Archive for July, 2018

I miei personaggi preferiti sono Travis Bickle, Max Cady e Jena Plissken, anche Harry Powell, da qui il mio alto livello di stronzaggine impareggiabile


19 Jul

Sì, il mitico Bobby Mitchum de La morte corre sul fiume.

Stronzaggine: Abito mentale spregevole, che si palesa in comportamenti scorretti.

Talvolta, nei momenti di forte cupezza, il mondo mi sta sul cazzo. Ciò avviene spesso.

Ad esempio, stasera ero in cucina a fumare una sigaretta, con le gambe comodamente accavallate, al che fuori facevano casino. Ho riempito dei gavettoni e gliel’ho rovesciati addosso.

– Guarda che ti denunciamo! Figlio di puttana!

– Ah ah. Ma che volete denunciare? Per un po’ d’acqua. Vedete piuttosto, anziché cazzeggiare, d’innaffiare le vostre bambine che son tre ore che aspettano di essere bagnate e invece voi state a parla’ de stronzate!

– Saliamo su, dove abiti, e ti riempiamo di botte.

– State attenti che non scenda io e vi spedisca al traumatologico.

– Senti, stronzo, che cazzo vuoi?

– Volevo solo rompere i coglioni.

– Fottiti!

– E voi fottete!

 

Al che, accendo Instagram e incappo in una ventiduenne di “ottima fattura”, dalla pregiata confezione di cosce, “architettonicamente” molto tonica, che dice di abitare a Bologna.

Per pura provocazione, le mando questa foto.

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– E tu chi sei? Nasconditi, scemo!

– Vedi di nasconderti tu ché a troppo darla di qua e di là finirai peggio della Parietti.

– Ma che vuoi? Chi sei? Ma va’ là. Va’ la’ è la classica espressione bolognese dei maleducati.

– Volevo solo fare due chiacchiere con te, scusa.

– E per questo mi mandi, a tradimento, una tua foto. Dov’è il nesso?

– Varie volte, in passato, mi sono approcciato a te in modo più garbato. Sai, da parecchio ti tengo d’occhio e, nei momenti di maggiore sconforto, due tre tue foto servono “all’occorrenza…”. Solo spedendoti questa faccia da schiaffi potevo stimolare in te una reazione, che infatti c’è stata.

– Senti, ho già un uomo che soddisfa ogni mio desiderio.

– Su questo permettimi di dubitare. Ma soprassediamo. Allora, ce la facciamo una… chiacchierata? Schietta, un po’ rustica?

– Non ho piacere a parlare con te. Mi stai antipatico già dalla faccia.

– Sei una bellissima donna. Ora, donna forse è un po’ troppo per te, ma sei sulla buona strada. Utilizza bene la tua bellezza e non finirai sui viali.

– Basta. Hai rotto le palle.

– Volevo utilizzare il tuo viso, così dolcemente stronzo, per la prossima copertina di un mio libro. Il titolo del libro è Donna gatta ama la sua topa. Ti piace?

– Non c’è pericolo.

– Pericolo? Ma hai fatto le scuole in Cambogia?

– Ah, pure razzista sei.

– No, sono un purista della lingua come Moretti in Palombella rossa.

– Chiamo il tuo ragazzo e ti farà capire lui come si parla.

– Non c’è pericolo. Sarà un arretrato come te. Mi basterà fargli un sorrisino e gli cascheranno le palle.

Bimbetta, vedi di crescere e vai a dormire.

 

Quindi, ho indossato il pigiama.

 

di Stefano Falotico

The First con Sean Penn m’induce a riflettere sulla natura scimmiesca dell’umanità


18 Jul

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– Ciao, hai poi letto il libro che ti ho regalato? Cosa ne pensi della storia d’amore che ho scritto?

– Sì, piacevole, mi ha messo voglia di leccarti di più la figa.

– Ehi! Sei impazzito? Che sono queste porcate? Non siamo fidanzati, come ti permetti?

– Scusa. Tu perché avresti scritto un libro sull’amore, fantomatico, immaginato, poetizzato, romanticizzato? Se non perché brami, in cuor tuo, una scopata galoppante come Dio comanda? Io credo che, nel tuo denudare le tue emozioni, impudicamente snocciolate, volevi aprirti al prossimo. Fargli sentire il tuo cuore. Quindi, il succo è quello. E mi par giusto e doveroso che adesso me lo succhi. Tu l’hai scritto perché ti senti incompresa, con tutto un tuo vissuto interiore spasmodico che sta cercando di esternarsi al prossimo e soprattutto all’altro sesso. Sbaglio? Altrimenti che senso avrebbe scrivere una storia d’amore smancerosa e piena di ruffianerie, carina e sciocchina, stronzina e leccaculo?

– Abbiamo una concezione della Letteratura diversa.

– No, proprio della vita. Che piacere si può introiettare nello spiattellare i propri femminili, pruriginosi stati d’animo al lettore, se non per il fine, che io reputo comunque dignitosissimo, di rivelare il proprio cuore e anche la sessualità spesso taciuta, per reprimende e pudori indotti dalle convenzioni sociali, per aderire al costume repressivo di massa, moralista e infingardo, puttanesco nella sua ipocrisia che tanto predica l’amore e poi, come fai tu, ha paura dell’amore vero, se non quello di sperare che qualcuno, attratta dalle tue interiorità bellamente, semmai anche finemente esposte, possa dirti… sì, mi è piaciuto, mi ha stimolato, adesso apri le gambe, sdraiati e lasciami fare…?

– Ma che maiale! Basta, con te non parlo più. Hai travisato tutto.

– No, qui hai travisato tu. E ti dirò di più Sei una traviata! Uè bella, prima che ti dia una sberla che ti farà ruzzolare giù dalle scale, abbi rispetto della tua sessualità e assecondala con voluttà. Scusa, prima la enunci con totale sfacciataggine, la sbatti proprio in faccia, prostituisci la tua anima per vendere, e poi ti scandalizzi e rabbrividisci se uno ti dice la verità? Cioè che il libro è eccitante, tu sei una bella figliuola e gradirei un po’ di reciproca “comprensione?”. Sentimi, troia, adesso hai rotto il cazzo. Non mi far più leggere questa robaccia melensa che sembra un libro cantato da Giorgia, e vedi di andar a dar via il culo a qualche figlio di puttana che incontrerai nella tua vita zuccherosa e frustrata. Via dalle palle! Rotta nell’ano!

Sì, ero in macchina stamattina e, mentre su un cartellone pubblicitario campeggiava la moto della Ducati, in radio passava una delle canzoni più imbecilli della storia.

Cancellerò il passato per non tornare indietro

Mentre riguardo in uno specchio i segni di chi ero

È il tempo del risveglio, risalgo dal profondo

E credo nelle lacrime che sciolgono le maschere

Credo nella luce delle idee

Che il vento non può spegnere

Io credo in questa vita, credo in me

Io credo in una vita, credo in te


Io credo in questa vita, credo in me

Ma basta, la dovremmo finire con questa merda. Che poi anche gli uomini più rudi, ed è sano che lo siano, belli cafoni e cazzoni, s’innamorano di queste oche, che poi si riveleranno delle orche, e regalano loro dei fiori. Ma che vogliono queste qui? Prima, le loro emozioni deflorano, poi sbandierano le loro frustrazioni in qualche foro, sì, le più impegnate “attivamente” sono conduttrici di programmi politici e tribune elettorali, le più “fallite” vanno a raccogliere la mattina fragole e lamponi per far la marmellata, e non vogliono che la “pagnotta” entri nel forno?

Sì, l’umanità è stata rovinata dal genere femminile. Hanno femminilizzato tutto.

Invece, prendete Sean Penn. Guardate che faccia da scimmia che ha! A voi non pare una scimmia? A me sì. Una scimmia in giacca che interpreta una serie televisiva su un astronauta “marziano”.

E che guarda le stelle, ripensando a quando girò La sottile linea rossa di quell’altro trasognante “idiot” di Terrence Malick.

