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JOKER: Rated R… Joaquin Phoenix è superiore a Leonardo Di Caprio, sì, lo penso davvero, non è una bestemmia da “disturbing language”


23 Aug

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Sì, Joker ha finalmente ricevuto la censura. Era d’uopo. Bisognava aspettarselo.

Questa è una notizia esaltante. Pagliacci, jolly vari, uomini senza dignità, uomini spogliati del vostro amor proprio, uomini accusati di viltà, donne additate come irrimediabili sfigate irrecuperabili, donne deflorate della vostra innata innocenza purissima, uomini che ne passaste troppe, sì, mi riferisco sia figurativamente a quelli che, dopo troppo sesso e troppi flirt inutili, son divenuti nichilisti e persi, sia a quelli che invece non furono amati da nessuna, nemmeno dalle loro madri, dunque ricevettero dalla vita solamente dolori e tostissime batoste crudelissime.

Uomini amari, uomini che amate La Mer, uomini rammaricati che non volete più le maniche rimboccarvi perché tanto non servirebbe a un cazzo ripartire daccapo se non a pigliare altre sberle e pugni in faccia, non dovete assolutamente reagire dirimpetto a quest’immane delusione ch’è stata la nostra vita tragica.

Dobbiamo buttarla a ridere, ironizzarvi sopra e sdrammatizzare lo scempio compiutoci da una società ingrata e belluina, grazie alla stupenda, ilare virtù dei nostri blues brothers fintamente demenziali e sapidamente cretini. All’apparenza coglioncini, in verità vi dico assai svegli e volpini.

Uomini cioè che hanno il pelo sullo stomaco e, malgrado le cos(c)e siano andate malissimo, sì, dobbiamo essere realistici e oggettivi, senza poetizzare, romanzare nulla, poiché noi odiamo i consolatori buonismi e la retorica a buon mercato, detestando e pigliando a testate gli psicologi perché tanto c’imboccherebbero soltanto di caramelline zuccherose, rabbonendoci con psicofarmaci inibitori delle nostre, vivaddio, sanissime pulsioni non certamente santissime, meglio così, guardiamo in faccia la realtà per quella che è. Senza nasconderci in piagnistei superflui e patetici. Deleteri e controproducenti.

È stata una vita orribile, mostruosa, un horror continuo. Un percorso esistenziale talmente sfortunato d’averci illuminato nell’esistenzialismo più fantastico.

E, come Travis Bickle di Taxi Driver, camminiamo funerei nella notte più cerulea, donando baci bollenti a donne parimenti inculate da questa vita misera e puttana.

Ah ah.

Dunque, la smettessero quelli che cercano solidale compassione e la stima altrui attraverso false leccate di culo ignobili.

Noi riconosciamo, di onestissima Mea Culpa, che indubbiamente il nostro cervello andò a farsi fottere molti anni nel didietro, no, addietro.

Ma il nostro battagliero spirito guerrigliero inarrendevole, la nostra caparbia temerarietà da Armata Brancaleone di folli condottieri, eh sì, ci condurrà verso altre sfighe immani e disumane.

Non fatevi illusioni, ah ah.

Esiste la felicità? Ovviamente, sì.

Però, come giustamente asserì il mitico, imbattibile Totò, la felicità perpetua non esiste e non può esistere, a meno che voi non siate degli idioti.

Poiché la vita è oggi un petalo di rosa e una donna armoniosa forse tua leggiadra, romantica sposa, domani è il suo amante segreto che scoprirai troppo tardi quando lui l’ha messo sia a lei che a te in quel posto.

Non ci sono cazzi. È così. State in occhio. Non credete di essere arrivati e non fate dunque i gigioni come Leonardo DiCaprio.

Volete la verità?

A me Leo DiCaprio piacque molto in Voglia di ricominciare.

Sì, fu bravissimo in questo film. In Titanic fu invece bellissimo.

Sì, sono un uomo etero, non credo eterno, prima o poi creperò ma debbo constatare, senza vergogna, che se fossi stato una ragazzina ai tempi in cui il film di Cameron uscì, guardando Leo a prua e a poppa, eh già, avrei avuto in sala la fighella tutta bagnatina e avrei sognato di fargli un pompo.

Sì, è per questo che all’epoca le sale furono allagate, no, affollate. Ed è sempre per questa ragione che restaurarono Titanic in 3D. Per rendere l’orgasmo più oceanico, al fine di ottenere un affondamento totale di questo pubblico di borghesi sdolcinati che si emoziona(ro)no per du’ baci sulle note di Céline Dion.

Siamo uomini ghiacciati che succhiano un ghiacciolo, degli iceberg inaffondabili, probabilmente solo annacquati.

Ah ah.

Basta, questi non sanno nemmeno che cosa sia la vita dura. Leggessero piuttosto Louis-Ferdinand Céline. Sì, siamo uomini oramai offuscatisi nel Viaggio al termine della notte.

Ma quali yacht, motoscafi e varie mignotte. Questa realtà non c’appartiene e non c’apparterrà mai!

Dunque, prendete quel Jordan Belfort di The Wolf of Wall Street e sbattetelo dentro.

Costui è solo un viziato, un nababbo, uno che va subito ridimensionato.

E la smettesse Leo DiCaprio con le storie di vendetta.

L’uomo vero perdona gli errori altrui, non è altrettanto punitivo come gli scellerati che gli commisero danni irreversibili e, oserei dire, irreparabili.

E che è quel film The Revenant?

E poi… in Gangs of New York, Leo fu un pirla mai visto.

Combinò un casino della madonna solo perché suo padre, Liam Neeson, combatté per lo spirito santo ma fu trucidato da un macellaio…

E a che servì? Tanto Leo fu/è credente come il padre ucciso. Perciò, Liam forse ascese a un mondo migliore.

Mentre l’omicidio, caro Leo, è un peccato capitale, un reato gravissimo. E si finisce all’inferno se si ammazza un Butcher sebbene possa comprenderti e capire che l’incazzatura sia stata fortissima.

Ci sarebbe anche da dire questo. Se fossi stato al tuo posto, Leo bello, avrei lasciato che, dal paradiso, Liam si fosse vendicato da solo. Dimostrò infatti innumerevoli volte che è capace, quando vuole, di resuscitare come in Io vi troverò, come ne La preda perfetta, cioè di risorgere dalla ceneri della sua walk among the tombstones.

Non sei credibile come uomo, Leo/Amsterdam Vallon. Torni a New York per innamorarti di Cameron Diaz? Ma è una zoccola.

È stata con tutti in quella città. Perfino con Day-Lewis. Cioè, fammi capire bene, tu accoltelli mortalmente il Butcher per poi sposare e avere figli maschi con una che gliela diede solo per due gioielli in più?

È una borseggiatrice, una meretrice, con tutta probabilità è come quella bionda di Alighieri Dante, vale a dire Beatrice, donna che a prima vista sembra che possa regalarti l’idillio, sì, la vedi e pensi… che figa di dio. Poi scopri che t’ha portato dritto all’inferno. E lì rimarrai conficcato per l’eternità a scervellarti, sbudellato dalle fiamme del tuo peccato. Sì, la vagheggiasti ma non la trombasti. E sei finito fottuto.

Ma che schifo! Vedi, Leo, poi non prendertela se lei, sconvolta e in stato confusionale, diventerà come Anna Maria Franzoni. Shutter Island docet.

Sì, non impazzisti dopo che tornasti dal lavoro e assistetti all’orrore commesso da tua moglie. Secondo me, fosti già prima da manicomio.

Io, una con la faccia di Michelle Williams, non l’avrei sposata manco se mi avessero dato i soldi che ti diedero per girare The Beach. Una gran porcata!

Sì, la Williams la prendono quasi sempre per parti da folle, schizofrenica, isterica, depressa cronica.

Obietterete qui, voi, volendomi correggere. Dicendomi che interpretò anche il ruolo di Marilyn Monroe.

E state sbagliando ancora. Secondo voi, la Monroe fu una donna felice?

Fu solo una poveretta in mano a omaccioni che sfruttarono la sua bellezza magnifica. Compreso quel puttanazzone di Kennedy.

Che donna disgraziata! Morì impasticcata per colpa di questi figli di troia! Diciamocela!

