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NOMADLAND è un capolavoro ma molti “critici”, anche “psichiatri” non la pensano così – Vi ricordate Nanni Moretti contro il critico in Caro diario?


11 May

nomadland di martino

Ora, in una Roma desolata d’inizio anni novanta, impazzò Nanni con la vespina senza la vispa Teresa. Una Roma di popolane, una Roma spopolata poiché i romani e non solo, durante i mesi più caldi dell’anno, dopo una vita stressante a base di complanari e circonvallazioni trafficatissime, dopo ore d’attesa impaziente alla Tiburtina, abbandonano la capitale per recarsi a Rimini. Sì, a Rimini o a Riccione. Parlo della gente ricca, cioè dei nababbi di Roma. I quali, pur disponendo di pecuniarie somme ingenti, accumulate peraltro con intrallazzi illeciti e, diciamo, non del tutto pulitissimi, da veri pusillanimi però animosi di avere un ruolo di rilievo, più che altro porcellesco, nella società carnale ed economicamente altissima più dei tacchi vertiginosi di una modella borgatara di Spinaceto, anziché andare, che ne so, a Parigi… ecco che consumano esosi patrimoni per viaggiare alla volta dell’Adriatico, di Ibiza o di qualche meta esotica ove le nottate più sporcamente erotiche la faranno da padrone/a.

Loro ce l’hanno fatta, loro si fanno il culo… non sono mica un pasticcere trozkista!  Cosicché, anche le matrone e le portinaie di squallidi e fatiscenti appartamenti desolati di Porta Pia, anche le balie alla Raffaella Ponzo de Il corpo dell’anima, vengono per l’appunto accalorate non da un Roberto Herlitzka ringalluzzito, bensì dalla prospettiva di poter sguazzare in acque putride, bazzicate da meduse e da bagnasciuga di perizoma, no, da bagnanti con la caciotta in mano in quanto emigratisi temporaneamente lungo litorali meno tragici di quello di Ostia, ove Pier Paolo Pasolini fu assassinato non da un complotto, bensì dalla mentalità retrograda di un Paese che predica la moralità e poi segretamente turismo sessuale in Scandinavia pratica, un Paese che sa solo crogiolarsi nel fintissimo motto secondo il quale siamo, fummo e sarem(m)o una nazione di poeti, santi e navigatori. Perché Sanremo è Sanremo!

Sì, un Paese soprattutto di arrivisti, di assassini mai visti. Sì, mai visti nel senso che ammazzano il prossimo, diverso da loro, non commissionando il crimine efferato a Peluso o a Frank Sheeran/De Niro di The Irishman, bensì massacrando di sfottò ignobili, poco ridicoli, invero assai risibili, profondamente denigratori, degradanti e umiliantissimi, tutti quelli che non hanno accettato un mondo di maiali come Russell Bufalino.

Come già dettovi nei miei scritti corsari alla Pasolini forse anche di Abel Ferrara, lo sport nazional-popolare che va per la maggiore qui da noi, sì, l’attività agonistica, più che altro crudelmente egoistica e fottutamente, schifosamente narcisistica in senso figurato prettamente poco comunista, soprattutto furbissima, non è il Calcio. Bensì la presa per il popò infima, vigliacca, premeditata e distruttiva. Cioè la visione per l’appunto più legata al concetto intimo e intrinseco di bieco fascismo, mascherato dietro sorrisini zuccherosi e mielosi, dietro pose sdolcinate e la cortesia più morbosa a sua volta partorita da una catto-borghesia più ipocrita del protagonista interpretato da Michele Placido ne Il caimano.

Nanni Moretti ironizzò sulla cosiddetta, presunta Critica cinematografica. Conosciamo bene i suoi sfottò, però sani e dissacranti, intelligentemente polemizzanti e autoironici, riguardo Strange Days e Heat. Specialmente, è impressa nella nostra memoria di cinefili amanti dell’opera prima di John McNaughton, cioè Henry, pioggia di sangue, capolavoro immane, l’invettiva di Nanni contro il falso critico Carlo Mazzacurati… Per alcune ore, vago per la città. Cercando di ricordami chi aveva parlato bene di questo film. Io avevo letto una recensione su un giornale. Avevo letto qualcosa di positivo su Henry. Improvvisamente, mi viene in mente. Trovo l’articolo e lo voglio proprio copiare sul mio diario. Eccolo qua: Henry uccide la gente ma è quasi un buono. Di poche parole, contano i fatti. Invece il suo amico Otis è una carogna. Henry vive una pazzesca solidarietà con le sue vittime. È un principe sangue blu dell’annientamento e promette una morte pietosa. Otis, no! Il regista risveglia il suo pubblico in un incubo ancora peggiore con una doccia finale di splatter, occhi infilzati, carne martoriata. L’abominio! Henry è forse il primo a violare e a vilipendere, con tale lucidità, la filosofia criminale dei lombrosiani di Hollywood.

Ecco, penso ma… chi scrive queste cose, non è che la sera, magari prima di addormentarsi, ha un momento di rimorso?

 

Similmente a Nanni, rileggo le critiche oscene rivolte a un film magnifico, un film devastante, un film straordinario, un film grandioso, un film che non si può discutere.

Cioè il sacrosanto e assai giusto vincitore dell’Oscar di quest’anno, vale a dire Nomadland.

Partiamo con la cosiddetta esperta di PSICOANALISI ETICA! Ramo iper-progressista, ah ah, terribilmente inutile come Psicologia del Lavoro (!), con tanto di sottotitolo molto cool, ovvero: Tra clinica, arte e contemporaneità.

http://www.psychiatryonline.it/node/9147

«Un film noioso, piatto, acritico, apolitico e sì apolide, almeno. Ma quel che è grave, privo di fantasia.
I fatti si succedono senza invenzione, senza sorpresa, senza giochi di parole, di immagini, di piani narrativi, di dimensioni.

Un film pieno zeppo di premi, Oscar, Leoni d’oro, Golden Globe. Mi chiedo cosa si volesse premiare. La protagonista, Frances McDormand, per fortuna è brava e la sua faccia è bella, piena di rughe e giovane, così poco plastificata e patinata. Avresti voglia di prendere una birra con lei, sperando però non parli come nel film, senza fantasia.

Stati Uniti, crisi economica 2007/2013, Fern perde il marito e il lavoro e parte in giro con il suo furgone, attrezzato tipo un camper. E lavora, per esempio in Amazon, di cui dice di essere contenta e di guadagnare bene. Forse è per questo che gli hanno dato i premi.

Di critica sociale mi sembra non ci sia granché, per esempio una condanna al mercato immobiliare selvaggio, una delle principali ragioni della Grande Recessione, quella che ha portato anche alla chiusura dell’Empire, l’azienda dove lavoravano Fern e il marito. E poco altro.

I dialoghi sono una successione di narrazioni di fatti, quasi del tutto piatti, senza poesia, ironia, originalità. Ci sono brandelli di vite, è successo questo, hanno fatto un certo lavoro, qualcuno si è ammalato, qualcuno voleva suicidarsi. Lo spessore emotivo dei personaggi è degno di Flatlandia. Fern stessa non si lascia conoscere che nello scorrere della sua quotidianità, la vediamo piegare le mutande, la guardiamo, ma non la vediamo. La sua anima è nascosta dietro il lutto non fatto del marito. Che sappiamo di questa donna, tranne che ha un profilo affascinante? Amava suo marito, perlomeno le manca. Ok, come dicono gli americani, e allora?

Stralci di vite dei personaggi si alternano come nelle sedute degli alcolisti anonimi o degli altri gruppi di auto-aiuto. Un inno alla resilienza, adattarsi, accontentarsi, non interrogarsi, non provare a cambiare niente, se non la propria vita, in un’eterna adolescenza immobile e ripetitiva.
Sarò cattiva, ma sarebbe d’accordo anche Winnicott che senza gioco non c’è età adulta o Carroll che tutti hanno bisogno di sognare ad occhi aperti. Si rinuncia alla fantasia, in un’opera di fantasia, delegando la magia a una natura di cui non si vedono abbastanza i segni delle ferite inflitte dal post-capitalismo.
Fern dove sei? Sei stata solo una moglie? Senza di lui non sogni anche tu ad occhi aperti come Alice sul prato? E ti brillano gli occhi davanti a un nuovo autocaravan superaccessoriato.
Dove sei Fern? Non ci sei perché nessuna vita umana e tantomeno un’opera è degna di essere vissuta senza fantasia… Sei la giustificazione di questo sistema, sei tu che preferisci essere nomade, sei tu che sei migrante, sei tu e io che sto al caldo sul divano non c’entro, non sono colpevole, dai godiamoci il panorama, è ancora gratis».

