “ammaestrabile” all’andazzo della retorica.

Sì, “lo” tagliano e gli recidon la gola, e, Lui, già “ingoia” pastiglie da con un po(r)co di zucchero…

Ne ho viste di schifezze, già prima d’essere Kurtz, la gente ride quando “si para”, e poi straparla, e il “parà”, in caduta libera, si ferma, si dà delle arie, e “sparò”.

A volte, gli amici mi chiedono perché sia così arrabbiato, pur consacrando che ho ragione da vendere, che fu mai ve(n)duta. E mai, “lo” sarà.

E, io, in tutta calma: – Perchè sono il Papa, finché tutti gli altarini non “salteranno”, nessuno, nessuno m’impedirà di “predicare” sull’altare.

Ove Dio, offrì il suo corpo in sacrificio.

Per “loro”.

 

 

 

 

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