E poi, fra una stella e l’altra, anche di Hollywood, fra una Scarlett Johansson che gli ha dato tutta la sua “black widow” e una Charlize Theron con lui più “sudafricana di sempre”, caldissima e rovente, Sean Penn torna nella sua casa, mangia una banana, solleva i pesi, e pensa… va be’, ho scopato quasi tutte le zoccole di Hollywood e “dintorni”, in primis quella vacca di Madonna, ho vinto due Oscar, interpretando prima un uomo a cui hanno macellato la figlia che spara al suo miglior amico, che non c’entra un cazzo, poi incarnando un frocio, tutto ciò che io non sono, e per questa mia falsissima adesione al ruolo ho ottenuto il plauso dell’Academy, perché metà dei “membri” sono dell’altra sponda e hanno simpatizzato per me, quindi me la son tirata da ecologista che ha aiutato i terremotati, assurgendo a “intellettuale sociale”, ora interpreto uno che vuole andare su Marte. Tanto questa vita terrena e terragna me la son fottuta tutta e, dopo tante biondine peperine, more amorose e rosse in calore, pianterò le radici sul Pianeta Rosso, trascendendo e ammirando l’universo.

Ho detto tutto…

Per voi, invece, prevedo un’altra giornata coi piedi piantati per Terra. Quindi, un lavoro sfiancante, qualche psicologo che vi racconta balle per consolarvi, un po’ di musica rock così vi sentirete meno scemi e più “fighi”, e la solita vostra “pregevole” ammirazione dei lati b su Instagram.

Che vita “straordinaria” che avete.

Io sono il vero The First, un uomo che ha sempre vissuto come cazzo gli pareva, e ha superato ogni confine delle vostre piccolezze.

Se non ti sto bene, vai a frequentare quella mignotta di tua sorella.

– Guarda che l’accoppiamento tra fratelli e sorelle, figli dello stesso sangue, può partorire un bambino con malattie genetiche.

– Ah sì? Perché quest’umanità schifosa, invece, di tanto perfetto cos’ha partorito?

Senti, ti racconterò una storia.

C’erano una volta le scimmie, poi alcune scimmie acquisirono maggiore coscienza e accesero il fuoco. Ma erano ancora inconsapevoli che quello o quella dell’altro sesso, che gli stava accanto, potesse essere suo fratello o sua sorella. Il concetto di famiglia non ce l’avevano. Così, le scimmie, già in pubertà, appena vedevano un bel culo, si piombavano addosso. Dall’unione animalesca nascevano altre scimmie.

Dopo moltissime generazioni, le scimmie si annoiarono e cominciarono a riflettere sul senso della vita. Al che posarono gli occhi al cielo, sperando in un mondo migliore, più equo ed equilibrato, paradisiaco insomma. E pensarono male, secondo me, di crearsi un Dio. Un essere immaginario superiore che stava sopra di loro e li guardava, giudicandoli. Sentendosi giudicati, cominciarono a “evolversi” e nacque involontariamente l’educazione civica.

Fine della storia.

Ma concluderei con un’altra frecciata devastante.

Su Facebook, impazza la signorina Marietta.

Una che, durante l’adolescenza, veniva sfottuta a sangue, perché era racchia e passava il tempo a sublimare le sue “carenze” sessuali col Cinema metafisico di Tarkovskij e studiando tutta la filosofia di Aristotele.

Marietta, dopo tanti studi serissimi, ha trovato un lavoro da ricercatrice astronomica, per cui guadagna quaranta milioni di Euro al mese. Da quando svolge questo lavoro, si cura di più, va in palestra e adesso è una gran bella gnocca.

Così, dopo il lavoro, torna a casa, si fotografa in lingerie, controlla tutti i Mi Piace che ha ricevuto, e visiona quale sia il maschio più appetibile che le ha messo mi piace. Insomma, fa una selezione “accurata”.

Se quel maschio è uno con lo yacht, lo contatta in chat, le dice dove abita, e quello se la tromba.

In cambio dell’inculata, Marietta, oltre ai soldoni che già ha, riceve altri “favori”.

E ha sempre il sorriso sulla bocca, dalla mattina alla sera.

Bisogna aggiungere altro per dire che quest’umanità fa schifo?

 

di Stefano Falotico

Ronaldo mi fa un baffo, e preferirò sempre il mio magro stipendio a questo robot impettito, sono cos(c)e della vita


17 Jul

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De Niro The Fan

 

Attendo il mio sogno con ansia, emozione | poi applaudo e mi sbraccio per la mia formazione. | È la prima giornata e la mia fedeltà | è premiata da un senso di gran voluttà, | ritorna il mio eroe ed illumina il giorno | dei miei guai per un poco si sfuma il contorno, | egli è grazia, armonia, che esalta lo stadio | e riporta i miei giorni e di orgoglio m’irradio. | Sono un fan che del baseball coglie ogni finezza. | Io giocavo, capite, e sarei ancora all’altezza. | Una volta ho battuto una palla alle stelle, | fui portato in trionfo, non stavo più nella pelle. | Sì, ce l’ho dentro il sangue e questa passione, | l’ho trasmessa a mio figlio, futuro campione. | Certo, lui è piccolino ed ancora maldestro | ma lasciatemi il tempo e sarò un buon maestro, | con un po’ di fortuna, ci sono ad un passo, | sistemo le cose e poi mi rilasso, | aiuterò la mia squadra a riavere la gloria | con un tocco imprevisto alla solita storia. | Dice oggi l’atleta: “Io gioco per me”, | ci sto male a sentirlo e mi chiedo: “Perché?” | Non è il fan, il tifoso che paga il biglietto | a far ricco e famoso il suo prediletto. | Se gli parlo, lui sente ma, in realtà, non mi ascolta, | mi dimostra freddezza per l’ennesima volta, | è attaccato al denaro in un modo inaudito. | No, così non va bene, io rivoglio il mio mito!

(il grande Bob De Niro in The Fan!)

La realtà è così spesso abietta, piccola, puttanesca e miserabile che è un dovere morale distanziarsene!

Presto, prima che combini altri danni e poi vomiteremo tutto lo schifo di quest’umanità tristissima.

Sì, io ho sempre vissuto la realtà. Ho giocato a Calcio fino alla maggiore età! Checché ne dicano le malelingue e chi vuole, per pur diletto invidioso o calunnioso, dipingermi come un “clown” che vaga nell’interzona ai confini di Lovecraft. Ed è proprio, vi dico, il mio estremo averla esperita, mal digerita, deglutita a fatica, respinta, osteggiata e sovente ripudiata, ad avermi sempre più spinto verso l’isolazionismo pop, ove la mente puoi piacevolmente dissipare nel ghermirla di sogni e visioni incantate, laddove all’uomo comune, troppo preso dalle sue meschine rivalse competitive, non è permesso entrare e giovarsene. No, solo gli eletti hanno accesso all’immaginazione più fantasiosa, mentre ai comuni mor(t)ali solo troioni (di)letti. Ah ah, me ne beo!

E voi, pecoroni, belate. Sì, me ne sbellico e più passa il tempo e più divento bello. Questo è inconfutabile. Spesso Dio, dall’alto, mi fa degli scherzi cattivi per demoralizzarmi e imbruttirmi ma lo fotto con enorme savoirfaire un po’ da stronzo. Sì, che classe che ho, e me ne vanto, nel mandarlo a fanculo con totale, screanzata altezzosità da uomo che non vuole rotture di coglioni da parte di chi fa il burattinaio di quest’umano, anzi disumano, squallido gioco. Io faccio il mio e questo basta. Che sono queste pretese? Dico, che cazzo vuole questo Dio che pregate a messa e poi due ore dopo ripudiate per acclamare miliardari che delle vostre vite supplizianti se ne fottono “altamente?”.

Sì, non è populismo affermare, in tutta vanagloria dignitosa, che Cristiano Ronaldo è un pagliaccio. Lo è, e la dovrebbe smettere di camminare “intirizzito” come se gli avessero ficcato una traversa nel deretano. Di legno massiccio. Quest’uomo, datemi retta, è fritto e così abbronzato pare pure un immigrato!

Non sarò mai Cristiano Ronaldo né voglio esserlo. Che palle e che stress micidiale essere al centro dell’attenzione, coi riflettori puntati anche quando vai a pisciare. E, se ti siedi sul water, devi aver paura che un paparazzo possa esser nascosto nel buco del bidet per scattarti una foto nel momento “topico” dell’evacuazione, nell’attimo magnifico in cui, dopo una giornata di allenamenti sui prati, di palle roteanti, finalmente il tuo addome placido rilascia ogni escrementizia cagata che hai dovuto sorbirti.