E ne vogliamo parlare del suo primo marito? Quel cazzone di Joe DiMaggio? Io avrei preso quella mazza e gliel’avrei data in testa. Sulla capa come De Niro/Al Capone!

Sì, Leonardo DiCaprio è sopravvalutato.

Meglio Phoenix.

Quest’uomo disagiato Da morire, questo ragazzo spaurito e timido da Innocenza infranta, questo Johnny Cash vivente, questo Cristo da Maria Maddalena!

Don’t Worry, figlioli! Mettiamo su Bob Marley… be happy…

We Own the Night!

 

di Stefano Falotico

Provocazione del giorno: Coppola è superiore a Scorsese, pure De Palma, Spielberg non lo prendiamo neppure in considerazione, le femme fatale, eccome, anzi, eccomi


22 Apr

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Sì, fra i grandi registi della nuova Hollywood, c’è sempre stata una rispettosa rivalità acerrima fra questi quattro: i tre italoamericani Francis Ford Coppola, Martin Scorsese e Brian De Palma con l’aggiunta del quarto incomodo, lo statunitense di origine controllata più del vino del Chianti, Steven Spielberg.

Infatti, in questa tavolata di mangia spaghetti, che ci fa questo WASP di origini ebree sposatosi con Kate Capshaw?

E perché c’è anche George Lucas? Per stupire il cameriere con effetti speciali della Industrial Light & Magic a base di antipasti a forma di UFO?

Sì, George, fra una portata e l’altra, intratteneva tutti gli ospiti della trattoria, stimolandoli all’appetito:

– Non ce la facciamo più. Abbiamo le panze piene – urlavano tutti.

George: – Che la forza sia con voi. Siete solo al primo! Quando arriverete al dessert, sarete grassi quanto Francis e Brian.

 

Francis e Brian abbozzarono l’offesa riguardante la loro obesità, mentre Scorsese e Spielberg, da vecchie volpi, ridacchiarono, leccandosi i baffi.

Sì, fra questi quattro vi è stata enorme amicizia ma anche una competizione da ludri.

Avevano sempre fame di gloria. Appunto, la famosa fame da lupi. Rispettivamente volevano primeggiare sull’altro per mangiarselo vivo.

Steven Spielberg risolse subito la questione, girando Duel e Lo squalo. Ho detto tutto…

Rincoglionendosi poi col Cinema didascalico per vincere gli Oscar. Schindler’s List? Capolavoro, certo.

Ma il sopravvalutato Munich, no.

Sì, credo che, dopo Schindler, Spielberg si sia preso troppo sul serio. Dimenticò il sincretismo culturale del suo Cinema sognante a favore di un palloso Cinema impegnato più retorico della Costituzione redatta da Daniel Day-Lewis, cioè da Lincoln.

De Palma, poveretto, genio inaudito, è l’unico di questi che non solo non ha mai vinto un Oscar bensì non n’è stato neppure candidato.

Uno di questi giorni, di quest’oltraggio immondo, si vendicherà come ne Il fantasma del palcoscenico.

Perché, ad esempio, Coppola ha vinto per i primi due Padrini, Scorsese per il rifacimento in chiave Mean Streets proprio di The Godfather, in variazione sul tema a mo’ di poliziesco di Quei bravi ragazzi, con The Departed, uno dei suoi film più brutti, e invece De Palma per ScarfaceCarlito’s Way e Gli intoccabili l’ha preso in quel posto?

Brian Russell De Palma, il più grande voyeur di tutti i tempi. Vero man, ah ah, altro che Antonio Banderas di Femme Fatale. Comunque, fra Brian e il bell’Antonio (che non è Cabrini, nemmeno Mastroianni del film di Bolognini), io preferisco Rebecca Romijn.

Credo anche voi. Se dite che non è così, vi consiglio SilenceKundun e L’ultima tentazione di Cristo.

Sì, più che uomini timidi come Griffin Dunne di Fuori orario, voi siete dei buddisti radicalizzati nel cristianesimo più castrante.

Eh sì, eh. Se non vi piace Rebecca Romijn, le possibilità sono solo due: o siete detrattori del film Un’altra giovinezza e siete contenti di essere invecchiati, oppure siete attualmente ricoverati presso il manicomio diretto dallo psichiatra Ben Kingsley di Shutter Island.

Sì, sto riflettendo. Si dice che non ci sia due senza tre. Vi chiedo gentilmente di pazientare. Datemi cinque minuti. Sto cercando la terza spiegazione plausibile.

Ah eccola. Scusate se vi ho fatto aspettare. Avete avuto un incontro ravvicinato del terzo tipo. Da allora, non siete più molto umani.

Adesso, a parte gli scherzi, questi quattro sono degli alieni, degli extraterrestri. Altro che E.T. Pure extra-terroni come diceva Lino Banfi di Al bar dello sport. Sì, hanno origini siculo-lucano-calabresi. Qui la Terronia c’è tutta.

Però, mi spiace deludervi e deluderli.

Io sono più bravo di loro.

Ridete da matti e non mi credete?

E allora la vedremo! Sì, io quella di Rebecca vidi.

Se vi dico che è così, oh, è così.

Guardate che non è fantascienza e non è neppure un trip da Ready Player One. In quasi tutti i suoi film come attrice, Rebecca è ignuda.

Non era difficilissimo vedergliela.

Ora capisco la presenza di George Lucas.

Mise in guardia come Obi-Wan Kenobi il suo amico Brian dalle possibili tentazioni delle donne concupiscenti:

– Brian, attento che quella ti renderà come Chewbacca.

 

Di mio, sono spesso un uomo Solo, un vero Han.

Uomini soli, lanciamoci alla volta dell’impero del sole. Speriamo almeno che, dopo quella bomba da crepacuore di Rebecca, non ci scopi, no, non ci scoppi un’atomica da Hiroshima e Nagasaki per troppe emozioni terremotanti come un sisma devastante. Dicasi anche più semplicemente cataclismatico infarto spappolante.

Rebecca, diciamocelo, è bona. Ma è scema.

Di mio, ora vado a far merenda.

Ah, vorrei ordinare anche un ciuffo-banana come quello di Antonio Banderas oltre alle fragoline.

Si può?

di Stefano Falotico

Con l’impresentabile Dumbo, la carriera di Tim Burton può dichiararsi finita? E la magia del Cinema esiste ancora?


27 Mar

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Ecco, premetto questo. Il film non l’ho ancora visto e credo che in sala non lo vedrò.

Perché dovrei recarmi in una multisala e verrei attorniato da una massa tanto festosa quanto insopportabile di bambini pestiferi e chiassosi. I bambini sono la nostra salvezza ma non è propriamente bellissimo, eh eh, assistere al film di un maestro, quale Tim Burton comunque insindacabilmente è, e venir distratti da incontenibili entusiasmi molto, anzi troppo, fanciulleschi.

Detto ciò, mi attengo, almeno per il momento, a quelle che son state le reazioni della stampa italiana nei confronti, appunto, di Dumbo. Che in maniera quasi del tutto unanime e impietosa ha dovuto ammettere che, malgrado la forte simpatia che noi tutti abbiamo sempre riserbato nei riguardi di Tim, cantore favolistico dei diversi, delle vite difficili ed emarginate, sublimatore fantastico di ogni durezza della vita attraverso le sue nere fiabe poetiche, stavolta ha decisamente toppato. E forse la sua carriera s’è stoppata.

Perlomeno, davvero inceppata.

Invero, la Critica americana gli è stata più benevolente ma, si sa, noi italiani siam retorici a parole, demagoghi in trincea ma anche realisticamente, inevitabilmente più cinici. Sì, paradossalmente, questo già bistrattato Dumbo aveva tutti i crismi di un possibile capolavoro burtoniano. La storia dell’elefantino volante, vessato da tutti, che si dimostra prodigiosamente straordinario, lasciando anche i più stronzi e dal cuore di pietra, come si suol dire, con un palmo di naso, ovvero di proboscide, eh eh.