Firmato Annalisa Pellegrini

 

Ora, se invece Federica Pellegrini è una grande campionessa di Nuoto, fa bene a esserlo e a non occuparsi, che ne so, della recensione di Waterworld.

Non credete?

Sì, nella mia vita conobbi psichiatri laureatisi con 110 e lode + 7000 master che non compresero la “pazzia” di Joaquin Phoenix in The Master, neppure in Joker.

Soprattutto vidi redattori di Cinema, i quali intitolarono il loro sito di “approfondimento esegetico sulla Settima Arte”, come Spietati…

Ma uno dei loro registi più odiati, inspiegabilmente, è Clint Eastwood. Ah, capisco, spietati non ha a che vedere col capolavoro omonimo di Clint. Almeno nel titolo italiano poiché quello originale è Unforgiven.

Spietati as sinonimo di malvagio, duro, crudele, feroce, violento, disumano, inumano, sanguinario, brutale, bestiale, barbaro, efferato.

Cioè dei critici metaforicamente killer da Henry… ah ah.

In effetti, cavolo, se dal sito spietati.it, estrapoliamo e peschiamo la seguente recensione, deduco che qui siamo di fronte a una Hannibal Lecter mista a Godard della carta stampata. Non ho parole, sono impressionato!

https://www.spietati.it/nomadland/

«Sinfonia americana sigillata dalle musiche di Einaudi, garanzia d’acchiappo liricista ed evocazione di profondità d’animo, che è un attimo si stornino in ridondanza se pescate senza giusta misura. La parabola (ma è un falso movimento, finanche posticcio) è quella di Fern, in povertà dopo la crisi della Grande Recessione (la presumiamo, sui titoli di testa, ché non entra mai nel quadro narrativo, nel disagio sociale, nel contesto emotivo) e in composto lutto dopo la morte prematura del marito. La mano benefattrice di Amazon l’accoglie e ripara, una collega le suggerisce un’alternativa esistenziale: il nomadismo. Che non significa rinunciare a una casa, attenzione, bensì a un’abitazione: casa è dove è il cuore, e quello di Fern vien presto scaldato da una collettività unanimamente affine, affettuosa, conciliante. Non uno di meno, dal tenero reduce del Vietnam alla malata terminale. I legami tra autoctoni si edificano in un istante di default, ecumenico proprio come quelli col paesaggio rurale ritratto con velleità naturalistiche e vérité come i due scarni western d’oggi girati da Chloé Zhao (Songs My Brothers Taught Me e The Rider) prima di questa distribuzione Searchlight (alias Disney!) che le assicurerà un Oscar da record (è donna e POC, person of color) appena in tempo per sfoggiarlo nei trailer e nelle recensioni di The Eternals, Marvel nobilitante con medaglia diversity queer (vedremo). Ma Nomadland, opera terza della regista cinese, tutto pare meno che un film d’autrice, anche su commissione: esteticamente indistinguibile dai road movie indie che passa il convento del Sundance da una decina d’anni a questa parte, imbellettato di anticonformismo solo via (brevi) slogan (i nomadi fanno una scelta “in opposizione alla dittatura del dollaro”, ma di miseria, di dolore, di rabbia non v’è traccia: sia mai che fra un frame contemplativo e l’altro trapeli la politica), realistico solo perché Frances McDormand (grandiosa, ma sai che novità) ha problemi di stomaco e va di corpo in un catino. Però com’è bella l’America, com’è innocuo girarla, c’è facile innamorarsene, e come sono umani, ad Amazon, alla Disney».

Fiaba Di Martino

(26 Settembre 2020)

Voto: 4.

No, non quattro stellette, 4 in senso di pagellino scolastico. Cioè pessimo! Pessimo forse come la parola acchiappo e umanimamente anziché unanimemente? Il pezzo finale è magnifico: come sono umani, ad Amazon, alla Disney.
Perché la virgola dopo umani? Perché alla Disney, che fa molto romanissima-romanista de Roma, eh, ce mancherebbe, an vedi oh, comunque italiana verace e poco italiano da Crusca? Quelli della Disney, non so, era forse meglio?
Ecco, perché Fiaba non è Chloé Zhao? Una ragione ci sarà?
Ecco, certa gente, prima di andare a dormire, vuole querelarmi se dico semplicemente la verità? Vuole per caso denunciarmi se consiglio giustamente a queste persone di cambiare mestiere? Non mi pare che io sia criminoso come Henry. O no? Ah ah.

 

di Stefano Falotico

 

OSCAR 2021 – Le mie previsioni definitive & un cortometraggio, forse medio forse grande in senso (a)lato, mistico e metafisico


24 Apr

Ebbene, domani notte si terranno consuetamente (per modo di dire, essendo stati posticipati a fine Aprile) gli Oscar.
Manifestazione bistrattata dai soliti snob, e oltremodo, di contraltare osannata e venerata esageratamente da chi la sopravvaluta.
Trattasi di un un gioco come la vita. Non è vero che sia politicizzata, segue spesso le annate, le tendenze e le mode, questo sì.
A volte vi prende, a volte no. Insomma, si vince o si perde, dipende dalla fortuna, chiamatelo/a colpo di culo, dalla bravura e da tutta una serie di fattori, appunto, fortunosi o fortuiti.
Ecco, io credo che Nomadland vincerà quasi tutto. Perlomeno, centrando e agguantando appieno almeno 4 statuette su 6 nomination.
Ovvero Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Montaggio e migliore sceneggiatura originale. Quattro Oscar dunque a Chloé Zhao (eh sì, controllate).
E la McDormand? Secondo me ce la farà.
Invece, riuscirà Anthony Hopkins a battere il favoritissimo, postumo e dato per certo assoluto, Chadwick Boseman?
Non meritano in verità entrambi. Hopkins, infatti, diede sfoggio di prove migliori e meno artefatte. Boseman è davvero bravo o sarà premiato solo perché è morto? Ecco, il premio se lo godranno i suoi parenti. Essendo io ateo e cinico, penso che Boseman, al massimo, potrà avere una tomba migliore grazie ai soldi dei parenti che, diventando ancora più ricchi dopo la cospicua eredità incasssata, ricostruiranno la sua cripta in maniera dorata. Sono un grande romantico. Penso infatti che i morti meritino soltanto una decorosa sepoltura. Oramai la loro vita è finita, il resto è solamente retorica e parole, appunto, di circostanza.
Mank vincerà un solo Oscar per la scenografia. E chi trionferà nella fotografia?
A me piace molto questo qua ma perderà. Cioè Gary Oldman.

nomadland mank

Di mio, adoro anche Orson Welles. Venero i piani sequenza, i megalomani malinconici, i personaggi che non temono di sfidare il sistema come il leggendario Orson.