E che sono quei finti sorrisi? Abbiamo assistito, ieri, alla caduta dell’Occidente. Con questo Massimiliano Allegri, a cui rideva pure l’ultimo pelo del buco del culo, allegrissimo a farsi fotografare col Pallone d’Oro.

Cinque volte, mica una! Dico, questo ha le palle, è cazzuto questo.

Ecco, perché a questo Cristiano Ronaldo non facciamo fare la fine di Mel Brooks in Che vita da cani?

Hai visto che cosce che ha Ronaldo? Che quadricipiti! Visto che portamento, che slancio, che stacco di uccello?

Di mio, sono un uomo pulitissimo e ti faccio anche il sorriso, con un po’ di dentifricio.

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di Stefano Falotico

Scusi, ma lei chi preferisce fra Stallone, Schwarzenegger e Bruce Willis?


16 Jul

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La figlia di Stallone.

Insomma, guardate questa foto e, se siete dei maschi come credo siate, diciamo che dinanzi a questo “stacco” qualcosa si alzerà…

Eh sì, la figlia di Stallone è, come si suol dire, una bella “stallona”.

E poi… se uno si sposa con questa, può dire di essere nato sotto una buona stalla, no, stella.

Sì, questa è una stellina figlia di una grande stella di Hollywood, e con una così, a letto, diventi davvero lo Stallone italiano.

Eh già.

Bando alle ciance. Questa merita tutto il mio “appoggio”.

Più che Balboa, a una così va spalmata tutta la crema “solare”. Quella della Bilboa?

No, quella di qualcos’altro, ah ah.

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di Stefano Falotico

Il bar dello yakuza


16 Jul

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Salve,
mi hanno appena licenziato.

E ho voglia di spararmi in testa e son qui, nell’abitacolo della mia macchina mezza scassata, già su di giri. Andrò a schiantarmi contro un albero. Sì, tanto è già finita. Ho cinquant’anni. E ora chi darà un lavoro a me? E dire che sono sempre stato un ottimo padre, ligissimo e gran educatore dei miei figli. E mi son sempre guadagnato la pagnotta senza mai andare nemmeno una volta a mignotte. No, ho sempre amato mia moglie, sempre, inderogabilmente. E non l’ho mai tradita. Adesso, lasciamo stare… ultimamente, mi son un po’ lasciato andare ma, sino a qualche anno fa, ero un signore che faceva la sua figura. Alto, slanciato, sempre impeccabilmente vestito e in ufficio tutti mi rispettavano, dal primo all’ultimo. E non mi puzzava mai l’alito. Mi presentavo ogni mattina perfettamente sbarbato, ben abbottonato in giacca e cravatta, tutto bello azzimato. No, non ho mai guadagnato tanto, a dire il vero, ma davo l’impressione, per via del mio portamento fiero, in riga e raffinato, di essere un pezzo grosso molto altolocato.

Ma cinque mesi fa mi sono ammalato di cancro. E ho cominciato a stare male. A tossire come un dannato e, naturalmente, in questi mesi mi son spesso assentato dal lavoro. Ed ecco che il capo, fregandosene della mia precaria salute, ha cominciato a fare lo stronzo. Pretendeva che mi presentassi al lavoro, nonostante questa terribile malattia che mi sta mangiando il fegato, e quindi mi facevo doppio fegato amaro a lavorare in quello stato pietoso. Neanche un briciolo di compassione da parte di quel bastardo. Ma io stavo male, vomitavo sangue in bagno e avevo spesso fortissimi giramenti di testa. Così, questo qui ha deciso di licenziarmi. Adducendo come motivo non il fatto che fossi e sono malato, e che quindi non potessi adempiere con concentrazione e lucido impegno alle mie mansioni da ragioniere, bensì fottendomi con la scusa tristissima e falsa che non sono semplicemente più efficiente. Insomma, mi ha liquidato, e forse non avrò neppure la liquidazione, e cacciato via a calci in culo. E ho provato… sì, a cercare un avvocato che potesse difendermi da quest’abuso, ma nessuno se la sente di appoggiarmi in questa mia battaglia e non ho gli elementi che possano comprovare le mie ragioni. Come devo fare? Sto impazzendo.

Ed eccomi qui a guidare come un folle in questa città deserta, a mezzanotte. La gente è in casa e dorme sogni tranquilli, mentre io vedo davanti a me soltanto la strada desolante della disperazione più allucinante.

Sì, mi ammazzo. Mi piazzerò in mezzo ai binari e aspetterò che un treno m’investa in tutto il suo schiacciante fragore. Le mie ossa scricchioleranno di gran clangore ma, in un nanosecondo, non sentirò più nessun dolore! Morirò sul colpo. Sì, è solo un attimo. Nessun dolore, sì, nessun dolore, quando ti passa sopra un treno merci è un istante crepare spappolato. Sarebbe molto peggio buttarmi giù dalla finestra della mia abitazione e, semmai, non morire ma rimanere paralizzato sulla sedia a rotelle.

Meritavo di meglio in questa vita, ma non ho alternative. Sarebbe molto più doloroso tentare di vivacchiare, mantenuto dall’assistenza sociale, aspettando che questo cancro mi divori lentamente. Soffrirei come un cane. E farei passare i giorni fissando il vuoto nel mio irreversibile, soffocante, lancinante strazio.

Ma, prima di morire, voglio bere il mio ultimo caffè in questo bar. Sì, un bar cinese ove mi fermavo spesso dopo il lavoro.

– Buonasera, il solito.

– Macchiato o nero?

– Il solito… ah, ma lei non è la barista che vedo sempre. Mi scusi.

– Sì, sono Takeshi. La barista ha smontato alle undici, e le ore notturne le faccio io. Scusi, ma c’è qualcosa che non va? È molto pallido in viso. Sicuro di stare bene?

– Be’, signor Takeshi, ho cinquant’anni, sono malmesso, ho il cancro in stadio avanzato e stasera mi hanno licenziato. Lasciamo perdere…

– Non deve buttarsi giù. Ma non è colpa sua. È colpa della sua cultura.

– Della mia cultura?

– Eh sì. Lei è un occidentale. La vostra vita è tutta, tutta sbagliata, dalla A alla Z.

– Che c’entra questo col fatto che sto morendo di cancro?

– Vede, io capisco bene che lei vuole farla finita ancor prima di morire a causa della sua malattia.

– Da cosa l’ha capito?

– Lo so e basta. Si goda gli ultimi giorni di vita, dandosi alla pazza gioia. Tanto la sua, la vostra vita è tutta sbagliata. Voi occidentali siete ossessionati dal culto del successo, fin da piccoli v’insegnano a primeggiare e a sopraffare il prossimo vostro più debole, la vostra è una folle rincorsa a un benessere illusorio e plastificato che vi ha ucciso dapprincipio. Sì, lei sta morendo ma in realtà è già morto da quando è nato.

– Scusi, lei chi è? Ma la smetta! Lei è solo uno squallido barista annoiato di questo bar scalcagnato. E poi, scusi, io sto morendo! Perché mi viene a fare queste prediche?

– Io le ho già detto che lei è bello che morto da quando è nato. Voi siete tutti morti. Conducete una vita che vi sembra felice ma avete sbagliato tutto.

Sa chi sono io? Io non sono un semplice barista. Io sono uno yakuza e questo locale è mio.

– E non si vergogna del “lavoro” che fa? A proposito, gli yakuza sono giapponesi. Questo bar invece è cinese.