Ma a quanto pare, almeno leggendo le critiche, qualcosa non ha funzionato. Anzi, non ha funzionato nulla. I personaggi sono stereotipati, Colin Farrell che c’entra? E Michael Keaton, per quanto possa sforzarsi, a pelle non è credibile nei panni del cattivone. E soprattutto questo live action è stato accusato di mancare di poesia. Dobbiamo essere crudelmente schietti. Tim Burton non azzecca un film da una quindicina d’anni e passa. Ma è proprio così? In realtà, il Cinema di Tim Burton è sempre stato questo. Poetico, sì, ma anche molto stilizzato. In un certo senso, persino freddo. E sempre più mi stupisco che in Singles lo si abbia paragonato a Scorsese. In verità, Scorsese è quanto di più agli antipodi rispetto a Burton. Anche se Hugo Cabret, sì, qui lo dico, già lo dissi, è il miglior Scorsese degli ultimi vent’anni. Pensate che bestemmi? No.

Non fatemi più vedere, ad esempio, quella boiata stupida di The Wolf of Wall Street. Oltre a essere un film indubbiamente poco poetico, qui manca propria la poetica, signor Martin. Non v’è morale, non v’è nulla a parte le zinne di Margot Robbie e qualche scena finto-scabrosa che potrà aver entusiasmato e scioccato qualche sempliciotto in vena di scandali ma a me non ha fatto né caldo né freddo. Un film orribile! Diciamocela. Mentre Shutter Island è un film mediocre. A essere proprio sinceri, nei contemporanei tempi del cinismo a buon mercato di Black Mirror, la magia del Cinema, forse un po’ di tutto, s’è persa.

E noi non siamo più quei bambini attorno al falò di John Houseman dello splendido Fog di John Carpenter. Le storie fantastiche, le storie sui fantasmi, le storie tenebrose non ci spaventano né emozionano più. Quindi, non è vero che Tim Burton è finito e che il Cinema stesso sia agli sgoccioli. È la nostra umanità che è deperita, incancrenita, abbruttita. Siamo una società senz’anima ed è tutto un altro discorso. Se dite che questo è moralismo spicciolo, non è così, se volete dire invece che è purtroppo la verità, ahinoi, è così. La gente non crede più ai sogni perché tanto si è accorta che si era fatta soltanto un film inutile e pretenzioso. E la smettesse quindi Ligabue con le sue Luci d’America.

 

Le stelle sull’Africa 

Si accende lo spettacolo 

Le luci che ti scappano dall’anima

 

Ecco, a parte che Africa e anima è una rima baciata, no, assonanza dissonante da filastrocca per neonati, la dovrebbe finire Luciano di conciarsi come il gatto con gli stivali.

E smanacciare al vento nelle lande americane. Luciano, mi dia retta, torni nella sua Romagna e si pappi una piadina o un panino con la mortadella.

Lei, molti anni fa, era anche bravo. Va ammesso. Metteva pepe. Adesso è più sciupato in viso di Tim Burton e potrebbe fare concorrenza a Tim Roth de Il pianeta delle scimmie.

Sì, non me ne voglia, si scherza, lei ha perso da parecchio la testa come Chris Walken de Il mistero di Sleepy Hollow.

E, se continuerà su questa strada, farà la fine di Ed Wood versione “rock”. Sì, prenderemo i suoi ultimi album e li faremo a fettine come Edward mani di forbice. Una bella “tosatura”. Potatura!

Sì, la sua musica si è involuta paurosamente. È passato dai romanticismi schietti e ruvidi da Beetlejuice – Spiritello porcello, con tutti i doppi sensi che infilava da marpione qua e là, a romanticherie più buoniste de La fabbrica di cioccolato.

Insomma, lei si sta trasformando in un fenomeno da baraccone, mio briccone. E, ora che è diventato un riccone, fa proprio il ca… e.

Tanto non ci credi manco tu, Luciano, col tuo lifting da Alfonso Signorini.

Tu eri uno del popolo, un po’ sconcio e sbracato, onesto e simpaticamente sguaiato, perché mai ti sei dato al patinato più scontato?

Questo è grave, molto preoccupante. Sì, ci vuole un chirurgo plastico per rifar daccapo questa società di plastica. Questa società di svastiche e vacche. Ci vuole la poesia di un elephant man.

Un Falotico lynchiano che linci, trinci, no, tranci con occhi da lince come Travis Bickle questo mondo andato oramai… e sapete dove. Sì, un mondo che va stroncato subito. Prima che possa arrivare al primo posto del box office di ogni altra puttanata.

Che gigione che sono, ah ah, un po’ Topo Gigio, qualche volta uomo grigio, spesso uno che non transige in quanto della morale ligio. E volteggio nell’aria, ballando di naso lungo alla Pinocchio anche se le sventole mi tirano le orecchie. Solo quelle…

Insomma, mi sa che Luciano ce lo siamo giocati.

Tim Burton è quasi del tutto andato.

Rimane solo un uomo favolista.

Ed è anche favoloso.

Un uomo che va sempre più su, anche se spesso, va detto, questa società di pachidermi lo vuole mettere in gabbia.

 

 

di Stefano Falotico

Il professore e il pazzo, ennesima storia banale di genio e sregolatezza?


20 Mar

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Ebbene, siamo agli sgoccioli. Domani in sala approderà Il professore e il pazzo.

Paradossalmente, esce prima da noi che negli Stati Uniti perché in America sta avendo problemi distributivi.

Doveva uscire lo scorso anno e invece son sorte delle complicazioni.

Segna finalmente il debutto, parentesi esclusa di The First, serie televisiva, di Sean Penn come attore di Cinema dopo quattro anni, su per giù, sabbatici. In cui si è dato a cause umanitarie e anche alle case delle sue mille amanti che non poco devono averlo distratto dalla celluloide. Chissà, forse una di queste sue sempre bellissime (detto per inciso) amanti aveva un po’ di cellulite.

Insomma, dopo divertimenti e tanto impegno, Sean è tornato a recitare con dedizione di ottima dizione e pure col dizionario. Ci mancava questa faccia lupesca, un attore che, come disse il suo amico Bob De Niro, al di là della conclamata bravura, è sempre stato specializzato in personaggi alquanto borderline, molto sopra le righe, non propriamente degli straight men.

Personaggi che si vanno a cacciare sempre in qualche guaio per il loro carattere iracondo e manesco, per colpa delle loro personalità indomabili e furenti.

Ed ecco allora che, a prima vista, questo pazzo rinchiuso in un manicomio criminale di tal suddetto film, gli calza a pennello.

Sean ha il viso spigoloso dell’uomo mangiato vivo da mille dubbi, distrutto da ineludibili complessi di colpa, angariato dalla sua anima angosciata, tormentato più da sé stesso che dagli altri.

Sono curioso di vedere questo film. Tempo fa, ironizzai in merito. Perché le storie di pazzia, soprattutto sul grande schermo, mi han sempre puzzato di romanzata idiozia.

La pazzia è una cosa alquanto seria e non bisogna né scherzarci in maniera cafona né prenderla in maniera spesso falsissima come fanno e han fatto molte versioni, appunto, cinematografiche. Assai retoriche.

Nemmeno il tanto osannato The Master secondo me non è, in fin dei conti, un grande film. Il miglior film sulla pazzia rimane, a distanza di più di quarant’anni dalla sua uscita, il classicissimo Qualcuno volò sul nido del cuculo. Forte, cattivo, vero. Come il miglior Cinema degli anni Settanta.

Esistono molteplici stati di follia. Chiunque di noi, sostanzialmente, n’è affetto. Solo che, obbligato giocoforza ad auto-ingannarsi per sociale convenienza, mente alla sua anima e all’apparenza pare normale.

Nessuno di noi è normale, per fortuna. La persona cosiddetta normale non esiste ed è un bene assoluto che non esista. Perché altrimenti sarebbe un automa, un’anima vuota, un essere robotico.

E non soffrirebbe, non gioirebbe, non si emozionerebbe. Le emozioni stanno alla base di ogni scompenso psicologico, sono il basamento, ripeto, importantissimo e peculiare dell’anima umana, senza di quelle saremmo morti oppure lobotomizzati nel cuore, prima ancora che nel cervello.