Da lunedì, torneremo in zona gialla. Stasera già assistetti a ragazzetti in cerca di ragazzine, a branchi di dementi illusi che il godimento sia un pochino di carne fresca. Invecchieranno, diverranno tristi, diventeranno dei lavoratori onesti, si fa per dire.
Brutti, grassi, traditori degli amici e delle mogli. Sporchi affaristi corrotti, idioti senza capo né coda, speranzosi nelle loro effimere, orribili ambizioni inappagate e ben diverse  (cioè identiche, ah ah, uomini e donne, ah, stessa razza di furboni, ecco la vera par condicio) da quelle delle loro donne che li lasceranno poiché troveranno chi meglio le (ap)pagherà.
E ho detto tutto.
A volte scherzo su Stanley Kubrick, definendolo goliardicamente un imbecille. Di mio, passeggio con aria disinvolta, spesso disagiata, ah ah. Amoreggio con la mia donna. Lei mi ama per quello che sono e non vuole che cambi. Adora il mio essere il feto galleggiante di 2001: Odissea nello spazio, cioè il superuomo di cui parlò Nietzsche.
So che reputerete il seguente cortometraggio forse mediometraggio, eh già, una triste litania senza senso. Mediocrissimo e insensato?
Perché la vita avrebbe senso? Tutti cercano rispetto, tutti si fanno in quattro per farsene cinque.
Tutti pensano di sapere il fatto loro ma in verità vi dico che non conoscono il Falò mio. Per forza, io sono il Falotico.
Gli altri sono dei poveri umani.
Mi spiace per loro. La mia nascita su questo pianeta deve avere turbato molte persone, soprattutto me stesso. Ah ah. E, su questa freddura, vi lascio.
Anzi no, devo realizzare altre cazzate come quella mostratavi sotto. Mah, voi pensate che sia in fondo una cazzata?
A me pare un bel testo letterario, a me pare una bella testa. A me paiono delle buone riprese.
La vostra ripresa, invece, non avverrà mai. Eh sì, vi vedo sul moscio. Mi raccomando, riprendetevi, sì, su Instagram.
Mi riprenderete per il culo?

di Stefano Falotico

 

In un annus horribilis, funestato dal Covid, ci accingiamo alla prossima notte degli Oscar in religioso silenzio contro le scriteriate opinioni sballate di Mereghetti poco d’annata ed evviva ogni Spielberg di fantascienza rinnovata!


19 Apr

nomadland mcdormand

Che sia dannato o di migliore annata, l’importante è che il Cinema venga totalmente ripristinato ai suoi antichi fasti e ardori. Dunque, sta per ripartire la festa. A lei, signora della notte nera, non parte la Ford Fiesta? Io sono Arthur Fonzarelli, cioè Fonzie dei glory days di Bruce Springsteen. No, di Happy Days. Sono il Boss della canzone I’m on Fire. Le aggiusterò tutta la carrozzeria, smaltandogliela… Che sia il venturo 2022 un annus mirabilis da 2001 kubrickiano. Ah ah. Ah, mie uomini spregevoli e sprovveduti, ammalativi non di COVID-19, bensì della peggiore A.I.

Partiamo col pezzo da David Fincher, no, da David Foster Wallace italiano di falotica, astrusa e cervellotica scemenza cazzuta, spero, geniale o soltanto pedagoga, probabilmente educativa, dunque comparativamente simbiotica o solo sinonima, soltanto psichiatrica per diagnosticare ogni falsa intellighenzia da reparto pediatrico, cioè infantile e adatta a un mondo di deficienti che si credono adulti sapienti. Che tromboni deprimenti!

Eh sì, gran parte dei film candidati quest’anno agli Oscar non sono affatto piaciuti a Paolo Mereghetti, critico da “colonne portanti” della pagina Spettacoli del Corriere della Sera oramai da anni… irrecuperabile, no, volevo dire non ancora, pensa lui, pensionabile. Paolo è, a tutt’oggi, attendibile? Paolo, entrato da dritto o di diritto in tutti gli annuari ciclopici, no, enciclopedici della Critica recensoria dei film, no, nell’immaginario cinefilo collettivo soprattutto as Il Mereghetti, auto-sottotitolato(si) Dizionario dei Film. Che, a scadenze regolari, viene perennemente aggiornato e rivisto a mo’, forse, di Ciak la rivista generalista per eccellenza della nostra povera Italia popolaresca ove tutti si dilettano a essere tuttologi della min… ia, imparando bieche pappardelle a memoria estrapolate dalla terribile Wikipedia iper-qualunquista che è stata portatrice di danni disumani alla coscienza umana stessa non solo dello spirito critico dell’attuale Critica cinematografica, bensì della vita in generale. Parcellizzata, così facendo, da pseudo-caporali neo-laureati col Bignami che tengono molto in auge la falsa intellettuale Daria Bignardi.

La terribile, temibile, statene lontani, Wikipedia! Vade retro, Satana!

“Legalmente” letale per ogni tardo-adolescente e uomo ancora in fase puberale-adolescenziale auto-ingannevolmente persuasosi che basti enumerare ed elencare, un tanto al chilo, informazioni sterilmente nozionistiche assai superficiali per fare colpo su qualche ragazzina speciale che penderà dalle sue labbra fintamente ebbre e fameliche di scibile saccente più indigesto di un tiramisù mangiato assieme alla pancetta non di McDonald’s ma del suddetto panzerotto prematuramente sovrappeso, manco fosse un commendatore dalla panza piena, per l’appunto, della Destra più salviniana, ché s’atteggia da adulto in modo spaventosamente incosciente, sfoderando una classe (ig)nobile da pubescente amante della Scienza più falsamente acclarata sulla base precaria di conoscenze sommarie e assai provvisorie, improvvisate, più che altro da somaro incredibile.

Si crede dio ma non vi crede, contesta perfino Buddha, soffre di manie di onnipotenza da far paura all’anticristo e ragiona per stereotipie imbarazzanti e raccapriccianti, approntando tesi assurde da mettersi le mani nei capelli. Ha un diavolo per capello? Dinanzi a questo qua, un quaquaraquà, urliamo: oh, Signore, salvaci tu da costui, oh Gesù!

Egli cattura info filtrate e recepite unicamente in maniera mnemonica e assai stolta da demente sesquipedale ché crede, essendo un idiot savant impresentabile anche a Forrest Gump, di rappresentare invece l’esatto contrario, vale a dire il fenomeno “paranormale”. Egli s’interroga studiatamente, come no, sui fenomeni scientificamente irrazionali, dunque anormali. È un fenomeno anomalo o sol anonimo che, ahinoi, si sta espandendo a macchia d’olio.

Uomini di vera cultura, secondo voi, a quale generazionale fenomenologia possiamo accludere tale ragazzo inutile? Ah, quanta ignoranza abissale! Questo qui è inclassificabile ma tutto vuole catalogare e vivisezionare! Intanto, lei abbocca a tale semi uomo frequentante la rinomata Bocconi degli esaltati e stupida, no, rimane stupita dagli effetti speciali non della più avanguardistica CGI, bensì dell’androide bambolotto robotizzato dalle enciclopedie online scritte e redatte da androidi peggiori di lui. Lei perde cretinamente la testa per tale deep fake vivente in grado soltanto d’imbrodarsi e d’imbambolarla, recitando, a mo’ di Laurence Olivier de no’ a(l)tri, un numero d’informazioni impressionanti da lui diligentemente imparate, per l’appunto a memoria, più che altro appuntate, per fare bella figura dinanzi alla sua immagine allo specchio da Amleto della situazione ben conscio di non essere manco sanamente pazzo come il principe di Danimarca dell’omonimo capolavoro scespiriano. Egli è una tragedia incarnata davvero plateale. Platea, ridete, dai, su!

Sì, non è colto come Kenneth Branagh eppur dice di adorare Orson Welles, semplicemente perché non ha mai invero visto un suo film per intero ma, dinanzi alla sua immagine fessa, no, riflessa… nota che l’unica, incontrovertibile somiglianza immediatamente ravvisabile con Orson, eh già, è la misura extralarge non del cervello, bensì della taglia dei pantaloni da puro coglioncello cresciuto a meme, hotdog, la peggiore PlayStation e tante assortite, affini idiozie videoludiche tanto belle… Sì, egli è Cicciobello. Costui è una capra, un penoso cartone animato, un barboso e barbuto caprone dell’Argentario e confonde Luca Argentero con l’oro colato. Sì, su questo ha ragione, Argentero non è propriamente un attore molto dotato, no, dorato, gliene devo dare atto. Sebbene, debba io ammettere, altresì, che Argentero sia molto adorato. Da chi?