– Ecco, questo lo dice lei. Chi gliel’ha detto che è cinese? Perché ha visto che la barista e i camerieri hanno gli occhi a mandorla? No, noi siamo giapponesi. Per voi, occidentali, noi orientali siamo tutti cinesi. Ci sono i coreani, quelli del Nord e del Sud, eccetera… Ma che glielo dico a fare? M’intenda bene. Io non sono uno yakuza che va in giro ad ammazzare le persone e a trucidare quelli delle triadi rivali. Sono uno della mafia, sì, ma non deve farsi idee strane. Appartengo a quest’organizzazione, certo, ma per fini benefici. E col nostro modo di fare, mentre tutti gli altri bar italiani falliscono, noi invece resistiamo alla grande. Abbiamo monopolizzato sanamente questa città con una rete di profitti che ci permettono, in caso di scarsi guadagni, di appoggiarci a vicenda, e facciamo girare il denaro e donarlo a chi versa in condizioni precarie. Paghiamo ed estirpiamo i loro debiti e loro, in segno di riconoscenza, ci elargiscono a loro volta dei favori. E non le starò a dire quali. Da noi funziona così. E, come vede, questa città è oramai sotto il nostro impero. E noi abbiamo sempre il sorriso sulla bocca. Mentre voi siete avvelenati e marci.

Voi occidentali siete degli spregevoli egoisti, dei cinici e disillusi opportunisti, mettete su le attività senza sapere i rischi a cui andate incontro. E, se fallite, non avete nessuno che vi possa aiutare. E perché mai infatti vi dovrebbe aiutare? Voi vi siete mai preoccupati, prima di fallire, dell’altro vostro simile?

Fallite e poi vi lamentate perché avete un’erronea, innata concezione del lavoro e della società. È tutto improntato, secondo voi, al piacere individuale e vi prodigate per gli altri soltanto se potete farci dei soldi. Ma in realtà ve ne fregate sin dapprincipio del prossimo. E ben vista, quindi, quando poi cadete e nessuno può tirarvi su. Perché il prossimo vostro sta combinato peggio di voi.

Anche lui è malato… di aridità. Svuotato e spento. Prima, per tutta la vita inseguite valori falsi come la rivalità e la competizione, e disdegnate chiunque se non voi stessi e il vostro tornaconto. Poi, quando per circostanze sfortunate, per vostra ottusa testardaggine o per sfighe varie, perdete tutto, finalmente comprendete che avete preso un immane abbaglio e contemplate con indicibile amarezza e costernazione, per i giorni che vi rimangono, i tramonti, riflettendo sul senso della vita. Che schifo!

Lei vuol far persino di peggio. Visto che ha perso tutto, vuole addirittura ammazzarsi prima ancora di morire per cause naturali. E non si vuol godere neanche gli ultimi istanti di pace.

Beva questo caffè e rifletta sulle mie parole.

Noi orientali andiamo in guerra, quando c’è, perché crediamo davvero che bisogna combattere per l’armonia fra i popoli, mentre voi andate in guerra solo quando ne siete costretti e disertate pure. Perché parlate tanto di Patria ma non ve ne frega un cazzo di niente e nessuno. Leggete un libro per far bella figura con gli amici che vi leccano il culo, e non riuscite ad amare davvero quei momenti di contemplazione della bellezza.

Mi dispiace, ma avete sbagliato tutto.

Buona morte.

 

 

di Stefano Falotico

Attori bolliti: Christopher Lambert, fisico atletico e il suo congenito strabismo di Venere


15 Jul

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Sì, è arrivato il turno di Christopher Lambert. E, se dovesse leggere questo post, nelle sue navigazioni internettiane, dovrebbe essere perfino orgoglioso che l’ho definito attore e l’ho annesso quindi a una pregiata categoria. Perché io sin dapprincipio ho sempre nutrito forti dubbi rispetto a costui. Attore significa molte cose, essere arista, interprete, istrione, ma Lambert non combacia a nessuna definizione possibile, se non quella in tempi remotissimi e oramai smarritisi nella notte dei tempi di essere stato un fugace divo, una discreta star per qualche anno miracoloso di grazia scesa dal cielo.

A differenza di ciò che potrebbe suggerire il suo cognome, Christopher non è francese, ma è nato negli Stati Uniti, a Great Neck, Long Island, nello stato di New York il 29 Marzo del 1957, e il suo vero, completo nome all’anagrafe è Christophe Guy Denis Lambert. A soli due anni la sua famiglia si trasferisce dapprima in Svizzera (e Lambert studia a Ginevra), e successivamente nella città della Torre Eiffel, ovvero la magica Parigi. Risiedendo lì, è stato dunque naturalizzato francese.

Dopo una serie di particine in film insignificanti, Lambert compie il suo primo passo verso la mondiale popolarità, interpretando Greystoke – La leggenda di Tarzan, il signore delle scimmie di Hugh Hudson. Quindi, arrivano subito dopo Subway di Luc Besson e Highlander, ove recita al fianco di Sean Connery, e il pubblico, soprattutto femminile, impazzisce per lui. Lambert ha presenza scenica, un bel fisico atletico e in particolar modo il suo congenito strabismo di Venere gli conferisce un perverso sex appeal per cui le donne vanno matte. E infatti in quel periodo la sua compagna è Diane Lane, una delle donne all’epoca più avvenenti del jet set, e i due reciteranno assieme nell’abominevole Scacco mortale.

Ma facciamo un doveroso passo indietro. Come dicevamo, anche solo per una manciata d’anni, Lambert diventa improvvisamente qualcuno. Al che Michael Cimino lo vuole per Il siciliano, ma il film si rivela un fallimento su tutti i fronti.

E peraltro questo film segna immediatamente ma “meritatamente” la fine della sua carriera. Orbene, invero Lambert continua a recitare senza mai fermarsi un secondo, e di pellicole ne ha interpretate tantissime, ma quando dico carriera intendo la sua filmografia “seria” e di valore.

Sì, perché da allora in poi gira solo schifezze, con l’eccezione forse di Nirvana di Salvatores (film comunque sopravvalutato) e credo che verrà ricordato soltanto per la sua bollente relazione con Alba Parietti, quando il loro caldo flirt era sulla bocca di tutti. Sulla bocca di Alba più che altro.

Eh sì, come dimenticare le sue performance successive, il suo ruolo “magnetico” di Lord Raiden in Mortal Kombat, i suoi occhi ipnotici in Druids e 2013 – La fortezza, film ignobile che vale la visione forse solo per una scena di sesso abbastanza spinta del nostro “eroe” con la bellissima Loryn Locklin.

Ah sì, vero, Lambert è comparso anche nel seguito di Ghost Rider con Nicolas Cage e in Ave, Cesare dei fratelli Coen.

E queste sue comparsate bastano per credere, come molti credettero agli inizi della sua carriera, che Lambert fosse e sia il nuovo Alain Delon? Ma per cortesia!

Lambert è un attore? È questa la domanda che dobbiamo porci.attori-bolliti-christopher-lambert-03 attori-bolliti-christopher-lambert-01 attori-bolliti-christopher-lambert-04

 

di Stefano Falotico

La pornografia psichiatrica


15 Jul

hedonism

Ebbene, amici, vi racconto questa. E se non mi siete amici poco importa, tanto me la son sempre cavata da solo, tirandomi fuori dalle impasse con le mie forze e fu inutile che mi sgolassi, urlando al lupo al lupo, tanto mi lasciarono deperire, deambulare fantasmaticamente nella brughiera delle mie perdizioni, permettendo che la mia anima si dissanguasse, trafitta dalla più afflittiva malinconia. No, non faccio dei piagnistei la mia forza di volontà, non sono il tipo che si crogiola nei rammarichi e nella più inconsolabile, gridante, supplicante mestizia. Forse, proprio in virtù del mio tener tutto dentro con discrezione da far impallidire anche Cristo, che dinanzi alla verità del mio cuore, che lui in maniera appunto veritiera sonderebbe con doti da veggente delle mie interiori profondità, s’adirerebbe non poco e mi spronerebbe a bestemmiare, ecco, proprio a causa della mia eccessiva riservatezza, di questa atimia che mi blocca perfino nel rivelare i miei insanabili malesseri, appaio una persona, paradossalmente, estremamente lieta e felice.

E l’altro giorno son stato da uno psichiatra. Ecco svelato l’arcano. Ma come? Uno grande e grosso come me si presuppone che abbia tutte le qualità possenti della sua stabilità emozionale per non cadere nelle mani di uno strizzacervelli. E che fa? Va da uno di questi?