Tutti noi, nel corso della nostra vita, a causa di eventi negativi, di sfortune personali, di forti delusioni, appunto, affettive, possiamo incappare nella “pazzia”. O perlomeno in stati psicologici che si avvicinano in un certo senso all’anormalità, all’alienazione, alla dissociativa percezione della realtà, perfino alla demenza e alla schizofrenia più anomala.

Continuative situazioni di stress insostenibile, ad esempio, possono far crollare una persona. Che, deprivata dei suoi slanci vitali, si chiude nel suo mondo. E nell’insania mentale addirittura si crogiola in forma malsana o poco socialmente accettabile.

Perché il grado di sofferenza emotiva è talmente forte e tale da spaccare ogni equilibrio e trascinare una persona, anche la più sensibile, anzi, più sensibile è e più ci casca, negli abissi della perdizione, oserei dire, neurologica.

La pazzia può essere cronicamente patologica, vale a dire incurabile. Cioè, una volta che una persona è stata colta dalla pazzia, la pazzia stessa non è più sanabile e la persona non è in alcun modo recuperabile. Curabile…

Oppure può essere momentanea. Dovuta, come detto, soltanto a esaurimenti nervosi causati da una concomitanza di negativi fattori devastanti.

Stiamo parlando, sia chiaro, di pazzie “psicologiche”, non dettate da cause organiche. Altrimenti il discorso cambia.

Nella maggior parte dei casi, va altresì detto, che chi diventa pazzo è assai difficile che possa ritornare sano.

Anche perché i medici che vogliono curare il pazzo sovente adottano metodi repressivi altamente inibitori, affatto sanatori, anzi deleteri e controproducenti, paralizzando ancor più la già disturbata, rotta sfera emotivo-cerebrale della persona folle.

Prendiamo Leonardo DiCaprio di Shutter Island. Torna bello tranquillo a casa e scopre che i suoi due figli son stati affogati da sua moglie, a sua volta suicidatasi.

Voi avreste retto? No, nessuno può reggere a una tragedia del genere. Neppure Rambo.

Anche Rambo, nonostante la sua resilienza e la sua forza impressionante, prima o poi sarebbe franato a pezzi. Delirando a iosa.

C’è solo un uomo al mondo capace di essere come Sean Penn di questo film ed essere anche più bravo e bello di lui.

Io non starò a dirvi chi è. Non è compito mio. Informatevi e scoprirete di chi sto parlando…

Così è, l’unico uomo capace di essere stato temporaneamente pazzo, si fa per dire, e poi più colto di un professore universitario.

Mah…

Chi sarà?

Non lo so.

Credo che voi lo sappiate.

Io so una cosa. Ribadisco. Nessun uomo è pazzo. E tutti i pazzi comunque sono curabili.

 

– Signor Falotico, dissento. I pazzi esistono.

– Certamente, signor psichiatra. Non sono nessuno per asserire il contrario e certamente lei, per via dei suoi studi, ne saprà più di me. Ma la domanda che vorrei porle, cortesemente, è questa. Secondo lei dunque i pazzi non sono recuperabili?

– Non ho affermato questo. Voglio dire che sviluppano delle patologie contro le quali bisogna essere intransigenti, severi.

– Ovvero?

– Vede? La pazzia, come lei ben sa e come ha ben enunciato nel suo scritto, e mi permetta di complimentarmi con lei, assume varie forme. Esiste la pazzia innocua e la pazzia criminosa. In questo secondo caso, non si può transigere. E bisogna intervenire duramente.

– Cioè?

– Signor Falotico. È inutile che lei continui a pormi domande così retoriche di cui conosce a menadito la risposta. Comunque, se vuole che pedantemente le risponda, bisogna usare i farmaci. E anche potenti.

– I farmaci non servono a un bel nulla. Non facciamo altro, così facendo, che andare a spegnere dei recettori muscolari e neurochimici imprescindibili per la salute psicofisica del paziente trattato. Non è la cura adatta.

– Vede. Lei mi fa molto ridere. Vorrebbe confutare la mia scienza dall’alto della sua semplicistica presunzione? Se io ho studiato e, sa, ho sudato sette camicie per essere arrivato dove sto oggi, conosco la mia materia sicuramente meglio di lei. Che parla tanto per aprire la bocca.

– Io non l’avevo offesa. Ma perdono la sua arroganza.

– Ebbene. Visto che fa tanto il saputello con tale balorda sfacciataggine e quel sorrisetto per cui le dovrei dare una sberla, anziché continuare ad assecondarla, mi spieghi allora secondo lei come funziona…

– Questo lei come se lo spiega? È forse il suo trattamento, la sua scienza ad aver generato questo? Ecco, se questa persona avesse dato retta alle sue fandonie, e non si offenda se appunto le definisco scemenze, questa persona sarebbe oggi un vegetale. E invece legga, sfogli queste pagine. E guardi anche questa foto.

Questa le sembra l’opera di un pazzo? E questo il viso di un pazzo?

– Ah, ma trattasi di un caso diverso. Abbiamo a che fare con un ex pazzo geniale.

– No, non credo.

– Invece sì. Si tratta, come si suol dire, dell’eccezione che conferma la regola. Di una rarità. Sa, su mille pazzi presi in cura, soltanto uno su mille, come dice la canzone di Morandi e Tozzi, ce la fa. Gli altri 999 non ce la faranno mai.

– E lei si è mai dato una spiegazione perché non ce la facciano? Perché sono più stupidi?

– Esattamente. O, per meglio dire, perché sono pazzi. E pazzi rimarranno tutta la vita. E non possiedono le risorse per emanciparsi dalla loro follia. Quindi, l’unica maniera per far sì che la loro follia rimanga contenuta e non possa degenerare in azioni violente contro sé stessi e gli altri, mi spiace ammetterlo ma è così, è appunto l’intervento farmacologico e neurolettico.

– Non è vero.

– Ah, ma lei è incredibile, sa? Guardi, mi ha già fatto perdere troppo tempo. Io sono un professore con tanto di cattedra! Lei è solo un pagliaccio che m’ha proprio stufato. La saluto, addio!

– No, guardi. Mi perdoni. Io non volevo offenderla.

– Questo l’aveva già detto. Ma, nonostante i miei avvertimenti, lei sta continuando inusitatamente a insultarmi.

– Le chiedo umilmente scusa. Mi son lasciato prendere dalla foga.

– Va bene. Adesso torno a sedermi. Però si sbrighi perché devo tornare in ambulatorio.

– Vede. Io non credo che questi 999 siano pazzi. Sono persone che voi non volete ascoltare e non volete aiutare perché siete rigidi e ragionate col culo.

– Ah, ma allora lei è veramente pazzo. Come si permette?

– Mi permetto e ora stia zitto. Mi spiega come sia stato possibile che questo pazzo e quest’altro pazzo che, secondo lei e tutto questo ridicolo, fantomatico reparto medico, avevate considerato irrecuperabili, si sono salvati?

– Perché sì.

– Perché sì che significa? Non significa nulla. Si sono salvati perché hanno cominciato a cercare nella vita il loro obiettivo, la loro anima anziché farsi rincoglionire dalle vostre diagnosi da quattro soldi e farsi rimbecillire dai vostri farmaci.

E qui mi fermo.

– Sì, è meglio che si fermi. Perché sta parlando senza conoscenze. Senza scienza!

– No, non mi fermo.

– Ah, ma allora lei è infermo. Va fermato.

– No, va fermato lei. Sa cosa diceva Einstein? Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.

– E quindi? Che fa, Falotico? Da lei non mi aspettavo che mi cadesse in banalità da citazionismi di Facebook. La credevo meno sciocco.

– Dico quello che ho detto. E lei non ha il tempo né la voglia per fare il suo lavoro come si deve. Veda di prendere meno soldi e d’interessarti davvero ai suoi pazienti.

 

Buona serata.01718325

di Stefano Falotico

L’irreprensibile, immutabile, irremovibile mia visione del mondo infrangibile, una visione da duro


08 Feb

51531079_10213032036578461_6325632175760736256_n 51533593_10213032098099999_2949664357845303296_n

Sì, più passa il tempo e più divento assolutistico. Dogmatico in alcune convinzioni. Radicale eppur non islamico né radicalizzato. Ideologicamente schierato, barricato nelle mie verità inamovibili, perpetue, sacrosante, ribattezzate, sacramentate giorno dopo giorno in un continuo, tremendo forse trincerarmi nella schiettezza più disinibita oppure nel vivo, scorticante scoprirmi in quello che appare un misero fortilizio vulnerabilissimo, una prigione di vetro indistruttibile, inattaccabile da colpire duramente per risate sperticate e offese sguaiate.