Stavolta, inconsapevolmente, confondendo gli asini dell’Argentario col pastore tedesco, mandriano della recitazione in cerca di pecorine, no, pecorelle smarrite, il ragazzo pecoreccio alla Ezio Greggio che denigra Dario Greggio in modo tristemente televisivo, essendo lui cresciuto con Striscia la notizia, colpì nel segno a mo’ di arciere di The Witcher. Ah, le ancelle amanti del pesce lesso Henry Cavill, il quale è più inespressivo del vero cacciatore di streghe del videogioco omonimo, sono sue fan accanite, dicasi anche frustrate mai viste che vedrei bene nel prossimo film di Robert Eggers, no, di Dario Argento. Nei panni delle donne educande, prede vulnerabili che manco un serial killer vorrebbe trombare, no, sgozzare perché poi Barbara d’Urso lo inviterebbe a qualche trasmissione ereditatale, ereditale se amate la scrittura aulica, ereditaria se credete che il DNA si trasmetta in base alla genetica dell’albero genealogico. Ah ah. Ereditale, non L’eredità, altra boiata bestiale. Ah, il nerd odierno altri non è che il ritratto terrificante del profilo psicologico di un omicida seriale di cazzate co(s)miche che non ebbe le palle, a differenza di Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti, di confrontarsi almeno con un’appassionata del Cinema di Jonathan Demme. La vera amante di Demme si può riconoscere immantinente con un facilissimo quesito. Le si pone, davanti agli occhi, la scritta stilizzata Philadelphia (qui, corsivizzata). Se, alla domanda, lei cosa vi vede?, vi risponderà Tom Hanks, è apposto. Se invece vi replicherà, a mo’ di replicante bellissima ma tontissima come Sean Young di Blade Runner, vi vedo una sottiletta Kraft, è adattissima per il tizio tozzissimo e “tostissimo” sopra (de)scrittovi. Costui confonde il logo di Batman di Tim Burton con le macchie di Rorschach. A proposito di Orson Welles e Burton, lui è il nuovo Ed Wood. Piaciuto l’ammiccamento cinefilo?

La personalità di questo qui è racchiudibile, se volessimo essere sbrigativi in modo empirico e direttamente proporzionale ai suoi giudizi banali e precipitosi, schematici e insostenibili, a quella d’un ragazzo impubere ed ebete che considera il Batman, con Robert Pattinson, un vero capolavoro. Il film non è ancora uscito ma lui è già addivenuto a tale conclusione apodittica perché è appassionato di Matt Reeves e pensa di essere un genio come Andy Serkis… In verità vi dico che non è Serkis/Cesare e neppure il King Kong di Peter Jackson. È Gollum!

Ma non perdiamoci col bamboccione-bambagione-“bonaccione” nient’affatto bonazzone. Egli non è Bonaccini, il governatore emiliano-romagnolo, neanche Sean Astin, inconfondibile hobbit. Ha degli hobbies?

Lui è Sean di Stranger Things.

Ma ora torniamo a Paolino Paperino, no, a Mereghetti e alle sue fenomenali papere incommensurabili. Il Mereghetti!

Esagerato tomo di matrice archivistica da esegeta della mutua o da recensore d’un vademecum indispensabile, di stellette indicative, per ogni giovane marmotta? No, per ogni ignaro della Settima Arte che a quest’ultima si volesse approcciare ed alfabetizzare a mo’ di Bob De Niro/Max Cady di Cape Fear. Il quale, dopo essersi “acculturato” con Max il leprotto, si laureò senz’attestato in Giurisprudenza da avvocato del suo povero diavolo leninista-stalinista un po’ sciroccatamente comunista e vendicativo-giustizialista contro un ipocrita da cui non fu doverosamente difeso ma malvisto, incarnato da Nick Nolte, un immenso bigotto fascista! Classico uomo piccolo borghese che riterrà le teorie di Mauro Biglino, da quest’ultimo emesse contro ogni cattolica messa e contro la Sacra Bibbia in modo giudicato blasfemo, eh sì, una bestemmia meritevole del suo moralismo anacronistico non aperto al revisionismo più possibilistico. Sì, Nick Nolte reputa Biglino un biblista, no, un ballista. Mereghetti, invece, non ama molto JFK di Oliver Stone, in quanto da lui reputato un film troppo retoricamente complottistico. Allo stesso tempo, però assegna quattro stellette a Una storia vera di David Lynch, ritenendolo una chandleriana poesia dolente della quotidianità più mansuetamente lirica. Mentre, all’identico Nomadland di Chloé Zhao dà un voto mediocre. Sostenendo pazzescamente che la regista, in modo troppo ricercatamente minimalista, pare essere più di Sinistra, no, preoccupata di riprendere un bel tramonto da Sol levante con in sottofondo la musica suggestiva di Ludovico Einaudi, maestro delle colonne sonore intimiste, anziché spiegarci il pietismo-patetismo ingiustificabile di una donna che, in fin dei conti, potrebbe superare il lutto incolmabile della tragica perdito del marito, andando a letto col personaggio interpretato da David Strathairn.  Sì, che riempisse la ferita dell’animo non cicatrizzabile (solo quella?), con una scopata indimenticabile! No, Frances non vuole cornificare suo marito, anche se lui è morto e sta lassù fra le stelle. Per addolcire il fegato amaro, forse mangerà un maritozzo.

E Mereghetti questo non lo capisce. Testardamente! Così come non capisce perché il Serpico di Sidney Lumet, alias Al Pacino, denunci i colleghi corrotti per rovinarsi la vita. Eh già. Aveva pure la biondona e un buono stipendio, suvvia, pirla! Bastava che si prezzolasse e non sarebbe finito “pateticamente” barbone.

Secondo il “metodo scientifico”-ermeneutico alla Umberto Eco, no in stile mereghettiano, perché Paolo, se la pensa in maniera così intransigente, assegna allora tre stellette a Gli invisibili con Richard Gere?

Paolo afferma perennemente che il grande Cinema debba evocare suggestioni suadenti senza la pretesa di voler insegnare alcunché a scopo pretenziosamente didattico, cioè deve raccontare una storia senza necessitare di scolastiche spiegazioni pallose. Mi spiego? Però non si spiega come mai Paolo veneri giustamente La morte corre sul fiume ma abbia ritenuto troppo ermetico Mank di Fincher. A tal proposito, Mereghetti asserisce altresì che non importa se la storia narrata in una pellicola sia romanzata o meno. Però, idolatra Rashomon e non concepisce, allo stesso tempo, perché mai il defunto padre di David Fincher, prima di morire, abbia voluto riscrivere la genesi di Quarto potere.

In verità vi dico che Mereghetti adora donne da Un uomo tranquillo di John Ford, da lui molto Joe D’amato, no, amato. Paolo si delizia con donne osé, no âgée, calme e sensibili, forse solo senili come Piera Detassis e dunque Paolo non può essere un John Lennon ante litteram con la Yoko Ono di turno. Secondo me, Paolo dovrebbe guardare qualche film con attrici da “Oscar” quali sono le asian girl(s) del Cinema ove si recò Travis Bickle di Taxi Driver, al fine coerentemente, mentalmente masturbatorio di stimolare le “palline vuote” che dà molto alla cazzo di cane, come si suol dire, ai film da lui stroncati e censurati, no, castrati, no, fottuti con disdoro da critico impeccabile pagato a peso d’oro. Scusate, si è fatto tardo e una tardona, no, tardi. Dopo aver rivisto Il processo ai Chicago 7, voglio guardare Borat 2.

Domanda per ogni Mereghetti in erba: Forrest Gump e John Lennon, i quali compaiono assieme in chissà quale film… di Robert Zemeckis, sono entrambi idioti o tutti e due sono dei geni inarrivabili? Geni inteso in senso metaforico e/o lato, non b. Insomma, sono geniali o, in base alla genetica di ciò che nasce dall’accoppiamento dei genitali dei genitori, sono nati male? Sono degli aborti? Imagine… cantò John. E certo… Utopia purissima. Se fosse ancora vivo, Lennon saprebbe spiegarmi come mai una donna stupenda va, per esempio, da un ragazzo down e lo tratta con compassione? Poi, mentre accavalla le gambone, gli porge un sorrisino delizioso e stronzissimo, dicendogli: – Sei un bel ragazzo, ce la farai, dai. In bocca a lupo, bello guaglione.

Quindi lo saluta da volpona, forse da lupona, sposando il ricco rincoglionito Mick Jagger. Tanto privatamente la dà a un toy boy da Madonna-Ciccone. Sì, in effetti John Lennon era un genio. Non aveva capito un cazzo della vita, vero? Sì, era un simpatico idiota. Ovviamente… Mentre il personaggio della McDormand di Nomadland, secondo Mereghetti, è una vecchietta maschilista in menopausa, no, una femmina dai tratti mascolini, altresì machista con Maciste, no, masochista che potrebbe tranquillamente godersela perché è inutile, a suo avviso, penarsi e piangersi addosso, volendolo prendere in culo ingiustificatamente e inconsolabilmente a raffica.