Devo confidarmi che io disistimo gran parte dell’umanità ma continuo, chissà perché, a dar fiducia al prossimo. E quindi volevo confrontarmi con qualcuno esperto o uno che almeno ha le credenziali formali per spacciarsi come tale, per aprirmi e donarmi sinceramente, in piena remissione dei miei dolori esistenziali.

Ma non avvenne nessun transfert. Il transfert sapete cos’è, no? È quel semplice, almeno all’apparenza, meccanismo mentale che permette al “paziente” di trasferire il suo inconscio e il suo sentire all’interlocutore e, dall’empatia che si spera ne sortisca, discutere costruttivamente della sua vita, nel comprendere che l’interlocutore è in sintonia, anche se in disaccordo dal punto di vista ideologico, con la sua anima, e quindi da quest’interscambio, quasi “telepatico”, poter intervenire sulla sua stessa esistenza per un fine benefico. Per ritrovare la serenità smarrita o persa nei meandri delle tormentose tribolazioni.

E attuare un’opera radicale di rinnovamento alla sua intralciata, soffocata o compressa vita poco anelata e amata.

Io e lo psichiatra parlammo per mezz’ora abbondante in un reciproco gioco di sguardi complici e ammiccanti. Chiamatele vicendevoli ruffianerie o sciocche carinerie, oppure più semplicemente reverenziali leccate di culo. Ove uno pensa una cosa negativa riguardo a ciò che dice l’altro ma l’asseconda per fare bella figura e risultare affabile, simpatico, alla mano. Affinché, arrivati nel bel mezzo della “terapia” conversativa, nessuno dei due, soprattutto il paziente, possa aver paura di chi gli sta fronte e quindi potersi esporre in totale franchezza e denudata onestà morale e psicologica.

Lo psichiatra, dopo aver appurato, ascoltandomi parlare, il mio forbito ed erudito, colto e ponderato saper chiacchierare amabilmente, pose repentinamente fine al mio delicato, per quanto sofferente sfogo, con una lapidaria, brusca autorevolezza da lasciarmi interdetto.

– Sa, è inutile che vada avanti nel suo racconto. Ho inteso molto bene e non c’è bisogno che aggiunga altro. Questo, sì, che sarebbe offensivo alla mia intelligenza. Perché, se mi ripetesse le cose ancora e ancora più e più volte, finirei col credere che mi avrebbe preso per un cretino. Le sue parole son state precisissime, argute e inquadrano perfettamente la situazione. Ripeto, sarebbe retorico e fastidioso che le colorisse di altre perifrasi. È tutto lapalissianamente talmente chiaro che solo un tonto fraintenderebbe.

Ma sa, io devo esserle sincero. È il mio lavoro l’essere sincero, e amo esserlo coi pazienti, persone a cui voglio molto bene e per le quali mi prodigo affinché migliorino proprio il loro benessere.

Lei non è uno qualunque e ha un grosso fardello sulle spalle. Anzi, da levarsi dalle palle. Vari esperti in materia, professionisti seri con anni e anni di studio, qualche tempo fa, hanno asserito che lei soffre di un disturbo molto grave. E, nonostante la sua schietta umanità, la dolcezza perfino commovente della sua storia, io non me la sento di contestare queste diagnosi. Se non, tutto sommato, dar loro ragione.

– Guardi, non capisco. Le ho già detto che quelle diagnosi furono affrettate e molto, molto superficiali. Lei oramai mi conosce da tempo e, se ho capito qualcosa del nostro rapporto medico-paziente, credo di aver anche inteso che lei è sempre stato, in linea di massima, in disaccordo con quelle “certificazioni” molto ipocrite e approssimative.

– Sì, è vero. Non dico che le confuto e non posso dirlo a lei se effettivamente penso che siano molto parziali e frutto del fatto che si doveva velocizzare una qualche diagnosi per calmare la situazione che per lei era diventata intollerabile e poteva, ahinoi, spingerla a gesti sconsiderati, se non addirittura autolesivi o suicidari. Sa bene che il segreto professionale non si esplica soltanto se qualcuno mi viene a chiedere di un mio paziente e, se non ha un “mandato di perquisizione” della sua anima, io sono obbligato a non dirgli un bel niente, ma è altrettanto valido per quanto riguarda il rapporto medico-paziente. A grandi linee, posso dirle che idea mi son fatto di lei e quale sia la mia personale “diagnosi” ma con certezza né nero su bianco mai e poi mai gliela potrò confidare negli esatti termini nei quali si palesa.

– Quindi, lei preferisce l’ambiguità, la slealtà, la politica correttezza di una bugia bianca per non ferirmi o danneggiarmi nell’autostima oltremodo.

– Vedo che lei è in gamba. Sì, ha capito alla perfezione. Io non posso dirle nulla di lei, in termini diagnostici, se non operare con lei, in modo soft e indolore, un programma terapeutico che possa condurre lei verso la salvazione della sua anima malata e me stesso, permetta un po’ che mi vanti di questo pregio, a comprovare che anni e anni di studio mi son serviti davvero ad aiutare le persone e non sono stati anni buttati via di teorie inermi, inefficaci e cattedratiche. Se lei si salverà, se ritroverà la sua perduta vita e la sua traviata via riagguantata, il merito sarà anche mio. Non le dimentichi mai. Questo è di primaria, basilare importanza.

Ora però mi permetta di esserle ancora più sincero e mi perdoni se sarò troppo duro con lei.

– Cioè?

– Cioè, vede, lei è una persona molto colta, ha mille conoscenze, curiosa, sveglia, forte e coraggiosa. Tutte qualità che mi sento di attribuirle perché se le merita e rispecchiano la verità. Mentirei se le dicessi che è uno stupido. Molti miei pazienti, ahimè, lo sono, e non hanno assolutamente coscienza dei loro limiti né si rendono conto delle distorte imbecillaggini che mi vengono a riferire. Altresì, devo dirle che la sua vita non mi piace affatto. E la reputo molto triste. Tristissima, patetica, orrenda, penosa. Allora, o si dà una mossa immediatamente per vivere come uno della sua età, costi quel che costi, e dunque divertirsi, prendere la vita con più filosofia, non dolersi delle delusioni, tanto le prendiamo tutti, chi più chi meno, e lei in quanto uomo non ne sarà esente, oppure verrà visto pericolosamente come diverso e come una persona da emarginare. Non ha alternative, questa è la realtà. E poi non si lamenti se la gente la evita ed eviterà. Anche se nelle pulsioni la evirerà! Se l’è andata a cercare col suo astruso modo di fare insopportabile.

– Cioè, lei dice che vado benissimo così come sono ma vuole cambiarmi perché alla società non sto bene e dice allo stesso tempo che io stesso devo provvedere subito a cambiare. E in cosa dovrei cambiare?

– In tutto. E scopi di più.

– Ah, capisco. L’intero valore dell’anima di una persona si riduce al numero di scopate che uno fa.

– No, ci mancherebbe. Eppur sostanzialmente è così. È così e non ci piove. È il mondo di oggi. Florido, spensierato.

– Un po’ puttanesco e bugiardo. Carnale e materialista. Edonista ed epidermico.

– E quindi il problema dove sta? Il mondo ci vuole così e noi ce lo godiamo tutto così com’è fatto. Perché stare male per non godercelo tutto sin in fondo, tutto in culo? Si prenda questo mondo e se lo fotta di brutto.

Altrimenti saranno guai…

 

Sapete qual è l’atroce, spettrale verità? Che, nella sua fiera nudità espositiva, quello psichiatra non aveva tutti i torti. È triste, aberrante, persino malefico asserire ciò. Ma pensateci. A cosa ci serve, in questo mondo, essere furentemente creativi, pieni di fantasia, possedere una grande anima che vede la vita a trecentosessanta gradi se poi la vita stessa non siamo capaci di esperirla nel quotidiano, negl’inevitabili e potenti attriti col prossimo, se in qualche maniera, anche minimamente, non ci applichiamo per rendere le nostre conoscenze fruibili e alla portata di chiunque? Sì, si crea l’isolamento, semmai anche il delirio solipsistico, lo sganciamento troppo radicale ed eccessivo da ogni regola, da tutte le regole. E questo ingenera solitudine, alienazione e, se non sappiamo gestire le nostre emozioni, sconsolatezza ineludibile, amarezza inestinguibile, rassegnazione mortificante, ipocondria latente o peggio depressione acuta e incurabilmente febbricitante e fremente. Nascono così in noi sentimenti di totale sfiducia verso tutti.