E più ridete, più mi biasimate e compatite, più io vado fiero della mia freddezza e del mio stile impeccabile.

Inappuntabile!

E vi rimando a uno dei miei scritti migliori degli ultimi mesi, indiscutibile. Riveduto e corretto per l’occasione.

Ove credo, e lo affermo con estremo orgoglio, di aver azzeccato pienamente tutto. Indovinato le trappole ricattatorie a cui molti di voi abdicano e si conformano per non dispiacere a nessuno tranne a voi stessi, appunto.

Perché, in quest’illusoria, menzognera compiacenza frivola, mercantilistica, asservita e improntata al culto dell’apparenza più edonistica, pensate di vivere felici e invero, neppure tanto segretamente (e basterebbe adocchiare i vostri sfogatoi su Facebook per accorgersi che vi dilaniate in piaggerie e piagnistei patetici), soffrite immensamente nel vizioso circolo perennemente auto-ingannevole d’ipocrisie ruffiane, di vostri scambi di battute mortifere, fasullamente ridanciane ove, recitandovi a vicenda il giuoco e il giogo di leccarvi il culo, pensate qualche volta di aver trovato il vostro quieto porto. L’attracco sereno, libero da ogni angoscia sporca.

E oscenamente sbagliate, ancora una volta. Penosamente insudiciati da una mendace mascherata di baciamani cortesemente allineati a una massa insulsa, bacata, superficiale e facilona.

Io, in maniera ancestrale e abissale, sono incurabile.

Le provaste tutte. D’inganni, maligni sotterfugi, di trabocchetti e appunto ricatti, di proibizioni plateali o ancor peggio dicerie e sgambetti subdoli per adattarmi alla vostra visione del mondo.

E invece il mio no apertamente sbattutovi contro, anziché essersi affievolito…, oh sì, s’è enormemente irrobustito.

Esponenzialmente ingigantito. Tanto che ho assunto il nome di Joker per opporre, dinanzi alla vostra indifferenza inaudita, la mia burlesca scortesia altrettanto truffaldina.

Recito la demenzialità come un man on the moon strafottente, allo zenit di ogni possibile e immaginabile irriverenza e sfrontatezza verace ché, ingiustamente provocato affinché contro-natura cambiassi e beceramente mi omologassi, ai dettami del porcile e delle bieche animalità piamente e piattamente, abbattuto, m’attenessi, nel mio consapevole, onesto, bel delirio persevero e non c’è verso oramai che possa tornare indietro.

Mi affibbierete la patente di coglione ma sarò asceso in verità, vi dico, a omone, miei troioni.

No, non andrò mai col sorriso a trentadue denti a una festa nel fotografarmi, attorniato da veri, questi sì, pagliacci, assieme a delle belle gnocche con tanto di boccacce.

Meglio far il Boccaccio, il goliardico asinaccio dinanzi a tal vile umanità allo sbando, di fronte a un mondo di magnacci.

Sì, sono arrivato a considerare la pornografia ben fatta perfino superiore a Shutter Island. Pensate un po’.

Ora, parlo da uomo che ha adorato Scorsese alla follia, appunto, per tempo immemorabile.

Ma, sinceramente, possiamo prendere i suoi ultimi film e buttarli a mare.

Sì, non sto bestemmiando.

Oggi, avete fatto un gran casino perché sulla RAI hanno trasmesso The Wolf of Wall Street tutto sforbiciato e censurato.

A mio avviso, e non è sacrilega blasfemia, è un film davvero brutto. Pacchiano, interminabile, scontato, volgare.

Assistere a un Pinocchio che mangia, caga, dorme, scopa da mattina a sera, fa soldi sui poveri fessi e via dicendo.

Che palle. Ma questo lo sappiamo già. E il film non ha stile, è piattissimo, una noia micidiale.

Sì, vi siete stupiti della censura? Se fossi stato nel direttore del palinsesto della RAI, io l’avrei completamente censurato. Del tutto. Bruciatelo!

Via, questo film va cancellato. È una schifezza immonda. Ma non perché mostri sesso e cazzi vari, potte e figone, no, non per questo.

Semplicemente perché è una disgrazia cinematografica indicibile. Il punto stilisticamente più rincoglionito di Scorsese.

Ho accennato a Shutter Island. Altro film che, come dicono a Roma, non se po’ vede’.

Ora, Leo DiCaprio impazzisce perché torna dal lavoro e scopre che sua moglie, una specie di Annamaria Franzoni, ha trucidato quelle povere creature dei loro figli.

Ah, troppo facile. Non s’impazzisce in un nanosecondo. La pazzia abbisogna di anni e anni di eventi e circostanze funeste per stabilizzarsi nella doppia personalità.

Non è certo una tragedia a scatenarla di punto in bianco.

E, a proposito della Franzoni, oh, a me pare pure un’ottima figa. Quasi quasi una botta gliela darei.

Sì, è libera, dichiarata innocente. Ed ecco che i giornali vanno a ruba. La gente, che non ha un cazzo da fare, anziché preoccuparsi della propria vita andata a puttane, s’infoia per sapere la verità.

Impazzeranno altri programmi da sciacalli.

Saranno fatti della Franzoni se ha ammazzato o no? Eppure a voi che le puntate il dito e le dite che è un mostro… piace Le ali della libertà. Non capisco…

A proposito di pazze e pazzie. Anche A Dangerous Method è un mezzo film di merda. Ho scritto un libro, David Cronenberg – Poetica indagine divorante, ove poeticamente lo incensai.

Sì, perché è conforme alla poetica di Cronenberg e in questo senso un film magnifico.

Ma il film, preso esclusivamente nella sua sostanza, è una balla colossale. Non si cura la schizofrenia con inculate, carnali e non.

Io sono un esperto in materia. Ma non di schizofrenia e malattie mentali affini. Bensì di illuminata sanità totale.

Anni e anni d’idiozie psichiatriche mi hanno, e qui mi aggancio alla tesi mia iniziale, convinto che la psichiatria, anche la psicanalisi, non risolva nulla.

Di solito, se c’è un disagio preoccupante, il medico cerca, attraverso colloqui infiniti e potenti, col paziente, di risalire alle cause. Non sempre sono individuabili.

E, anche quando si accerta la causa, che cosa si risolve? Niente.

Anzi, peggio. Il cosiddetto “pazzo”, se la sua pazzia era innocua, se la godeva.

Una volta preso coscienza di essere pazzo, che cosa gli rimane?

Può essere che abbia sessant’anni, nessun soldo in banca, eccetera eccetera. Sai che roba.

Almeno prima si trastullava spensierato nella sua incoscienza.

Gli psichiatri, poi, sono unicamente allarmati soltanto da questo: del paziente, della sua salute appunto psichica, di conseguenza anche fisica, non gliene può fregare di meno.

A loro interessa solamente che i suoi “disturbi” non siano di danno a nessuno.

Sono dei poliziotti e tutori dell’ordine. Un mio amico mi disse… non si occupano di pulizia della mente, bensì sono la polizia della mente.

È tragicamente vero. Agghiacciante.

Se un paziente loro in “cura” diventa non un peso morto bensì un peso massimo di trecento chili e un vegetale perché bombardato di farmaci e sedativi allucinanti, agli psichiatri non frega nulla. Non sbatte, come si suol dire, un beneamato cazzo.

A loro importa solo di preservare una parvenza di pseudo-tranquillità tristissima, ripugnante, oserei dire criminosa, infame e delittuosa, azzerando una persona, inibendola, semmai pure castrandola, psicologicamente annientandola, al fine che non faccia più casini che potrebbero mettere in pericolo la sua incolumità e quella del prossimo.

Un abominio osceno.

Anziché curarla davvero, sensibilizzarla, valorizzarla, perdonarla se ha commesso involontariamente degli errori, la psichiatria viene usata a scopo punitivo, tamponante, ai limiti dei più inguaribili orrori lobotomizzanti e nazistici.