Mereghetti è uguale a John Lennon o a Forrest Gump? Su questa domanda da futuri premi Oscar, no, Pulitzer o Nobel, vi lascio segarvi di elucubrazioni affinché possiate fornirmi una risposta da intelligentoni oppure da coglioni? Comunque, in passato disprezzai Tom Cruise. Penso che Tom sia Jerry, no John Lennon. Disse che gli psicofarmaci non servono a nulla, sono soltanto un palliativo e un alibi artificiale per non ammettere di non farcela in questa vita che è durissima. Sì, il mondo è duro come qualcosa in mezzo alle gambe davanti a Nicole Kidman tutta ignuda. Ecco perché Tom è the man, è Tom Cruise, sì. Perché è un grande attore. E spinge di burro, no, di brutto. A Tom Cruise non interessava essere Stanley Kubrick. Ma, sul set di Eyes Wide Shut, si alzava alle tre del mattino e, se Nicole di bagnava, no, se lui sbavava, no, se sbagliava la scema, no, la scena, la rifaceva altre mille volte sino alla mezzanotte. Perché era ed è il suo lavoro essere Tom Cruise. Non voleva e non vuole essere Albert Einstein o Freud. Infatti, Tom è un genius. Einstein o Freud erano due imbecilli peraltro anche molto esteticamente e fisicamente cessi. Il primo elaborò la teoria della relatività. È per colpa, infatti, di Einstein se ci siamo sorbiti quella puttanata galattica di Interstellar. Nel 2021, la verità è che siamo ancora coi piedi per terra. Altro che odissee nello spazio. La gente vorrebbe andarsene da questo pianeta di morti di fame e baldracche ma non può raggiungere una galassia lontana. Cosicché, prende la vita a culo, osservando il fondoschiena di una donna astrofisica? No, super figa dal cognome Galassi. Mica la compianta Margherita Hack! Allora, si spara i film e, per non spararsi in testa, va a farsi curare, più che altro inc… are da psicologi freudiani. Che li psicanalizzano da porcelli anali, no, rifilando loro parcelle esosissime mentre imboccano l’infermiera di Arancia meccanica. Di mio, mentre i miei coetanei sono invecchiati in quanto “arrivati” chissà dove, grazie alla mia “pazzia” equilibrata, sono ritornato bello come Tom Cruise? No, come Cooper. Cooper, chi? Gary o McConaughey della stronzata spaziale di Nolan succitata? Io sono l’agente Cooper di Twin Peaks. Sapevate che sarei tornato. La vostra scienza come se lo spiega? Mereghetti, invece, darà finalmente, prima o poi, quattro stellette dell’Orsa Maggiore a Figli di un dio minore?

Ora, se vogliamo scherzare, diciamo pure che sono un bambinone. Se vogliamo parlare seriamente, sono di un altro Pianeta e su questo non ci piove. Dunque, attaccatemi e deridetemi ma arriverà La guerra dei mondi. Arriverà il dolore! Evviva la fantasia più limpida e linda, evviva Steven Spielberg e il suo Cinema “infantile!”. Perché solo chi resta Peter Pan può amare alla follia la vita e il Cinema!

hook robin williams

A tutti gli altri, lasciamo il loro cinismo da vecchiacci, da ritardati, da gente che abbisogna di diagnosi e speculazioni deduttive per non rendersi conto di essere il nulla. Essi vivono o essi sono un immane buco nero? Ricordate: il buco va riempito! Ah ah.

Stephen Hawking non poté, io sì.

 

di Stefano Falotico

Nonostante abbia adorato MANK e IL PROCESSO AI CHICAGO 7, agli Oscar io tiferò per NOMADLAND, io sono il ghost di Bob De Niro di ELLIS!


15 Apr

bob wells nomadland

Devo paragonarti a una giornata d’estate?

Tu sei più leggiadra e mite. Impetuosi venti sferzano le soavi gemme di maggio e la durata dell’estate è fin troppo breve. Talvolta troppo ardente splende l’occhio del cielo e sovente il suo aureo sembiante è velato. E ogni bellezza col tempo perde il suo splendore, spoglia dal caso o dal corso mutevole della natura ma la tua eterna estate non potrà svanire né perdere possesso delle tue bellezze. Né… né… né la morte potrà vantarsi di averti nell’ombra sua poiché tu crescerai nel tempo e in versi eterni.

Finché uomini respireranno e occhi vedranno, vivranno questi miei versi e a te daranno vita.

(Chloé Zhao, Nomadland – poesia recitata dalla grande Frances McDormand)

Ora, scusate, vi sarà la mia introduzione al solito goliardica a salire vertiginosamente non nel cielo poiché a differenza del figlio di Bob Wells nel film della Zhao, non mi sono suicidato cinque anni fa ma voglio ancora toccare sponde felici di soavità e pace.

Osservare al crepuscolo la riproduzione esatta di un dinosauro, ascoltare il suono caldo di un pianoforte e respirare nel vento nella mia città metaforica accanto al mare della mia forza.
Ebbene, è uscito finalmente in streaming italiano il capolavoro assoluto di Chloé Zhao, ovvero l’irraggiungibile e incommensurabile Nomadland.

La dimostrazione evidente di come si possa realizzare un film straziante, commovente e magnifico di circa due ore con una trama praticamente inesistente e ridotta all’osso, come si suol dire. Senz’avvalersi d’intrecci arzigogolati e di trame contorte che di toccante non hanno un bel niente.

Be’, Nomadland rappresenta l’esatto contrario del sottoscritto, esemplifica straordinariamente l’anima filmica diametralmente opposta alla mia, totalmente. In quanto, a livello puramente letterario, sono barocco e sovraccarico la mia prosa, spero bella e poetica, di troppa ridondanza. Molti mi accusano perfino di essere tracotante. Evviva la protervia, ah ah. Al massimo, qua e là, i miei stilemi linguistici sono inappuntabilmente, puntualmente impeccabili ed eleganti. Stilisticamente sono perfetto, realmente a livello pratico sono deprimente, ah ah.

Sì, sono sempre stato una presenza ectoplasmatica, malinconica, oserei dire da nosocomio, da egregio encomio e un distinto uomo davvero d’istinto, quasi da manicomio, in mezzo a questa realtà per me perennemente perturbante, volgarmente carnale, strafottente in maniera smodata.

Una realtà ove tutti vogliono mostrarsi belli ma rimarranno invisibili e pure brutti, più che altro alla maggior parte della gente molto invisi. Ah, visi pallidi! Invidiosi!

Quando voglio e quando ho voglia di sensualità caliente, son un uomo (forse), oltre che galante, adoratore addirittura della modella paraguaiana Claudia Galanti. Ora, Galanti non mi sembra un cognome del Paraguay ma, se dovessi rintracciare il suo fidanzato su Instagram, e dirgli che a Claudia feci delle avance in privato, credo che passerei molti guai. Anche perché mentirei spudoratamente. Giammai infatti feci ciò, quindi peccherei di falsa testimonianza gravissima dinanzi alla mia Corte d’Appello.

Sì, sono il nuovo Michelangelo Buonarroti che affrescò la Cappella… Sistina? Sì, buonanotte…

Sono un uomo alla Roberto Benigni, mi piace provocare. Che cosa? Adesso pure il Leone d’oro alla carriera?

In passato, “corteggiai” la fidanzata di un attore, non so se argenteo, di nome Luca. Che mi crediate o meno, Luca mi contattò personalmente, dicendo di non provarci più con la sua lei. Dicendomi aggressivamente che lui è un attore famoso e poteva dunque farsi la sua donna formosa e farmi il culo in maniera potente… che uomo odioso! Anche permaloso!

Gli risposi che lui è un attore ridicolo se paragonato a Gary Oldman e che la sua lei non è come le ex di un gay, no, di Gary, cioè Uma Thurman e Isabella Rossellini, fra le altre…

Al che, m’apostrofò con far crescentemente veemente: – Lei non sa chi sono io!

Minacciandomi pesantemente…

Gli risposi, per l’appunto, con molta eleganza sanamente insolente: – Guardi, le ripeto. Lei non è Gary Oldman e non mi sta simpatico come Sacha Baron Cohen. Lei non ha senso come uomo e non ha nemmeno senso dell’umorismo. Mi fa senso, pensa di essere più sexy del mitico ex bomber della Virtus Basket, cioè Predrag Danilović. Per noi, virtuosi o semplicemente ex virtussini e non tifosi della Fortitudo, il leggendario Sasha.