Com’è bello, alto, nobile, coraggiosissimo tentare di vivere soltanto con la forza della nostra diversa unicità, bella, brutta, giusta o sbagliata che sia. Ma non verremo capiti. Soprattutto oggigiorno. E più ci affanneremo a fornire spiegazioni del nostro modo di essere e più verremo equivocati e guardati con sospetto e malevolenza. Ricattati e marchiati, stigmatizzati e allontanati.

E vi garantisco, sono il primo a rimarcare orgogliosamente ciò, che la solitudine è straordinaria. Sì! Ci permette di distanziarci dalle frivolezze più meschine e stolte, ci permette di leggere un libro meraviglioso, filtrandolo con la nostra mente non influenzata da niente e da nessuno, e dunque ci concede il dono e il privilegio di giovarcene, fregandocene solo di quello che noi pensiamo e amiamo di quel libro.

Ma a lungo andare, no, non dico che sia pericolosa, ma è sterile e anche la solitudine può essere un metronomico atteggiamento abitudinario verso la vita. Perché la solitudine protegge ed esalta il nostro autentico io ma può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Perché siamo uomini dotati appunto di anima.

E forse l’anima, qualche volta, va condivisa. Non troppo, intendetemi bene, ma un po’ sì.

E quello psichiatra, sebbene ammetta che abbia estremizzato con esagerata spietatezza, forse non voleva dire che io dovrei essere un egoista schifoso che vive unicamente per il suo esclusivo piacere, ma che il mondo odierno non ci offre altre soluzioni se non cedervi, prima o poi abdicarvi.

Ma è poi davvero vero ciò che ci dicono e cioè che il modo e il modello infrangibile e vero da perseguire sia questo, incontrovertibile, da prendere per l’unico vero possibile?

Non lo so, il dubbio mi attanaglia.

E ora, scusate, devo apparecchiare il tavolo per la cena e mangiare questi ottimi gamberetti in salsa agro-dolce.

Ah, che sono queste macchie sulla tovaglia?

 

 

di Stefano Falotico

Il Joker e Batman sotto le Due Torri


15 Jul

Phoenix Joker

 

Salve,
sono il Joker, il nemico pubblico numero uno di Batman.

Ah, quel Bruce Wayne la dovrebbe finire di farsi servire e riverire dal maggiordomo e di abitare in quella caverna così tetra. Sì, è proprio un cavernicolo bifolco e maleducato, all’apparenza ostenta modi eleganti, è insopportabilmente affettato nelle sue plateali, eclatanti apparizioni in pubblico quando non indossa la maschera del suo alter ego, ma in verità vi dico che è un ignobile bugiardo, un lestofante senza pari, un farabutto da prendere a calci in culo.

E mi ripugna vederlo così azzimato, un falso perbenista camuffato da eroe della strada, che scaraventa i cattivi per aria, e poi passeggia sui marciapiedi di questa città felsinea con aplomb orgogliosamente tronfio, sollazzandosi del suo mantello. Oh sì, un uomo ammantato di vellutata boria, e sarebbe lui, mica io, a esser ammanettato. Perché è un fake. E in fondo sappiamo tutti che è uno psicopatico. Wayne tramuta in Batman per discolparsi del fatto incontrovertibile che è un social fobico. Anche se, nelle sue solitudini immani, usa moltissimo Facebook e Twitter. E gente così mi sta profondamente antipatica e stimola in me sentimenti di sdegno titanici.

Ora, devo esservi sincero. Non è che io me la passi molto meglio.

Un tempo qualche anno fa, ero un comico da cabaret, e la gente andava matta per il mio standup comedian di gran livello. Ridevano a crepapelle dinanzi alle mie battute e avevo, posso dirlo in tutta fierezza, dei tempi comici da far impallidire John Belushi e Jim Carrey. E Billy Crystal mi faceva un baffo. Tant’è che proprio Crystal, due anni or sono, trovandosi qui a Bologna con la moglie, assistette a un mio spettacolo e venne di persona nel mio camerino a farmi i complimenti. Gli firmai l’autografo e lo invitai a cena. Ecco, devo dire che non ho mai avuto molti soldi, e Crystal e la sua gentile consorte dovettero accontentarsi di una capricciosa da I Gaetano, pizzeria rustica poco distante dalla Stazione Centrale, un pittoresco locale partenopeo ove sfornano pizze e pagnotte davvero croccanti da veri napoletani DOC.

Ma poi, proprio quando stavo raggiungendo il successo e cominciando a guadagnare un po’ di più, quando tutti i locali comici mi facevano la corte per avermi come star della serata, avvenne la totale débâcle.

Che tonfo, che caduta. Da imputare, ahimè, soltanto alla sfiga più nera.

Una sera, mi trovavo in Tangenziale, ed ero molto eccitato perché il mio spettacolo, appunto, era andato alla grande. Stavo viaggiando a gonfie vele verso la popolarità. E stavo diventando l’idolo cittadino, il paladino del buon umore. Un sogno che era davvero vicinissimo ad avverarsi. Ma, mentre guidavo di pazza gioia, nell’atto di sostituire un cd con un altro nell’autoradio, mi distrassi per trenta secondi netti, e quella distrazione mi fu fatale. Andai in tutta velocità a tamponare un camion, e sbandai, frantumando il guard rail. Che, sebbene fosse di cemento armato rinforzato, non servì a contenere l’incidente. E stranamente non scoppiò l’airbag.

Non morii, eh certo, altrimenti non sarei qui a scrivervi ciò. Ma rimasi vivo per miracolo. Avevo tutte le ossa rotte, lo sterno mezzo dilaniato ma, soprattutto, la faccia spaccata. Mi portarono subito al Pronto Soccorso, mi fasciarono interamente la testa e mi diedero dei punti di sutura dappertutto, in particolar modo sul viso e sulle labbra. Non crepai dissanguato ma la mia faccia è adesso sfregiata da un’indelebile, profondissima cicatrice che assomiglia a una pallina da tennis ricucita.

E, conciato così, non potei e non posso più lavorare come comico. La gente cominciò a evitarmi perché spaventata dalla mia faccia.

È da allora che sono il Joker e odio tutti quanti. E mi pitto le guance per dissimulare i tagli sulla pelle. Sì, mi trucco come un clown, tanto, struccata, la mia faccia fa ancora più paura.

E vado a caccia di Batman. Sì, Batman vive a Bologna. Ma quale Gotham City! Quello lo scrivono nei fumetti per dare un tono dark epico all’ambientazione. Perché Bologna invece, sì, è una città cupa e medioevale, ma non si presta a un fumetto alla Tim Burton.

E volete mettere il fascino oscuro degli altissimi grattacieli di cristallo contro la vetustà medievaleggiante delle Due Torri?

Mica si può scrivere un fumetto mondiale con l’Asinelli e la Garisenda? La gente si metterebbe a ridere. Insomma, noi italiani no, ma nomi così non hanno presa a livello internazionale, non emanano fascino arcaico e gotico a differenza di Gotham City, una città tentacolare e futuristica città à la Metropolis.

Sì, Batman abita qui. E so anche in che via e in quale quartiere, ma non posso dirvelo perché altrimenti lederei la sua privacy e mi troverei una denuncia della polizia postale per aver rivelato pubblicamente online il suo luogo di residenza.

Ma, stanotte, saran botte. Eh sì, stasera gliene combinerò una delle mie.

Domani, che bello, la mia “impresa” sarà su tutti i giornali, e Il Resto del Carlino intitolerà a lettere cubitali il “post” chiamato: Anche i pagliacci picchiano i pipistrelli.

Eh eh, come me la godo.

Mica tanto…

Che gli farò?

Non posso dirvelo, sarà sul prossimo numero di Batman.

E l’editore del fumetto ha i diritti d’autore.