E in questo non si differenzia molto nel suo agire, sopprimere, castigare e frenare, alla società di massa.

Che ipocritamente zittisce chi la pensa diversamente col potere capzioso d’un inganno e di una slealtà che va a parare sempre sul sesso, sulla forza, sulla virilità e la femminilità, sulle apparenti debolezze e sulle intrinseche e non, presunte, pregiudizievoli fragilità.

Una visione del mondo adattatasi alla potenza del denaro, in poche parole alla forza… della maschera.

Perché pensate che molte persone si laureino, ad esempio? Davvero perché credete che abbiano semplicemente istituzionalizzato il loro sapere in una determinata e da loro designata disciplina?

No. O perlomeno è vero per chi, ottemperante a una referenzialità formale, applica le sue conoscenze per un fine superiore. Per un arricchimento emotivo e culturale che possa donare loro migliori strumenti interpretativi.

Ma i più sfruttano il pezzo di carta per sentirsi superiori e dettare, da dittatori, la propria privilegiata legge sul debole di turno, ricattandolo.

Si chiama fascismo, si chiama ignoranza, si chiama arroganza, supponenza, si chiama idiozia.

 

Ed è per questo che, nonostante tutto, io sono davvero il Genius.

E nella vita devo fare quello per cui sono nato. Scrivere di Cinema e non, non posso essere coglionato nelle sceme(nze) generali.

E poi… ieri il Frusciante ha esaltato JFK di Oliver Stone.

Ce la possiamo dire? Non è un granché. È cronachistico, documentaristico, uno sfoggio di montaggio purtroppo retorico, al solito spettacolarizzato, con mille attori importanti messi lì in cammei tanto per dire… ah, c’è pure Kevin Bacon, anche Pesci. Anche quell’altro. Come si chiama pure?

È un Cinema vecchio.

Invece io sono sempre più giovane.

 

E cammino spavaldo, grattandomi anche un uccello invidiato che sa il fallo suo. Sì, il fallo. Il Falò!

Un uomo che, sotto il suo bianco accappatoio, non ha niente da nascondere.

E, se nasconde qualcosa, è soltanto perché questo qualcosa spinge e potrebbe provocare turbamenti oltre il borghese senso del pudore.

E non va pene, no, bene. Invece, va benissimo.

 

 

di Stefano Falotico

Il masochista di Shutter Island contro chi ama City of Angels con Cage & Ryan


19 Sep

 

ASHECLIFFE

Da an(n)i irredenti, “ridentissimi”, (insalva)bile, detengo lo scettro di “matto” per eccellenza. La gente mi teme, sono il più “pericoloso”, sì, mentre gli altri s’ubriacano di fighe, pizze, pizzicotti e (ri)cotte, io, “violento”, mi sparo “solo” la sega d’essere un investigatore. Delle mie indagini ho narrato nel libro “Cuore angelico, tenere tenebre sanguigne” (se lo compraste, uscirei dal “manicomi-c-o”), mia rielaborazione sui generis di Angel Heart, per una storia che assomiglia a questo corridoio della paura di natura scorsesiana. Sono uno scrittore alla Torrance, Shining… il mattino ha l’oro in bocca e non sfamerò bocche né di figli né di (s)figa, “elevandolo”, no, innalzando la mia vita a totale menefreghismo e fottuta presa per il culo alla Giuliano Ferrara e anche alla Abel di The Addiction. Leggendo quanto segue, capirete il perché del mio atteggiamento nei confronti della società del “cazzo”.

Sì, “vampirizzo” (ca)risma in me sorvolante placida pazzia di cieli infiammati del mio egoismo, sempre meglio che essere un solipsista. Ad esempio, cercate sul (WCnet, le opinioni “cinematografiche” d’uno “laureato” in “Scienze della Comunicazione” che si spaccia per “giornalista”. Ha intitolato il suo ultimo post così: “I veri attori, eccetera”.

Egli, sì, che è “acculturato” e “direttore-ritto” d’avermi alla “schizofrenia” ridotto.

Sì, come il mio alter ego Andrew Laeddis, dopo che infamò la mia sessualità, dopo che mi calunniò, dopo che barbaramente invase la mia privacy dell’anima, io mi ribellai e gli minacciai di bruciargli la cas(s)a.

Fui fermato e mi diedero l’infermità mentale, quattro mesi di ricovero psichiatrico e sei mesi in una struttura di “recupero”, con l’accusa che m’ero inventato tutto e me l’ero presa, “senza motivo”, con un perfetto “estraneo”, “san(t)o”. Insomma, “diagnosi” di deliro paranoide e sdoppiamento di personalità.

Ci fu un processo e il farabutto, sebbene non confessò tutta la verità, cioè che era lui a volermi ardere vivo, perché “semplicemente”, come fanno i nazisti, mal sopportava la mia “bella” fig(ur)a, fui scagionato e reso “libero”, con l’aggravante non da poco di mesi e anni devastati.

Al che, m’incazzai e su uno dei suoi siti “cinematografici” scaricai la mia rabbia.

Adesso, m’ha denunciato per stalking. Ma “lui” è uomo di “dignità!”.

Insomma, oltre al danno la beffa, perché rischio che m’internino di nuovo a “Shutter Island”.

La cosa-Casa horror della storia che avete letto è questa: il film era pura invenzione tratta da un libro di fantasia, la mia storia è “reale”, così tanto che nessun produttore vuole investire su una dura (tras)posizione, perché nessuno gli darebbe credito. Anche il mio avvocato sta mollando la presa.
E che c’entra City of Angels? Insomma, io sono l’autore de “Il cavaliere di Parigi”, altro libro monumentale in vendita nelle migliori librerie ma poco comprato, lui è uno che adora questo Nic Cage che, melenso e scimunito, “ama” la sua Meg Ryan.

Ognuno, in fondo, ha la scem(enz)a che si merita e che lei si “marita”.

(Im)morale della storia: i matti vivono “felici e contenti”, i sani di mente, che scrivono libri, hanno in corso giudiziarie vertenze.

Tutto ciò è “normale”.

 

 

di Stefano Falotico

Il Talento, dono spesso innato quanto invidiato: 7 film in cui ce ne “districheremo”


03 Jul

 

Il Talento, T maiuscola di tonitruante abba(gl)io, sfoderato o “ritratto”, socchiuso fra palpebre docili o restio a sguainarsi, “inguainato” nei soliti guai, o spesso voce che non “sguscia”, che si castiga o, masochisticamente, tende altrove per autoingannarsi paurosamente d’ali tarpate da sé, che temono il Tempo, lo moderano troppo e, molte volte, si modellano nei canoni altrui, “tremolanti”, che poi lo “scannano” dopo averlo “inoculato” secondo la loro “parvenza” che lo vede distorcendolo di personali percezioni, filtrandolo nell’ottica d’occhi “fraudolenti” o infigardissimamente bugiardi a scheggiarne la limpidezza, la forza insita e intrinseca, ad addomesticarne la potenzialità per “indocilirne” quei “lineamenti” grezzi che sono alla base, invece, della nostra essenza ed unicità.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Il talento di Mr. Ripley (1999)
    Storia macabra da gelar il sangue. Dalla signora Highsmith, un “horror” mascherato da dramma, un thriller velatamente menzognero quanto le omicide bugie che sottendono l’assassinio premeditato.

    Talento uguale invidia in chi lo ammira, lo guarda e se ne vorrebbe impossessare, rubandogli la vita.

  2. Una storia vera (1999)
    Straight
     sta per dritta, ma anche per semplice, ché semplice non è mai, quando si vive in questo nostro Mondo.
    Augurandoci un Paradiso che non esiste, (r)esistiamo, oggi allegri, domani arrabbiati e dopodomani “pazzi”, in questa Terra già sconsacrata dalla sua purezza originaria. Viandanti in cerca della nostra redenzione e d’un ricongiugimento affettivo con un fratello lontano, che ha sfiorato la morte, per cui trepidiamo, per cui sogniamo ancora nelle praterie su un trattore, negli occhi d’un “vecchio” saggio, il cui talento è la vita che brilla nelle sue iridi. “Stanche”, linde come il primo respiro “materno”, (dis)illuse, “veliere” on the road, sofferenti, preoccupate, angosciate, col gusto ancora del sospirarla e di tutto ciò che la sua grande anima ha esperito.