Guardi, lasciamo perdere. Mi creda, lei non è un campione di niente, neanche di bellezza come il cantante quasi omonimo a Cohen, vale a dire Sasha dell’epocale If You Believe.

Scusi, ora la devo lasciare. Comunque, per la cronaca non sportiva, io invece sono Bruno e Borat. E la sua donna è molto bona. Diciamo che, rispetto alla moglie di Joel Coen, cioè Frances McDormand, è una spanna sopra in merito a beltà e la distacca con uno spacco, no, stacco paragonabile ai balzi impressionanti di Michael Jordan dei Chicago 7, no, dei Chicago Bulls dei tempi d’oro.

Se però vogliamo essere più obiettivi di un grandangolo della Nike, no, della Nikon, la sua lei sfigura parecchio dinanzi alla grande Frances. Diciamo che, a livello prettamente realistico e attoriale-cinematografico, è meglio che rimanga una donnetta nazional-popolare che, assieme a lei, di domenica guarderà le partite di Calcio e i film con lei come interprete.

Luca: – La smetta! Che ne sa, peraltro, lei di Calcio?

– Guardi, Luca. A Bologna, è nato Carboni Luca e dalla basilica di San Luca si può vedere lo stadio Renato Dall’Ara. Ho militato nella scuola Calcio Bologna Football Club 1909 quando fui pulcino.

Poi, quando “regredii” negli Juniores-Allievi alla polisportiva Lame Ancora, segnai un goal alla Danilovic, no, alla Renato Dall’Ara, da quest’ultimo messo a segno durante la finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona di molti anni fa del Milan di Berlusconi!

Cioè questo:

Guardi, la sera prima, un ex centravanti quasi più forte di Marco Van Basten, vale a dire Hendrik Johannes Cruijff, più comunemente noto soltanto come Johan Cruyff, in conferenza stampa, sostenne che il suo Barcellona con Romario avrebbe distrutto il Milan dei miracoli e degli olandesi volanti.

Disse la stessa cosa pronunciata da Lino Banfi ne L’allenatore nel pallone. Il quale affermò che avrebbe sconfitto e stracciato Zico. Ma la sua Longobarda perse 4 o 5 (non ricordo bene, scusate) a zero con quaterna dell’uomo che pianse quando il suo Brasile fu massacrato da Paolo Rossi con una tripletta devastante.

Senta, Luca non faccia con me il crucco. Sennò, diverrò Alex Del Piero e lei piangerà come la bimbetta sugli spalti durante la semifinale dei Mondiali 2006.

Che cosa? Riaprono gli stadi e i cinema invece no? Generazione di fenomeni… cantò Gaetano Curreri.

Di mio, indosso jeans della Carrera, non voglio fare carriera e odio le corriere.

Luca, non mi provochi altrimenti potrei tornare a essere il più grande calciatore di tutti i tempi e dribblarla come Alfredo Di Stéfano.

Luca, mi tolga una curiosità. Lei preferisce Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, Marco Di Vaio, il nudo di Madeline Zima di Twin Peaks: Il ritorno, Ronaldo Luís Nazário de Lima, Pelè che è lo pseudonimo di Edson Arantes do Nascimento, Sylvester Stallone di Fuga per la vittoria o quello che, con buona pace all’anima sua di Diego Armando Maradona, è il più forte di tutti i tempi, cioè Lionel Andrés Messi?

Inoltre, prima di lasciarla, caro Luca da tre premi Oscar dei piccoli, vorrei chiederle questo: chi è il regista di Torna a casa, Lassie!?

Non lo sa, vero? Intanto, legga Hermann Hesse.

Sa, io lessi molto. Lei invece è lesso.

Sono l’incarnazione dell’Enigma di Kaspar Hauser di Werner Herzog. Film che conosco ma in verità vi dico che non ho mai visto interamente poiché basta che mi guardi allo specchio per giudicarlo e recensirlo, ah ah.

Vi fornisco un’anteprima esclusiva del mio prossimo libro. Forse sarà revisionato e corretto:

  1. Sono un nomade, un fantasma del mio tempo giammai dimenticato, oscurato e rinato

 

Navigando in tale vita tempestosa, mi fermo all’improvviso a riflettere pacatamente sull’oceanica vastità del mio immane, trascorso tempo su questa terra maledetta, ricolma di uomini e donne vanagloriosi. Mi siedo e accomodo mestamente su una panchina arrugginita d’un parco immerso nel verde d’un lussureggiante autunno ancora innevato da fiocchi nivei che lucidano di sobria bianchezza armoniosa le guglie delle chiese e delle cattedrali di tale città di fantasmi e morti viventi, di uomini e donne pestilenziali e perniciosi. In una parola, prematuramente nell’animo defunti e dunque osceni e odiosi. Li deploro con rabbia furiosa.

Innervato e appannato fui io, nella mente annebbiato, scomparso dal mondo e di neve, no, di nuovo riplasmatomi a mio insindacabile, entusiasmante e vitalissimo volere stupefacente.

In me non è avvenuto nessun cambiamento interiore. Né son stato miracolato da qualche misteriosa, oscura forza illuminante o prodigiosa.  Non ravviso niente di speciale, eclatante o clamoroso in tale mia rinascenza che ha del fenomenale a dir poco. Poiché, dopo sterminati, imperterriti e lacrimevoli strepitii del mio cuore iroso e non più vigoroso, affievolitosi in effetti nel vigliacco piagnisteo cardiaco di silenti battiti da viandante forse peccaminoso di tale nostra esistenza morbosa, ancora con energia e forza ardimentosa risento magicamente scoccare, echeggiante potentemente dal profondo mio inconscio opprimente e ai miei occhi stessi in passato apparsomi repellente, una raggiante, splendida luce dardeggiante che acceca di bagliori estasianti il mio umore, come dettovi, per tempo immemorabile poco bienaventurado, sì, non beato ma sprofondato nelle agoniche mie notti onestamente più beote,  scarsamente gloriose e di vita golose.

Avete per caso mai visto il cortometraggio di JR, intitolato Ellis ed interpretato da un lugubre ma sempre grande, laconico Bob De Niro fenomenale?

Scritto dal premio Oscar Eric Roth, è la breve ma commovente cronistoria, sostenuta dalla voce narrante cavernosa di un De Niro ectoplasmatico, d’un alive, di uno spettro senz’identità precisa e alcuna, ricomparso miracolosamente, un migrante sopravvissuto alla barbarie del tempo che scalfì e trafisse mortalmente i destini di tanti avi e innocenti giunti in America attraverso grandi navi.

De Niro, protagonista di Awakenings, che in questo short movie si risveglia dalla tetraggine lapidaria del suo passato emozionalmente cimiteriale. E cammina, con passo felpato e rattristato, struggentemente appassionante e toccante, lungo i corridoi scuri d’un casolare fatiscente e abbandonato dopo aver ormeggiato in un passato mortificante, dopo non aver amoreggiato, forse, per viltà o pavore, con la sua innata, pulita e pura sua intimità essenziale e umana più cristallina, non adulterata dalla sua originaria natura incontaminata.

De Niro che fu protagonista del meraviglioso e crepuscolare City by the Sea per la regia di Michael Caton-Jones. La storia di un coriaceo detective dal cuore d’oro, Vincent LaMarca, il cui padre assassino fu giustiziato e condannato alla sedia elettrica in carcere. Dunque, a sua volta assassinato senza pietà alcuna.

Vincent, il cui figlio, durante una nottata piovigginosa, involontariamente uccise un uomo per legittima difesa ben comprensibile.

La storia di un uomo, Vincent, costretto a confrontarsi giocoforza coi fantasmi del suo passato da lui sublimato e apparentemente rimosso. Un uomo amante della bellezza eburnea d’una donna semplice e dall’aspetto virginale e bella come la madonna, incarnata dalla strepitosa, dolcissima Frances McDormand.

Attrice protagonista del superbo e inarrivabile, malinconico Nomadland di Chloé Zhao. Capolavoro inaudito, illuminato dalla grazia d’una venustà recitativa senza pari della stessa McDormand allo zenit della sua immensa bravura encomiabile e portentosa.