Ma comunque posso darvi un’anticipazione. Come detto, Bruce Wayne sta sempre chiuso in casa, eh sì, questo stronzo si è reso completamente virtuale. Diventa parzialmente reale soltanto quando si trasforma in Batman. Secondo voi è normale uno così? Lui, sì, che è pericoloso. Mette piede nella realtà solo per prendere a pugni e sberle i violenti, e contro la loro violenza usa una violenza dieci volte superiore. Insomma, sgomina il crimine da puro fascista reazionario.

Meglio io che combatto questo mondo con la mia fantasia. Anch’io sto spesso rintanato ma, se un tempo raccontavo storielle comiche e barzellette nei miei sketch, adesso mi hanno assunto per scrivere racconti umoristici. Cosa posso fare di più nelle mie condizioni per il bene dell’umanità e per dar gioia a questa spenta città ingrigita?

Eh sì. Wayne usa uno pseudonimo su Facebook, l’ho scoperto. Naturalmente, adotta questo falso profilo se no i criminali lo stanerebbero e poi per lui sarebbero guai seri.

E, dal suo falso profilo, dalle indicazioni che ha fornito, ha detto che stasera andrà a vedere il panorama topografico di Bologna dalle Due Torri assieme a Catwoman.

Per entrambi, saranno gatte da pelare, perché io sarò lì, appostato come un pipistrello sulla balaustra dello spiazzo alla sommità dell’Asinelli.

 

Oh, bene, eccomi qui sotto l’Asinelli. Batman e quella stronza di Catwoman son già lassù. Entro. E quella della biglietteria:

– Sono 5 Euro, signore.

– 5 Euro? Adesso, per visitare la Torre e salirvi in cima, si paga 5 Euro? E dire che questo nuovo governo doveva ammortizzare le spese e fornire delle agevolazioni. Di male in peggio. Ecco a lei, comunque.

– Bene, mi può rilasciare la carta d’identità?

– E perché mai?

– Sa, ogni angolo della Torre è sorvegliata da telecamere nascoste ma dobbiamo cautelarci di più. Così se a qualche turista, un po’ vandalo, saltasse in mente di danneggiarla, noi abbiamo in deposito la sua carta d’identità, ed è fottuto. Anche perché, comunque, non esistono altre vie di fuga, se non passare obbligatoriamente da quest’entrata.

– Non posso rilasciargliela.

– Perché?

– E mi domanda anche perché? Ha notato che sono truccato?

– Be’, ovvio. Ma sa, sono molto rispettosa e discreta e dunque sono affari suoi se vuol salire sulla Torre combinato così. Ma, per cortesia, mi rilasci il documento.

– Eh, ma sul documento ho una foto nella quale appaio irriconoscibile.

– Non importa. Ci sono scritti il suo nome e cognome, e vi appiopperò sopra un piccolo asterisco a matita, per sapere che questa carta d’identità appartiene a lei, caro signore mascherato. Molto semplice.

– Ma, sa, non posso dare il mio nome in giro a destra e a manca.

– Come non può?

– Mi sono creato un’altra identità ma a lei ciò non deve assolutamente interessare.

– M’interessa, eccome, se vuole salire sulla Torre. Senza carta d’identità, lei non andrà da nessuna parte.

Vero, Antonio?

– Chi è Antonio?

– Antonio sono io, la guardia che sorveglia le entrate e le uscite, e anche la maschera che stacca i biglietti d’ingresso. Forza, si tolga il mascara, volevo dire la maschera, scimunito. Non faccia il pagliaccio. Consegni la carta d’identità alla bigliettaia, sennò la arresto e poi i miei colleghi la porteranno in centrale.

– Guardia, guardi, non mi metta le mani addosso.

– Invece sì. E la strucco anche. Ah ah.

– Non mi tocchi.

– Io invece le faccio il ritocco, mio toccato!

 

La guardia, già, mi toccò eccome e sciolse con le mani, strofinando accuratamente i suoi polpastrelli sulle mie guance, quasi tutto il trucco.

– Ah, ma lei è quel comico, di cui ora non mi sovviene il nome, che anni fa … be’, un tempo lei andava fortissimo.

– Lo so. Ecco la stramaledetta carta d’identità. Contenti?

– Be’, adesso possiamo lasciarlo andare – disse la bigliettaia.

 

E così, struccato e con la faccia piena di cicatrici, salii fin in cima alla Torre. Batman e quella meretrice di Catwoman non c’erano più. Può darsi che, mentre io ero lì a interloquire con la guardia che, tenendomi fermo, mi stropicciò il viso, e la bigliettaia altezzosa, Batman e Catwoman fossero già usciti, e io, occupato com’ero a evitare figuracce ancor peggiori, non me ne fossi accorto.

 

Eccomi qua sulla sommità della Torre. Adesso, qualcuno ha scoperto la mia vera identità, e state tranquilli che spiffererà in giro chi sono. Che merde. Sono nella merda.

 

E se ora mi buttassi giù da quassù? Oh sì, un bel salto nel vuoto. Tanto, più svuotato di così si muore.

 

Eh sì, buonanotte.

 

 

di Stefano Falotico

 

Il grande Cinema e l’Arte pura sono sempre autoreferenziali e onanistici, mi stupisco di come molti non l’abbiano capito


14 Jul

Mona Lisa

Da tempo, scrivo per un sito ma non so se continuerò a scrivervi perché, all’improvviso, dopo le fatali, fatate sinergie che si erano create con chi lo gestisce, la magia si è spezzata.

Perché gli propongo i miei scritti e, puntualmente, li boccia. Ma non perché siano scritti male, tutt’altro, è proverbiale la mia cura nel redigerli, la puntigliosità nel cercare sempre, per quanto mi sia possibile, termini pertinenti all’emozione che tento di descrivere e trasferire nero su bianco e trasferire anche nell’anima di chi, semmai, la leggerà.

Il caporedattore ritiene che i miei scritti siano autoreferenziali, e non possano interessare granché a un “pubblico” vasto.

E mi trova in disaccordo su tutta la linea. Gli chiedo che senso voglia dare al suo sito, se quello di una raccolta diaristica di vita vissuta e filtrata dall’ottica dei suoi autori, oppure se desideri uniformarlo a una linea “editoriale” di storielle fumettistiche, di storie che, per quanto spassose, divertenti, originali e colorate, lasciano invero assai poco nell’anima dei potenziali lettori.

Lui mi dice che, semplicemente, devono esservi scritte delle storie ma non devono essere personali. Assolutamente.

E io:

– Ma tu pensi davvero che anche il più spicciolo, frivolo intrattenimento puro non sia autoreferenziale? E figlio di colui che l’ha creato?

Ti parlo di Cinema, perché mi riesce bene. Pensa a John Carpenter. Ora, tu mi dirai che lui non è autoreferenziale. E io ti rispondo che invece è uno dei più autoreferenziali che io conosca. Le sue storie sono “mascherate” da altro, ma tutti i suoi fil sono delle invettive, dei j’accuse chiari e inequivocabili sulla società, e nei suoi film tornano sempre gli stessi temi. L’amore tra diversi, le specularità fra buoni e cattivi che cattivi non sono, il labilissimo confine sulle moralità falsamente imposteci dai potenti, che vogliono tenerci nell’ignoranza e in scacco dietro dettami subliminali trasmessici ingannevolmente, sul libero arbitrio e sulla realtà illusoria che realtà invece lo è solo del distorto pensare comune ricattatorio, ad esempio.

Quindi, Carpenter è autoreferenziale al massimo, così come lo è Woody Allen, così come lo è Paul Scharder, che cambia le ambientazioni, il nome e il lavoro dei suo personaggi, li ubica in spazi-tempi apparentemente lontanissimi fra loro, ma rimane fedelissimo a sé stesso, lui più di altri perché, della Fede fraintesa, equivocata, personalissima e trascendentalmente concepita, è maestro superbo. Che piacciano o meno le sue opere, sono turbative, spiazzanti, e incentrare su uomini spesso soli, sbandati o perversi, malati o crocifissi dalle loro intimissime, intoccabili, rispettabilissime afflizioni.

Ve lo vedete Paul Schrader che dirige un film con Paola Cortellesi? La regina tristissima dell’italiota ruffianeria e della “carina” stronzaggine? Suvvia.