    In questo capolavoro non c’è “trama”, non c’è “niente”, c’è tutto.
    Immenso.

  3. Heat La sfida (1995)
    Nessuno ha “talento” in questa storia di uomini e di donne.
    Di grandi perdenti nella Notte, di gatti e topi, di rapinatori innamorati, di sbirri moralmente più giusti dei loro matrimoni sbagliati, di un’adolescente abbandonata e recuperata in extremis, di folli corse in macchina e sparatorie da polveroso western.

    La poetica di Mann è un talento aggiunto.

  4. Shutter Island (2009)
    Che talento hanno questi angeli perduti?
    Internati in un manicomio formato Alcatraz.

    Dopo pochi minuti, leggiamo una scritta: anche noi abbiamo amato, anche noi…

    E, nella “mostruosità” del proprio Cuore rubato, l’agente Daniels scopre che è ancora un Uomo.
    Ed è così, infatti, che vuole morire, nella straziante scena d’un finale “tragedicamente” annunciato.

  5. L’anno del dragone (1985)
    Chinatown è un posto di serpi, un Mickey Rourke mai così in parte, che cambia “colore” di capelli a ogni inquadratura “brezzolata”, insegue la sua preda, flagellandola in uno scontro a fuoco secco quanto epico.
    La vita va avanti e, il Giorno dopo, la tua Donna ti aspetta.
    Anche se che sei una merda come il “cattivo”.

    Il talento dell’amore.

  6. Il Cavaliere Oscuro (2008)
    Batman contro il Joker.
    Invero, Batman è uno psycho puro, non per niente Christian Bale ne riveste la “tuta”, i panni nerissimi.
    Ma è un matto che combatte per il bene, il Joker è un folle terrorista senz’arte né parte.

    Il talento d’una follia maggiore, perché orientata al benessere.
    Nonostante tutto.

  7. La sottile linea rossa (1998)
    La Natura primitiva e cosmogonica è il talento che l'”uomo” ha ucciso per stupide guerre a bruciarla.

La “fiaba nera” del lupo scorsesiano


09 May

 

Sì, dopo lunghe, attentissime, scrupolose meditazioni, son giunto a tale conclusione.

Una delle parole chiavi del Cinema di Martin Scorsese è “lupo“.

Il lupo, allevato fuori dal branco, con una sua precisa, sebben “sospettabile” morale, che mira alla sopravvivenza, che si sfama soprattutto di albe pure in un “morphing” contemplativo perfino di sé da Natura libera da cervo, spesso sua preda, dunque simbiosi, ché, divorandolo, metabolizza cellule, anche sanguigne, di ciò che, all’apparenza, per “evidenza”, n’è nemesi, alterità.

Chi è, in effetti, Travis Bickle se non un lupo nella giungla, che scruta, non si “sfama” eppur, a suo modo, (si) mangia, allergico all’animale sociale?

Chi è quel DiCaprio “spaurito”, tenebroso e “docilissimo”, che, di tutt’orgoglio, asserisce “pomposo”, al cospetto della “morte” in persona “bergmaniana”, Max Von Sydow, che è stato educato dai lupi?

Quel DiCaprio che, ad Agosto, quindi prestissimo, ah, il Tempo, come vedete è assai lesto, incarnerà proprio il “lupo”, il titolo non può lasciar adito a dubbi, The Wolf of Wall Street, metafora del potere scarnificante, dell’anima “buia”, “malsana”, sporca, (auto)distrutta che, eppur, resiste.

So di non avervi convinto.

Ah, non è così, secondo voi?

Ogni “addormentata“, in un bosco delle “favolette”, “fragolosamente”, incontrò Max Cady:

 

 

Salvation…

(Stefano Falotico)

Siamo tutti i matti di qualcuno, che ci (po)mata


24 Apr

 

Dottori del “tene(b)ro-orso” lindo su “paure & deliria Las Vegas

 

Ah, le “anomalie” mentali son mio fiero diletto, me ne “uncino”, seviziandole e saziando il plasma neuronale di “convulsioni” glabre, soffici, quasi di fusa, e diffuse, nella gattesca beffa “corrosa” d’”ustioni” su lacera pelle nelle macerie e macerazioni comuni, e m’intono, “schizzo” serpentello nei miei attriti (sì, qualche volta, non tira, “ondulato” si scombina in snodato onanismo) con la realtà sociale, tra una ragazza che mi ripudia, uno che mi sputa, e un “capo” che mi “spidocchia” con “autorevole creanza” di pancia, nel “curativo” sorrisin che, “tintillandomi” e blandendomi, ingarbuglia il bandolo delle mie matasse, da tasso… nel suo taxi driver, anche Torquato, liberate Gerusalemme, infidi infedeli, ripristinate l’aroma della credenza popolare, del sagrestano, orsù, miscredenti, non inscenate follie altrui solo perché li tacciate di “creduloneria”, i puri saran, “smodatamente crudeletti”, non nudi e crudi. Son rudi e combattivi e non sventolano bandiera bianca, ostinati issan in gloria l’aroma degli amori, liberi nel vento, fra una penisola iberica, nuove “ibernazioni” e piacevoli “scostumatezze” di mutante azione. In uno scatto sorprendente, da bocca aperta, ah, eh, adesso abboccate voi, il “giogo” non durò poco, e ora è “duro” più incendiario di quando non “piselleggiò” ma, appisolandosi, s’isolò.

 

Rido, rido quando un critico della mutua, introduce il capolavoro di Von Trier, con sesquipedale ignoranza che, a “ragion” sofistica e citazionista della sua “coltezza”, cita, “a pappardella”, una nota introduttiva sulla cosiddetta “schizofrenia”.

 

Costui, tal impostore di “forbite” parole ben acco(r)date, dai modi perfettini, ha solo letto questi “opuscoli” a mo’ di manualetti?

 

Schizofrenia con “risvolti” irrefrenabili con “riporto” d’alopecia e gastriti intestinali per il digestivo Giuliani…

Segnalibro” per ogni falso, superficiale “libraio” delle anime altrui.

Tenetelo, appunto, a mente, quando qualcuno vorrà “disilludervi” e smontarvi, ficcandovi dentro questi “reparti”.

 

Definizione

 

Con il termine Schizofrenia (una parola d’ascendenza oscurantista di caccia alle streghe, che incute timore già a udirla, per pelle accapponata e non “insaponata”) vengono indicati una serie di quadri clinici caratterizzati, tra l’altro, dalla presenza di disturbi formali e del contenuto del pensiero (deliri ed allucinazioni), evoluzione cronica e progressivo deterioramento della personalità.

 

Epidemiologia

 

In letteratura vengono riportati valori di prevalenza (numero di casi in un determinato intervallo di tempo) compresi fra 0.1 e 1%; il rapporto maschi/femmine è di 1:1 mentre l’età all’esordio sarebbe più tardiva nelle femmine (tra i 25 e i 35 anni) rispetto ai maschi (tra i 15 ed i 24 anni).

 

Studi effettuati su famiglie di soggetti schizofrenici hanno rilevato che fra i loro parenti di 1° grado c’è un rischio 18 volte superiore rispetto alla popolazione generale di sviluppare il disturbo. La presenza di complicazioni ostetriche alla nascita rappresenta un fattore di rischio in soggetti con familiarità positiva per Schizofrenia.

 

Psicopatologia

 

Le manifestazioni cliniche della Schizofrenia sono alquanto numerose e mutevoli nel tempo; di seguito vengono sintetizzati gli elementi psicopatologici che, combinandosi tra loro, caratterizzano il quadro clinico della malattia.

1. Dissociazione mentale. Indica la perdita dei legami associativi tra le singole idee; la conseguenza è che la condotta e le modalità di comunicazione del paziente diventano bizzarre ed incomprensibili.

2. Autismo. Si caratterizza per un distacco profondo dalla realtà, talora associato ad una ricca produzione fantastica sostenuta da deliri ed allucinazioni.