La storia di una vedova donna sessantenne e inconsolabile, affranta e affaticata, che perde il suo lavoro su Amazon e decide di mettersi in viaggio, incontrando, durante il suo stralunato e allucinato, avventuroso peregrinaggio solitario, tante persone dalle vite rovinate o soltanto, paradossalmente, restaurate all’antico, primigenio lindore della loro primordiale, incorrotta limpidezza esistenziale.

Cosicché, a vivo e sentito contatto col dolore e con la sofferenza più sentita, finanche con la purezza delle scheggiate, ferite vite altrui e della sua stessa anima coartata da un incolmabile lutto coniugale non cicatrizzabile, infermabile continua a viaggiare sulla sua strada in modo instancabile, abbagliata nel suo animo da una tenerissima luce salvifica, letiziosa sebbene ancora insanabilmente, atrocemente dolorosa.

Offuscata e allo stesso tempo rischiarata dall’aver scoperto, sebbene malvolentieri, la durezza della vita più incantevole nella sua nuda stranezza ed essenza più nitida e imponderabilmente luminosa.

Lei vivrà, sino al giorno della sua morte, sorretta dalla delicatezza del suo essersi trasfusa nel concetto esemplare di assoluta, sfavillante trasparenza di donna inguaribilmente immalinconitasi a causa della tragica morte di suo marito, eppur al contempo speranzosamente combatterà volitiva, forse in silenzio, l’inarrendevole voler inseguire una flebile ma lucente fiammella chimerica o solo utopica.

Ove io vagherò, invece? Nel mio interiore infinito, infinitamente?

Tanto tempo assopitosi, amici e fratelli della notte, è riemerso nel ricordo e dai neri ricordi di me che fu obliato dal nero più insondabilmente asfittico della dimenticanza che occluse ogni metaforica mia freschezza respiratoria.

Adesso, in me, questo ritrovato tempo insperato sta risorgendo in fiera rimembranza acuta ancora squillante.

Tornerò vivamente alla ribalta?

O sono soltanto ritornato baldo e splendido come la più lieta e dolce alba?

Quindi…

Se qualcuno vorrà fare del male ai miei figli più cari, parafrasando e personalizzando Elias Koteas de La sottile linea rossa, ricordate che io vi attaccherò come John Rambo.

Mi metteranno dentro ma vi cancellerò dalla faccia della Terra.

Perché, alla pari Robert De Niro, così come fu definito detto durante uno spot di tanti anni fa passato su Radio Monte Carlo TV che gli aveva dedicato una monografia, io sono il più grande, il più grande di tutti.

Non provocatemi, sennò piangerete tanto. Interminabilmente.

Questa è la mia vita.

È un bene sacro.

Anche perché non possiamo perdere non il figlio di Bob Wells di Nomadland, bensì un genio mostruoso come Orson Welles.

Quando cambio prospettiva, per voi diventa impresa possibile tenermi fermo e battermi. Lo so, sono un megalomane. Meglio che essere un idiota come il novanta per cento delle persone.

Tornando a Bob De Niro, in Casinò il suo personaggio alla fine disse… E questo è quanto.

Provate a indurmi nuovamente al suicidio e, come disse John Goodman de Il grande Lebowski, finirete in una valle di lacrime, in una valle di lacrime, in una valle di lacrime.

Questo è il tuo compito, Larry? Questo è tuo, Larry? Questo è il tuo compito, Larry?

di Stefano Falotico

Nomination agli Oscar 2021, evviva la Musica e il vero Cinema: forse sono MANK, fui impoverito come Frances McDormand di NOMADLAND e fuori, si fa per dire, come Anthony Hopkins di THE FATHER, w ROCKY!


16 Mar

rocky 4 stallone

Ho una certa impressione che, col passare del tempo, si sta acuendo e solidificando. I perdenti che non combattono più per i loro sogni cominciano solo a essere cinici. Cioè falliti.

Il quarto capitolo della saga di Rocky è stato spesso ridicolizzato. Soprattutto quando Ivan Drago/Dolph Lundgren pronuncia, nel nostro doppiaggio finto russo, Ti spiezzo in due.

Frusciante, critico (forse) youtuber di Cinema e Musica, almeno ciò è sostenuto da lui, credo che non abbia capito una scena apparentemente esagerata e cretina come questa.

A me Stallone piace, mi spiace se Fruscio non ha lo stesso fisico.

Il mondo è pieno di hater. Io e il mio redattore di Daruma View Cinema abbiamo da poco rimosso, per esempio, un commento offensivo che è stato già segnalato alle autorità.

La gente, dietro un pc, pensa di poter attaccare chiunque. Persone poverette, mi spiace per loro che della vita non hanno capito nulla.

Perseverano in lotte e rivalità patetiche. Dimostrandosi inette quando devono lottare davvero.

Sapete, quando si è belli e io indubbiamente lo sono, sebbene non sia superbo, solamente oggettivo, quando si possiede un talento letterario notevole e una voce magnifica, ci si attira le invidie di chi non può permettersi mai di vincere.

Parlerà solo di Cinema e di Musica in trincea. Ma non combinerà nulla, non saprà neanche amare la madre, figurarsi una donna.

Sono molto triste sapendo che esistono scemi del genere.

Detto questo, ecco le mie considerazioni sugli Oscar e le mie prove atletico-vocali.

Aggiungo inoltre che vincerà Boseman ma Anthony Hopkins è un gigante.

Un gran signore, che classe.

Da brividi (la ripropongo) la sua vittoria agli Oscar.

Jodie Foster (anche lei vincitrice) ebbe un orgasmo, sebbene sia lesbica.

Per finire, se uno è più bello e bravo, vince lui. Ciò è inevitabile. Prima perderà totalmente come Rocky. Poi, come Rocky, vincerà di nuovo.hopkins the father

 

di Stefano Falotico

 

Chloé Zhao, è nata una grande regista – NOMADLAND: un film che mi ha scioccato, immensamente doloroso e al contempo soave, il grande Cinema distruggerà ogni tempesta pandemica, ogni turbinio traumatico


20 Jan
Frances McDormand in the film NOMADLAND. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2020 20th Century Studios All Rights Reserved

Frances McDormand in the film NOMADLAND. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2020 20th Century Studios All Rights Reserved

Prefazione acrimoniosa verso i lockdown morbosi

Ho assegnato quattro stellette su 5 a Nomadland. Ma mi sono mantenuto cauto. In attesa di dargliene sei. Ah ah.

Film magnifico, uno dei pochi, veri capolavori da me visti recentemente. Anche perché il 2020 è stato funestato da qualcosa di terribile che c’ha schienato, schiantato, lasciandoci tumefatti e disossati, spellati nell’animo e infreddoliti.

Giunse infatti dal cielo, forse dal laboratorio di qualche cinese scienziato pazzo, un virus influenzale assai sottovalutato. Dicesi, fantozzianamente, no, dicasi Covid-19.

Morbo virale che contagia anche di depressione abissale, svuotandoci dentro e imprigionandoci in quarantene uguali agli arresti domiciliari. Opprimendoci in casa ad allietare la melanconia, si fa per dire, più che altro ad allentare la noia esistenziale, imbrigliandoci nell’oramai fievole speranza che qualcosa cambi. Quando si suol dire, ah, c’auguriamo che a ciel sereno un fulmine ci miracoli e folgori… chi sbagliò a non chiudere la Lombardia e tutti i fronti. Poche frottole. A frotte siamo segregati. Sudiamo freddo di fronte rugosa, sdrammatizzando a mo’ di Non ci resta che piangere, ambientato nell’immaginaria Frittole.

Nel frattempo, rannicchiati e ibernati nelle nostre case, patendo un freddo polare da eschimesi negli iglù, altri bocconi amari mandiamo giù e la vita non va up. Però, lecchiamo un dolce tiramisù.

Molte donne, sull’orlo dell’assideramento, azionano il riscaldamento… del marito e “aspirano” calorosamente qualcosa di più duro d’un ghiacciolo fortemente “resiliente” d’un mondo intirizzito, oserei dire stizzito, insomma incazzato.

I ristoratori stanno morendo di fame poiché non hanno più i soldi per comprare il cibo da dare ai figli, non quello dai loro cuochi cucinato alla gente oramai ridotta come una pera cotta. Sì, scioperano al contrario. Cioè fanno i cremini, no, i crumiri e si ribellano non al padrone, bensì allo Stato che ha tolto il lavoro anche ai mega-direttori galattici coi super attici.