Cambiano le storie, ma Tim Burton continua a fare lo stesso film da una vita. Un film sui diversi, film sulla marginalità, sulla grande bellezza delle anime che si sentono un po’ straniere in questo mondo uniformato e globalizzato, ove tutti pare che siano ossessionati nel parlare la stessa anonima, incolore lingua del cuore. Che orrore!

E, come già detto, la dovreste finire di disdegnare Sorrentino perché secondo voi è estetizzante, pedante, aneddotico e altre puttanate che devo stare a sentire. Perché il Cinema di Sorrentino è di Sorrentino. Se non ti piace non lo guardare ma non mi venire a dire che Garrone è meglio perché è più “umano”. Ma vai a dar via il culo!

Garrone è ancora più autoreferenziale di Sorrentino! Se è per questo!

Carmelo Bene ha fatto un film dove si scrive le lettere d’amore da solo, pensa te… e Branagh rende Hercule Poirot un personaggio di Shakespeare!

Quindi, per l’amor di Dio, non mi venite a dire che costoro sono onanistici. E raccontano storie. Le loro storie… anche quando tratte da altri.

Anche Jim Morrison lo era, onanistico, tutti lo sono. E confutare questa verità mi sembra assurdo.

Provate a vedere meglio i film, a leggere tra le righe un libro e lo capirete.

 

– Vedi, Stefano. Sì, lo sono, ma ci raccontano storie che possono essere prese per quello che sono, cioè delle semplici storie.

– Cioè per delle idiozie.

– No, sono appassionanti.

– Non vedo cosa ci possa essere di appassionante in una storia senz’interesse, e l’interesse nasce dalla visione, esplicitata o meno, che l’autore ha infuso alla storia stessa, per quanto banale di primo acchito possa sembrare. E se, invece, sono storie e basta, queste sì che sono fini a sé stesse, tediose e prive di alcun significato. Non veicolano nessun messaggio ed è come leggere un articolo di giornale di cronaca, rosa o nera che sia. Storie senza personalità e senza sguardo, oggettivamente insulse, senza prospettiva. Giornalistiche, non artistiche.

Quindi, è giustissimo che Falotico non si svenda, e scriva storie personali. Perché tutte le grandi storie sono personali. Sempre.

Pensate a qualsiasi grande film e poi venite a dirmi, dopo avervi riflettuto attentamente, se non è figlio dell’anima del suo regista.

Quindi, per piacere…

Non rendiamo questo mondo piatto e tutto uguale.

 

Ora, vi scrivo comunque una storiella.

Il gatto era sul tetto e fece la popò, che cadde dal camino e sulla testa di un bambino scivolò.

Il papà, davanti a quella popò e al pianto del suo bimbo che frignò, se ne fregò e andò a mangiarsi un babà.

Fine della storia.

Che storia di merda.

 

 

di Stefano Falotico

Questo libro su Carpenter mi sta facendo penare ma, si sa, io sono un patito della tribolazione e infliggo punizioni, soprattutto al mio editore, che è sempre me stesso


14 Jul

Carpenter

 

Sì, che fate? Non vi accalorate, non sbracciate, il mio libro monografico su Carpenter, che avrà una copertina realizzata secondo mie direttive da una grafica, che probabilmente è anche una gran figa, è quasi pronto. No, ancora no. Sarà sulle catene librarie verso la fine di Settembre, forse nei primi di Ottobre, o per extrema ratio a Novembre, come in una canzone di Giusy Ferreri. Una ragazza con cui forse feci l’amore si chiamava di cognome Ferraro e ultimamente sto corteggiando una che della mia ex ragazza ha lo stesso nome e cognome. Perché amo le doppiette, i doppioni e forse, se il libro venderà parecchio, potrò trombarmi una della famiglia Ferrero sulla Ferrari.

Ecco, dopo questa stronzata, passiamo a cose serie.

Sì, qui o forse qua, non so dove stia Quo, forse è coccolato da Paperino, troverete già le mie recensioni su questo splendido Maestro. Non le trovate? Cercate allora nel net e scoprirete il mio nettare.

Ogni volta che porto a compimento un libro, è un eccezionale penare. Sì, dopo averlo partorito di tanto pensare, arriva il momento di editare. E allora bisogna ricontrollare tutto il testo con molti test per appurare che il refuso non rovini la magnifica intelaiatura, ma ecco che compare l’inaspettato errore-orrore grossolano e dalla rabbia ti prenderesti a testate, devi notare bene che il discorso fili meglio della racchia che ti fa il filo, perché non è Arianna ma tu potresti essere il Minotauro o forse solo un minorato, e poi ti troverai una figlia minorenne che ti chiederà l’assistenzialismo e voterai per un governo che incita alla libera diffusione della droga.

Scrivere una monografia implica inserire tantissimi nomi, date, durate, dettagli tecnici, parole gergali della cinematografia. Ed è un compito improbo non scivolare nella pecca. Ah, beccata, subito aggiustata.

Carpenter, nonostante non mai abbia fatto mainstream, è uno della Grande Mecca. E tu, donna, lecca…

Ma io sono un perfezionista cosicché, dico cosicché ma potrei dire anche giacché, miei uomini in giacca, se online compaiono giustamente recensioni che, per le parole straniere o di derivazione inglese, usano sempre il corsivo nella dicitura, in quanto recensioni a sé stanti, nella monografia importa soltanto che compaiano una volta e basta in tale grafia, altrimenti sarei ripetitivo. Il libro dev’essere ben assestato.

Avete notato? Prima ho messo l’indicativo compaiono e poi il congiuntivo compaiano. Ma il tuo nome, scusa, in quale enciclopedia compare? In nessuna? Fa lo stesso. Andiamoci a bere un Campari.

Ecco allora che suspense appare, così almen mi pare, due volte in corsivo, e avverto già profonda tensione a prefigurarmi che comparirà in corsivo anche un’altra volta. Ah, spunta quando meno te l’aspetti. Da dietro la virgola e, puf, t’incula.

Al che, l’attrice di Distretto 13 e Halloween, Nancy Kyes, si faceva chiamare spesso Nancy Loomis. Che nome devo mettere? Metto tutti e due. In Halloween tre attori diversi interpretano Michael Myers, ma uno non è un attore, è uno preso dalla strada e in quell’altro film Carpenter fa la comparsata ma non lo si vede in volto. Ah, voglio che questo mio libro sia preciso e non venga inviso. Tu, invece, alla tua amante devi venire sulla faccia. Tanto siete due facce di merda.

A proposito, come mai a distanza di due anni, la Kyes in Distretto 13 è abbastanza gnocca e invece in Halloween fa la bruttina allocca? Ma son cose da fare?

Ah sì, La cosa… glielo ficco… che Morricone ha riutilizzato la sua stessa colonna sonora per The Hateful Eight? No, Tarantino non ci sta in questo libro. Questo è un libro coi contro-cazzi senza citazionismi e omaggi.

E come mai Mereghetti ha fatto lievitare le stellette di Starman da due, da mezza ciofeca, a tre piene, e prima descriveva la pellicola come un melò fantascientifico patetico, adesso come un film che farebbe piangere anche Hitler? Tornando a The Thing, prima gli aveva appioppato due incomprensibili stellette e mezzo, adesso è assurto in cuor suo a capolavoro assoluto.

Fanculo! Tanto Paolo non ci sarà nel mio libro. Lui abbassa e alza tutto ma non si china per alzar la gonna.

Si sa, io sono il signore del male, e infliggo pene… meglio se a una molto bella che mi (di)strugge con qualcosa che, caldo, abbisogna che tu lo eriga. Caldo? No, meglio al femminile, calda.

Sì, sono molto erigente, no, esigente. Ah, in Distretto 13 c’è il nero Tenente del cazzo che vuole il suo caffè…

– Nero?

– Da oltre trent’anni.

– Testa di cazzo?

– Vedrai quindi che alle donne piacerai a prima vista…

 

E sarà SEME della follia o forse solo come te, scemo nella pazzia.

Di mio faccio razzia, perché non son razzista. Anche le mulatte son ottime.

Quindi il libro è pronto?

Are you ready? Quando si può to read? Chiedetelo al nome del personaggio di Kurt Russell… a MacReady?

No, a Jack Burton.

Che Jena che sono! Ah ah.

 

 

di Stefano Falotico

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