3. Turbe della coscienza dell’Io. Il soggetto avverte i contenuti psichici non più come propri, ma estranei a se stesso, imposti dall’esterno.

4. Disturbi percettivi. Comprendono i fenomeni allucinatori che possono essere uditivi, visivi, gustativi, tattili etc. Tipiche sono le voci dialoganti, imperative, offensive, i fenomeni di eco del pensiero, di possessione del proprio corpo o di violenza sessuale.

5. Disturbi del contenuto del pensiero. Le tematiche deliranti più frequenti sono quelle persecutorie, ma possono essere presenti anche deliri d’influenzamento, di controllo, di grandezza, nichilistici, erotici, somatici, mistici, di trasformazione corporea etc.

6. Disturbi del linguaggio. Nel soggetto schizofrenico possono essere presenti diversi disturbi del linguaggio, ad esempio: paralogismi (sostituzione di una parola con un’altra che ha un significato diverso), neologismi (creazione di termini nuovi), schizofasia (il linguaggio perde di coerenza e di comprensibilità), ecolalia (ripetizione automatica delle frasi udite), palilalia (ripetizione di un discorso, ma con formulazioni verbali differenti), stereotipie verbali (ripetizione regolare di una parola o di un gruppo di parole), mutacismo etc.

7. Disturbi dell’affettività. Possono manifestarsi, ad esempio, sotto forma di atimia (indifferenza affettiva rispetto a qualsiasi stimolo), paratimia (discordanza tra reazione emotiva e stimolazione: un sentimento piacevole determina tristezza o rabbia e viceversa), stati di umore euforico etc..

8. Disturbi dell’istintualità e della volontà. Nei soggetti schizofrenici sono frequenti alterazioni qualitative e quantitative degli istinti vitali (lavarsi, produrre etc.) e sessuali; si possono osservare inoltre disturbi psicomotori catatonici quali lo stupore catatonico (il soggetto può rimanere immobile per settimane o mesi, indifferente alla realtà esterna), l’eccitamento catatonico (stato d’iperattività con manifestazioni improvvise di violenza auto o etero diretta), le stereotipie (ripetizione continua di schemi di movimento, di gesti o di parole), i manierismi (modalità d’espressione motoria che rappresenta un caricatura di atteggiamenti normali), il negativismo (il soggetto compie azioni contrarie a quelle richieste).

 

Forme cliniche

 

Kraepelin riconobbe tre varianti cliniche di Schizofrenia:

1. Forma ebefrenica, caratterizzata prevalentemente da apatia, disinteresse, disadattamento ed incapacità a svolgere le normali attività quotidiane; è presente inoltre un certo grado di disorganizzazione dei processi ideativi.

2. Forme catatoniche, nelle quali prevalgono fenomeni come lo stupore catatonico (soppressione di ogni movimento), il negativismo (manifestazioni oppositive), le stereotipie, atti di obbedienza “automatica” etc..

3. Forme paranoidi, nelle quali prevalgono, su tutte, le manifestazioni deliranti.

 

Alle tre varianti proposte da Karepelin, Bleuler aggiunse una quarta variante clinica da lui definita Schizofrenia semplice, caratterizzata da esordio precoce, evoluzione lenta e da continuità con tratti caratteriali preesistenti improntati all’isolamento dall’ambiente (schizoidia). I più recenti sistemi classificativi delle malattie mentali (ad esempio il Manuale Diagnostico-Statistico dei Disturbi Mentali — Edizione IV-R) hanno sostanzialmente accolto la suddivisione orginaria effettuata da Kraepelin.

 

Sulla base di considerazioni psicopatologiche e cliniche è stata proposta un’ulteriore suddivisione nelle seguenti due forme cliniche:

1. Tipo1, con sintomi “positivi” (deliri, allucinazioni), “disorganizzazione “produttiva” del pensiero (incoerenza, illogicità, deragliamenti, tangenzialità) e comportamenti bizzarri. Il decorso di tale forma è acuto, la risposta al trattamento favorevole e la prognosi relativamente buona.

2. Tipo 2, con sintomi “negativi” (impoverimento delle capacità verbali, alogia etc.), appiattimento affettivo, apatia, asocialità, anedonia, anergia. In questo caso il deterioramento comportamentale è grave, la risposta ai trattamenti è scarsa, il decorso è peggiorativo, la prognosi particolarmente sfavorevole.

 

Decorso

 

Fase prodromica

Si caratterizza per un cambiamento netto, rapido, ma a volte subdolo, del soggetto; esso può essere scambiato per una crisi adolescenziale, per una reazione eccessiva ad eventi di vita stressanti tuttavia, la persistenza e la tendenza peggiorativa, sono caratteri distintivi della fase prodromica della Schizofrenia.

 

La manifestazioni più significative sono l’isolamento dall’ambiente con ritiro sociale, lo scadimento del funzionamento nelle diverse aree d’interesse, (scuola, lavoro, famiglia etc.), talora sono già presenti comportamenti strani o francamente bizzarri. La durata di questa fase è estremamente variabile, da giorni a settimane, da mesi talora ad anni.

 

Fase attiva

 

Si manifesta dopo un intervallo di tempo varabile, anche di anni, con la presenza dei sintomi tipici del disturbo.

La malattia può avere un’unica fase attiva seguita dalla fase residua oppure possono aversi più fasi attive differentemente intervallate fra loro.

 

Fase residua

 

Si caratterizza per il marcato deterioramento nelle diverse aree del funzionamento (familiare, sociale, lavorativo).

L’eventuale presenza di più fasi attive precedenti peggiora ulteriormente la sintomatologia della fase residua.

 

Trattamento

 

Il trattamento della Schizofrenia è complesso è deve tener conto di diverse variabili quali il quadro clinico, la fase del decorso, l’aderenza del paziente al trattamento, la disponibilità di presidi terapeutici territoriali, la disponibilità (o la capacità) dei familiari a collaborare al trattamento etc.

 

La terapia farmacologica verte essenzialmente sull’impiego di farmaci neurolettici mentre quella elettroconvulsivante è talora riservata ad alcune forme gravi (ad esempio catatoniche) e resistenti ai farmaci; la messa in atto di trattamenti di tipo socio-riabilitativo è utile nella gestione delle fasi residue della malattia.

 

Ah, qui c’è da ridere, un luogo comune dietro l’altro e generazioni per lo psichiatra “generico” o degenerato che “accavalla” sempre più “diagnosi avallanti”, a valor della sua “posizione”, forse “rabbuiante”, di tanto suo “umor(istico) brillante-ina” su ciuffettin “mosciarellissimo”, e segretarie, non tanto “bianche”, ma “mozzarelle, di cosce d’Inverno, e di caldi ogni dì nello sgabuzzino, per “rallegrarla” d’Estate abbronzante in una vacanzina di “creme solari” di “piluccandoli”.

 

Sì, altre patologie, altre cazzate.

 

Fobie sociali, depressioni bipolari, panici e ragazzi nella “tana”.

 

Quando tutto ciò mi “rompe”, bisogna arginar l’ipocrisia, e godercela in questi film, con una Donna che non ha paura delle sue scollature, dei suoi collant, e di bere “a collo”.

 

Fidatevi, non suggestionatevi, amate la suggestione.

Se “vien” anche (nel)la suzione, è meglio, piacevolissimi si suda davvero.

“Freddi”, praticamente in mutande.

 

 

Sì, con queste facili definizioni da “prontuario” soprattutto del conto in banca del borgheson che tifa “Basket” per “cestinar” le “palle” altrui, certa gente se le “fa” nelle ville al mare.

 

Se devo scegliere fra il “male” minore, scelgo il bene “delirante”.

Evviva Robert De Niro!

 

 

Nella mia vita incontrai un dottorino ino ino che voleva “lobotomizzarmi” così.

 

Il suo cervello è ben “accaldato”.

 


Firmato il Genius

 

Della serie: “Volete fare fesso me, fessacchiotti?Dai su, guarda che fondoschiena che c’è lì…”.

L’incanto dell’incantatoria


27 Nov

 

Martin Scorsese, il suo Hugo Cabret, pronto a sbarcare anche da noi, col suo carico fantasioso.

E io che lo omaggio, così:

 

 

Firmato il Genius

 

 

Genius-Pop

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