Al che, mentre io sono impossibilitato a incontrare la mia lei poiché abita fuori regione e non siamo ufficialmente conviventi, canto l’intramontabile Clandestino di Manu Chao ma ugualmente patisco dei momenti di frustrazione incredibile. E, con enorme “decoro” da John Travolta di Pulp Fiction, vado di là e… avete capito.

Anche perché la mia lei è più bella di Uma Thurman e dunque, uomini, come potete biasimarmi? Quando ho terminato di darmi da fare, leggo un fumetto nell’attesa che Bruce Willis mi ammazzi. Forse, Bruce Venture, pornoattore che non vale un cavolo…

Comunque sia, sono Die Hard. Anzi, Willis di 58 minuti per morire. Fuori si gela, c’è il Coronavirus e, qui a Bologna, sembra inoltre di stare in Fog di Carpenter. Raggomitolati nelle nostre trappole di cristallo…

Accoccolati e accovacciati nel tepore delle nostre nostalgie mai sopite.

La nebbia agli irti colli (bolognesi da Cesare Cremonini?) piovigginando sale…

Ah, vita mia salita, ancora salata. Addolcita, rabbonita, riassestata dopo tanti tormenti e spiacevoli, burrascose tormente. Dopo mille afflizioni, è ora giunta per me la definitiva resurrezione, la beltà dell’infinita, immacolata illuminazione.

Cosicché, fra un’amarezza zuccherata con della Nutella in mancanza del cioccolato della mia bella, fra un gelato all’amarena e un’emotiva, glaciale marea, mangio pure un cornetto, sperando che lei, lontana, non mi renda cornuto. Spingo quindi di streaming e mi pappo Nomadland.

Mica un polpettone. Comunque, i polpettoni di mia madre, fidatevi, sono più buoni de Il paziente inglese.

Kristin Scott Thomas di questo film perse contro Frances McDormand di Fargo.

E fu premiata da Nicolas Cage di Arizona Junior. Grande Frances! Da non confondere con Coppola Francis… Ford, zio di Nicholas Kim Coppola…nomadland poster

NOMADLAND, a proposito di Quarto potere e Mank, è questo il film che vincerà tutti gli Oscar possibili e immaginabili!

Questo film mi ha distrutto, sì, Nomadland.

Da tempo, forse dai tempi di Cuore selvaggio, no, di Una storia vera di David Lynch, non piangevo alla fine d’un film.

Durante la giornata, invece, piango sempre come Bob Wells di tale capolavoro inaudito di Chloé Zhao.

Sì, il mio dolore è immane. Sognai di essere Nicolas Cage ma, mi spiace per lui, la mia bella è più bella della sua ex Patricia Arquette. Eh eh.

Sì, possiedo una fortissima ironia cinica da fratelli Coen. Uno dei due sta con Frances. L’altro con chi sta? Con nessuna? Però scrive e dirige i film col fratello. Che gli vuole bene.

Sì, Ethan Coen è come il fratello di Christopher Nolan. Uno incassa, cioè quest’ultimo, l’altro si fa il culo ma non si fa nemmeno la McDormand.

Ora, Frances è bruttina. Anche se, ai tempi di Fargo, l’avrei riscaldata dalla sua neve. Ammantandola di delicate carezze, amandola anche in modo turbinoso e nevoso, no, nervoso, focoso. Donna deliziosa, donna che sa rendere un uomo qualcosa di emozionante come Nomadland, film davvero eccezionale. Poche palle… di Natale.

Film intimista, film neo-realista, pubblicato dalla Rizzoli, no, con una locandina da Adelphi e musica di Ludovico Einaudi. Un film meraviglioso.

Che ve lo dico a fare?

Date questo terzo Oscar alla McDormand.

Anche se Vanessa Kirby di Pieces of a Woman non scherza.

Sì, la Kirby è mille volte più bona di Frances. Ma Frances è l’attrice par excellence.

Donna che lavorò con Bob De Niro in City by the Sea, film nel quale interpretò l’amante di Robert. Il quale stava per perdere suo figlio.

In Tre manifesti a Ebbing, Missouri, Frances perde chi? L’avete visto? Me, invece, mi vedeste. Ove di vista mi perdeste?

In Nomadland, è vedova.

Perde anche il lavoro di Amazon ma è grintosa e volitiva come un’amazzone.

Recita una poesia da pelle d’oca a un ragazzo rimasto solo e ascolta, commossa, il racconto di Bob Wells.

Ma che bello. Bob Wells qui interpreta un “guru” che non avendo potuto salvare suo figlio dal suicidio, cerca di resistere, aiutando gli altri. Riunendoli attorno a sé con dei camper frastagliati in mezzo alla nudità di deserti punteggiati da roveti e da selvatiche piante simili ad erbe delle Pampas.

Le riprese non sono da peggior Terrence Malick di To the Wonder, cioè da National Geographic, il film non incede in inquadrature fighe e paesaggistiche su leccata, ruffiana musica cool e finto-grezza dei Pearl Jam come nell’estetizzante Into the Wild, qui viaggiamo veramente su altri livelli molto fini, poco grunge, imbattibili.

Alcuni reputarono Kurt Cobain un genio. Moderiamoci subito. Mozart non lo vide neppure. Per forza, morì prima. Ah ah.

Metafisica celestiale, lacrimosa immensità allo stato “brado” più alto.

Mi sono commosso. Capolavoro!

Signore e signori, dopo Jane Campion, abbiamo trovato finalmente un’altra grande regista donna, cioè Chloé Zhao.

Roba da annientare Shinya Tsukamoto, uomo sopravvalutato, e Banana Yoshimoto, scrittrice stupenda, con atmosfere che non vedono neanche cagate come Tetsuo, c… zi affini e Amrita.

Ah ah.

Ma quale Parasite, parassiti. Film furbissimo più di una volpe imprendibile. Cioè il sottoscritto, ah ah.

Diciamocela, Frances McDormand è la più grande attrice vivente. Mi fanno ridere quelli che osannano Margot Robbie. Quelli che ancora ci tediano con Meryl Streep. Quelli che strepitano per Kate Winslet. Anche se, a proposito della Campion, Holy Smoke docet…

Tornando a Chloé Zhao. Ha soltanto 38 anni. Amatela, custoditela, appoggiatela. Siamo dinanzi forse a tutto ciò che Kurosawa immaginò di essere ma non possedette mai il cuore di questa donna straordinaria. Smettiamola anche con Yasujirō Ozu.

Ma quale Ozu. Ma quale Zizou, cioè Zidane. Ehi, Zhao, mica Zorro.

McDormand di Nomadland, da non confondere con Promised Land. Se non vi piace, amate vostra moglie. È brutta e non è due volte premio Oscar. Quasi tre… quasi record. Credo inoltre che Einaudi sia più bravo al piano di David Strathairn in questo film straordinario.

E che scena è quella in cui Fern va a trovare il personaggio interpretato da Strathairn perché ne è segretamente innamorata? Mamma mia, che classe, che pudore, che candore!

Scende le scale e, di nascosto, lo osserva suonare. Ma non riesce a dimenticare suo marito e, malgrado fuori si geli, nonostante abbia bisogno di essere abbracciata e avvolta dal calore di un uomo, lascia stare…

Poi, prima della fine, piange ancora con estremo decoro e pudicizia. Ma s’incammina nel vuoto così come il grande Bob De Niro del cortometraggio Ellis. Sparendo nel suo furgone.

Mentre lentamente, cullati da Einaudi, piangiamo anche noi spettatori. Nomadland, un film gigantesco.

Ripeto, il racconto di Bob Wells è da pelle d’oca. Sa che suo figlio non tornerà più ma sa anche che, un giorno, lo incontrerà per strada.

Perché la vita è un sogno, un incubo, una tragedia, è piacere e sofferenza. Dai, stavolta vinciamo anche noi, italiani. Perché la colonna sonora di Ludovico Einaudi, ribadisco, è immensa!

E Nomadland è uno dei più grandi film della storia del Cinema! Date il terzo Oscar a FRANCES! Grande attrice, grande donna. Come la Zhao!

di Stefano Falotico

 

 

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